venerdì 21 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 81. Menzogna e sortilegio

L'Ultima Thule: Gothian, Capitolo 1, Ellis Eclionner: Bellezza ...


Le più grandi bugie sono quelle che raccontiamo a noi stessi, senza nemmeno accorgercene, pur di non prendere atto di tutto ciò che ci causerebbe un dolore insopportabile.
Sono i cosiddetti "meccanismo di difesa dell'Io", menzogne che alleviano i sintomi, ma che non guariscono la malattia, e anzi concorrono alla costruzione di un "Falso Sé", che come un usurpatore finisce per sottomettere e schiacciare ciò che veramente siamo.
I nostri stessi ricordi sono una menzogna: le neuroscienze e la psicologia ci insegnano che la vita che ricordiamo non è mai quella che abbiamo realmente vissuto. E dunque anche l'opinione che ci siamo costruiti su noi stessi e sul mondo risente di queste falsità, di cui spesso noi non siamo consapevoli.
Nel caso di Massimo Braghiri, il livello di menzogna che l'Io raccontava a se stesso era necessariamente spropositato, poiché fin troppe volte aveva fallito nel raggiungere i propri ambiziosissimi obiettivi.
E proprio a causa dell'entità di questa menzogna, il "Falso Sé" che egli si era costruito attorno come meccanismo di difesa esigeva, ogni giorno di più, delle prove concrete che tutte le sue fanfaronate, comprese le minacce, fossero davvero realizzabili.
Dopo il Ferragosto del 1983, mentre sulle spiagge si cantava ancora "Vamos a la playa" dei Righeira, Massimo lasciò la famiglia al mare e si recò ufficialmente in visita ai genitori, a Casemurate.
Michele e Ida Braghiri erano di fatto "comproprietari" di Villa Orsini, nel senso che avevano un loro appartamento di lusso al secondo piano in comodato d'uso perpetuo, come ennesimo riconoscimento della loro insostituibilità nei ruoli di amministratore del Feudo e di governante della Villa.




Dopo aver pranzato con i genitori, Massimo raccontò al padre del netto rifiuto da parte del giudice De Gubernatis di collaborare al loro piano per incriminare Ettore Ricci.
Michele parve quasi sollevato:
<<Ma forse è meglio così, Massimo. In fondo io sono felice della vita che faccio e non serbo più rancore a nessuno. E considerando quello che ho fatto, posso dire che mi è andata bene>>
Massimo non credeva alle proprie orecchie:
<<Ma come? Per tutta la vita non hai fatto altro che pregustare il giorno in cui avresti distrutto Ettore e ti saresti impadronito del suo impero, e adesso molli tutto così, a un passo dal trionfo?>>
Michele annuì:
<<Sì, e ho le mie buone ragioni: se il giudice De Gubernatis fosse stato dalla nostra parte, allora, potevo contare sul fatto che mi avrebbe coperto le spalle, ma siccome il tuo caro suocero non intende aiutarci, se io denuncio gli illeciti finanziari di Ettore, ci finisco dentro fino al collo. Lui darà la colpa a me, in quanto sono l'amministratore delegato, e io, senza un magistrato compiacente, rischio di finire sotto accusa.
Insomma, come si suol dire, il gioco non vale la candela, è meglio che ti metti il cuore in pace, figlio mio>>
Ma Massimo non ne aveva nessuna intenzione.
Uscì nel giardino per sbollire la rabbia e poi si diresse verso il sentiero che portava all'argine del torrente Bevano.
Fu in quel momento che si fece strada dentro di lui un'idea.
Poteva sembrare una sciocchezza, per un uomo di scienza come lui, ma in fondo cosa costava provare?
Essendo cresciuto a Villa Orsini, gli era sempre stato facile arrivare all'antica casa, presso la confluenza tra il Bevano e il grande fosso Torricchia, dove abitava la centenaria erborista Elvira, che aveva fama di strega.
Fu proprio lì che si diresse.
Era un luogo al di fuori del tempo, una specie di universo parallelo.
Per accedervi bisognava attraversare un piccolo bosco, poi un orto botanico e infine un cortile con al centro un pozzo molto profondo.
La casa era in pietra grezza, ricoperta di muschio e di edera.
Un enorme numero di gatti la presidiava, e in particolare ce n'erano due di proporzioni enormi, che sostavano, come sfingi, sui due pilastri del cancello.
C'erano da sempre, e davano l'idea di essere immortali.
Uno aveva pelo lungo e leonino, l'altro era grasso, tigrato e sornione.
Quando Massimo varcò il cancello, i due felini emisero una serie di segnali che mobilitarono tutti gli altri gatti come un esercito.
La vecchia, messa sull'avviso, comparve poco dopo, con una veste grigia e il capo coperto da un fazzoletto nero, legato sotto la mandibola.

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Di profilo le si vedeva solo la punta del naso.
La pelle del viso era come cuoio, gli occhi nerissimi, vigili e incredibilmente privi di cataratte.
<<Massimo... ti stavo aspettando>>
Lui rimase di sasso:
<<Ma se io ho deciso solo poco fa di venirti a trovare?>>
L'Elvira scrollò le spalle:
<<Sarei una veggente di poco conto se non percepissi nemmeno questo! Ti ho sognato, stanotte. Mi chiedevi di eseguire un tipo di sortilegio che io mi rifiutavo di prendere in considerazione>>
Massimo non si fidava completamente di lei, ma era a tal punto disperato che ormai il ricorso alle Arti Oscure era l'ultima mossa possibile:
<<So che in linea di principio ti rifiuti di esercitare la Magia Nera, ma qui si tratta di un caso speciale>>
Lei rise, mostrando una bocca semi sdentata:
<<A sentire quelli come te, si tratta sempre di un caso speciale">>

<<Non esistono "quelli come me". Ci sono io, e basta>> sbottò Massimo.

<<Per fortuna>> rispose lei prontamente e poi ribadì <<Comunque, io non pratico più le Arti Oscure da molto tempo. Evocare le energie negative significa risvegliare i demoni, e ciò comporta conseguenze nefaste per tutti. 
Il male che fai o che desideri torna sempre indietro, prima o poi, e colpisce forte, all'improvviso e quando meno te lo aspetti>>
Massimo non ci credeva, ma riteneva che le maledizioni di una fattucchiera esperta potessero funzionare. Bisognava però convincerla a collaborare:
<<E se fosse per un atto di giustizia? Tu avevi un affetto quasi materno per Isabella Orsini, la sorella più giovane della Contessa, non è così?>>
L'espressione del volto della vecchia cambiò completamente.
Isabella si era rivolta a lei per tanti piccoli problemi che non aveva mai confidato ai familiari, troppo all'antica per capire.
L'Elvira l'aveva aiutata e si era affezionata a lei come se fosse una figlia.
<<La mia povera Isabella. Il suo spirito non ha ancora trovato pace. La sua anima anela giustizia, lo sento>>
Massimo era abile nel trovare i punti deboli delle persone e nel riuscire a sfruttarli a proprio vantaggio:
<<E immagino che tu sappia anche che il giudice De Gubernatis, che condusse le indagini preliminari, fece di tutto per insabbiare la verità, e non solo in quel caso, per evitare che il buon nome di Ettore Ricci fosse lambito da uno scandalo>>
La vecchia lo sapeva fin troppo bene, ma c'era un'altra verità, ben più grave, che andava dichiarata apertamente:
<<Lo so, ma Isabella avrà giustizia solo quando sarà morto anche il vero assassino, e cioè tuo padre!>>
Massimo non si scompose, perché in fondo era quella la direzione che il discorso doveva prendere, per poter arrivare a un accordo:
<<E allora io ti propongo uno scambio. Tu sostieni che ogni demone vuole un prezzo per ogni maleficio che gli si richiede, non è così? Una vita per un'altra vita>
L'Elvira lo fissò e parve crescere in statura, mentre pronunciava la Prima Legge delle Arti Oscure:
<<E' il principio basilare della Magia Nera, così come descritta dai grimori più importanti, come la Clavicula Salomonis. Per ogni maleficio protratto nel tempo, occorre evocare un demone, secondo le modalità specificate dall'Ars Goetia, e il demone evocato richiede un sacrificio da parte di chi lo commissiona. Più importanti sono le richieste e più cara al mandante sarà la persona sacrificata>>
E qui Massimo decise di calare il suo asso nella manica:
<<Io chiedo che siano maledetti Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis e offro in cambio la vita di Michele Braghiri>>
La veggente sgranò gli occhi:
<<Questo non l'avevo previsto!>>
Lui sorrise, e fu una cosa orribile a vedersi:
<<L'ho deciso poco fa>>
L'Elvira lo scrutò attentamente, poi alla fine annuì:
<<Non devi amare molto tuo padre, se lo offri con tanta facilità come vittima sacrificale, ma poiché anche io chiedo giustizia per Isabella e Arturo, dal momento che Michele è il loro assassino e il giudice lo ha coperto, credo che per questo atto di giustizia potrei convincere un particolare demone, molto potente.
Ma ti avverto, Massimo: questa è l'ultima volta che farò una cosa simile. 
E in ogni caso non illuderti che il demone evocato ti dimenticherà. Una volta che si è fatto un patto con Eclion il Vendicatore, lui potrebbe, come dire, "prenderci gusto", e incominciare a giocare con le famiglie che sono state segnalate alla sua attenzione, sia quelle di coloro che sono stati maledetti, sia quelle di coloro che hanno sollecitato la maledizione>>

<<Io credo che questo demone Eclion mi troverà simpatico>>

<<Può darsi. Eclion si nutre di odio, e tu ne hai da vendere, ma attenzione... Eclion è imprevedibile, e nessuno può sapere a chi potranno andare realmente le sue simpatie.
Non dire che non ti avevo avvertito>>

<<Sono pronto ad affrontare questo rischio. Procediamo>>

<<Sia come vuoi tu. Al termine del rito, Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis saranno maledetti col favore delle tenebre, fino a che dureranno i Troni dei Signori degli Elementi>>

giovedì 6 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 80. Agosto è un mese crudele

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Per Thomas Eliot "aprile è il più crudele dei mesi", affermazione paradossale, ma a modo suo giustificata, perché se è vero com'è vero che la vita è ingiusta e a volte crudele, allora il mese in cui la natura torna a vivere è destinato a portare con sé tutta quell'ingiustizia e quella crudeltà, nascondendole dietro i fiori e il rigoglio, come la catena alimentare e la legge del più forte si nascondono dietro l'apparente idillio di qualunque campagna, foresta o prateria, montagna o mare.
Naturalmente si tratta solo di una metafora: la vita sa essere ingiusta sempre, in tutti i mesi dell'anno, e riserva ad ogni singolo istante di ogni singolo giorno di ogni singola esistenza l'amara sorpresa di capire che tutto ciò a cui si era creduto e a cui si era dato importanza, era qualcosa di fragile e aleatorio, destinato prima o poi a fare i conti con l'enormità del male, perché il male è la regola e non l'eccezione.
Ma visto che siamo in vena di paradossi, pensiamo al fatto che per il giudice Guglielmo De Gubernatis il mese più crudele era agosto, quello in cui la maggior parte delle persone si gode le più o meno meritate ferie estive, dopo aver subito per mesi e mesi quelle due calamità bibliche che sono il lavoro e la scuola.
Ebbene, in agosto nessuno può far finta di non scorgere, se ci sono, le crepe nell'edificio della propria esistenza, e questo proprio perché tutti o quasi sono in vacanza, e chi ha costruito o saputo conservare un'esistenza quantomeno serena può finalmente godersi appieno questa condizione, mentre chi non è stato altrettanto capace o fortunato, può soltanto notare che, tolti i tranquillizzanti paraocchi delle abitudini, dell'opaca trafila delle cose che si accompagna ad un'attività imposta dall'alto, ciò che resta sono i segnali, più o meno evidenti, di tutto ciò che non funziona in noi e attorno a noi.
Nella specifica fattispecie del giudice De Gubernatis, le cose che non funzionavano erano sempre di più, di anno in anno, e non solo per le inevitabili conseguenze dell'invecchiamento (quello, di per sé, sarebbe stato tollerabile), ma anche e soprattutto per il rimpianto di aver dedicato troppo tempo a persone che non lo meritavano e per il rimorso di aver negato giustizia a persone che ne avevano diritto.
E tutto quello per ottenere cosa?
Niente che valesse la pena di tanti sacrifici e compromissioni.
Si ritrovava per l'ennesima volta a trascorrere il mese di agosto nel solito appartamento di Cesenatico, in compagnia di una moglie noiosissima, una figlia pettegola e acida, un genero divorato dall'ambizione, dall'invidia e dal desiderio di vendetta, e un nipote taciturno, freddo e incredibilmente snob.
La moglie Ginevra Orsini, sorella minore di Diana, diciottesima Contessa di Casemurate, e la figlia Elisabetta, professoressa di inglese, non facevano altro che spettegolare dalla mattina alla sera, anche quando erano dal parrucchiere o dalle amiche a giocare a canasta e scala quaranta.
Il genero, Massimo Braghiri, approfittava dei momenti di assenza di moglie e suocera per fare pressioni sul giudice.
<<Senti Guglielmo>> aveva esordito <<io so tutto riguardo all'insabbiamento delle indagini su Ettore Ricci, nei casi che hanno riguardato le morti di Isabella Orsini, Arturo Orsini e Federico Traversari>>
De Gubernatis sospirò:
<<Quindi saprai anche che il colpevole era tuo padre, Michele Braghiri>>
Massimo lo sapeva benissimo, ma non si era aspettato che suo suocero l'avesse capito:
<<Chi ti ha messo in testa quest'idea? E' stato Ettore?>>
Il giudice scosse il capo, con infinita stanchezza:
<<No, Ettore ha sempre creduto alla versione ufficiale delle indagini. Suicidio nel caso di Isabella, e tragico incidente negli altri due casi. In un primo momento io pensai che Ettore mentisse per difendere se stesso, ma le indagini che condussi segretamente mi portarono a capire che dietro a tutto c'era il piano diabolico di tuo padre. E avrei dovuto smascherarlo e rinviarlo a processo! Non l'ho fatto perché volevo evitare uno scandalo che avrebbe finito per danneggiare non solo la tua famiglia, ma anche quella di mia moglie, i Ricci-Orsini.
Ma fu il più grande errore della mia vita, e il rimorso per ciò che ho fatto mi tormenta giorno e notte>>
Il genero lo fissò con disprezzo:
<<Ora tu fai parte della mia famiglia! Tua figlia porta orgogliosamente il mio cognome! E così anche tuo nipote. E' a noi, adesso, che devi fedeltà!>>
De Gubernatis era nauseato dalla tracotanza di suo genero:
<<Non capisco dove vuoi arrivare? I reati di cui parliamo sono caduti in prescrizione da tempo. Tuo padre può stare tranquillo>>
Massimo fece un gesto di stizza:
<<Lo so benissimo! Il discorso è un altro: io so che tu hai coperto altri scandali che invece riguardavano sicuramente Ettore Ricci e la gestione del Feudo Orsini. Alcuni di questi reati non sono andati in prescrizione>>
Il cuore del giudice ebbe un sobbalzo.
Era chiaro che Michele Braghiri avesse conservato le prove per poi mostrarle al figlio.
Quei due odiavano Ettore, sua moglie e i loro discendenti: lo sapeva perché in fondo anche Ginevra ed Elisabetta avevano sviluppato, col tempo, un'invidia tale da rasentare l'odio, ed era stato quello il cemento del matrimonio di Elisabetta e Massimo.
<<Continuo a non capire il senso di questo discorso. Io sono ormai in pensione, non mi occupo più di queste cose>>
Massimo gli afferrò una spalla in malo modo:
<<Tu hai ancora molti amici al tribunale. Una tua denuncia mirata può rovinare Ettore Ricci e tutti i suoi eredi>>
De Gubernatis si accigliò:
<<Ettore è mio amico ed è sempre stato molto generoso sia con la mia famiglia che con la tua, per cui non capisco assolutamente questa tua acredine nei suoi confronti!>>
Il genero divenne verde di rabbia:
<<Ci ha trattato come servi! La sua non è mai stata generosità, ma elemosina gettata dall'alto, con disprezzo>>
Il giudice si liberò dalla stretta del genero e gli rispose con voce gelida:
<<Ettore mi ha sempre rispettato. E per quanto ne so ha avuto fin troppa fiducia in tuo padre. Se ha commesso un errore è stato quello di rispettarvi troppo! E se per caso gli rimproveri il fatto che né lui, né sua figlia ti hanno detto di sì quando ti sei proposto, io dico che hanno fatto bene! Avrei dovuto impedire a Elisabetta di sposare un individuo meschino come te!>>
Per Massimo quelle parole furono come uno schiaffo:
<<Da che pulpito viene la predica! Eppure dovresti sapere che non conviene mettersi contro la famiglia Braghiri>>
De Gubernatis fece spallucce:
<<Le tue minacce sono risibili, Massimo. Se intendi danneggiare la mia reputazione, sappi che poi a pagarne le conseguenze sarà mia figlia, tua moglie... per non parlare di tuo padre. Ti daresti soltanto la zappa sui piedi>>
Massimo scosse il capo:
<<Ho molti più assi nella manica di quanti tu possa pensare>>
Ma il giudice, da esperto giocatore di poker, non la bevve:
<<Stai bluffando, Massimo, e in maniera piuttosto patetica, direi>>
Massimo sorrise a denti stretti:
<<Tu mi sottovaluti, così come fanno anche Ettore, Diana, Silvia e il suo dannatissimo marito Francesco Monterovere, ma ve ne pentirete tutti molto presto.
Te lo ripeto: non conviene mettersi contro di me.
E questa è la verità pura e semplice>>
Il giudice sospirò, e i suoi occhi si persero nella contemplazione del mare, mentre con voce stanca e malinconica mormorò, rivolto più a se stesso che al suo interlocutore:
<<La verità è raramente pura e quasi mai semplice>>

Mare, sole o piscina?

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Glowworm Caves in Waitomo, New Zealand. ♡one of the most amazing places I have ever been to!





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~ ~ ~

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@stellarnights :)

lunedì 3 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 79. Amici nemici


How different are James Potter and Draco Malfoy? Both are bullies ...


L'amicizia tra Roberto Monterovere e Vittorio Braghiri era sopravvissuta a tutti i tentativi di sabotaggio da parte di Massimo, il padre di Vittorio.
Quando i due bambini avevano iniziato le elementari, Massimo Braghiri aveva iscritto Vittorio nella scuola più lontana possibile da quella frequentata da Roberto.
Non era servito a niente: i due amici volevano continuare a vedersi, il che peraltro era reso facile dall'essere vicini di casa, oltre che cugini di secondo grado per parte di madre.
Massimo aveva allora cambiato strategia, cercando di invitare a casa, a turno, tutti i compagni di classe di Vittorio, favorendo in ogni modo la nascita di nuove amicizie, il che sarebbe stato anche legittimo, se non fosse stato fatto principalmente per togliere di mezzo Roberto.

Vittorio però era già allora un tipo scostante, freddo, altezzoso, il cui ostinato mutismo era interrotto solo da commenti sarcastici e ironia tagliente, il che non favoriva certo la socializzazione.
A questo punto è legittimo chiedersi come mai Roberto tenesse tanto all'amicizia di un simile individuo.
In primo luogo va detto che la loro amicizia era nata quando erano ancora così piccoli da non aver sviluppato elementi caratteriali troppo marcati, e dunque il legame si era consolidato prima che intervenissero i cambiamenti che li avrebbero condotti, col tempo, in rotta di collisione.
Roberto andava oltre le apparenze e sapeva che dietro alla supponenza di Vittorio c'era una grandissima timidezza, a sua volta causata dall'idea di non essere all'altezza delle aspettative del suo ambiziosissimo padre e della sua "snobissima" madre.
Una volta che ci si era resi conti di quello, e si era riusciti a far sentire Vittorio a proprio agio, allora lui si scioglieva, abbassava la guardia e permetteva agli altri di conoscerlo meglio.
Roberto era l'unico con cui Vittorio si confidava, e questo gli aveva permesso di apprezzare le qualità dell'amico: intelligenza, desiderio di conoscenza e di avventura, buon gusto, senso dell'umorismo, abilità pratiche e sportive che cercava di trasmettere all'amico (specie nel golf, nel tennis e nel nuoto), passione per i giochi elettronici e per quelli di ruolo, amore per la natura e per gli animali.
Trascorrevano interi weekend insieme, spesso a Villa Orsini, dove vivevano le loro rispettive nonne, Diana Orsini Paulucci, Contessa di Casemurate e Ida Braghiri, senza contare il fatto che Diana, oltre che nonna di Roberto, era anche prozia materna di Vittorio.

In apparenza sembrava che fosse Vittorio il nipote dei padroni, il leader, quello tra i due che trascinava l'altro, ma ad un occhio più attento si sarebbe notato che era Roberto a suggerire il programma delle attività, in maniera discreta, questo sì, ma determinante.
In questa dinamica, a Vittorio bastava "apparire" il leader, mentre Roberto non si poneva quel tipo di problemi: a lui importava che alla fine la giornata fosse stata divertente per entrambi.
D'estate Roberto invitava Vittorio nella casa di Cervia che i suoi genitori avevano fatto costruire nel terreno comprato dal nonno Ettore, e Vittorio ricambiava insistendo che i suoi nonni materni, ossia il giudice De Gubernatis e la moglie Ginevra Orsini, invitassero Roberto nel loro appartamento di Cesenatico.
Avrebbero anche voluto andare in montagna insieme, ma su questo i genitori di Vittorio erano irremovibili: i Braghiri non sarebbero mai e poi mai andati in vacanza insieme agli odiati Monterovere.
Nonostante questo, la loro amicizia era così solida, in quegli anni, che un giorno, avendo trovato una pietra sferica nei pressi di un grande fosso che confluiva nel Bevano, Roberto notò che aveva una crepa nel mezzo: la ruppe sbattendola su un'altra pietra, ricavandone due parti perfettamente uguali e ne tenne una per sé e l'altra la diede a Vittorio, dicendo: <<Ci scriveremo sopra i nostri nomi e ognuno terrà quella col nome dell'altro, per ricordare che la nostra amicizia è più forte di tutto il resto. Se mai un giorno qualcosa dovesse dividerci, tu fammi vedere la tua metà della pietra, e tutto tornerà come prima>>
Quel giorno entrambi erano convinti che sarebbe davvero bastata una pietra a rimettere a posto le cose, perché a quell'età nessun danno appare mai del tutto irreparabile.
Forse la loro amicizia avrebbe anche potuto superare le normali crisi dell'adolescenza, se solo il padre di Vittorio non avesse continuato costantemente a remare contro.
Massimo Braghiri era un osservatore attento e temeva che, in quell'amicizia, suo figlio fosse solo "il braccio", mentre l'odiato Roberto Monterovere era, come al solito, la "mente".
Questa constatazione lo imbestialì a tal punto che una sera, riunita la famiglia, diede sfogo alla sua ira:
<<Siete tutti degli sciocchi! Nessuno di voi si è accorto che quella gatta morta di Roberto Monterovere vi sta manovrando tutti! Ma adesso è ora di finirla! D'ora in avanti tu, Vittorio, trascorrerai il tuo tempo libero facendo sport e dovrai primeggiare, vincere medaglie e quando il tuo medagliere sarà colmo di gloria, la sbatteremo in faccia a quei rammolliti dei Monterovere, padre e figlio! E allora finalmente tu potrai guardare ognuno di loro dall'alto in basso>>
Vittorio aveva una paura tremenda del padre, anche perché Massimo sapeva condire i rimproveri con adeguate punizioni corporali, per cui, pur dispiacendosi di dover improvvisamente voltare le spalle all'amico, non osò disobbedire al padre.
Massimo si rivolse poi al suo anziano genitore, Michele Braghiri, e lo prese da parte, per chiedergli se fosse pronto il piano per sferrare un attacco all'impero economico dei Ricci-Orsini.
Michele, ormai succube del figlio, annuì:
<<Il momento potrebbe essere propizio. Ettore è vulnerabile, adesso. I suoi fratelli erano implicati nel crack del Banco Ambrosiano, così come il loro cognato, il Senatore Baroni. La De Toschi è morta. Il Sottosegretario De Angelis non vuole compromettersi. Rimane soltanto il giudice De Gubernatis. E' tuo suocero, ma la sua lealtà va a Ettore.
Non sarà facile convincerlo a riaprire i vecchi fascicoli per modificarli nella maniera che abbiamo stabilito>>
Massimo sorrise:
<<Troverò il modo di convincerlo. E se proprio non volesse lasciarsi convincere... be', dovrò inventarmi qualcosa>>
Una luce balenò nei suoi occhi, la stessa luce che aveva brillato negli occhi di suo padre, molto tempo prima.
Il vecchio Michele la riconobbe e per la prima volta in vita sua ebbe paura.
Lui è peggio di me. Che il cielo mi perdoni per aver creato un simile mostro...

























mercoledì 29 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 78. La madre di tutte le abbuffate e la dipartita della Signorina De Toschi

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L'anno 1982 si aprì con un evento ragguardevole, ossia il novantesimo compleanno della Grande Mademoiselle, ossia la temutissima signorina Mariuccia De Toschi, figlia del compianto generale Ardito De Toschi e dell'onorevole dama Violetta Orsini, prozia di Diana, la diciottesima Contessa di Casemurate.
La salute della Signorina era apparentemente solidissima, tanto che ogni giorno era ospite a pranzo e a cena e mangiava a quattro palmenti.
Ma per la sua festa di compleanno, a quanto pare, mangiò un po' troppo.
L'evento fu organizzato da un gruppo di ex alunni che avevano fatto molta carriera, anche grazie alle raccomandazioni della Signorina stessa, che era ben ammanicata con tutti coloro che contavano, nell'alta società.
Il più eminente tra gli ex allievi della Grande Mademoiselle era l'allora Sottosegretario alla Difesa, il democristiano Onorevole Stefano De Angelis, a cui pertanto spettò il ruolo di Anfitrione della festa.
L'evento si svolse al Grand Hotel della Città, cinque stelle "con tanto di cometa", come dicevano alcuni, per sottolinearne ironicamente l'importanza.
Presenziavano tutti i più illustri potentati della zona, comprese le famiglie legate alla festeggiata da vincoli di parentela o di affinità, ossia i Ricci-Orsini di Casemurate e i Monterovere da Querciagrossa di Pavullo.

Al comparire della pachidermica Signorina, il Sottosegretario si inginocchiò, le fece il baciamano e disse:
<<Signorina...>> e poi si inginocchiò: << ... io devo tutto a Lei!>>
La De Toschi assunse un'espressione vezzosa e finse di schermirsi:
<<Suvvia, Onorevole, Lei così mi lusinga...>>

Film Disney: I 10 personaggi più cattivi di sempre – The HotCorn

<<Mi permetta di insistere, Signorina. Se non ci fosse stata Lei a insegnarmi l'aoristo, io non avrei mai potuto fare tanta strada nella vita. Lo ripeto, io devo tutto a Lei!>>

La Signorina divenne rosa in volto, e il colorito riuscì a superare le centinaia di strati di fondotinta con cui si era asfaltata il faccione.

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Sorrise soavemente, sbatté le ciglia, scosse lievemente la testa facendo tintinnare i pesanti orecchini d'oro massiccio, e si riaggiustò i capelli freschi di tinta e pettinati a cofana in stile Alessandra di Danimarca, Principessa di Galles ai tempi della regina Vittoria.

Poi si fiondò a tavola e divorò tutti gli antipasti.
Quella sera la sua voracità pareva ancora più implacabile del solito.
Fece fuori nell'ordine: tagliatelle alla cacciatora, tortellini panna e speck. pasta al forno paglia e fieno, cinghiale arrosto, salsicce e cotechino, piadina al prosciutto, patate fritte, insalata di rucola con aceto balsamico di Modena, macedonia di frutti di bosco, due grappoli d'uva da tavola, torta romantica a tre piani (si narra che persino le candeline furono fagocitate insieme al resto), viennetta, gelato al mascarpone, sorbetto al limone, caffè doppio, due bicchieri di Fernet, il tutto innaffiato da una bottiglia di Sangiovese di Romagna.

Per tutto il periodo, non aveva proferito parola se non per dire frasi "toscane" del tipo "bona la salciccia!"
Al termine di quella che si può ben definire la Madre di tutte le Abbuffate, la Signorina De Toschi divenne paonazza, gli occhi sembravano uscirle dalle orbite, e la pappagorgia era gonfia come quella di un grosso rospo violaceo.
Ma c'era qualcosa di ancor più terribile nel suo sguardo.
Aveva un'espressione feroce e infuocata, come un predatore che ha appena abbattuto un esercito di prede indifese.

Once upon a Disney: E finalmente ... Maleficent!

Fu a quel punto che avvenne l'irreparabile.
Il Sottosegretario De Angelis tornò alla carica con le sue sviolinate e offrì alla De Toschi una mentina digestiva al rabarbaro.
La Signorina fu dubbiosa:
<<Ho veramente mangiato troppo stasera. Temo che non ci stia più niente nel mio stomaco>>
Ma il Sottosegretario non si arrese:
<<E' solo una mentina digestiva, vedrà che dopo averla sciolta in bocca, si sentirà subito meglio>>
La De Toschi rimase per qualche secondo a contemplare, perplessa, la mentina:
<<E va bene, tanto se ho fatto 30 posso anche fare 31!>>
Mai proverbio fu meno appropriato alla situazione.
Dopo aver fagocitato la mentina in tutta fretta, la Signorina parve sul punto di esplodere.
Per un istante rimase incerta.
Poi strabuzzò gli occhi, sollevò leggermente la mano destra con l'indice alzato e cercò di pronunciare una parola che non venne.

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Un secondo dopo gli occhi le rotearono verso l'alto, la bocca si riempì di bava e la pachidermica Signorina collassò a terra in tutta la tua tonnellata di peso, facendo rimbombare i pavimenti, tanto che i vicini temettero si trattasse di un terremoto.
Non era un evento sismico, eppure fu qualcosa di ancor più terribile a vedersi, perché la De Toschi schiattò per congestione gastrica sotto gli occhi esterrefatti di tutti i suoi ex alunni.
Mentre la Signorina lasciava questo mondo in maniera così incresciosa, il Sottosegretario De Angelis guardò le sue mentine e le buttò nel cestino dei rifiuti, come se volesse liberarsi dell'arma di un delitto.

giovedì 23 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 77. Il fallimento del Banco Ambrosiano e le conseguenze per i fratelli di Ettore Ricci


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Nel gennaio del 1981, Ettore Ricci convocò a Villa Orsini i fratelli Oreste e Roderico per avvertirli riguardo ad una questione riservatissima.
Li ricevette nel suo studio, con la faccia delle grandi occasioni.
Era presente anche la sorella Adriana, nubile, che alcuni soprannominavano "il braccio sinistro" del padrone. Le altre sorelle avevano delegato Oreste a rappresentarle, e questo non deponeva certo a favore della loro intelligenza.
 Senza preamboli, Ettore venne subito al punto:
<<I miei informatori mi confermano che, nonostante le rassicurazioni di facciata, il fallimento del Banco Ambrosiano è ormai inevitabile. E' solo questione di tempo. Potrà durare qualche altro mese, forse persino un anno, ma non di più.
So che voi avete ancora delle quote azionare consistenti. Dovete disfarvene quanto prima: non voglio che il mio cognome risulti in alcun modo collegato con questa vicenda>>
Oreste, però, come al solito, si intestardì :
<<Io non so chi siano i tuoi cosiddetti informatori, Ettore, ma ti assicuro che i miei sono più affidabili. Del resto anche nostro cognato, il Senatore Baroni, ha garantito che Calvi può contare sia su nuovi finanziamenti che su numerosi appoggi a tutti i livelli>>
Il terzo fratello, Roderico, sprofondato in una poltrona, teneva un sigaro in una mano e un bicchiere di whisky nell'altra, divertito dalla rivalità tra il primogenito e l'ultimogenito, quello che aveva fatto più fortuna.
Ettore si chiedeva, come sempre senza risposta, com'era possibile che quei due imbecilli fossero nati dal suo stesso padre e dalla sua stessa madre:
<<Leandro Baroni non è più il mio referente politico. Si è dimostrato troppo ingenuo, negli ultimi tempi. Si fida delle persone sbagliate. Mi riferisco a certa gente iscritta niente meno che ad una Loggia Massonica, e voi a sapete a cosa mi riferisco>>
Oreste sollevò le spalle:
<<E allora? Quella Loggia raccoglie tanti nomi illustri di uomini volenterosi che propongono una riforma dello Stato. Il nostro Baroni ha stretto molte amicizie importanti, e lo stesso Gelli gli ha assicurato che i finanziamenti al Banco Ambrosiano arriveranno molto presto>>
Ettore sbuffò:
<<Non parlarmi di Gelli! Non sapeva nemmeno dirigere lo stabilimento della Permaflex di Frosinone! E comunque nessun tipo di garanzia può ormai salvare la situazione.
 Il Banco ha un passivo di 1200 miliardi, non so se mi spiego. Molti di questi soldi, tra l'altro, provenivano da fondi assai poco limpidi...>>
Il terzo fratello, Roderico si svegliò dal suo torpore sfoggiando una citazione latina, non fosse altro per dimostrare che lui era l'unico, tra i Ricci, ad essersi laureato:
<<Pecunia non olet>>
Ettore, pur essendosi fermato alla quinta elementare, conosceva il detto:
<<...sì, sì, d'accordo, il denaro non puzza... e io non mi sono mai fatto troppi problemi, però esiste un limite dettato dal buon senso! Insomma, Calvi sta scherzando col fuoco! Cosa succederà quando certi "uomini d'onore" si renderanno conto che sono stati distribuiti in giro troppi soldi senza alcuna garanzia? Mille e duecento miliardi! Ma dove sono finiti?>>
Oreste intervenne:
<<Ma lo sanno tutti dove sono finiti! Calvi ha fatto solo da intermediario, come anche Sindona o altri banchieri minori. E tutti i pezzi grossi hanno avuto la loro fetta di torta. In fondo, pensala pure come ti pare, ma si è trattato anche di una buona causa, perché il Monsignore si trovava in cattive acque...>>
Ettore sollevò gli occhi al cielo:
<<Marcinkus si trova ancora in cattive acque, e ne dovrà rispondere, prima o poi>>
Oreste scosse il capo:
<<Ti sbagli, Leandro Baroni mi ha assicurato che...>>
Ettore perse la pazienza e batté un pugno sul tavolo:
<<E falla finita con quell'idiota di Baroni!  Devi interrompere tutti i rapporti con lui! Puoi anche restare nella Dc, ma devi cambiare referente! Per esempio puoi passare alla corrente del Sottosegretario De Angelis. Dammi retta! Quando salteranno fuori i traffici degli amici di nostro cognato, e sarà inevitabile, perché tutti hanno agito con una leggerezza senza precedenti, gli schizzi di fango arriveranno fino a qui, e getteranno ombre sulla mia famiglia, e questo è intollerabile, perché io con quella gente non ho più nulla a che fare da un bel pezzo>>
Il terzo fratello, Roderico, si sentì in dovere di sfoderare un'altra citazione latina, ironizzando sulla ritrovata "verginità" del capofamiglia:
<<Integer vitae scelerisque purus...>>
Ettore non si scompose:
<<Le tue punzecchiature non mi sfiorano minimamente, Roderico. 
Quanto a te, Oreste, ti esorto a seguire i miei consigli, sia economici che politici. 
Il senatore Baroni ci è stato utile in passato, ed io gliene sono sempre stato riconoscente. E posso anche credere che personalmente sia un uomo onesto, ma negli ultimi si è fatto manovrare come uno sciocco...>>
Ma Oreste la prese male:
<<Non ti permetto di permetto di parlare così di nostro cognato! La tua è solo invidia, perché lui è amico di persone molto più potenti di te>>
Ettore sorrise:
<<Persone che prima o poi finiranno in galera. O peggio...>>
Oreste, per nulla spaventato, gli rise in faccia:
<<Tu invece ti ritieni intoccabile, vero? Ma cosa succederà quando il giudice De Gubernatis andrà in pensione o passerà a miglior vita? Cos'è che ti rende così sicuro del fatto che Michele Braghiri ti coprirà sempre il fondo schiena? Hai forse trovato dei nuovi protettori politici, magari quei comunisti della famiglia Monterovere?>>
Ettore si alzò in piedi:
<<Sei il fratello maggiore, ma l'età non ti ha reso né più saggio, né più furbo. Io oggi ho fatto il mio dovere, perché il sangue non è acqua. Ma dopo questi insulti non voglio avere più niente a che fare con te. Non provare nemmeno a cercarmi, quando ti sarai reso conto che avresti dovuto seguire i miei consigli. Ho passato la vita a mantenerti e a tirarti fuori dai guai, ma adesso basta. Questa è l'ultima volta che ti parlo>>
Oreste lo fronteggiò dall'alto in basso:
<<Staremo a vedere, Ettore, chi rimarrà con le pezze al culo! Io diventerò più ricco e potente di te!>>
Detto questo, Oreste Ricci si spolverò le spalle della giacca e se ne andò con aria oltraggiata.
Il terzo fratello aveva osservato la scena con aria vagamente divertita.
Ettore si era quasi dimenticato di lui:
<<E tu, Roderico, da che parte stai?>>
Lui preferì rimanere sul vago:
<<Be', io, ecco... ci penserò>>
<<Pensaci in fretta, se no farai la stessa fine di Oreste>>
L'intellettuale di famiglia annuì, poco convinto, e se ne andò ciondolando e recitando altre citazioni latine.
La sorella Adriana, che aveva ascoltato tutto con sguardo impassibile, occhi vitrei e la bocca (a culo di gallina) ermeticamente chiusa, diede finalmente segno di vita, scuotendo la testa.
Il suo commento fu lapidario:
<<Nostra madre diceva anche che ci vuole moderazione in tutto, compresa la moderazione stessa. E quando si ha a che fare con Oreste e Roderico, ogni moderazione diventa un eccesso>>

I fatti, come è noto a tutti, diedero ragione ad Ettore.
Nel marzo successivo fu resa pubblica la lista degli iscritti alla P2 e Calvi si trovò improvvisamente privo della sua rete di protezione e in maggio fu rinviato a processo per reati finanziari.
Ma quella era solo l'inizio: la vera e propria esplosione si ebbe l'anno dopo.
 Il 18 giugno 1982 Calvi venne ritrovato impiccato sotto un ponte di Londra.
Quattro giorni dopo la misteriosa morte del banchiere, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, su proposta della Banca d'Italia allora guidata da Carlo Azeglio Ciampi, dispose lo scioglimento degli organi amministrativi dell'istituto.
Il 6 agosto 1982 il  Banco Ambrosiano venne messo in liquidazione
Per quanto la previsione di Ettore Ricci fosse stata precisa, quest'ultimo non ebbe motivo di rallegrarsene, perché comunque, con la rovina dei suoi fratelli, che erano anche suoi soci, la famiglia ne usciva danneggiata sia nel patrimonio che nel buon nome.
Il 14 agosto 1982, dopo alcuni giorni di disperata ricerca di creditori, Oreste Ricci si sparò un colpo alla tempia, ponendo fine alla sua vita.
Roderico fuggì all'estero con i pochi soldi che gli rimanevano, per evitare l'umiliazione di assistere al pignoramento di tutti i suoi beni.
Si cercò di mettere a tacere lo scandalo, ma la gente continuò a parlarne per mesi.
Ettore Ricci manteneva il timone di una nave che stava perdendo i pezzi.
Molti avvoltoi gli giravano intorno, e branchi di lupi.
E in una lotta tra lupi non vince il più grosso, ma quello più affamato.



venerdì 17 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 76. Il terzo segreto di Diana

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<<Il primo segreto è quello che non si confessa né al prete né allo psicanalista. Il secondo segreto è quello che non si confessa neppure a se stessi. E il terzo?>>
Tale domanda era parte di un indovinello che in un giorno d'estate Diana aveva rivolto alla madre e al nipote prediletto, mentre passeggiavano in giardino, e nessuno aveva saputo rispondere in maniera adeguata.
Allora Diana aveva sorriso e aveva risposto, a beneficio dell'uditorio:
<<Il terzo è la verità. E quella resterà per me sempre un mistero>>
Più si avvicinava alla soglia dei settant'anni e più si accresceva la sua tendenza al dialogo socratico e all'approccio paradossale nei confronti della conoscenza.
<<Il mio metodo di affrontare le cose si basa sul dubbio. Alcuni scambiano la mia propensione al dubbio per una debolezza. Io credo che sia qualcosa di diverso, e che ci sia della saggezza nel non dare mai nulla per scontato. La verità può essere una meta irraggiungibile, e forse talvolta è meglio così>>
Roberto ascoltava con attenzione e, pur con tutti i limiti insiti nella sua ancora acerba mente di bambino, rifletteva su quelle parole.
<<Io vorrei scoprire la verità su una cosa concreta e cioè quali sono le sorgenti del Bevano>>
Proprio in quel momento erano arrivati all'argine del torrente che attraversava il Feudo Orsini e lungo il quale avevano fatto numerose passeggiate, in compagnia dei genitori di Roberto, raccogliendo fiori selvatici ed erbe aromatiche e soffermandosi nei boschetti di gelso, pioppo, ontano, betulla o robinia, che puntellavano le rive e si mescolavano ai canneti.
<<Ogni domanda sulle sorgenti è importante. Anch'io mi ero chiesta la stessa cosa, da bambina>> disse Diana, come smarrita in un sogno <<E allora mio padre mi portò fino alle pendici di Bertinoro, dove il Bevano è soltanto un fosso un po' più grande degli altri che confluiscono in lui>>



Roberto non era soddisfatto di quella risposta:
<<E la sorgente dov'era?>>
Diana sorrise, ma c'era una piccola vena di tristezza in quel sorriso:
<<Non c'è sorgente. E' soltanto un fosso di scolo delle acque piovane. Niente di più. Un misero fosso che differisce di poco dai tanti altri fossi che lo alimentano.
Da questa scoperta trassi un insegnamento che mi ha accompagnata negli anni.
A volte l'origine è molto più deludente di quel che ci siamo immaginati. Altre volte non c'è affatto>>

File:Quintili - fosso dello Statuario 1070800.JPG - Wikipedia

Roberto allora fece un collegamento concettuale che piacque molto a sua nonna:
<<E allora qual è la verità?>>
Diana annuì:
<<E' proprio quello che stavo cercando di dirti con l'indovinello del terzo segreto. Se il segreto è la verità, allora potremmo non essere in grado di svelarla. Cos'è la verità? Ce n'è una sola, ce ne sono tante che si perdono in mille rivoli, oppure non ce n'è nessuna?
La verità è un segreto>>
A quel punto la madre di Diana, l'ultranovantenne bisnonna Emilia, si sentì in dovere di intervenire:
<<Roberto, non dare troppo ascolto a tua nonna. E' sempre stata una ribelle e continua ad esserlo anche da vecchia>>
Diana allora sorrideva indulgente:
<<Ecco la sentenza della mia veneranda madre, che ha sempre trovato la verità in fondo alle bottiglie di Cabernet-Sauvignon>>

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Roberto le amava moltissimo entrambe: la bisnonna Emilia, con i suoi capelli candidi raccolti in uno chignon, era una sorta di reperto storico vivente, e la nonna Diana, con il sorriso di chi è abituato a non prendersi troppo sul serio, erano per lui un esempio di stile e di perseveranza.
Le passeggiate insieme a loro, nei sentieri delle campagne che circondavano la Villa Orsini, erano un'occasione per imparare molta saggezza che gli sarebbe tornata utile decenni dopo, quando dovette fare i conti con la spaventosa crudeltà della vita.
<<Voi siete felici?>> chiese una volta a entrambe.
La bisnonna Emilia rispose per prima:
<<Il fatto che io beva troppo vino potrebbe già essere una risposta, ma credo di aver qualcosa da aggiungere. Come ben sai, io ho avuto sei figli, due maschi e quattro femmine, e di questi sei, ne ho dovuti seppellire quattro. Eugenio, il primo, morì di meningite. Giovanna, la terza (dopo tua nonna), morì di febbre spagnola. Arturo, il quinto (dopo Ginevra), morì in un incidente stradale mai chiarito del tutto e Isabella, l'ultima, è morta durante la guerra in circostanze misteriose. E dopo il mio amato marito morì di dolore. Come avrei potuto essere felice?>>
La nonna Diana annuì:
<<I lutti di mia madre sono stati anche miei, ed io ho passato la vita a cercare la verità sulla morte di Isabella e di Arturo. E forse in questi casi potrei pensare di averla trovata, anche se non è venuto ancora il momento di parlarne. E poi, ovviamente, c'è stato il fatto che io e tuo nonno non siamo mai andati molto d'accordo, per usare un eufemismo>>
La bisnonna Emilia si sentiva in colpa per aver costretto sua figlia a sposare un uomo ricco, che però non amava:
<<Lo so, figlia mia. Averti indotta sposare Ettore è stata una cosa imperdonabile, ma volte bisogna fare cose imperdonabili per sopravvivere>>
<<Non lo so>> rispose Diana a sua madre <<Dietro ai miei sorrisi e all'apparente benessere della dinastia Ricci-Orsini, c'è una storia di guerre, di lutti, di lacrime e di cuori infranti
Valeva la pena pagare un prezzo così alto? Non sono in grado di darmi una risposta e
a volte mi chiedo, mamma, se tu provi i miei stessi sensi di colpa nei confronti di Isabella e di Arturo. A volte io faccio fatica a convivere con me stessa, per aver fatto finta di non vedere. 
E tu? Tu ci riesci?>>
L'anziana matriarca rispose:
<<Non lo so, ma questo è un mio fardello, e mio soltanto>> 
Roberto aveva imparato a conoscere i segreti di famiglia, quelli che non si confessavano a nessuno e nemmeno a se stessi, ma gli era sempre rimasto un dubbio:
<<Ma con voi il nonno Ettore è stato buono o cattivo?>>
Diana, che non voleva rovinare il buon rapporto di Roberto col nonno, rispose immediatamente:
<<Ettore non è cattivo, ha solo troppa energia dentro di sé. E si è fidato di persone cattive. Ma per ora non posso dirti di più>>
Roberto sapeva che le "persone cattive" a cui sua nonna si riferiva erano i componenti della famiglia Braghiri, ma ciò che avevano realmente fatto rimaneva un segreto, forse il "terzo segreto" dell'indovinello di Diana.
<<E il nonno è felice, secondo voi?>>
Questa volta intervenne la bisnonna Emilia:
<<Ah, voi giovani, sempre a parlare della felicità! Anch'io, da giovane, credevo che fosse a portata di mano, ma poi ho capito una cosa e cioè che per ciascuno di noi la felicità non è la norma, ma l'eccezione>>
Diana sorrise:
<<Ettore è abbastanza felice. E' sempre stato un burlone e si diverte ancora a fare scherzi alla moglie e alla suocera, vero mamma? Come quando alla sera guardiamo la televisione e lui e entra di soppiatto, spegne il televisore e si dilegua, lasciandoci a bocca asciutta come due oche.
I Ricci sono così, e spero che ti abbiano trasmesso quella capacità di ridere che a volte può fare la differenza, nei momenti difficili>>
Sua madre approvò:
<<Mio genero è bizzarro e potrà avere tutti i difetti di questo mondo, ma senza di lui questa casa sarebbe un mortorio>>
Diana ne convenne:
<<Da tempo ho capito che è meglio avere lui al mio fianco, piuttosto che vedere questa grande casa riempirsi di vuoto>>
Roberto volle dire la sua:
<<Ci sarò sempre io a riempire il vuoto di questa casa! Io non ti lascerò mai sola>>
E in quella frase c'era una promessa che andava oltre i confini del tempo e della morte.
Lei capiva e sorrideva:
<<Quando incomincerai ad avere più impegni a scuola e con gli amici, avrai meno tempo per stare qui. E forse anche meno voglia>>
Lui scuoteva il capo:
<<Io preferisco stare qui con te piuttosto che a Forlì>>
Diana scuoteva la testa:
<<Ma a Forlì ci sono i tuoi genitori, i tuoi amici...>>
Riccardo non aveva dubbi:
<<Io sto meglio qui. Non ci voglio tornare in quel condominio di matti!>>
Diana rideva:
<<Ma anche qui a Villa Orsini siamo tutti matti, cosa credi? In fondo ognuno è pazzo a modo suo>>
Riccardo insisteva:
<<Io resterò qui per sempre, te lo prometto>>
Sua nonna sospirava:
<<Qualcuno ha detto che le promesse degli uomini sono scritte nell'acqua. O forse erano le promesse delle donne? Direi, le promesse in generale... anche se, naturalmente, so che tu sei sincero. Ma è meglio che impari fin da piccolo a non fare promesse che non sei sicuro di poter mantenere>>
<<Ma io sono sicuro!>> protestò il bambino.
Diana cercò di nascondere la commozione:
<<Lo so. Quello che sto cercando di dirti è che non dovrai mai sentirti in obbligo di sacrificare la tua vita per il bene della tua famiglia. Di solito le nonne insegnano il contrario, ma come hai detto tu stesso, io non sono una nonna come le altre>>
Lui incominciava a comprendere già allora il suo spirito di sacrificio e la dedizione totale alla famiglia, e li ammirava a tal punto che il suo esempio contava molto di più delle parole.
Fu anche per questo che quella sera non disse altro e si limitò ad abbracciare Diana, promettendo a se stesso che avrebbe sempre seguito il suo esempio e avrebbe fatto tutto il necessario per mantenere vivo il ricordo di lei.

lunedì 6 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 75. L'Oracolo

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Fino a pochi decenni fa, nelle campagne della Romagna centrale sopravviveva un approccio quasi animistico alla dimensione del sacro, intriso di superstizioni.
Sotto certi aspetti sopravvive ancora, in simbiosi con il ritorno del folklore celtico, veicolato dai media statunitensi, come nel caso di Halloween, su cui ritorneremo.
Negli anni Settanta del XX secolo, certe zone, come le aree meno popolose della Contea di Casemurate, sembravano distanti dal mondo moderno tanto quanto lo può essere una tribù dell'Amazzonia.
Vi erano, isolate e nascoste, certe case semi-diroccate, circondate da piccole selve cresciute spontaneamente su cortili abbandonati, con un sottobosco spinoso e contorto, in cui risiedevano strani personaggi, in prevalenza donne molto anziane, con la fama di streghe.
Non si trattava necessariamente di "streghe cattive", e a volte la loro reputazione dovuta più che altro al loro modo di vivere arcaico e lontano dalla modernità.
E però, prima di addentrarci nel discorso controverso riguardante queste presunte streghe, bisogna procedere per gradi, partendo quindi dalle semplici credenze superstiziose che ancora resistevano nelle campagne.
Un esempio di superstizione profondamente radicata e che farebbe orrore alle femministe del giorno d'oggi, è quello per cui a Capodanno gli auguri di felice anno nuovo debbano assolutamente essere fatti dagli uomini, perché ("absit iniuria verbis"), le donne porterebbero sfortuna.
Se poi qualcuno si ammala di qualsiasi malattia, non dà la colpa a fattori chimico-biologici (di cui peraltro ignora tutto), ma dichiara senza ombra di dubbio di essere stato "stregato".
Ma torniamo nuovamente agli aspetti animisti, sciamanici e, sotto molti punti di vista, paganeggianti, della spiritualità degli anziani di qualche decennio fa e forse persino dei tempi più vicini a noi.
In questo ci soccorre la storia delle religioni, che, riguardo alla prima diffusione del cristianesimo nelle campagne dell'Impero Romano, ci spiega come fosse una sorta di paganesimo mascherato da venerazione dei santi come sostituto delle divinità politeiste.
A Casemurate tutto era rimasto fermo a quella situazione.
Anzi, forse nella Contea l'antica superstizione era rimasta l'unica forma di spiritualità religiosa sinceramente sentita.
Lo stesso concetto di sacerdozio era qualcosa di sciamanico e pagano, tanto che si verificano fenomeni del tutto eccezionali.
Il culmine di questa sorta di sopravvivenza pagana si ebbe quando, nel 1980, dopo la morte del vecchio parroco, don Pino Ricci, per un lungo periodo, la Curia non riuscì a trovare un sostituto, perché quella zona era talmente "superstiziosa e ostile", che nessun parroco riusciva a reggere l'incarico per più di pochi giorni, sprofondando nella depressione o dicendo che piuttosto avrebbe preferito partire come missionario nel Borneo.
Durante tale periodo in cui la sede parrocchiale rimase vacante, la messa fu sostituita da letture bibliche (senza naturalmente i sacramenti) officiate da una laica, una certa Paola Ragnani, molto devota al culto della Madonna Greca di Ravenna, e figlia di un collaboratore di Ettore Ricci.
Il vescovo, su consiglio del Senatore Leandro Baroni, finì per considerare la Ragnani come una sorta di vice parroco, consapevole del fatto che ciò che accadeva a Casemurate fosse da considerare un unicum irripetibile.
Solo le donne andavano a messa, e principalmente le più vecchie, ma persino tra quelle più devote persisteva un approccio arcaico alla spiritualità.
Questa propensione si estendeva persino alla sfera della salute.
A tal proposito ci si rivolgeva a un certo Zambuten, al secolo Augusto Rotondi, che aveva fama di guaritore, anche in considerazione del fatto che, a detta di molti, era riuscito a curare malattie che persino i medici più rinomati avevano considerato inguaribili.
In sua memoria, oggi, nell'era globale-digitale, c'è persino una pagina di Wikipedia.
Ettore Ricci in persona si era rivolto a lui in diverse occasioni, dalle quali, per lo meno, aveva ricavato aneddoti esilaranti, specialmente riguardo ad alcune pazienti dell'alta società, disperate per non riuscire a guarire dalla "cagarella",
Scherzi a parte, conoscere questi personaggi era un'esperienza oscillante tra l'antropologia culturale e il neo-spiritualismo della New Age.
Roberto Monterovere ebbe modo di conoscere, nella sua infanzia casemuratense, una chiaroveggente di nome Elvira, che viveva in un casolare diroccato nei pressi della confluenza del grande fosso Torricchia nel torrente Bevano.

Torrente Marina (a sinistra nella foto) alla confluenza del Canale ...

Questa Elvira, di cui nessuno ricordava più il cognome o la data di nascita, pareva essere esistita da sempre, dal momento che anche i più anziani l'avevano conosciuta da bambini.
Doveva aver superato i cent'anni, eppure sembrava ancora in salute e attribuiva questa longevità sana alle erbe che coltivava nel suo enorme orto o che raccoglieva nei prati o nei rivali di fossi e torrenti.
Le sue qualità di erborista erano riconosciute da tutti, tanto che la maggior parte del reddito dell'Elvira derivava dalla vendita di spezie curative, pozioni, infusi e decotti, tra cui si sospettava fossero comprese quelle illegali, tipo la cannabis o i funghi allucinogeni, di cui si narrava che lei stessa facesse ampiamente uso.
Affinché le sue erbe fossero più efficaci, le piantava e le raccoglieva in date ben precise, coincidenti con particolari festività.
Per esempio raccoglieva l'iperico nella Notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, da cui il nome di Erba di San Giovanni, e ne conosceva le proprietà toniche e antidepressive, tanto che molti, persino tra le classi sociali più agiate, la acquistavano da lei come rimedio contro la tristezza.
Ma l'Elvira non si limitava all'attività erboristica.
Celebrava i riti propiziatori nelle date del calendario celtico, da sempre radicato nelle campagne più remote, in memoria delle tradizioni dei Galli Senoni, primi colonizzatori di quelle terre.
Tali date si sovrapponevano perfettamente con alcune del calendario cattolico romano, a riprova della persistenza del paganesimo durante i millenni cristiani.

Equinox & Solstice — △▽

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Per esempio la celebrazione della Candelora con fiaccolate lungo i campi e candele aromatiche fuori dalla finestra, coincideva con l'antica festività celtica di Imbolc, il primo febbraio, che nel calendario cattolico coincide con la ricorrenza di Santa Brigida, la quale aveva sostituito, nell'immaginario dei Celti, la dea Brigid, protettrice dei druidi e dei guaritori.
Allo stesso modo erano festeggiati i solstizi e gli equinozi.
In corrispondenza con la festività celtica di Samhain, divenuta la notte di Ognissanti, si preparavano letti in più per i morti e si mettevano le candele dentro le zucche ben prima che la moda di Halloween arrivasse in Italia.
L'Elvira era in grado di praticare sia la magia bianca che la magia nera: poteva scacciare il malocchio oppure operare una fattura, su richiesta di qualche comare, e dietro lauto pagamento.
Secondo alcuni che si erano rivolti a lei, tra cui Ida Braghiri (che era ritenuta un'apprendista dell'Elvira) la strega aveva persino il potere di evocare i demoni e le anime dei morti, ed era molto abile come medium, specie durante le sedute spiritiche.
Aveva inoltre le classiche abilità di chiaroveggenza, praticate sia in forma oracolare quando era in trance, sia in forma pratica attraverso gli oroscopi, la chiromanzia e la conoscenza dei Tarocchi.
C'era infine una sua peculiare abilità, che le aveva permesso di arricchirsi personalmente, tramite l'interpretazione dei sogni per decidere su quali numeri scommettere per il Lotto.
A volte, quando Roberto la raggiungeva in segreto, l'Elvira gli dava prova dei suoi poteri.
Gli dava un pezzo di carta, gli diceva di strapparlo e poi di tenerlo stretto nel pugno, mentre lei formulava un rituale. Al termine Riccardo apriva la mano e il foglio era tornato intatto.
Gli dava anche dei foglietti con scritti alcuni numeri e se per caso li avesse sognati, allora doveva giocarli al Lotto. La pratica funzionò alcune volte, finché i genitori di Roberto non intervennero vietando al ragazzo ogni contatto con "quella strega".
Ma lui aveva una predisposizione particolare nel cacciarsi nei guai, o comunque nel frequentare personaggi poco raccomandabili.
Una volta osò parlarle con ingenua franchezza:
<<Le mie zie dicono che tu sei una strega e che le streghe vanno tutte all'inferno>>
L'Elvira gli rivolse un sorriso sdentato:
<<Sei un bambino sveglio, e molto schietto. Per cui ti parlerò chiaramente e in piena sincerità.
 L'inferno è già qui. Questo mondo, questa vita, il male ognuno fa agli altri, questo è l'unico inferno che esiste. L'inferno dei viventi>>
Il ricordo più nitido riguardava una delle ultime visite che Roberto aveva fatto, in segreto, all'Elvira, pochi anni prima che lei morisse.
Era più grande quando chiese alla vecchia maga di predirgli il futuro.
Fu un errore dovuto a una sottovalutazione di certi poteri.
<<Ne sei sicuro? Non vorrei spaventarti. Questo non è un gioco...
Il futuro può essere predetto, ma non può essere cambiato. E' un grande peso con cui convivere>>
Roberto, scioccamente illuso che nel suo futuro ci sarebbero state solo cose belle, non aveva paura, e dunque la curiosità prevalse.
<<Sono disposto a sopportare questo peso>>
La strega Elvira annuì:
<<Sia come vuoi tu. Porgimi la mano che usi di più>>
Essendo tendenzialmente mancino, Roberto gli pose la sinistra.
Lei sospirò:
<<La Via della Mano Sinistra è sempre la più oscura. E non è solo questione di essere mancini. Quando si tratta delle arti oscure, io credo in un approccio pratico, perché bisogna imparare a difendersi, naturalmente, ed è necessario essere cauti. Ma intendo neppure demonizzarle.
 Il lato oscuro è la via per acquistare molte capacità da alcuni ritenute ingiustamente non naturali. C'è tutta una tradizione... be', è meglio che per ora tu non lo sappia. Non è mia intenzione fare proselitismo>>
Roberto aveva quasi sei anni, ed era molto curioso di sapere il significato delle parole, ma non osò chiedere nulla.
La maga gli prese la mano, come nella canzone di Iva Zanicchi, ma con un'atmosfera decisamente meno romantica.
Subito aggrottò le sopracciglia, scosse il capo e sospirò.
Rivolse gli occhi chiari verso di lui, con un'espressione di grande tristezza e pena:
Alla fine disse, con voce sconsolata:
<<Mio povero ragazzo, mio caro, caro ragazzo...>> e lo ripeté più volte, prima di esporre il suo oracolo: <<La vita è ingiusta e crudele, per cui bisogna prepararsi a sopportarne i colpi.
Vedi questa linea: è la linea della vita.  E' molto irregolare. Qui c'è l'inizio, vicino al polso. E' nitido e ben definito, segno di un'infanzia felice. Ma non durerà: vedi questi frastagliamenti? Diventano sempre più scomposti, ed è rarissimo, in un bambino della tua età. E' segno di un destino già molto definito, e purtroppo pieno di tribolazioni>> sospirò con autentico dispiacere.
<<Tribolazioni? Cosa succederà? E quanto a lungo vivrò?>>
Elvira gli accarezzò i capelli;
<<Non credo che sia giusto spaventarti oltre>>
Ma Roberto era determinato:
<<Io voglio sapere! Non nascondermi niente!>>
La vecchia annuì:
<<La linea è abbastanza lunga, ma continuamente tagliata da altre linee, per poi scomporsi in maniera irreversibile oltre un certo punto.
In questi casi è difficile stabilire quando esattamente la linea della vita cessa di esistere, il che significa che potresti anche vivere abbastanza a lungo, persino oltre la mezza età, dopo di che, se anche non sarai morto, le tribolazioni saranno talmente tante e dolorose da farti intensamente desiderare di esserlo>>
Per il bambino era un concetto quasi inconcepibile:
<<Desiderare la morte? Non è possibile!>>
L'Elvira parve pentita di aver espresso un simile oracolo:
<<Non voglio spaventarti ancora di più. Sei troppo giovane per queste cose>>
Ma Roberto non mollava l'osso:
<<Sciocchezze! Io sono un bambino sveglio, lo dicono tutti, e imparo molto in fretta, anche le cose che gli adulti non vorrebbero farmi sapere. Ti prometto che non dirò nulla a nessuno, almeno non prima che quello che hai predetto si realizzi. Quindi voglio che tu mi spieghi meglio>>
La profetessa annuì:
<<Ogni volta che la linea della vita viene "tagliata" da una piccola increspatura della pelle, c'è un danno, un dolore in qualche modo. Ma quando questi tagli sono fitti e ravvicinati, allora si tratta di un vero e proprio rovescio di fortuna. La tua sequenza va persino oltre: assume una forma che in chiromanzia viene chiamata il Gramo. Alcuni, sbagliando, lo considerano un presagio di morte, ma non è così. Detto in poche parole: dall'adolescenza in avanti, la vita ti porterà dolore. All'inizio si tratterà di un profondo senso di inadeguatezza e e nessuno ti capirà, poiché solo chi attraversa questo tipo di esperienza può comprendere quanto male faccia. Ma forse un giorno tutto questo dolore ti sarà utile per distinguere in maniera chiara ciò che è opportuno fare per contrastare le avversità.
E purtroppo, di avversità ce ne saranno molte: tradimento da parte di alcuni che tu crederai amici, ostilità da parte di nemici potenti, fallimento in obiettivi importanti, incomprensioni e tempeste in amore, e poi arriverà la Privazione.
Quando sarai adulto e a metà della tua vita, perderai tutto ciò che hai di più caro e sacro : persone, cose e ideali.
E quando non avrai più lacrime e perché ti sentirai prosciugato, allora capirai che è possibile vivere troppo a lungo, eppure sceglierai di vivere, perché sei troppo curioso del futuro. 
La curiosità compensa il dolore, e tu apprenderai tutto ciò che c'è da sapere. 
Se ti può consolare, è successo così anche per me. Succede così a tutti i Sapienti e i Veggenti.
Imparerai tuo malgrado: è la regola>>
Roberto era come pietrificato:
<<Io speravo di essere almeno una persona normale, non chiedevo poteri straordinari...>>
La vecchia si adirò:
<<Non mentire! Ad ogni menzogna l'anima subisce una piccola morte.
Tu sei uno che non si accontenta! Sei come tuo nonno Ettore: ambizioso e insaziabile. 
Ma ciò che otterrai non varrà certo il prezzo che dovrai pagare.
Non sei nato per essere una persona normale, e questo può avere anche un suo lato positivo.
La grandezza passa sempre attraverso il dolore.
Il dolore è il più grande maestro. 
Quando arriverai alla mezza età e al punto in cui ti sembrerà di non avere più alcuna ragione di vita, ricordati di quello che ora ti dico: in quel momento tu sarai alle Porte della Saggezza e potrai diventare un Illuminato.
Spetterà solo a te la scelta: elevarti nello spirito al di sopra di tutti i tuoi antenati o scomparire nel nulla, insieme a ciò che resta della tua stirpe>>

giovedì 2 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 74. Il Canale Emiliano Romagnolo arriva a Casemurate

Siccità: il Canale Emiliano-Romagnolo anticipa l'irrigazione - L ...

Nell'estate del 1980 i lavori di scavo del Canale Emiliano Romagnolo (soprannominato CER) raggiunsero le frontiere del Feudo Orsini di Casemurate.
Come si è detto, la principale impresa appaltatrice dei lavori era l'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere.
Non c'è dunque da meravigliarsi se Roberto Monterovere, che era anche nipote dei titolari del Feudo Orsini, avesse sviluppato un'ossessiva passione per i fiumi e i canali, compresi i più piccoli fossi e torrentelli.
In particolare gli sembrava straordinario il fatto che il CER riuscisse a passare sotto i fiumi per mezzo di certe strutture dette sifoni.
Quell'estate l'alveo del canale era vuoto e pertanto era possibile camminarvi in tutta tranquillità, persino nei sottopassaggi.
Solo chi ha visto questi lavori può rendersi conto della poderosità e maestosità di tale progetto.
Il CER era stato concepito fin dall'inizio come un canale di irrigazione: un ramo artificiale del Po, un collettore delle acque del grande fiume che, diramandosi dal Cavo Napoleonico a sud di Bondeno, presso Sant'Agostino, arrivasse, in salita, per mezzo di idrovore, fino alla pianura romagnola, che in estate soffriva periodi di vera e propria siccità, e sfociasse infine nel torrente Uso, poco prima di Rimini.

Il Canale Emiliano Romagnolo, una risorsa in continua evoluzione

Il sogno dell'ingegner Lanni, il Profeta delle Acque, bisnonno di Roberto, si stava realizzando.
A dirigere i lavori c'era Enrichetta Monterovere in persona, con tutta la sua mole imponente e il suo carattere vulcanico.
Nella pausa pranzo, Enrichetta era ospitata a Villa Orsini, su invito personale della contessa Diana, che sperava ancora di mantenere i buoni rapporti con la famiglia di suo genero. 
Era un'impresa disperata, poiché le ragioni del contendere riguardavano questioni materiali molto importanti, che arrivavano fino alle rispettive fazioni politiche di riferimento.
Ettore Ricci non partecipava quasi mai a quei pranzi, inventandosi ogni tipo di scusa.
Sotto molti aspetti era meglio così, dal momento che Enrichetta mangiava per quattro persone, nella sua insaziabilità tipicamente monteroveriana.
Tuttavia accadde che, in un assolato mezzogiorno di luglio, essendo troppo caldo per andare in giro, Ettore decise di rimanere a pranzo, convincendosi che forse questo era un modo per valutare con più attenzione quanto fossero forti i sostenitori politici dell'Azienda Monterovere.
Quel giorno l'appetito di Enrichetta era ancora più smodato, il che la rendeva più aggressiva del solito.
La presenza di Ettore, con i suoi modi bruschi, non fece che esacerbare la situazione.
<<Il Feudo Orsini è molto famoso>> concesse Enrichetta, dopo aver sorseggiato uno dei famosi vini rossi della Contessa Madre Emilia  <<ma la mia proprietà agricola di Casal Borsetti è molto più ampia>>
Ettore Ricci, che non voleva essere secondo a nessuno, ribatté:
<<Quella terra è salata. Non vale niente>>
Enrichetta, che era già minacciosa quando era calma, diventava una furia quando le prendevano quelli che lei chiamava "i cinque minuti" e che Ettore soprannominava sprezzantemente "una botta di faentino":
<<Quando ci arriveranno i nuovi canali di immigrazione, che l'Azienda Monterovere sta contribuendo a realizzare, il valore di quei terreni raddoppierà. E' stato un grande affare!>>
Anche ad Ettore saltò "la mosca al naso":
<<Non ci cresceranno neanche i cactus.
Signora Monterovere, lei doveva investire i suoi soldi in altro modo. Se mi avesse chiesto consiglio, io sarei stato ben felice...>>
Enrichetta divenne paonazza dalla rabbia:
<<Sciocchezze! Le mie terre produrranno le migliori barbabietole da zucchero della regione. L'Eridania verrà in ginocchio da me! Tutte le aziende di Ravenna si consorzieranno con la mia impresa>>
A quel punto Ettore giocava il suo poker d'assi:
<<Se dovessero farlo, sarà solo per motivi politici. Nascerà l'ennesima cooperativa rossa patrocinata da quel suo zio comunista, l' "onorevole" Edoardo Monterovere>>
Enrichetta non spendeva neanche una mezza parola per smentire quell'ovvietà, ma anzi la usava a suo vantaggio:
<<Siamo in Romagna: questa è terra rossa, ci siamo capiti? Converrebbe anche a lei, signor Ricci, aderire al Partito>>
Ettore sapeva che era vero:
<<Non posso certo negarlo, ma ho dei doveri di lealtà nei confronti dei miei alleati storici. 
Si tratta di una questione di fiducia, persino di amicizia. Ci sono vincoli profondi. 
Non c'è solo la politica, a questo mondo>>
Enrichetta Monterovere scosse il capo:
<<Ai nostri livelli, c'è solo la politica. E si tratta di una politica pragmatica, senza vincoli ideologici.
L'ideologia è soltanto una formula che l'Elite usa per naturalizzare agli occhi delle masse l'assoluta arbitrarietà del proprio potere. E la cosa più bella è che la maggioranza ci crede.
E' in questo modo che tuteliamo i nostri interessi>>
Ettore Ricci si rese conto che colei che aveva davanti lo superava di gran lunga in fatto di cinismo e di spregiudicatezza:
<<E pensare che dicevano che il cattivo ero io>>
Si sentì improvvisamente vecchio e stanco, e per la prima volta in vita sua, ebbe paura.
Cosa sarebbe rimasto dell'Ancien Regime, ora che l'ondata rossa stava per dilagare sul Feudo Orsini?
Ettore pensò al Canale, che come un intruso si insinuava nelle sue terre, e immaginò che le sue acque fossero rosse, sempre più scure, fino ad assumere il colore del sangue.
Enrichetta sbranava una coscia di coniglio con un tale accanimento che si sarebbe potuto dire che la povera bestiola le avesse fatto un torto personale.
Mentre masticava con ferocia, continuò il suo discorso:
<<Qui non è questione di buoni o cattivi, signor Ricci. Si tratta soltanto di affari. Il CER porterà ricchezza in queste terre aride e dimenticate da Dio. L'irrigazione vale molto di più delle terre che saranno espropriate o dei disagi per il raccolto in questi anni di costruzione>>
Ettore scosse il capo vigorosamente:
<<Quanto mi costerà attingere l'acqua? Quanta benzina sarà necessaria per attivare gli irrigatori? Avete pensato a questo, nel calcolare i miei indennizzi?>>
Enrichetta scrollò le spalle:
<<Le assicuro che le spese saranno irrisorie>>
Il vecchio Ricci non era d'accordo:
<<I miei generi, Amilcare Spreti e Silvio Zanetti, non condividono affatto questa ottimistica previsione>>
Enrichetta assunse un'espressione schifata:
<<Quei due sono fermi all'età della pietra! Non capiscono niente di innovazione e grandi opere pubbliche. Pensi piuttosto al fatto che anche mio fratello è suo genero, e se lei lo trattasse un po' meglio, l'Azienda Monterovere avrebbe un occhio di riguardo nei confronti del Feudo Orsini>>
Ettore, reso ostinato dall'età, dal caldo e dal vino, esplose:
<<Io non accetto ricatti! Il mio interlocutore istituzionale sarà la Regione Emilia-Romagna, non la famiglia Monterovere! Ho amici anch'io nella Giunta... tra i repubblicani, i socialisti... >>
Enrichetta parve divertita:
<<Gli equilibri sono cambiati. Lei ha avuto le spalle coperte per tutta la vita e crede di averle ancora, ma i suoi amici sono vecchi e compromessi. Cadranno come mele mature, uno dietro l'altro, e lei rimarrà senza protettori. E a quel punto la mia offerta di collaborazione sarà la sua unica speranza di salvezza>>
Era vero, ed Ettore lo sapeva, ma non voleva cedere.
Si alzò di scatto e se ne andò, lasciando l'intero dolce alle fauci insaziabili della sua interlocutrice.

giovedì 25 giugno 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 73. Il salotto giallo di Silvia Ricci-Orsini Monterovere

10 idee per il colore delle pareti in soggiorno | Salotto giallo ...

Ogni sabato sera, Silvia Ricci-Orsini e il marito Francesco Monterovere invitavano a cena il fior fiore dell'Intellighenzia forlivese, tra cui il Sommo Poeta Adriano Trombatore e la moglie Anna De Gubernatis; la sorella di quest'ultima, Elisabetta, col marito, professor Massimo Braghiri (finto amico e acerrimo rivale di Francesco); la Signorina Mariuccia De Toschi, detta la Grande Mademoiselle, che ancora, a ottantacinque anni, impartiva lezioni di latino e greco; il professor Piero Giovannelli, matematico e metafisico, e la compagna Carla Gatti; il Giudice Guglielmo De Gubernatis, grande latinista e francesista, e la moglie Ginevra Orsini, zia materna di Silvia; il Senatore democristiano Leandro Baroni e la moglie Caterina Ricci, zia paterna di Silvia; la professoressa Dea Vermiglioni, col suo neo di ampiezza spropositata; il vice-preside professor Paride Marchesi, illustre studioso di lingua e letteratura inglese; il preside, lo storico Fernando Rocca Rossellino, esperto della Mesopotamia Sumera e Presidente del Rotary Club oltre che del circolo degli Amanti della Lirica; più altri notabili che variavano a seconda delle serate, come "ospiti a sorpresa", tra cui, ogni tanto, l'ìllustrissimo docente universitario Prof. Lorenzo Monterovere, fratello minore di Francesco e studioso di Storia delle Religioni e di Esoterismo e Iniziazioni misteriche. Si mormorava che lui stesso facesse parte di una Setta Segreta.
Silvia sapeva che, nonostante i "grandi nomi" che figuravano tra i suoi ospiti, non sarebbe stato facile competere col "Salotto Liberty" di sua madre, presso la Villa Orsini di Casemurate, dove si riuniva l'Aristocrazia, ossia, i marchesi Spreti di Serachieda, i conti Zanetti Protonotari Campi, i nobili della secolare stirpe dei Paolucci de' Calboli, dei Traversari di Ravenna, dei Gagni di Montescudo e degli Orsi-Mangelli.
Ogni tanto, qualche illustre esponente di quelle antiche casate si degnava di partecipare ad una serata presso il salotto dei Monterovere.
Certo non era stato facile convincerli, e anzi si era resa necessaria una forte moral suasion della madre di Silvia, la leggendaria Diana Orsini Balducci, diciottesima Contessa di Casemurate.
La quale Diana, tuttavia, quando partecipò per la prima volta ad uno dei sabati sera organizzati da sua figlia, ebbe da ridire sugli ospiti fissi, commentando la lista con una citazione di Shakespeare:
<<Vuoto è l'inferno, tutti i diavoli sono qui!>>
Si trattava di un giudizio lungimirante, tenuto conto di ciò che avvenne molti anni dopo, ma all'epoca appariva troppo severo.
L'altra obiezione di Diana, che invece risultò valida fin dall'inizio, riguardava il fatto che c'erano "troppi galli in un pollaio, e anche troppe galline, per non parlare delle oche, con tutto il rispetto per i pennuti".
In effetti a contendersi il ruolo di "primo attore, regista e capocomico" del dotto cenacolo di casa Monterovere c'erano troppe personalità istrioniche: la Signorina De Toschi, per le citazioni classicheggianti, anche se l'età le aveva fatto perdere qualche colpo; il Sommo Poeta per la voce da baritono che affascinava le donne, quando declamava i versi di Dante o di Montale; il professor Giovannelli, il cui cavallo di battaglia era la capacità di raccontare con grande ironia qualunque tipo di aneddoto, pettegolezzo o stroncatura di film e opere liriche; Massimo Braghiri, a cui andava riconosciuta un'estrema erudizione per quanto riguardava la storia dell'arte, i musei (li aveva visitati tutti, almeno in Italia) e le mostre. La rivalità tra questi personaggi (esclusa la De Toschi, che era stata docente di tutti gli altri), si estendeva anche alle rispettive mogli o compagne, provocando accese discussioni che spesso rischiavano di degenerare in risse da osteria.
Memorabile e mai del tutto sopita fu la cosiddetta "Questione di Fellini".
Tutto ebbe origine quando Francesco Monterovere dichiarò apertamente, davanti a quel pubblico di sapienti e Maîtres à penser, che il suo regista preferito era Federico Fellini, di cui adorava tutti i film, per il loro stile visionario e surrealista.
Questa affermazione, espressa con ingenuo entusiasmo, provocò nella sala un effetto pari a quello che avrebbe potuto scaturire da una volgare bestemmia.
In quel primo momento di sdegno, tutti i vari Soloni si trovarono concordi nel condannare l'affermazione di Francesco, contrapponendo a Fellini i propri personali idoli.
Massimo Braghiri fu il primo a scattare, furibondo, dichiarando che Fellini era un bieco reazionario, nemico dei lavoratori e del popolo, e gli contrappose Rossellini, Vittorio De Sica, Pasolini ed Eduardo De Filippo.
La De Toschi e Giovannelli, di gusti più estetizzanti, ma in senso classico, dichiararono che Luchino Visconti era incommensurabilmente superiore a tutti gli altri, e citarono "Senso", "Ludwig" e naturalmente "Il Gattopardo".
Giovannelli poi si lasciò trasportare e spaziò oltralpe e molto indietro nel tempo, citando Jean Renoir e "La grande illusione".
Il Sommo Poeta condannò il cinema come diavoleria moderna, di cui salvava soltanto l'espressionismo tedesco e sovietico, e in particolare "Dies irae" di Carlo Teodoro Dryer, "Der Kabinett des Doctor Caligari" di Murnau e naturalmente il classico dei classici, "La corazzata Potëmkin", del maestro Sergej M. Eisenstein.
A questo punto si sentì in dovere di dire la sua anche il preside Fernando Rocca Rossellino, che dichiarò che, a costo di suscitare l'ilarità dei presenti, lui giudicava impareggiabili le regie d'opera del maestro Zeffirelli.
Nessuno ebbe il coraggio di contraddirlo, ma il silenzio che seguì tale affermazione fu una risposta adeguatamente significativa.
A questo punto intervennero le signore.
La professoressa Gatti ammise che di Fellini, comunque, si poteva salvare "Lo sceicco bianco", e in questo trovò concorde il compagno Giovanelli.
La professoressa Vermiglioni concedeva che "tutto sommato "I Vitelloni" è spassoso e "La strada" è profondo, ma non si può andare oltre".
A quel punto interveniva la prof. Elisabetta Braghiri, nata De Gubernatis, dicendo che lei, per quanto riguardava Fellini, poteva arrivare fino a "La dolce vita".
Suo marito Massimo Braghiri annuì.
Non volendo essere da meno della gemella, la signora Anna Trombatore, nata De Gubernatis, dichiarò che a suo parere anche "Otto e mezzo" era guardabile, mentre "Giulietta degli spiriti" era stata per lei una cocente delusione.
A quel punto tutti gli sguardi si rivolsero alla padrona di casa, per una sentenza definitiva sulla vexata quaestio, e dunque Silvia Monterovere, nata Ricci-Orsini, azzardò un parere scandaloso, tale da épater le bourgeois : <<Pensatela come vi pare, ma a me Amarcord è piaciuto tantissimo. Mi ha ricordato la mia infanzia in campagna>>
Apriti cielo!
Tutti i notabili presenti nella sala si sentirono in dovere di dissociarsi immediatamente da tale incresciosa affermazione.
Sua zia Ginevra Orsini De Gubernatis, sdegnata, dichiarò: <<Fai un grande torto alla nostra famiglia quando parli della vita di campagna come se noi Orsini fossimo degli zotici villici>>
Anche il Senatore Baroni, con aria solenne, espresse tutto il suo sdegno:
<<Noi non ci confondiamo con quei villani che si mettono le dita nel naso!>> e annuì, approvando la propria stessa sentenza.
Chiuse la questione la Signorina De Toschi:
<<Silvia, te lo dico con affetto, non insistere su questo punto. Non farti del male...>>
Ed espirò una nube mefitica di fumo di sigaretta.
In quel momento i due Monterovere, Silvia e Francesco, si guardarono negli occhi e si sentirono accomunati dal desiderio di prendere a calci nel sedere quei ridicoli snob che frequentavano a sbafo, ogni sabato, il loro salotto, dispensando disprezzo verso tutto e verso tutti.
E tuttavia non lo fecero mai, perché Forlì era ed è ancora una piccola città, dove tutti conoscono tutti e dove, se ti fai un nemico, questo nemico te la farà pagare, in un modo o nell'altro, avvalendosi della rete delle cosiddette "amicizie comuni", che non erano mai vere amicizie, poiché tutta quella ragnatela di relazioni era intrisa nel veleno dell'invidia e della volontà di rivalsa contro la figlia e il genero del potente Ettore Ricci e della sua aristocratica consorte.
Silvia e Francesco lo sapevano, e si rendevano conto che se non si era in grado di sconfiggere un nemico era meglio farselo amico e tenerlo sotto controllo.
Ma non sempre questa massima è efficace, perché certi nemici sanno infiltrarsi nelle vite delle loro vittime fino a scoprirne i punti deboli e a colpirli senza pietà.
Il punto debole di Silvia e Francesco era loro figlio Roberto, che secondo i pediatri era un bambino "mentalmente dotato, ma fragile, con una bassa soglia di sopportazione dello stress e una tendenza alla ripetitività e all'asocialità, e potrebbe darvi dei problemi, andando avanti".
Mai diagnosi si rivelò più fondata.