Nel 1736 il duca di Lorena
Francesco III Stefano aveva sposato
Maria Teresa d'Austria, unica (e contestata) erede dei variegati domini asburgici, sparsi per l'Europa (Austria, Boemia, Ungheria, Paesi Bassi, Milano, Napoli, Sicilia) ed anche tradizionale erede del titolo al
Sacro Romano Impero. La Francia, timorosa che la Lorena, una regione francofona, potesse passare agli
Asburgo, si era affrettata a stipulare un trattato per cui riconosceva la
Prammatica Sanzione e quindi l'eredità spettante a Maria Teresa, ma in cambio Francia e Austria stabilivano che il
Ducato di Lorena fosse ceduto da Francesco III a
Stanislao Leszczyński (ex
re di Polonia e suocero di
Luigi XV) e passasse alla Francia dopo la morte del sovrano polacco.
La casata di Lorena sarebbe stata compensata per questa perdita con il trono del Granducato di Toscana, ma con l'obbligo di non annetterla direttamente ai domini asburgici, dato che la successione sarebbe stata destinata ad un figlio cadetto dell'unione. Con il matrimonio di Maria Teresa e Francesco Stefano nacque così la dinastia imperiale degli
Asburgo-Lorena, un cui ramo cadetto resse il Granducato di Toscana fino alla sua scomparsa
Francesco III (Francesco Stefano)
Per garantire l'indipendenza alla Toscana e non renderla una regione dello stato asburgico si stabilì di tenere separate le due corone, mantenendo per il primogenito della casata degli Asburgo-Lorena il titolo imperiale, mentre per il secondogenito quello granducale.
Visitò la Toscana solo per tre mesi nel
1739 e la governò soltanto per mezzo di rappresentanti, peraltro capaci ed intelligenti.
Francesco Stefano e Maria Teresa ebbero 16 figli.
- Maria Elisabetta (5 febbraio 1737 - 7 giugno 1740)
- Maria Anna (6 ottobre 1738 - 19 novembre 1789)
- Maria Carolina (12 gennaio 1740 - 25 gennaio 1741)
- Giuseppe (13 marzo 1741 - 20 febbraio 1790), futuro imperatore (1780-1790), sposò Maria Isabella di Borbone-Parma, quindi Maria Giuseppa di Baviera
- Maria Cristina (13 maggio 1742 - 24 giugno 1798), sposò Alberto di Sassonia, duca di Teschen
- Maria Elisabetta (13 agosto 1743 - 22 settembre 1808)
- Carlo Giuseppe (1º febbraio 1745 - 18 gennaio 1761)
- Maria Amalia (26 febbraio 1746 - 9 ottobre 1802), sposò Ferdinando di Borbone, duca di Parma
- Pietro Leopoldo (5 maggio 1747 - 1º marzo 1792), futuro Granduca di Toscana (1765-1790) ed imperatore (1790-1792), sposò Maria Ludovica di Borbone-Spagna
- Maria Carolina (17 settembre 1748)
- Maria Giovanna Gabriella (4 febbraio 1750 - 23 dicembre 1762)
- Maria Giuseppina (19 marzo 1751 - 15 ottobre 1767)
- Maria Carolina (13 agosto 1752 - 4 gennaio 1825), sposò Ferdinando I delle Due Sicilie
- Ferdinando (1º giugno 1754 - 24 dicembre 1806), sposò Maria Beatrice Ricciarda d'Este, fondatore del ramo degli Asburgo-Este
- Maria Antonietta (2 novembre 1755 - 16 ottobre 1793), sposò Luigi XVI di Francia
- Massimiliano Francesco (8 dicembre 1756 - 27 giugno 1801), vescovo-elettore di Colonia
Leopoldo I (Pietro Leopoldo)
Come granduca di Toscana, Leopoldo fu un chiaro esempio di "sovrano illuminato" e le sue riforme si contraddistinsero per una propensione agli scopi pratici più che a quelli teorici. Nella sua opera riformatrice si avvalse di importanti funzionari come
Giulio Rucellai,
Pompeo Neri,
Francesco Maria Gianni,
Angelo Tavanti.
Il granduca avviò una
politica liberista raccogliendo l'appello di
Sallustio Antonio Bandini del quale fece pubblicare l'inedito
Discorso sulla Maremma, promuovendo la
bonifica delle
aree paludosenella
Maremma e nella
Val di Chiana e favorendo lo sviluppo dell'
Accademia dei Georgofili. Introdusse la libertà nel commercio dei grani abolendo i vincoli annonari che bloccavano le colture cerealicole e ma l'avvenimento capitale fu, dopo tanti secoli, la liquidazione delle
corporazioni di origine
medioevale, ostacolo principale per un'evoluzione economica e sociale dell'attività
industriale. Introdusse poi la nuova tariffa
doganale del
1781, in base alla quale vennero aboliti tutti i divieti assoluti, che furono sostituiti da dazi protettivi, tenuti, del resto, a un livello molto basso in confronto a quelli allora in vigore.
La trasformazione del
sistema fiscale fu da Pietro Leopoldo intrapresa fin dai suoi primi anni di regno e nel
1769 venne abolito l'
appalto generale ed iniziata la
riscossione diretta delle imposte. Esitante si rivelò invece il sovrano fra la politica di Tavanti, che fino al 1781 attraverso il
catasto, intendeva prendere la proprietà fondiaria come termine di misura per l'imposizione fiscale e, dopo la morte di Tavanti, nel 1781, quella di
Francesco Maria Gianni, suo maggiore collaboratore dal quel momento, che concepiva un piano di eliminazione del
debito pubblico attraverso la vendita dei diritti fiscali che lo stato aveva sulla terra dei sudditi. Si sarebbe poi passati ad un sistema fondato esclusivamente sull'imposizione indiretta; operazione questa che, iniziata nel
1788, non era ultimata nel
1790 quando Leopoldo divenne imperatore.
Riformò certi aspetti della
legislazione toscana ma il suo maggior progetto, la redazione di un nuovo
codice, che
Pompeo Neri avrebbe dovuto realizzare, non giunse a termine per la morte del Neri stesso, mentre i progetti di
costituzione non ebbero seguito a causa della sua partenza per
Vienna.
Il programma uscito da questo sinodo, riassunto in 57 punti e frutto dell'intesa con Pietro Leopoldo, interessava gli aspetti patrimoniali e culturali e affermava l'autonomia delle Chiese locali rispetto al
Papa e la
superiorità del Concilio, ma le forti opposizioni del
clero e del
popolo lo convinsero a rinunciare a questa riforma.
Nel periodo
1779-
1782 Pietro Leopoldo avviò un progetto costituzionale che continuò ulteriormente nel
1790 per fondare i poteri del sovrano secondo un rapporto contrattualistico. Anche questa politica però suscitò forti opposizioni, e il granduca, che proprio in quell'anno saliva al trono imperiale fu costretto a rinunciarvi.
Ma la riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo fu l'abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali: in un colpo solo abolì il reato di
lesa maestà, la confisca dei beni, la
tortura e, cosa più importante, la
pena di morte grazie al varo del nuovo
codice penale del
1786 (che prenderà il nome di
Riforma criminale toscana o
Leopoldina). La Toscana sarà quindi il primo stato nel mondo ad adottare i principi di
Cesare Beccaria, il più importante
illuminista italiano che nella sua opera
Dei delitti e delle pene invocava appunto l'abolizione della pena capitale. Salì al trono imperiale nel
1790, alla morte del fratello
Giuseppe. Appena arrivato al potere dovette pacificare l'impero revocando i provvedimenti più radicali proposti dal fratello.
Nel 1790, alla morte del fratello Giuseppe II, ereditava la corona asburgica; il figlio Ferdinando divenne così granduca in un periodo che già si presentava agitato.
Ferdinando III
In politica interna, il nuovo granduca non ripudiò le riforme paterne che avevano portato la Toscana all'avanguardia in Europa, precedendo in alcuni campi persino la
Rivoluzione francese allora in corso, ma cercò di limitarne alcuni eccessi, soprattutto in campo religioso, che erano stati accolti malvolentieri dal popolo.
In politica estera, Ferdinando III cercò di restare neutrale nella tempesta succeduta alla Rivoluzione Francese ma fu costretto ad allinearsi alla coalizione antirivoluzionaria su forti pressioni dell'
Inghilterra, che minacciava di occupare
Livorno e l'8 ottobre
1793 dichiarò guerra alla Repubblica Francese. La dichiarazione non ebbe però effetti pratici ed anzi, la Toscana fu il primo stato a concludere la pace e a ristabilire le relazioni con
Parigi nel febbraio
1795.
La cautela del Granduca non servì però a tenere fuori la Toscana dall'incendio napoleonico: nel
1796 le armate francesi occupavano Livorno per sottrarla all'influenza britannica e lo stesso
Napoleone entrava in Firenze, ben accolto dal sovrano ed occupava il Granducato, pur non abbattendo il governo locale. Solo nel marzo
1799 Ferdinando III fu costretto all'esilio a
Vienna, in seguito al precipitare della situazione politica della penisola. Le truppe francesi rimasero in Toscana fino al luglio
1799, quando furono scacciate da una controffensiva austrorussa a cui diedero aiuto gli insorti sanfedisti del "
Viva Maria!".
La restaurazione fu breve; già l'anno dopo Napoleone tornava in Italia e ristabiliva il suo dominio sulla Penisola; nel
1801 Ferdinando doveva abdicare al trono di Toscana, ricevendo in compenso prima (
1803) il
Granducato di Salisburgo, nato con la secolarizzazione dell'ex stato arcivescovile e poi (
1805) il
Granducato di Würzburg, altro stato sorto con la secolarizzazione di un principato vescovile.
La
Restaurazione in Toscana fu, per merito del Granduca, un esempio di mitezza e buon senso: non vi furono epurazioni del personale che aveva operato nel periodo francese; non si abrogarono le leggi francesi in materia civile ed economica (salvo il
divorzio) e dove si effettuarono restaurazioni si ebbe il ritorno delle già avanzate leggi leopoldine, come in campo penale.
Le maggiori cure del restaurato governo lorenese furono per le opere pubbliche; in questi anni si realizzarono numerose strade (come la Volterrana), acquedotti e si diede inizio ai primi seri lavori di bonifica della
Valdichiana e della
Maremma, che videro l'impegno personale dello stesso sovrano.
- Carolina Ferdinanda (Firenze, 2 agosto 1793- Vienna 5 gennaio 1802);
- Francesco Leopoldo (Firenze, 15 dicembre 1794-Vienna, 18 maggio 1800);
- Leopoldo II Giovanni (Firenze, 3 ottobre 1797-Roma 29 gennaio 1870);
- Maria Luisa (Firenze, 30 agosto 1799-Firenze, 15 giugno 1857);
- Maria Teresa (Vienna, 21 marzo 1801-Torino, 12 gennaio 1855).
Leopoldo II
Alla morte del padre nel 1824 Leopoldo II assunse il potere e subito dimostrò di voler essere un sovrano indipendente, appoggiato in questo dal ministro
Vittorio Fossombroni, che seppe sventare una manovra dell'ambasciatore austriaco conte di Bombelles per influenzare l'inesperto granduca. Questi non solo confermò i ministri che aveva nominato il padre ma diede subito prova della sua sincera voglia di impegnarsi con una riduzione della tassa sulla carne ed un piano di opere pubbliche che prevedeva la continuazione della bonifica della
Maremma (tanto da essere soprannominato affettuosamente "Canapone" e ricordato dai Grossetani con un monumento scultoreo collocato in
Piazza Dante), l'ampliamento del
porto di Livorno, la costruzione di nuove strade, un primo sviluppo delle attività turistiche (allora chiamate "
industria del forestiero") e lo sfruttamento delle miniere del granducato.
Dal punto di vista politico, il governo di Leopoldo II fu in quegli anni il più mite e tollerante negli stati italiani: la censura, affidata al dotto e mite Padre
Mauro Bernardini da
Cutigliano, non ebbe molte occasioni di operare e molti esponenti della cultura italiana del tempo, perseguitati o che non trovavano l'ambiente ideale in patria, poterono trovare asilo in Toscana, come accadde a
Giacomo Leopardi,
Alessandro Manzoni,
Guglielmo Pepe,
Niccolò Tommaseo. Alcuni scrittori ed intellettuali toscani come
Guerrazzi,
Gian Pietro Viesseux e
Giuseppe Giusti, che in altri stati italiani avrebbero sicuramente passato dei guai, poterono operare in tranquillità. È rimasta celebre la risposta del granduca all'ambasciatore austriaco che si lamentava che "
in Toscana la censura non fa il suo dovere", al quale ribatté con stizza "
ma il suo dovere è quello di non farlo!". Unico neo in tanta tolleranza e mitezza fu la soppressione della rivista "
L'Antologia" di
Gian Pietro Viesseux, avvenuta nel
1833 per le pressioni austriache e comunque senza ulteriori esiti civili o penali per il fondatore. Nell'aprile
1859, nell'imminenza della guerra franco-piemontese contro l'Austria, Leopoldo II proclamò la neutralità ma ormai il governo granducale aveva i giorni contati: in Firenze la popolazione rumoreggiava e le truppe davano segni di insubordinazione.
Il 27 aprile, verso le quattro, davanti ad una grande folla tumultuante per le strade di Firenze e all'aperta rivolta dell'esercito, Leopoldo II partì in carrozza da
Palazzo Pitti, uscendo per la porta di Boboli, verso la strada di
Bologna. Aveva appena rifiutato di abdicare a favore del figlio
Ferdinando.
La pacifica rassegnazione al corso della storia (il Granduca non pensò mai ad una soluzione di forza) e le modalità del commiato, con gli effetti personali caricati in poche carrozze e le attestazioni di simpatia al personale di corte, fecero sì che negli ultimi momenti di permanenza in Toscana gli ormai ex sudditi riacquistassero l'antica stima per Leopoldo: la famiglia granducale fu salutata dai fiorentini, levantisi il cappello al passaggio, con il grido
"Addio babbo Leopoldo!" e accompagnata con tutti i riguardi da una scorta fino alle
Filigare, ormai ex dogana con lo
Stato Pontificio. Alle sei pomeridiane di quello stesso giorno, il Municipio di
Firenze constatò l'assenza di alcuna disposizione lasciata dal sovrano e nominò un governo provvisorio.
Ferdinando IV
Figlio del granduca
Leopoldo II e della granduchessa
Maria Antonietta, salì virtualmente al trono di
Toscana dopo l'abdicazione del padre nel
1859; fu un protagonista involontario del
Risorgimento in quanto fino al passaggio della Toscana al
Regno d'Italia (
1860) ne era diventato granduca anche se non viveva a Firenze e non aveva mai preso legalmente pieni poteri.
Nonostante ciò anche dopo la soppressione del Granducato, Ferdinando, avendo mantenuta la "fons honorum" e la collazione degli Ordini dinastici, continuò ad elargire titoli e decorazioni. Cercò, fino al 1866, di ricostituire il Granducato, finanziando personalmente un movimento autonomista toscano; in seguito al riconoscimento del
Regno d'Italia da parte dell'
Impero austriaco, lasciò l'Italia e andò in esilio in Austria.
Il 20 dicembre 1866
Ferdinando IV di Toscana ed i suoi figli rientrarono nella Casa Imperiale e la Casa di Toscana smise di esistere come casa reale autonoma, venendo riassorbita da quella imperiale austriaca; a Ferdinando fu permesso di mantenere la sua fons honorum vita natural durante, mentre i figli divennero solo Principi Imperiali (Archiduchi/Arciduchesse d'Austria) e non più Principi/Principesse di Toscana: Ferdinando IV abdicò ai diritti dinastici al Granducato di Toscana (1870) a favore dell'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria
[1][2][3][4] e pertanto anche i suoi discendenti persero ogni diritto dinastico sulla Toscana
[5]. Il Gran Magistero dell'Ordine di Santo Stefano cessò invece con la morte di Ferdinando IV
[6]. L’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916) aveva infatti proibito, dopo la morte del granduca Ferdinando IV avvenuta nel 1908, di assumere i titoli di granduca o di principe o principessa di Toscana
[7].
Note
- ^ Bernd Braun: Das Ende der Regionalmonarchien in Italien. Abdankungen im Zuge des Risorgimento. In: Susan Richter, Dirk Dirbach (Hrsg.): Thronverzicht. Die Abdankung in Monarchien vom Mittelalter bis in die Neuzeit. Böhlau Verlag, Köln, Weimar, Wien 2010, pagg. 251–266
- ^ Benedikt, Heinrich, Kaiseradler über dem Apennin. Die Österreicher in Italien 1700 bis 1866. Vienna: Herold Verlag, 1964
- ^ Karl Vocelka, Lynne Heller: Die private Welt der Habsburger: Leben und Alltag einer Familie, Styria, 1998, pag. 253, colonna I
- ^ Das Haus Habsburg: Vorspann ; Register ; Quellen ; Das Haus Alt-Habsburg ; Das Haus Habsburg-Lothringen, Alois Jahn, Selbstverl, 2002, pag. 59, 65
- ^ Annuario della Nobiltà Italiana, XXXII edizione, 2014, parte I
- ^ Rivista Araldica, anno 1913, volume 11, pagina 381, Roma, Collegio Araldico: "Da informazione ufficiale assunta a Vienna togliamo quanto segue «A Sua Altezza I. R. il defunto Granduca Ferdinando IV di Toscana era stato permesso dall'Impero austro-ungarico e dagli Stati dell'Impero germanico, di conferire i tre Ordini toscani, inerenti alla Sovranità, che anche spodestato, rimase all'Augusto principe fino alla sua morte. Il titolo di Principe di Toscana fu solo autorizzato ai membri della famiglia granducale nati prima del 1866. Dopo la morte del Granduca (1908) tutti gli augusti figli del defunto dovettero solennemente rinunciare ad ogni qualsiasi diritto di cui personalmente ed eccezionalmente godeva il padre. Quindi il Gran Magistero dell'Ordine di S. Stefano per volontà di S. M. l'Imperatore e Re è terminato col defunto Granduca, né più sarebbe accettato dagli augusti Principi Lorenesi"
- ^ SILVA TAROUCA, Adler, Vienna, 1954, p. 165