Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
mercoledì 12 settembre 2018
Stemma della Casa d'Este
Lo stemma degli Este è costituito da un'aquila d'argento in campo azzurro, che fregia la bandiera di famiglia fin dal 1239. L'azzurro era il colore usato dalla fazione guelfa mentre i Ghibellini adoperavano per lo più il rosso. I tre gigli in campo azzurro dentellato d'argento vennero aggiunti dal marchese Nicolò III, cui aveva concesso l'ambito privilegio Carlo VII, re di Francia. L'aquila imperiale in campo d'oro denota invece il feudo imperiale di Modena e Reggio, ottenuto nel 1452 dall'imperatore Federico III, gli concesse l'aquila imperiale in campo d'oro per denotare il feudo imperiale di Modena e Reggio e nello stesso tempo l'aquila, divisa longitudinalmente in una metà argentea in campo azzurro e nell'altra metà nera in campo oro, rappresenta la contea di Rovigo istituita allora. Le chiavi pontificie sono il simbolo della rinnovata investitura di Ferrara da parte di Papa Sisto IV a Ercole I nel 1474, come il triregno lo è del vicariato della Chiesa. Il gonfalone venne inserito nel 1368, nell'occasione della nomina del marchese Niccolò II a gonfaloniere perpetuo di Santa Romana Chiesa.
lunedì 10 settembre 2018
Memoria immortale del Duca di Osuna, di Francisco de Quevedo (testo spagnolo e traduzione in italiano)
Faltar pudo su patria al grande Osuna,
Pero no a su defensa sus hazañas;
Diéronle muerte y cárcel las Españas,
De quien él hizo esclava la Fortuna.
Llloraron sus envidias una a una
Con las propias naciones las extrañas;
Su tumba son de Flandes las campañas,
Y su epitafio la sangrienta luna.
En sus exequias encendió el Vesubio
Parténope, y Trinacria al Mongibelo;
El llanto militar creció en diluvio.
Diole el mejor lugar Marte en su cielo;
La Mosa, el Rhin, el Tajo y el Danubio
Murmuran con dolor su desconsuelo.
Venir men poté la patria al grande Osuna,
ma non alla difesa le sue imprese;
morte e carcer la Spagna gli diede,
cui egli schiava aveva fatto la fortuna.
Rimpianser le proprie invidie, a una a una,
con la sua nazione le straniere.
Sua tomba son di Fiandra le campagne,
e il suo epitaffio la sanguigna Luna.
S'incendiò per le sue esequie anche il Vesuvio,
Partenope e Trinacria al Mongibello;
il pianto militar crebbe a diluvio.
Di Marte avrà in ciel luogo migliore;
la Mosa, il Reno, il Tago ed il Danubio
mormorano con lamento il lor dolore.
Commento di Jorge Luis Borges, in Sette Notti (1983)
- 93 La poesia Diedegli Marte in ciel loco migliore, la Mosa, il Reno, il Lago e il Danubio mormorano il loro sconforto con dolore.) Per prima cosa noto che si tratta di una difesa giuridica. Il poeta vuole difendere la memoria del duca di Osuna, che secondo quello che dice in un’altra poesia “morì in prigione e morto rimase carcerato”. Il poeta dice che la Spagna va debitrice al duca di grandi servigi militari e che l’ha ripagato con il carcere. Non ha senso parlare di ragioni, giacché non vi è alcun motivo per il quale un eroe non sia colpevole o non debba esser condannato. Tuttavia, Venir meno poté la patria al grande Osuna, ma non alla sua difesa le sue imprese; morte e carcere la Spagna gli diede, cui egli schiava aveva fatto la Fortuna. è un momento demagogico. Sia chiaro che non sto parlando a favore o contro il sonetto, sto solo cercando di analizzarlo. Piansero le proprie invidie a una a una con la propria nazione le straniere. Questi due versi non hanno risonanza poetica maggiore; sono stati scritti perché erano necessari alla struttura del sonetto; a non dire delle necessità di rima. Quevedo seguiva la difficile forma del sonetto italiano che richiede quattro rime. Shakespeare seguì quella più facile del sonetto isabellino che ne richiede due. Continua Quevedo: sua tomba son di Fiandra le campagne, e il suo epitaffio la sanguigna Luna.
- 94 Sette notti Qui c’è l’essenziale. I versi traggono la loro pre- gnanza dalla loro ambiguità. Ricordo molte discussioni sull’interpretazione di questi versi. Che significa “sua tomba son di Fiandra le campagne”? Possiamo pen- sare ai campi di Fiandra, alle campagne militari che il duca condusse. “E il suo epitaffio la sanguigna Luna” è uno dei versi più memorabili della lingua spagnola. Che significa? Pensiamo alla sanguinosa luna che figura nell’Apocalisse, pensiamo alla luna debitamente rossa sopra il campo di battaglia, ma vi è un altro sonetto di Quevedo, anch’esso dedicato al duca di Osuna, in cui dice: “le lune della Tracia con sanguigna / eclisse già sigla la tua giornata”. Quevedo avrà pensato, all’inizio, al padiglione ottomano; la sanguinosa luna sarà stata la mezzaluna rossa. Credo che saremo tutti d’accordo nel non scartare nessuno di questi significati; non diremo che Quevedo si riferisca alle giornate militari, all’ordine di servizio del duca o alla campagna in Fiandra, o alla luna sanguinosa sul campo di battaglia o alla bandiera turca. Quevedo non precisò i diversi significati. La feli- cità di questi versi sta nella loro ambiguità. E poi: Nelle sue esequie incendiò il Vesuvio Partenope e Trinacria il Mongibello; il pianto militare crebbe a diluvio. Ovvero, Napoli incendiò il Vesuvio e la Sicilia l’Etna. Che strano che abbia scelto questi nomi antichi che sem- brano mascherare nomi tanto famosi d’allora. E il pianto militare crebbe a diluvio. Qui abbiamo un’altra prova che la poesia è una cosa e altra cosa è il sentire razionale, essendo palesemen-
- 95 La poesia te assurda l’immagine dei soldati che piangono fino a produrre un diluvio. Ma non lo è il verso, che ha la sua logica. Il “pianto militare”, soprattutto militare, è sorprendente. Militare, come attributo del pianto, è un aggettivo stupendo. Poi: Diedegli Marte in ciel loco migliore, Nemmeno questo verso è giustificabile sul piano della logica; non ha alcun senso pensare che Marte faccia posto al duca di Osuna vicino a Cesare. La proposizione si regge in virtù dell’iperbato. È la pietra di paragone della poesia: il verso esiste al di là del significato. la Mosa, il Reno, il Tago e il Danubio mormorano il loro sconforto con dolore. Io direi che questi versi, che mi hanno impressionato per anni, sono in verità sostanzialmente falsi. Quevedo si lasciò attrarre dall’idea di un eroe pianto dalla geografia delle sue campagne militari e da fiumi famosi. Sentiamo che continua in modo falso; sarebbe stato più veritiero dire la verità, dire quello che disse Wordsworth, per esempio, all’inizio di quel sonetto dove attacca Douglas per aver fatto tagliare un bosco. Dice, infatti, che fu sì orribile quello che Douglas fece al bosco, l’aver abbattuto una nobile tribù, “una fraternità di alberi venerabili”, ma, aggiunge, noi tuttavia ci doliamo di mali che alla natura come tale non interessano, giacché il fiume Tweed e le verdi praterie e le colline e le montagne permangono. Sentiva di poter raggiungere un effetto migliore con la verità. Dicendo la verità, dispiace a noi che siano stati tagliati
- 96 Sette notti questi begli alberi, ma alla natura non importa niente. La natura sa (se esiste un’entità che si chiama natura) che può rigenerarli e il fiume continua il suo corso. È vero che per Quevedo si trattava delle divinità dei fiumi. Forse sarebbe stata più poetica l’idea che la morte di Osuna ai fiumi delle guerre del duca non interessava. Ma Quevedo voleva fare una elegia, una poesia sulla morte di un uomo. Che cosa è la morte di un uomo? Con lui muore un volto che non si ripeterà, come osservò Plinio. Ogni uomo ha il suo viso, unico, e con lui muoiono migliaia di circostanze, migliaia di ricordi. Ricordi di inanzia, volti umani, troppo umani. Quevedo sembra non sentire niente di tutto questo. In carcere è morto il suo amico, il duca di Osuna, e Quevedo scrive questo sonetto con freddezza; sentiamo la sua sostanziale indifferenza. Scrive questi versi come se scrivesse un’arringa contro lo Stato che condannò il duca alla prigione. Sembrerebbe che non ami Osuna; e comunque non fa sì che lo amiamo noi. Nonostante ciò, questo è uno dei grandi sonetti nella nostra lingua. Passiamo all’altro sonetto, di Enrico Banchs. Sarebbe assurdo dire che Banchs è un poeta migliore di Quevedo. E poi che significato hanno questi paragoni? Esaminiamo questo sonetto di Banchs e vediamo in che consiste il suo gusto: Hospitalario y fiel en su reflejo donde a ser apariencia se acostumbra el material vivir, està el espejo corno un claro de luna en la penumbra. Pompa le da en las noches la flotante claridad de la lámpara, y tristeza la rosa que en el vaso agonizante también en él inclina la cabeza.
- 97 La poesia Si hace doble al dolor, también repite las cosas que me son jardìn del alma. Y acaso espera que algún dia habite en la ilusión de su azulada calma el Huésped que le deje reflejadas frentes juntas y manos enlazadas. (Ospitale e fedel nel suo riflesso ove ad esser apparenza si costuma il viver materiale, ecco lo specchio come nella penombra un chiar di luna. Vasto gli dà nelle notti il fluttuante chiarore della lanterna, e tristezza la rosa che nel vaso, agonizzante, anche reclina la sua testa. Si fa doppio il dolor, anche ripete cose che dell’alma mi son giardino. E forse spera che qualche giorno abiti nell’illusione dell’azzurrata calma l’Ospite che le lasci rispecchiate fronti unite e mani intrecciate.) Il sonetto è molto strano, perché lo specchio non è il protagonista: c’è un protagonista segreto che ci viene ri- velato alla fine. Prima di tutto abbiamo il tema, molto po- etico: lo specchio che raddoppia l’apparenza delle cose: ove ad esser apparenza si costuma il viver materiale… Possiamo ricordare Plotino. Volevano fargli un ritrat- to e si rifiutò: “Io stesso sono un’ombra, un’ombra dell’ar- chetipo che sta in cielo. A che scopo dunque fare un’om- bra di quell’ombra?” Che cosa è l’arte, pensava Plotino, se non un’apparenza di secondo grado? Se l’uomo è effi-
- 98 Sette notti mero, come può essere adorabile l’immagine dell’uomo? Appunto questo sentì Banchs; egli sentì la fantomaticità dello specchio. È davvero terribile che vi siano specchi: sempre ho avuto il terrore degli specchi. Credo che anche Poe lo provasse. C’è un suo lavoro, uno dei meno noti, sulla de- corazione delle abitazioni. Una delle condizioni che pone è che gli specchi siano situati in modo che una persona seduta non sia riflessa. Questo ci dice della sua paura di vedersi nello specchio. Lo troviamo nel suo racconto Wil- liam Wilson sul doppio e in Arthur Gordon Pym. Vi è una tribù antartica, un uomo di questa tribù vede per la prima volta uno specchio e inorridisce. Noi agli specchi siamo abituati, ma c’è qualcosa di te- mibile in questa duplicazione visiva della realtà. Passiamo al sonetto di Banchs. “Ospitale”: già così gli conferisce un carattere umano, che è un luogo comune. Peraltro, mai abbiamo pensato che gli specchi siano ospitali. Gli spec- chi accolgono tutto in silenzio con amabile rassegnazione. Ospitale e fedel nel suo riflesso ove ad esser apparenza si costuma il viver materiale, ecco lo specchio come nella penombra un chiar di luna. Vediamo lo specchio perfino luminoso, e Banchs lo paragona inoltre a qualcosa di intangibile come la luna. Continua a sentire la magia e la stranezza dello specchio: “come nella penombra un chiar di luna”. Poi: Vasto gli dà nelle notti il fluttuante chiarore della lanterna… Il “fluttuante chiarore” esige che le cose non siano definite; tutto deve essere impreciso come lo specchio,
- 99 La poesia lo specchio della penombra. Deve succedere di sera o di notte. E così: … il fluttuante chiarore della lanterna, e tristezza la rosa che nel vaso, agonizzante, anche reclina la sua testa. Perché tutto questo non sia vago, abbiamo ora una rosa, una rosa definita. Si fa doppio il dolor, anche ripete cose che dell’alma mi son giardino. E forse spera che qualche giorno abiti nell’illusione dell’azzurrata calma l’Ospite che le lasci rispecchiate fronti unite e mani intrecciate. E arriviamo all’argomento del sonetto, che non è lo specchio, ma l’amore, il pudico amore. Lo specchio non spera di vedere riflesse fronti unite e mani intrecciate, è il poeta che spera di vederle. Ma una sorta di pudore lo porta a dire tutto questo in maniera indiretta e questo è preparato in modo ammirevole, giacché, dal principio, abbiamo “ospitale e fedele”, giacché lo specchio sin dal principio non è lo specchio di cristallo o di metallo. Lo specchio è un essere umano, è ospitale e fedele e poi ci abitua a vedere, a vedere il mondo delle apparenze, che alla fine si identifica con il poeta. Il poeta è colui che vuole vedere l’Ospite, l’amore. Vi è una differenza essenziale con il sonetto di Que- vedo, ed è che immediatamente sentiamo la vivida pre- senza della poesia in quei due versi sua tomba son di Fiandra le campagne e suo epitaffio la sanguigna Luna.
- 100 Sette notti Ho parlato delle lingue e di quanto sia ingiusto pa- ragonare una lingua a un’altra; basta pensare a un verso, una strofa spagnola, per esempio: quién hubiera tal ventura sobre las aguas del mar corno hubo el conde Arnaldos la mañana de San Juan, (chi ebbe tal ventura sulle acque del mare come l’ebbe il conte Arnaldo la mattina di San Giovanni), non importa che questa ventura fosse una barca, non im- porta il conte Arnaldo, per sentire che questi versi si è potuto dirli solo in spagnolo. Il suono del francese non mi piace, credo che gli manchi la sonorità di altre lingue latine, ma come potremmo pensare male di una lingua che ha consentito versi ammirevoli come quelli di Hugo, L’hydre-Univers tordant son corps écaillé d’astres, come censurare una lingua senza la quale sarebbero im- possibili versi simili? Quanto all’inglese, credo che abbia il difetto di aver perso le vocali aperte dell’inglese antico. Tuttavia è la lin- gua che permette a Shakespeare versi come And shake the yoke of inauspicious stars From this worldweary flesh, che a malapena si riesce a tradurre con un “y sacudir de nuestra carne harta del mundo el yugo de las infaustas estrellas” (e scrollarsi il giogo di stelle infauste da questa carne stanca del mondo). In spagnolo non è niente; in
- 101 La poesia inglese tutto. Se dovessi scegliere una lingua (ma non c’è motivo di non sceglierle tutte), sceglierei il tedesco, che ha la possibilità di formare parole composte (come l’inglese e ancor più) e che ha vocali aperte e una musi- calità così ammirevole. Quanto all’italiano, è sufficiente la Commedia. Non vi è nulla di strano che la bellezza sia spar- sa nelle varie lingue. Il mio maestro, il grande poeta ebreo-spagnolo Rafael Cansinos-Asséns, ha lasciato una preghiera al Signore nella quale dice: “Oh, Signo- re, che non abbia tanta bellezza”; e Browning: “Quan- do più ci sentiamo sicuri avviene qualcosa, un tramon- to, il finale di un coro di Euripide, e siamo un’altra volta perduti”. La bellezza ci osserva. Se ci fosse in noi della sensibi- lità, la sentiremmo nella poesia di tutte le lingue. Avrei dovuto studiare di più le letterature orientali; le ho avvicinate solo attraverso traduzioni. Ma sono riu- scito a sentire l’urto, l’impatto della bellezza. Per esem- pio, questa frase del persiano Jafez: “Volo, la mia polve- re sarà quello che sono”. Vi è qui tutta la dottrina della trasmigrazione: “la mia polvere sarà quello che sono”, rinascerò un’altra volta, in un altro secolo, sarò Jafez, il poeta. Tutto questo espresso in poche parole che ho let- to in inglese, ma che non possono essere molto diverse dal persiano. La mia polvere sarà quello che sono: è troppo semplice per poter essere cambiato. Credo che sia un errore studiare la letteratura dal punto di vista storico, anche se è probabile che, me compreso, non si possa fare altrimenti. C’è un libro di Marcelino Menéndez y Pelayo, che a mio giudizio è sta- to un eccellente poeta e un cattivo critico, intitolato Le cento migliori poesie castigliane. E vi troviamo: Ande yo
- 102 Sette notti caliente, y ríase la gente” (Ch’io stia caldo, e la gente rida). Se questa è una delle migliori poesie castigliane, c’è da domandarsi come saranno quelle meno buone. Nello stesso libro troviamo i versi di Quevedo che ho citato e l’“Epistola” dell’Anonimo Sivigliano e tante al- tre poesie stupende. Disgraziatamente non ce n’è alcu- na di Menéndez y Pelayo, che non ha incluso opere sue nell’antologia. La bellezza è in ogni luogo, forse in ogni istante della nostra vita. Il mio amico Roy Bartholomew, che ha vissuto alcuni anni in Persia e ha tradotto dal parsi Omar Khayyàm, mi disse una volta ciò che io già so- spettavo: che in Oriente, in generale, non si studiano la letteratura e la filosofia dal punto di vista storico. Di qui lo stupore di Deussen e di Max Müller, che non riusci- rono a stabilire la cronologia degli autori. È come se si studiasse la storia della filosofia, mettendo insieme Ari- stotele e Bergson, Platone e Hume, come fossero tutti contemporanei. Concluderò con la citazione di tre preghiere di marinai fenici. Quando la nave stava per affondare — siamo nel primo secolo della nostra era —, quei navi- gatori recitavano una di queste tre preghiere. La quale dice: Madre di Cartagine, restituisco il remo. La Madre di Cartagine è la città di Tiro, la patria ori- ginaria di Didone. E poi, “restituisco il remo”. C’è qui qualcosa di straordinario: che il fenicio concepisse la vita solo come rematore. Ha concluso la sua vita e restituisce il remo perché altri seguitino a remare. L’altra delle preghiere è ancor più commovente: Dormo, poi ritorno a remare.
Geopolitica italiana e britannica nel periodo tra le due guerre mondiali
#Geopolitica italiana e britannica a confronto nel Mediterraneo, 1918-1939. Era la terza di una serie di tre cartine che illustravano l'evoluzione della geopolitica italiana da quella degli Stati pre-unitari all'Italia liberale fino al Fascismo.
#nihilsubsolenovi
domenica 9 settembre 2018
Il Sahel e le mire neoimperialistiche della Francia di Macron
Il Sahel (dall'arabo Sahil, "bordo del deserto") è una fascia di territorio dell'Africa sub-sahariana che si estende tra il deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud, e tra l'oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. Essa costituisce una zona di transizione tra l'ecozona paleartica e quella afrotropicale, ovvero un'area di passaggio climatico dall'area arida (steppica) del Sahara a quella fertile della savana arborata sudanese (asse nord-sud).
Il Sahel copre i seguenti stati (da ovest a est): Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell'Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l'Eritrea.
Carestie
Lo stesso argomento in dettaglio: Siccità del Sahel. |
Nel 1972, il Sahel fu colpito da uno dei gravi e ricorrenti eventi di carestie e siccità, che fece registrare numerose morti per fame.
La carestia, dovuta a diversi raccolti negativi consecutivi, e la crisi profonda dell'agricoltura, provocarono, oltre alla distruzione quasi integrale del patrimonio zootecnico, ingenti migrazioni verso sud della popolazione saheliana che innescarono processi di inurbamento eccessivo nelle zone d'arrivo. Nel 1973 fu costituito un Comitato permanente interstatale per la lotta alla siccità nel Sahel (CILSS) che riuniva diversi degli stati africani e della regione (Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Capo Verde, Gambia e Guinea-Bissau). Tutt'oggi la crisi alimentare è ancora presente e decine di migliaia di casi di malnutrizione si registrano in tutta la regione (Niger in particolare).[1]
Lo stesso argomento in dettaglio: Insurrezione islamica nel Maghreb e colpo di Stato in Mali del 2012. |
A partire dal 2007 la regione, già interessata dalla presenza di cellule qaediste dal 2001, ha vissuto un incremento dell'emergenza terroristica di matrice islamista (salafita) radicale soprattutto nell'area nord-occidentale (Mauretania, Mali, Niger, Algeria meridionale), con la secessione de facto del nord del Mali.[2] La presenza dei gruppi di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aquim), del gruppo Ansar Dine guidato da Iyad ag Ghali, sostenuti dai ribelli tuareg che hanno dichiarato l'indipendenza dell'Azauad (tra cui il Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad), insediati principalmente nel nord del Mali, è radicata in tutta la parte centrale e occidentale del Sahel. Le forze terroristiche si sono rese responsabili negli ultimi anni[non chiaro] del rapimento e dell'uccisione di turisti stranieri, diplomatici e soldati algerini e maliani, di un attentato all'ambasciata israeliana di Nouakchott, capitale mauretana, nel 2008 e di un altro a quella francese nella stessa città nel 2009.[3][4][5] Nel 2010, in luglio, le forze armate del Mali, con l'appoggio di truppe francesi, avviarono una operazione militare contro le forze dei ribelli, replicata poi nel giugno 2011.[5]
Il 12 ottobre 2012, con l'aggravamento della crisi nell'area e a seguito della richiesta di aiuto inviata dal neonato governo di unità nazionale guidato da Modibo Diarra, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2071 che dispone un intervento armato a guida della Unione africana con l'apporto delle forze Nato e dei paesi occidentali.[6] L'11 gennaio 2013 il presidente francese François Hollande, a seguito di una nuova richiesta del governo maliano guidato da Dioncounda Traoré di intervento urgente, predispose un nuovo invio di truppe francesi.[7]
Crisi alimentare, siccità, terrorismo, guerre, migrazioni e il ruolo della Francia
Da sempre, vivere in questo ambiente semi-desertico è difficile per l'uomo. Negli ultimi anni[non chiaro], a causa dei mutamenti climatici e del forte aumento nei prezzi dei beni agricoli è esplosa una vera e propria crisi umanitaria nella regione.
In tutta l'area vivono circa 15 milioni di abitanti del Sahel coinvolti da questa emergenza, e oltre un milione di bambini nei prossimi 6 mesi saranno a rischio elevato di malnutrizione grave.
Nel marzo 2012 l'UNICEF ha lanciato un appello per aiutare la popolazione e far parlare dell'emergenza[30].
Secondo un comunicato di Medici Senza Frontiere, riportato dai principali media[31], nello stesso anno 2012 un milione di bambini affetti da malnutrizione severa avrebbero avuto bisogno di cure: il numero più alto nella storia degli aiuti umanitari[32].
Le forze francesi sono presenti in Sahel con migliaia di uomini, ma anche con aerei, droni e mezzi pesanti. E le loro basi, oltre a quelle delle principali città dei Paesi della regione, sono anche composte di campi nel deserto, le plateformes désert relais, che aiutano le forze speciali a operare in piena autonomia rispetto alle truppe di terra.
Un impegno profondo che dura da decenni. Perché la Francia, dal Sahel, non se n’è mai andata realmente. Negli anni Ottanta del secolo scorso, ci fu la prima missione delle forze di Parigi: l’Opération Épervier. Una missione lunghissima. Le truppe francesi arrivarono nell’area come forza dissuasiva per dividere l’esercito libico da quello del Ciad. Poi, negli anni, il loro scopo è stato quello di contrastare l’insorgenza dell’islamismo.
Quando la Épervier stava per concludersi, la Difesa francese optò per un’altra missione: l’Opération Serval. Questa volta, le truppe furono inviate in Mali. Una missione in cui la Francia aveva investito molto, considerando il dispiegamento di uomini, aerei e anche mezzi navali: ma la missione è conclusa un anno dopo con risultati tutto sommato miseri.
Proprio per ovviare al magro bottino dell’operazione Serval, Parigi, nel 2014, ha optato per un approccio diverso. E fu così che nacque l’operazione Barkhane, arrivata oggi al suo terzo anno di attività e in cui furono inglobati anche gli uomini e gli obiettivi della Serval.
L’Opération Barkhane si differenzia dalle altre operazioni per l’estensione del territorio in cui agisce: il Sahel. Non è più un’operazione in un singolo Paese, ma in tutti gli Stati che compongono il cosiddetto G-5 Sahel e cioè: Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Mauritania. È pertanto una missione diversa, orientata su un contrasto a un fenomeno regionale e che fa comprendere come per la Francia l’idea non è più quella di operare in un singolo contesto nazionale ma in tutta l’area di suo interesse strategico. L’obiettivo non è più il singolo pericolo nel singolo Stato, ma assumere il controllo di tutta l’Africa occidentale legata a Parigi.
Il Sahel, per la Francia, è essenziale Lì c’è tutto: interessi economici, politici, strategici e di sicurezza. E per questo la Francia non intende lasciare la regione. Perdere il controllo di quei territori sia contro i nemici interni – in particolare le frange ribelli di alcuni Paesi e i gruppi islamisti – sia rispetto ai partner” occidentali, si tratterebbe di una sconfitta strategica per la Francia. Non è un problema di leadership, è un problema quasi esistenziale per Parigi.
Basti pensare a un dato, che riguarda le materie prime, per capire gli interessi francesi nell’area: il 30% dell’uranio che le centrali nucleari francesi utilizzano per fornire energia al Paese, proviene dal Niger. Se la società francese Areva produce energia elettrica in Francia, è grazie alle miniere africane. E lì, i gruppi ribelli hanno intensificato i loro sforzi perché sanno che significa colpire il cuore degli interessi dei transalpini.
Se a questo si aggiunge il problema del terrorismo islamico che la Francia ha poi direttamente sul suo territorio, ma soprattutto la volontà di non perdere i tradizionali rapporti post-coloniali con quei Paesi, si capisce perché la Francia non solo vuole avere il pieno controllo delle operazioni militari nell’area, ma vuole anche decidere quali partner occidentali far collaborare nella regione. E noi italiani, non siamo di loro gradimento.
Macron non vuole l’Italia in Sahel
L’Italia non piace a Emmanuel Macron. E adesso, con il governo composto da Lega e Movimento Cinque Stelle, la situazione non è certo migliorata. È dai tempi del governo Gentiloni che l’Italia ha messo piede in Niger con poche decine di uomini. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha già chiarito che il governo italiano intende dare seguito ai propositi della missione per evitare che questi uomini rimangano pochi e confinati in un’area di una base americana.
La missione Misin, guidata dal generale di brigata Antonio Maggi, dovrebbe avere più uomini, una sede operativa autonoma, e maggiore capacità operativa. Ma finora, tutto (o quasi) sembra remare contro i nostri militari. Ed il “merito” è di Macron.
A confermare lo zampino di Parigi nella mancata operatività della nostra missione italiana in Niger, arrivano le indiscrezioni di alcuni funzionari francesi a Il Foglio. Come spiega il quotidiano, “la Francia non condivide gli obiettivi italiani, e dunque starebbe rendendo più difficile del previsto l’azione di Roma tramite i suoi contatti con alcune figure chiave del governo nigerino”. Insomma, c’è una vera e propria sfida fra Italia e Francia.
Sempre secondo Il Foglio, “Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese e molto influente nella strategia africana di Macron, non gradirebbe l’intervento autonomo italiano nel nord del paese, che interferirebbe con gli equilibri in Libia, Stato con cui il Niger confina nella parte settentrionale”.
Lo Stato maggiore francese ha più volte dichiarato che è ben contento che i partner occidentali partecipino in Niger. Ma non è certo un caso che Macron abbia preferito siglare un accordo con la Gran Bretagna per l’arrivo di un centinaio di uomini e elicotteri piuttosto che appoggiare il nostro intervento, nonostante (in teoria) siamo entrambi Stati dell’Unione europea. E questo perché l’Italia sta cercando di scalfire l’influenza francese in Niger: obiettivo che non hanno gli altri partner occidentali.
Del resto le elezioni non sono lontane. Il Niger andrà al voto nel 2021 e il presidente Mahamadou Issoufou non potrà ricandidarsi. La sfida è, almeno fino adesso, tra Hassoumi Massaoudou, ministro delle Finanze, e Mohamed Bazoum, ministro dell’Interno, che è molto vicino a Jean-Yves Le Drian. L’Italia sta iniziando ad aumentare il suo supporto al governo nigerino attraverso gli aiuti umanitari. E non è un strategia secondaria in un Paese devastato dalle epidemie. E questi aiuti sono stati apprezzati dal presidente e dal suo entourage. E questa corrispondenza fra Roma e Niamey dà molto fastidio al presidente Macron.
Geografia
Il territorio del Sahel consiste, prevalentemente, in deserto e si estende dall'Oceano Atlantico fino al Corno d'Africa, passando dagli Stati dell'Africa Centro Settentrionale quali:
Il Sahel, nel corso della storia, è stata la terra in cui si sono sviluppati alcuni dei più avanzati e potenti regni del continente africano, indicati spesso come Regni saheliani
Il Sahel è un'area ad alto tasso di desertificazione. Le popolazioni che abitano il Sahel si trovano a fronteggiare le emergenze alimentari connesse all'approvvigionamento idrico della zona, molto carente a causa della perenne siccità. La principale causa dell'elevato rischio di desertificazione è la costante mancanza d'acqua, per cui la terra, completamente secca, erosa e mossa dal vento, si trasforma in sabbia, ma anche l'opera dell'uomo con le sue coltivazioni intensive ha contribuito al fenomeno.
È possibile, da un punto di vista tecnico, frenare l'avanzata del deserto: ciò, in parte, è stato realizzato creando una zona verde. Interventi di questo genere, tuttavia, richiedono mezzi, e quindi disponibilità economiche, che allo stato attuale non sono neanche in minima parte in possesso degli Stati del Sahel. In alcuni casi agricoltori locali, come Yacouba Sawadogo, sono riusciti a proporre interventi di agricoltura tradizionale che hanno permesso di ripristinare arbusti e alcune coltivazioni di graminacee in aree limitate.
Clima, suoli e risorse idriche
Il clima è tropicale secco (arido e semi-arido) con precipitazioni annuali da 200 a 600 mm, concentrate tra giugno e settembre-ottobre, con picco in agosto e da 20 a 60 giorni di pioggia all'anno. Occorrono forti variazioni stagionali e inter-annuali della pluviometria e gravi siccità ricorrenti. I mesi più caldi sono aprile e maggio, quando si registrano massime medie oltre i 40 °C. Le minime si hanno in dicembre e gennaio, con valori raramente inferiori ai 10 °C. L'umidità dell'aria varia da meno di 40% durante la stagione secca a 70% in stagione delle piogge[8].
I suoli sono prevalentemente sabbiosi, giallo-rossastri e leggermente acidi (5<ph<6) e con bassa ritenzione idrica. Nelle depressioni si possono riscontrare suoli neri argillosi (vertisuoli). I suoli sono poveri in fosforo, azoto e sostanza organica.[9] Secondo l'Organizzazione per l'agricoltura e l'alimentazione (FAO), il 90 per cento dei pascoli e oltre l'80 per cento dei terreni agricoli sarebbe degradato a causa del disboscamento, del sovrappascolo e dell'espansione e l'intensificazione delle attività agricole[10].
Non esistono fiumi endogeni. Alcuni fiumi esogeni hanno un ruolo importante per l'agricoltura e l'allevamento: il Senegal in Mali, Mauritania e Senegal; Niger in Mali, Niger, Burkina Faso e Nigeria; il sistema Logone-Chari in Ciad ed il Nilo ed i suoi affluenti in Sudan. L'acqua di falda profonda è scarsa ed i pozzi hanno portate limitate, con poche eccezioni[11].
Vegetazione, uso del suolo e sistemi di produzione
La savana nel Sahel si compone generalmente di due elementi principali: uno strato erbaceo dominato da piante annuali, soprattutto graminacee, ed uno strato arbustivo o arboreo alto fino a dieci metri, con densità variabile da 100 a 400 piante per ettaro. La flora, la vegetazione e i pascoli non presentano forti variazioni geografiche andando verso occidente, nonostante le grandi distanze. Ciò si deve alla grande omogeneità del clima, della geomorfologia, dei suoli, e del loro uso. Per contro, il gradiente positivo nord-sud del clima e della vegetazione è fortemente marcato (indicativamente, le precipitazioni aumentano di circa 1 mm per km da nord a sud). Si distinguono nel Sahel il sistema pastorale e quello agropastorale, sedentario o semi-sedentario, che combinano agricoltura e allevamento[12][13]. Per il Sahel si adotta spesso la suddivisione seguente, rispondente a criteri fitogeografici, ecologici ed agropastorali:[14][15]
- la zona sahariano-saheliana, con pluviometria annuale compresa tra 100 e 200 mm;
- la zona saheliana tipica, con pluviometria annuale compresa tra 200 e 400 mm;
- la zona sahelo-sudanese, con pluviometria annuale compresa tra 400 e 600 mm.
Nella zona sahariano-saheliana, la stagione piovosa dura non più di un mese e mezzo. In questa zona non si praticano attività agricole se non in forma oasistica (cereali, ortaggi e fruttiferi). Essa permette da 30 a 40 giorni di pascolo annuale per ettaro con un carico animale di una UBT (Unità Bestiame Tropicale, corrispondente ad un bovino di 250 kg[16]) per 10-12 ettari. Vi praticano il pastoralismo nomade e transumante vari gruppi etnici: i Mauri in Mauritania, Senegal and Mali; i Tuareg in Mali, Burkina Faso e Niger; i Fulani in Senegal, Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Nigeria; i Teda in Ciad; gli Zaghawa, i Baggara, ed i Kabbabish in Sudan. Il sistema pastorale, dominante in questa zona con mandrie relativamente importanti di bovini e piccoli ruminanti, si basa esclusivamente sullo sfruttamento estensivo delle risorse naturali, senza impiego di fattori esterni, salvo in annate con deficit foraggeri importanti. In questo sistema è essenziale la mobilità degli allevatori e delle mandrie alla ricerca di acqua e pascoli durante la lunga stagione secca ed in caso di siccità prolungate.
La zona saheliana tipica è caratterizzata da una savana ricca di acacie spinose. Il manto erboso è prevalentemente costituito da essenze annuali, utilizzate come pascolo dagli stessi gruppi etnici che insistono sulla zona più a nord. Lo strato arboreo ed arbustivo costituisce una risorsa pabulare importante, in particolare durante la stagione secca essa quando rappresenta la sola fonte di proteine e di carotene. Complessivamente, questa zona permette il pascolo per 80 - 100 giorni all'anno per ettaro, corrispondente ad un carico di una UBT per cinque ettari. Con risultati produttivi mediocri e irregolari, vi si coltivano cereali (miglio e sorgo), in particolare nelle zone di deflusso. Il sistema agropastorale, sedentario o semi-sedentario, sviluppato in questa zona, si basa sullo sfruttamento estensivo delle risorse pabulari con mandrie di più ridotta consistenza che beneficiano però di integrazioni alimentari aziendali (residui colturali, foraggi) e/o extra-aziendali; A causa della crescente pressione antropica, queste coltivazioni si vanno espandendo, ovviamente a spese dei pascoli.
Nella zona saheliano-sudanese, la stagione piovosa dura tre o quattro mesi. Qui la savana è dominata da piante legnose della famiglia delle Combretacee e da erbacee annuali, associazione che consente 150 giorni di pascolo all'anno con un carico animale possibile di 3,5 ettari per UBT. È questa un'area di conflitto tra le etnie pastorali e quelle sedentarizzate di agricoltori (gli Ouolof e i Sérèr in Senegal, i Malinke, i Bambara ed i Songhai in Mali; i Songhai, gli Jerma e gli Houassa in Niger, gli Haoussa in Nigeria; i Kanouri in Ciad e in Sudan). Le colture principali sono il miglio, il sorgo e il dolico. In questa zona prevale il sistema agropastorale sedentario. Nelle zone urbane o semi-urbane, ma anche nelle vicinanze di villaggi si praticano il sistema intensivo o semi-intensivo di ingrasso o di produzione lattiera, con stabulazione permanente o temporanea durante alcuni mesi, e l'orticoltura familiare.
Economia
Agricoltura
I sistemi di coltivazione messi a punto dall'agricoltura tradizionale nel corso dei secoli si basavano sulla disponibilità quasi illimitata di terreno coltivabile ed un uso estensivo delle risorse. Un'agricoltura itinerante esercitata da popolazioni disperse su ampi spazi che faceva conto sulla rigenerazione naturale della fertilità del suolo o tutt'al più ricorso al maggese ed alla fertilizzazione degli animali al pascolo. D'altro canto, le rotazioni, suscettibili di incrementare la fertilità dei suoli e dunque delle rese, sono impossibili da realizzare laddove le condizioni ambientali non permettono che una scelta molto limitata di colture[17].
Nel Sahel, i sistemi agro-pastorali sono poco produttivi a causa delle scarse precipitazioni e della povertà dei suoli, gravemente degradati dalla pressione antropica[18] e l'agricoltura rimane asciutta, di sussistenza ed estensiva, dipendente dall'incostanza del clima e poco rispettosa dell'ambiente[19]. Inoltre, questa regione è soggetta ad invasioni periodiche da parte delle locuste, che causano importanti danni alle colture ed al manto vegetale.[20] La produzione agricola è strutturalmente deficitaria nelle zone sahariane, eccedentaria in quelle sudano-saheliane e aleatoria nella zona saheliana tipica.[21].
Colture pluviali come miglio, sorgo e dolico rappresentano gli alimenti base della popolazione mentre l'arachide ed il cotone sono le principali colture commerciali. L'agricoltura dipende quasi completamente dalla pioggia durante tre o quattro mesi l'anno, eccetto lungo i principali fiumi, laghi e i corsi d'acqua stagionali, dove si possono produrre ortaggi e riso in irriguo[22]. Con acqua di falda, si coltivano frumento, frutta e ortaggi nelle oasi delle zone saharo-saheliane. Il sistema di deflusso si pratica nelle depressioni umide e lungo i fiumi, dove le piante utilizzano l'acqua immagazzinata nel suolo e della fertilizzazione limosa[23].
Le colture pluviali (miglio e sorgo tra i cereali, dolico e arachide tra le leguminose, e sesamo tra le oleaginose) si seminano generalmente al verificarsi delle prime piogge utili su terreno non sempre arato ed erpicato e quasi mai fertilizzato, e beneficiano talvolta di una o due sarchiature. Il cotone, che si coltiva in seccagno e talvolta in irriguo, è fertilizzato in quanto coltura commerciale. Il riso si coltiva in irriguo, per sommersione, si semina o si trapianta in epoche diverse secondo le zone e si coltiva utilizzando tecniche moderne (semente selezionata, preparazione del terreno, fertilizzazione, controllo delle infestanti). Sono irrigati anche gli ortaggi (quelli tradizionali sono cipolla, melanzana, pomodoro, peperone, gombo). I fruttiferi comprendono mango, papaia, guava. I prodotti esportati comprendono cotone, alcuni ortaggi e manghi[24].
Allevamento
Nel Sahel, l'allevamento è tradizionalmente estensivo, ma, con la crescita demografica e l'aumento del consumo individuale, evolve lentamente[25]. La maggior parte del bestiame è allevato con sistemi nomadi o transumanti con le mandrie che passano la stagione secca al sud e si spostano verso i pascoli settentrionali durante la stagione delle piogge[26].
Le mandrie sono composte di bovini, caprini, ovini e dromedari. Il bovino tipico è lo zebù, rappresentato da tre specie: Saheliano, Gobra e M'Bororo. Il peso varia da 250 nelle vacche a 400 kg nei tori. Il montone del Sahel e quello del Massina (da lana) sono le specie più rappresentate. Le razze caprine comprendono la capra del Sahel e la Rossiccia di Maradi, la Zaghawa e la Toposa. Esistono numerose specie di dromedari che prendono il nome dalle aree di origine (del Tibesti, del Manga, dell'Adrar, del Gandiol, ecc.)[27].
Oltre alle perdite per deficiente alimentazione foraggera ed idrica, rimangono alte quelle per motivi sanitari, specialmente per gli animali più giovani (malattie infettive, parassiti, carenze nutrizionali). Laddove i fattori ambientali, alimentari e sanitari sono più sfavorevoli, la mortalità può sfiorare tassi di mortalità del 20%[28]. A livello regionale, nonostante il parco bestiame sia in continuo aumento, la produzione zootecnica non soddisfa la crescente domanda e si prevede che questo deficit aumenti[29].
Note
Note
- ^ Anteprima “Fronte del Sahara” - rivista italiana di geopolitica - Limes
- ^ Anteprima “Fronte del Sahara” - rivista italiana di geopolitica - Limes
- ^ Informazione Corretta
- ^ Mauritania: Attentato Suicida Contro Ambasciata Francese - Adnkronos Esteri
- ^ a b Il Sahel fuori controllo - rivista italiana di geopolitica - Limes
- ^ Adopting Resolution 2071 (2012), Security Council Demands That Armed Groups Cease Human Rights Abuses, Humanitarian Violations in Northern Mali
- ^ http://www.corriere.it/esteri/13_gennaio_11/Mali-Holland-esercito-francese-inizia-intervento_586afff4-5c17-11e2-b348-07f13d8a1ca0.shtml
- ^ H.N. Le Houerou, The Rangelands of the Sahel, H.N. Journal of Range Management S (l), January 1980, Allen Press (Lawrence, KS, USA) and Society for Range Management (Littleton, CO, USA), p. 41. https://journals.uair.arizona.edu/index.php/jrm/article/viewFile/7010/6620
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- ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Crop–livestock production systems in the Sahel – increasing resilience for adaptation to climate change and preserving food security, da Proceedings of a Joint FAO/OECD Workshop Building Resilience for Adaptation to Climate Change in the Agriculture Sector, Rome 23–24 April 2012, p. 262 e segg. http://www.fao.org/docrep/017/i3084e/i3084e.pdf
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- ^ Serigne Tacko Kandji, Louis Verchot, Jens Mackensen, Climate Change and Variability in the Sahel Region: Impacts and Adaptation Strategies in the Agricultural Sector, UNEP & ICRAF 2006, p. 2. http://www.unep.org/Themes/Freshwater/Documents/pdf/ClimateChangeSahelCombine.pdf
- ^ L'agriculture au Sahel Evolution sur les 20 dernières années, p. 2.
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- ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Opera citata, p. 278.
- ^ A. Ickowicz, V. Ancey, C. Corniaux, G. Duteurtre, R. Poccard-Chappuis, I. Touré, E. Vall and A. Wane, Opera citata, p. 265.
- ^ Appello dell'UNICEF
- ^ Sahel, un milione di bambini malnutriti - Corriere.it
- ^ Comunicato di Medici Senza Frontiere
Bibliografia
- Edmond Bernus, "Points cardinaux: Les critères de désignation chez les nomades touaregs et maures", Bulletin des Etudes africaines de l'Inalco vol. 1, nº2, 1981, pp. 101–106 (testo in pdf)
- Lieutenant Brosset, "La rose des vents chez les nomades sahariens", Le Saharien 89 (juin 1984), pp. 11–20.
- Eugène Fromentin, Sahara et Sahel. Une année dans le Sahel, Paris, E. Plon, 1887.
Voci correlate[
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