Con il termine Zen (禅) ci si riferisce a un insieme di scuole buddhiste giapponesi che derivano per dottrine e lignaggi dalle scuole cinesi del Buddhismo Chán a loro volta fondate, secondo la tradizione, dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Per questa ragione talvolta si definisce Zen anche la tradizione cinese Chán, ma anche le tradizioni Sòn coreana e Thiền vietnamita.
Etimologia del termine Zen (禅)
Zen è la pronuncia nipponica del carattere cinese 禅. Nella manualistica occidentale questo carattere quando viene trascritto in caratteri latini per riportare la sua pronuncia cinese, seguendo il metodo
pinyin viene indicato come
Chán o in
Wade-Giles Ch'an. È da tenere presente, tuttavia, che
Chán (e
Ch'an) (pronunciato [tʂʰǎn]) è la restituzione del carattere in
cinese, lingua ufficiale della
Repubblica popolare cinese, derivata a sua volta dal
dialetto di Pechino. Tuttavia il carattere 禅 in
cinese medio veniva, probabilmente, pronunciato come [d͡ʑiᴇn]. Ed è molto probabile che i maestri cinesi dei pellegrini giapponesi, nonché i missionari cinesi della scuola
Chán giunti in Giappone intorno al XIII secolo, pronunciassero questo carattere in cinese medio, da qui la resa in giapponese di
Zen.
Questo termine è dunque un prestito linguistico dalla
lingua cinese media, e fu utilizzato fin dalla prima introduzione del
Buddhismo in
Cina per rendere foneticamente il termine
sanscrito dhyāna ("visione") che nell'insegnamento del
Buddha indicava i graduali stati di coscienza caratterizzati da profonda comprensione che scaturiscono dall'esercizio del
samādhi, ossia la concentrazione meditativa raggiunta con la
meditazione di calma (
Samatha, in giapponese
shi, "stare fermi") e anche con quella di
consapevolezza (
Vipassana, in giapponese
kan, "contemplare"), da cui la meditazione seduti praticata nel chán/zen (ma anche nel
Tendai),
shikan/shikantaza ("sedere in shikan")
[1], definita poi, nelle scuole zen giapponesi, nella tipica postura dello
zazen ("sedere in zen").
[2][3]
In seguito la parola
dhyana, in diverse forme composte, qui sempre restituite in
cinese come
chánsēng (禪僧, monaco meditante) e
chánshī (禪師, maestro di meditazione) divenne una definizione generica per una categoria di religiosi che si dedicavano specialmente alla meditazione. Sembra che in questo ambito sia nata la tradizione e che adotterà questo termine come vera e propria denominazione specifica del proprio lignaggio (cinese:
Chánzōng, giapponese:
Zenshū 禅宗, la tradizione/scuola del Buddhismo Zen).
Origini e diffusione
L'ingresso al tempio Eihei-ji, il tempio principale della scuola
Zen Sōtō fondato, da
Dōgen nel 1244, nei pressi di
Echizen.
Le scuole del Buddhismo Zen derivano per lignaggi, dottrine e testi strettamente (anche se con delle specifiche evoluzioni) da quelle del
Buddhismo Chán fondato in
Cina dal leggendario monaco indiano
Bodhidharma, che faceva risalire il proprio lignaggio direttamente al Buddha, tramite il discepolo
Mahākāśyapa. Furono trasferite nell'arcipelago giapponese da monaci
Tendai di ritorno dai loro viaggi in
Cina. Oppure, successivamente, trasferite da monaci cinesi missionari in
Giappone. L'introduzione del Buddhismo Zen, come scuola autonoma, in
Giappone ha avuto un processo piuttosto sofferto. Tali difficoltà non si riscontrarono tanto nel trasferimento di dottrine, testi e lignaggi quanto piuttosto nel rendere autonomo lo Zen dalla scuola
Tendai.
Il primo lignaggio Zen: Saichō e la scuola Gozu
Saichō (767-822), il fondatore del
Buddhismo Tendai, introdusse nel IX secolo in
Giappone anche gli insegnamenti del
Buddhismo Chán Beizōng (北宗, Scuola settentrionale) ricevendo, sempre in
Cina, anche il lignaggio della scuola
buddhista Chán denominata
Niútóuchán (anche 牛頭宗,
Niútóu zōng), fondata da
Fǎróng (594-657), che scomparirà dalla
Cina pochi decenni dopo ma che egli trasferirà in
Giappone come scuola
Gozu (牛頭宗,
Gozu shū). Le dottrine
Chán erano quindi regolarmente studiate e praticate sul
Monte Hiei, sede della scuola
Tendai, fin dal IX secolo.
Nel XII secolo, il monaco
tendai Eisai (1141-1215) studiò il
Chán durante il suo secondo soggiorno in
Cina, sotto la guida del maestro
Xuan Huaichang (虛庵懷敞, giapp. Kian Esho, date sconosciute), appartenente al ramo
Huánglóng (黃龍, giapp.
Ōryū) della denominazione
Línjì (臨濟, giapp.
Rinzai). Tornato in
Giappone, ebbe difficoltà a insegnare tali dottrine al di fuori del contesto curricolare tradizionale previsto dal principale monastero
Tendai, l'
Enryaku-ji. Nonostante questo,
Eisai non uscirà mai dalla scuola
Tendai. Un primo tentativo di una scuola autonoma
Zen fu compiuto da un altro monaco
tendai,
Dainichi Nōnin (大日能忍, morto nel 1196?)
[4] che inviati due discepoli in
Cina, ottenne il lignaggio cinese
[5] dal maestro
Zhuan Deguang (1121–1203) a sua volta erede del Dharma del maestro di denominazione
Linji,
Dahui Zonggao (大慧宗杲, 1089–1163)
[6] fondando la
Daruma shū (達磨宗). Un tentativo finito piuttosto male se consideriamo che, nel 1194, un decreto imperiale proibirà le sue dottrine e distruggerà la sua scuola con i suoi monasteri
[7]. Dopo gli importanti tentativi di
Eisai e di
Dainichi Nōnin, miglior successo lo ottenne
Enni Ben'en (圓爾辯圓, anche Shōichi Kokushi, 1201-1280) altro importante monaco
tendai che studiò il
Chán dapprima sul
Monte Hiei, poi durante un pellegrinaggio in
Cina da dove fu il primo a trasferire il ramo
Yōgi (楊岐, cin.
Yángqí) della denominazione
Linji, appreso sotto il maestro cinese
Wúzhǔn Shīfàn (無準師範, giapp. Bujun Shipan o Bushun Shihan, 1177–1249).
L'arrivo dei maestri cinesi e la fondazione dei primi templi Zen
Se neanche
Enni Ben'en si distaccò dalla scuola
Tendai, il fatto che ricoprisse il ruolo di abate del prestigioso monastero
Tōfuku-ji (東福寺)
[8], a
Kyoto, diede grande prestigio alle dottrine Zen da lui insegnate. Ormai i tempi erano maturi perché alcuni maestri cinesi del
Chán potessero giungere in
Giappone:
Lánxī Dàolóng (溪道隆, giapp. Rankei Dōryū, 1213-1278 ), fondatore, nel 1253, del monastero Kenchō-ji (建長寺) a
Kamakura;
Wùān Pǔníng (兀菴普寧, giapp. Gottan Funei, 1197–1276), vissuto solo 4 anni in
Giappone, dove ricoprì il ruolo di abate del tempio
Kennin-ji (建仁寺), fondato da Eisai a
Kyoto nel 1202;
Dàxiū Zhèngniàn (大休正念, giapp. Daikyū Shōnen, 1214–1289), che fondò il monastero
Kinpōzan Jōchi-ji (金宝山浄智寺) a
Kamakura; infine
Wúxué Zǔyuán (無學祖元, giapp. Mugaku Sogen, 1226–1286), che fu l'abate del monastero
Engaku-ji(円覚寺) a
Kamakura.
Dōgen e i primi lignaggi autonomi dal Tendai
Nello stesso periodo, un altro monaco
tendai nonché discepolo di
Eisai,
Dōgen (1200-1253), anche lui di ritorno dalla
Cina dove aveva studiato sul
Monte Tiantong (天童山
Tiantong shan) sotto la guida del maestro, di denominazione
Caódòng, (曹洞)
Rujing (如淨, 1163-1228), ottenne il certificato di "illuminazione" e il lignaggio di trasmissione (傳法, cin.
chuánfǎ, giapp.
denpō) della scuola Chán
Caódòng. Tornato in
Giappone nel 1225,
Dōgen si trasferirà nel 1230 nel tempio
Anyo-in (安養院) alla periferia di
Kyoto, consumando una frattura definitiva con la scuola
Tendai e fondando la scuola giapponese
Zen Sōtō[9].
La diffusione dello Zen in Occidente
È difficile stabilire quali siano stati i primi approfonditi contatti tra occidentali e il Buddhismo Zen. I flussi di immigrazione ed emigrazione tra i diversi continenti avviatisi in modo massiccio sul finire del XIX secolo hanno consentito lo scambio di idee e culture non solo materiali. Il primo episodio di conversione formale di un occidentale al Buddhismo Zen lo si registra tuttavia nel 1906 quando la moglie di Alexander Russel avvia la prima pratica formalmente registrata di
zazen e
koan con il maestro Zen giapponese
Shaku Sōyen (釈 宗演, 1859–1919) giunto a Chicago nel 1893 su invito di circoli cristiani che promossero, in quell'anno, il
World's Parliament of Religion. Shaku Sōyen ebbe modo di conoscere, in quella occasione, i coniugi Russel e fu da questi invitato a tornare negli
Stati Uniti nel 1905. Dopo Shaku Sōyen giunsero i suoi discepoli:
D.T. Suzuki (鈴木 大拙 Suzuki Daisetsu, 1870–1966) nel 1899,
Shaku Sokatsu (1869–1954) nel 1906 e
Senzaki Nyogen (千崎 如幻, 1876-1958) nel 1905. Fu tuttavia il discepolo di
Shaku Sokatsu,
Sasaki Shigetsu (meglio conosciuto come Sokei-an, 佐々木 指月-曹渓庵, 1882—1945) a fondare a
New York, nel 1931, la Buddhist Society of America (poi ridenominata come
First Zen Institute) che seguì fino alla sua morte nel 1945. Negli stessi anni operava, ma a
San Francisco e a
Los Angeles,
Senzaki Nyogen che fondò diversi gruppi di meditazione Zen aperti ai giovani americani. Grande influenza sulla cultura occidentale la ebbe
D.T. Suzuki attivo negli Stati Uniti dal 1897 al 1909 e poi durante gli anni cinquanta. Egli operò a
LaSalle (Illinois), come traduttore e studioso, per la casa editrice
Court Publishing Company di proprietà del cittadino americano di origini tedesche
Paul Carus (1852‑1919), già conoscente dello stesso
Shaku Sōyen. È comunque nel Dopoguerra che il Buddhismo Zen prende piede negli Stati Uniti, grazie anche al movimento
beat. Bisognerà tuttavia aspettare la fine degli anni sessanta per vedere i primi maestri zen occidentali, tra questi vanno ricordati:
Richard Zentatsu Baker (1936, di scuola
Soto) attivo a
San Francisco,
Philip Kapleau (1912–2004, di scuola
Sanbo Kyodan anche detta scuola di
Harada Yasutani, sintetizza sia le dottrine
Soto che quelle
Rinzai) attivo a
Rochester e
Robert Aitken (1917, anche lui di scuola
Sanbo Kyodan), attivo ad
Honolulu. In Europa va ricordata l'opera del monaco di scuola
Soto,
Taisen Deshimaru (1914-1982) che fu tra i primi, sul finire degli anni sessanta a
Parigi, a raccogliere intorno alla sua figura discepoli europei molti dei quali poi ordinati monaci.
Le scuole del Buddhismo Zen
Un autoritratto di
Hakuin Ekaku (1686-1769), importante riformatore della scuola
Zen Rinzai (Eisei Bunko Museum, Tokyo).
Le scuole del Buddhismo Zen, pur con delle differenze, conservano tutte la centralità della pratica meditativa denominata
zazen (座禅), una minore attenzione allo studio dei
sutra e una cura particolare (presente peraltro anche nelle altre scuole) nei confronti della trasmissione del "lignaggio" (戒脈, cin.
jiè mài, giapp.
kai myaku) che procede, secondo questa tradizione, mediante l'
ishin denshin (以心傳心, cin.
yǐxīn chuánxīn, trasmissione "da mente a mente")
[10] ovvero da maestro a discepolo senza l'utilizzo delle parole, ovvero per tramite di una intuizione improvvisa che genera l'illuminazione profonda (悟, cin.
wù, giapp.
go o
satori). Le scuole Zen
Rinzai e
Sōtō sono, unitamente all'associazione laica di derivazione
Nichiren Soka Gakkai, le scuole buddhiste giapponesi più diffuse oggi in
Occidente.
Scuola Zen Rinzai (臨濟宗, Rinzai shū)
La scuola
Rinzai deriva dalla denominazione Línjì (臨済) del
Buddhismo Chán. Il primo a trasferire dottrine e lignaggi di questa scuola fu il monaco giapponese d scuola
Tendai Eisai di ritorno dal suo secondo viaggio in
Cina. Dopo essere stata a lungo inglobata nella scuola
Tendai, lo Zen Rinzai divenne una scuola autonoma a partire dal XIII secolo. Questa separazione si realizzò proprio grazie ai maestri cinesi di scuole
chán línjì (臨済),
Lánxī Dàolóng, fondatore, nel 1253, del monastero
Kenchō-ji a
Kamakura;
Wùān Pǔníng, abate del tempio
Kennin-ji a
Kyoto;
Dàxiū Zhèngniàn che fondò il monastero
Kinpōzan Jōchi-ji a Kamakura; infine
Wúxué Zǔyuán che fu l'abate del monastero
Engaku-ji a
Kamakura. Questi maestri, che furono per lo più invitati dalle autorità di governo giapponese, insegnarono lo Zen Rinzai con le relative dottrine e pratiche esattamente come era impartito nella
Cina del XIII secolo. Con gli
shogun Ashikaga lo Zen Rinzai ottenne ulteriori riconoscimenti e protezioni da parte del governo. Dopo aver subìto influenza dalla scuola Zen Obaku, fu riformata da
Hakuin Ekaku (白隠慧鶴, 1686-1769) il quale eliminò le pratiche
nenbutsu proprie della scuola Obaku, centrando le dottrine e le pratiche Rinzai sullo studio dei
kōan e sullo
zazen. Tutti i maestri Zen Rinzai conservano oggi nel loro lignaggio il nome di
Hakuin.
Scuola Zen Sōtō (曹洞宗, Sōtō shū)
Questa scuola fu fondata dal monaco
tendai Dōgen (道元, 1200-1253) quando nel 1230, trasferendosi nel tempio
Anyo-in (安養院) alla periferia di Kyoto, avviò la separazione con la scuola
Tendai. La dottrina di questa scuola è riportata nell'opera di Dōgen, lo
Shōbōgenzō (正法限蔵, La Custodia della Visione del Vero Dharma) e consiste nella pratica dello
zazen secondo la modalità denominata
shikantaza (只管打坐, Solo sedersi). Oggi questa è la scuola Zen più importante del Giappone con circa quindicimila templi e trentuno monasteri. Appartenente a questa scuola fu
Haku'un Yasutani (安谷白雲, 1885-1973), fondatore della
Sanbō-Kyōdan (三宝教団) una scuola Zen che cerca di coniugare il Sōtō con il Rinzai e che si è diffusa in Occidente.
Scuola Zen Fuke (普化宗, Fuke shū)
Un monaco Zen
fuke (
komusō) con il caratteristico copricapo mentre suona il flauto
shakuhachi in una stampa del 1867.
La scuola Zen Fuke origina da un movimento di ex
samurai itineranti denominati
komusō (虚无僧, lett. monaco della
vacuità). I monaci
komusō, già di osservanza
Rinzai, vivevano di elemosine suonando il flauto
shakuhachi (尺八), indossando un cappello fatto di canne che gli oscurava buona parte del volto, questo rappresentava la loro pratica meditativa denominata
suizen (吹禪). La scuola Zen Fuke vantava le sue origini dal monaco cinese di scuola
chán Pǔhuà (普化, giapp.
Fuke) vissuto durante la
Dinastia Tang da cui la scuola prende il nome.
Pǔhuà, contemporaneo e stretto amico di
Línjì Yìxuán(臨済義玄, giapp. Rinzai Gigen, ?–866), fu un maestro dai comportamenti iconoclasti e gioiosi, uso a camminare cantando al suono di una piccola campana. Secondo questa tradizione la scuola Fuke fu portata in Giappone da Shinchi
Kakushin (心地覺心, 1207–1298); secondo gli studiosi
[11] invece tale scuola nacque in Giappone durante l'
Era Tokugawa. Vietata dal Governo imperiale nel 1871 la scuola scomparve. Testo storico di questa scuola fu il
Kyotaku Denki (虚铎传记, Campana della vacuità) opera del XVIII secolo.
Scuola Zen Ōbaku (黃檗宗, Ōbaku shū)
La scuola Zen Ōbaku è una delle tre scuole Zen esistenti oggi in Giappone. La sua nascita la si deve al monaco cinese
chán di tradizione
Línjì (臨済),
Yǐnyuán Lóngqí (隱元隆琦, giapp. Ingen Ryūki, 1592-1673) giunto in Giappone nel 1654. Questa scuola è molto simile allo
Zen Rinzai conservando tuttavia alcune peculiarità cinesi proprie del suo fondatore. Innanzitutto una maggiore attenzione ai sutra rispetto alla scuola Rinzai versata principalmente allo studio dei
kōan, in secondo luogo alla pratica del
nenbutsu tipiche della scuole della
Terra Pura già inserite in Cina nella scuola
Chán da
Zhū Hóng (株宏, 1535-1615) nel XVI secolo; infine l'osservanza dei precetti del
Cāturvargīya-vinaya (四分律
Shibunritsu) e non solo quelli del
Brahmajālasūtra (梵網經
Bonmō kyō) come è tradizione invece per le scuole Zen
Rinzai e
Sōtō e per la scuola
Tendai. Influenzò profondamente la scuola
Rinzai fino a quando la riforma attuata da
Hakuin Ekaku (白隠慧鶴, 1686-1769) non eliminò dalla scuola
Rinzai la pratica del
nenbutsu a favore del solo studio dei
kōan e della pratica dello
zazen.
I fondamenti dello Zen
La dottrina buddhista Zen si fonda, come lo stesso
Buddhismo Chán da cui strettamente deriva, sul rifiuto di riconoscere autorità alle scritture buddhiste (
sutra). Questo non significa che lo Zen rigetti le scritture buddhiste. Anzi, alcune di esse come il
Sutra del Cuore, il
Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra o lo stesso
Laṅkāvatārasūtra, sono spesso utilizzate durante le funzioni religiose e nella formazione dei discepoli.
Dōgen Zenji (道元禅師, 1200-1253), fondatore giapponese della scuola
Zen Sōtō (曹洞宗
Sōtō-shū) ebbe a dichiarare nella sua opera fondamentale, lo
Shōbōgenzō:
« Il Sutra del Loto è il re dei sutra: riconoscetelo come il vostro grande maestro. Comparato a questo sutra tutti gli altri si pongono soltanto come suoi contenuti, perché esso soltanto esprime la Verità ultima. Gli altri presentano soltanto insegnamenti provvisori, non le vere intenzioni del Buddha. » |
(Dōgen, Shōbōgenzō[12]) |
L'unica autorità che il Buddhismo Zen riconosce e su cui fonda il proprio insegnamento è tuttavia la particolare esperienza che viene indicata come 悟 (
satori o
go, "Comprensione della Realtà") o anche 見性 (
kenshō, "guardare la propria natura di Buddha" ovvero "attualizzare la propria natura 'illuminata'"). Questa esperienza non viene semplicemente identificata come "intuizione" quanto piuttosto come una esperienza improvvisa e profonda che consente la "visione del cuore delle cose" la quale risulta essere identica alla "
natura di Buddha" (佛性
busshō). Tale "natura di Buddha" è la natura di tutta la realtà, del cosmo e del Sé e corrisponde alla stessa
vacuità (空
kū) indicata dall'
Ensō(円相), un
simbolo dalla forma circolare tra i più significativi dello Zen. Il
satori, essendo un'esperienza transitoria che pure cambia la mente e può essere ripetuto, non corrisponde esattamente al
nirvāṇa obiettivo delle scuole del
Buddhismo dei Nikaya: se quest'ultimo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, il
satori è una forma di
bodhi che si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo anche se percepito nella sua dimensione di
vacuità.
(EN)
« Essentially Satori is a sudden experience, and it is often described as a ‘turning over’ of the mind, just as a pair of scales will suddenly turn over when a sufficient amount of material has been poured into one pan to overbalance the weight in the other. »
| (IT)
« Il satori è essenzialmente un’esperienza improvvisa, e spesso viene descritto come un capovolgimento della mente, proprio come improvvisamente ruota l’asse della bilancia quando mettiamo nel piatto un peso superiore a quello dell’altro piatto. »
|
(Alan Watts, The Spirit of Zen. A way of life, work and art in the Far East. New York, Grove Press, 1958, pp. 65 e 68) |
Lo Zen evita la speculazione intellettuale e si distingue anche dalle altre scuole buddhiste
mahāyāna per aver reso centrale la pratica meditativa (
zazen) nelle sue forme di
shikantaza (meditazione sul respiro, la mente e la vacuità, effettuata da seduti) o accompagnata dallo studio dei
kōan.
L'importanza dello zazen e di non fraintenderlo è stata trattata da diversi maestri in molti koan e storie zen, ad esempio:
« Maestro Nangaku si recò dal maestro Baso e chiese: «Adesso, grande monaco, quale la sua intenzione nel praticare zazen?» Baso Do-itsu rispose: «Voglio diventare un buddha». Nangaku Ejo afferrò un pezzo di tegola e si mise a levigarla su di una pietra davanti alla capanna di Baso. Baso Do-itsu disse: «Maestro! Cosa sta facendo?» Nangaku Ejo rispose: «Sto levigando questa tegola per farne uno specchio». Baso Do-itsu disse: «Come mai si potrebbe fare uno specchio con una tegola?» Nangaku Ejo rispose: «Come mai si potrebbe fare di sé un buddha praticando zazen»? Baso Do-itsu rispose: «Cosa bisogna fare, allora?» Nangaku Ejo disse: «Quando un uomo viaggia in vettura, se la vettura non va avanti, cosa deve fare? Picchiare la vettura, o picchiare i buoi che la trascinano?» Baso Do-itsu rimase senza risposta. Nangaku Ejo insegnò in più: «Imparare zazen è imparare che sei un buddha in zazen. Quando si impara zazen, è diverso del comportamento quotidiano come sedere o coricarsi. Eppure, quando si impara di essere un buddha in zazen, quel buddha sta al di là di ogni forma fissa». » |
(Eihei Dōgen, Shinji Shôbôgenzô, 8[13]) |
« Questo koan è abitualmente interpretato nel senso che non è possibile diventare un buddha unicamente con la pratica di zazen. Ma l'interpretazione di maestro Dogen era diversa assai. Egli attacca proprio l'idea del diventare intenzionalmente. Quando ci si siede in zazen, si è già un buddha.[14] » |
Molti maestri
chán/zen (ad esempio
Línjì Yìxuán o
Ikkyū Sōjun) si caratterizzarono anche per la loro
iconoclastia, volta a scardinare le convenzioni religiose e le rigidità mentali a queste sottese
[15]. Collegate allo Zen è possibile inoltre trovare numerose pratiche appartenenti a campi eterogenei. Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo Zen ispirò la poesia (
haiku), la cerimonia del tè (
cha no yu o chadō), l'arte di disporre i fiori (
ikebana), l'arte della calligrafia (
shodō), la pittura (
zen-ga), il teatro (
Nō), l'arte culinaria (
zen-ryōri,
shojin ryōri,
fucha ryōri) ed è alla base delle arti marziali (es.
aikidō,
karate,
jūdō), dell'arte della spada (
kendō) e del tiro con l'arco (
kyūdō).
Principali monasteri Zen in Giappone
- Zen Rinzai
- Kencho-ji - Kenchojiha - 8, Yamanouchi, Kamakura-shi, Kanagawa
- Nanzenji - Nanzenjiha - Nanzenji, Fukuchi-cho, Sakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
- Daitoku-ji - Daitokujiha - 53, Murasakino, Daitokuji-machi, Kitaku, Kyoto-shi, Kyoto
- Myōshin-ji - Myōshinjiha - 64, Hanazono, Myōshinji-machi, Ukyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
- Zen Sōtō
- Eihei-ji - Sōtōshū - Eihei-ji-cho, Yoshida-gun, Fukui
- Sōji-ji - Sōtōshū - 2-1-1, Tsurumi, Tsurumi-ku, Yokohama-shi, Kanagawa
- Zen Ōbaku
Note
- ^ Zhìyǐ. Tóngméng Zhǐguān
- ^ Watanabe Toshirō (渡邊敏郎), Edmund R. Skrzypczak, and Paul Snowden, eds. (2003), Kenkyusha's New Japanese-English Dictionary (新和英大辞典), 5th edition, Kenkyusha, p. 1125.
- ^ Fischer-Schreiber, Ingrid; Schuhmacher, Stephan; Woerner, Gert (1989). The Encyclopedia of Eastern Philosophy and Religion: Buddhism, Hinduism, Taoism, Zen, p, 321
- ^ Il pensiero di Dainichi Nōnin, riportato nell'opera del suo allievo Kakuan (覚晏), lo Shin'yō teiji (心要提示), influenzerà profondamente la successiva opera di Dōgen che, tuttavia, accuserà, insieme ad Eisai, Dainichi Nōnin di "contraddizione" in quanto se da una parte aveva rigettato le pratiche esoteriche (mikkyō) del Tendai in favore delle dottrine Chán, dall'altra aveva anche rifiutato la pratica meditativa, aspetto principale del Chán cinese.
- ^ La ragione di non essersi recato lui di persona in Cina e di non aver quindi ricevuto direttamente il lignaggio fece sì che questo non venne mai riconosciuto in Giappone.
- ^ Autore dello Zhèngfǎyǎn zàng (正法眼藏, giapp. Shōbōgenzō) conosciuto come lo Shōbōgenzō cinese.
- ^ Solo un gruppo di suoi seguaci resistette nel monastero Tendai Hajaku-ji, nella remota provincia dei Echizen (oggi Prefettura di Fukui), fino al 1241 quando aderiranno alla scuola Sōtō fondata da Dōgen.
- ^ Costruito nel 1236 secondo i voleri di Fujiwara Michiie, patrono Enni Ben'en, come luogo di pratica Tendai, Shingon e Zen, divenne presto un tempio della scuola Zen Rinzai e risulta oggi il tempio Zen più antico del Giappone.
- ^ Oltre a queste personalità occorre ricordare che nello stesso periodo operavano Shinchi Kakushin (心地覺心 , 1207–1298), che introdusse in Giappone una delle più importanti collezioni di gong'an cinesi, il Wúmén guān (無門關, giapp. Mumon kan, Il passo di frontiera di Wumen, raccolta di quarantotto gong'an della scuola Chán, T.D. 2005.48.292c-299c, composto nel 1228 in 1 fascicolo da Wumen Huikai, 無門慧開, 1183-1260), e Nampo Jōmin(南浦紹明, conosciuto anche come Daiō Kokushi, 1235–1308), che ricevette il lignaggio dal maestro Xūtáng (虛堂, 1185–1269) e da cui si sviluppò il monastero Zen Rinzai Daitoku-ji(大徳寺).
- ^ Il carattere 心 (xīn, xin primo tono) significa cuore (sanscrito: hṛd) ma, anticamente in Cina, si riteneva che questo fosse l'organo del pensiero e quindi significava anche mente pensante (sanscrito: citta); decisamente impropria è invece la traduzione occorsa in alcuni casi di "anima" o "essenza" (sanscrito: atman) è noto infatti che le scuole Chan, come tutte le scuole Mahayana, ne denunciano l'inconsistenza.
- ^ Cfr., tra gli altri, James H. Sanford. Shakuhachi Zen: The Fukeshū/Komusō Monumenta Nipponica, Vol. 32, No. 4, Winter 1977, pp. 411-440.
- ^ Tokyo, Nakayama Shobo, 1983, 4, p.40
- ^ Il koan origina in realtà da un altro, più antico, in lingua cinese, cfr. John McRae, Seeing Through Zen. Encounter, Transformation, and Genealogy in Chinese Chan Buddhism, The University Press Group Ltd, 2003, p.81
- ^ Nishijima, Master Dogen's Shinji Shobogenzo, 2003
- ^
« By the middle of the ninth century, sensitized to the recursive danger of imposing a means-end structure on the relationship between Buddhist practice and Buddhist enlightenment, a significant number of Chan communities had adopted a critical and iconoclastic stance toward the gradualism of a Buddhist establishment that insisted on disciplined study and practice as a necessary precursor to expressing one’s own, originally enlightened and enlightening nature. This stance was graphically epitomized by Linji’s (d. 866) denunciation of Buddhist scriptures as “hitching posts for donkeys” and his fierce insistence that true practitioners must be ready even to “kill ‘Buddha’” en route to becoming “true persons of no rank,” responding to each situation as needed to improvise an enlightening turn in its dynamics. » |
(Peter D. Hershock, Public Zen, Personal Zen: A Buddhist Introduction. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2014, pos. 66/277) |
« But rather than turning to the historical Buddha as a model, he took the route of personally exemplifying the at times shocking capacity for relating freely that featured so prominently in the recorded encounter dialogues and kōans attributed to such Tang dynasty Chan masters as Mazu, Huangbo, and Linji. In turn dismayed and angered by what he saw as the decadent aestheticism and almost fetishistic desire for power that shaped life in both gozan and rinka temples, Ikkyū came to feel a special kinship with Linji and his iconoclastic disdain for convention. But whereas Linji seems to have maintained a relatively uncontroversial monastic lifestyle, Ikkyū went well beyond rhetorical iconoclasm, making a shambles of both monastic and social convention. » |
(Peter D. Hershock, Public Zen, Personal Zen: A Buddhist Introduction. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2014, pos. 200/277) |
Bibliografia
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Voci correlate