Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
lunedì 24 aprile 2017
domenica 23 aprile 2017
Le 7 razze radicali e i sette corpi sottili secondo la successione degli Yuga
Fonti:
Hack the Matrix http://www.hackthematrix.it/?p=12505?p=12505
Secondo il “Libro di Dzyan”, i primi uomini della Terra erano discendenti dai Celesti o Pitris, venuti dalla Luna.
Il testo descrive l’evoluzione dell’uomo dalla prima razza fino alla quinta – la nostra – che si ferma alla morte di Krishna cinquemila anni fa. Scritto in una lingua assolutamente sconosciuta, il “senzar”, si dice che sia stato dettato agli Atlantidi da esseri divini. Il “Libro di Dzyan” parla delle dinastie atlantidi divine e ricorda i “re del Sole” che occupavano “troni celesti”.
Quest’epopea religiosa non potrebbe essere il ricordo distorto di extraterrestri, di Venusiani che si posarono sulla Luna e poi sulla Terra? I “re del sole” sono forse uomini dello spazio venuti a “colonizzare” la Terra su macchine spaziali?
Come è stato scoperto il “Libro di Dzyan”? Quali segreti nasconde? Presenta davvero dei pericoli per la nostra civiltà, come pretendono alcuni ricercatori? (…)
È alla fine del XVIII secolo che il mondo occidentale sente parlare per la prima volta del “Libro di Dzyan”. In quell’occasione, l’astronomo Bailly afferma che il manoscritto viene dalle Indie, ma che in effetti è stato scritto… sul pianeta Venere!
Nel XIX secolo, un altro Francese, Louis Jacolliot, si interessa del “Libro di Dzyan” che egli chiama “Le Stanze di Dzyan”. Ma la sventura sembra accanirsi contro tutti cloro che pretendono di possedere il manoscritto.
Per qualche anno i ricercatori – cedendo alla superstizione – rinunciano allo studio del manoscritto. Ma la questione torna alla ribalta con l’entrare in scena della famosa teosofa Elena Blavatsky
Nel XIX secolo, un altro Francese, Louis Jacolliot, si interessa del “Libro di Dzyan” che egli chiama “Le Stanze di Dzyan”. Ma la sventura sembra accanirsi contro tutti cloro che pretendono di possedere il manoscritto.
Per qualche anno i ricercatori – cedendo alla superstizione – rinunciano allo studio del manoscritto. Ma la questione torna alla ribalta con l’entrare in scena della famosa teosofa Elena Blavatsky
La Blavatsky fin dalla tenera eta, manifesta dei notevoli poteri psichici e medianici, tanto che la famiglia stessa, spaventata da queste sue particolari doti,cerca di farla sposare pensando che il matrimonio potesse assopire quella sua condizione cosi imbarazzante. Ma Elena fugge e raggiunge il porto di Odessa, dove si imbarca per Costantinopoli. Da lì passa in Egitto.
Al Cairo Elena vive con un mago di origine copta che le manifesta l’esistenza di un libro maledetto, dai poteri nefasti.»
Si trattava, naturalmente, del “Libro di Dzyan”, del quale Helena Blavatskij si mise alla ricerca e che finì per trovare, forse con l’aiuto di quei “Maestri occulti” tibetani dei quali ella ha parlato frequentemente, e sulla cui realtà e natura si dividono, su fronti opposti, coloro che la considerano una ciarlatana, e sia pure dotata di facoltà insolite e di una certa genialità istrionesca, e coloro che la considerano una autentica iniziata.
Tra questi ultimi, Paola Giovetti ricorda la testimonianza del colonnello Henry Steel Olcott, secondo il quale la donna scriveva le sue opere in un evidente stato di “trance” ipnotica; e aggiunge che ella sembrava “copiare” da un manoscritto visibile a lei soltanto; tanto più che, spesso, i brani da lei citati a memoria figuravano su libri estremamente rari, ad esempio reperibili solo presso la Biblioteca Vaticana o il British Museum.
Tra questi ultimi, Paola Giovetti ricorda la testimonianza del colonnello Henry Steel Olcott, secondo il quale la donna scriveva le sue opere in un evidente stato di “trance” ipnotica; e aggiunge che ella sembrava “copiare” da un manoscritto visibile a lei soltanto; tanto più che, spesso, i brani da lei citati a memoria figuravano su libri estremamente rari, ad esempio reperibili solo presso la Biblioteca Vaticana o il British Museum.
La descrizione del libro che ne viene fatta lo rappresenta con i suoi grandissimi fogli di colore nero e densi di simbolismi a caratteri d’oro zecchino; è un libro colossale, pesantissimo, chiuso alla maniera tibetana tra due spesse tavole, ma sono tavole di oro purissimo e magistralmente cesellate. Le “Stanze di Dzyan” è un Libro Sacro magnetico nel senso che, appoggiando il palmo della mano sinistra sui suoi simboli profondi e avendo l’animo e la mente completamente scevri da qualsiasi impurità, si vedono passare avvenimenti, si odono voci, si percepiscono segreti svelati.
Evoluzione cosmica e Antropogenesi
Il testo è diviso in due parti: la prima, Evoluzione cosmica, consta di 7 Stanze (capitoli) e 53 capoversi; la seconda,Antropogenesi, comprende 12 Stanze e 49 capoversi. La grande studiosa russa Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891),ha lasciato ottimi libri di commento sulle “Stanze di Dzyan” (La dottrina segreta), ma sono commenti e direttive prettamente esoterici; non è dato sapere del resto, se la Blavatsky, durante il suo ipotetico ingresso nel Tibet nascosto, abbia potuto prendere visione del Libro Sacro oppure ne abbia potuto assaporare il contenuto soltanto da una copia (non integrale) durante il suo soggiorno in India.
Il testo è diviso in due parti: la prima, Evoluzione cosmica, consta di 7 Stanze (capitoli) e 53 capoversi; la seconda,Antropogenesi, comprende 12 Stanze e 49 capoversi. La grande studiosa russa Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891),ha lasciato ottimi libri di commento sulle “Stanze di Dzyan” (La dottrina segreta), ma sono commenti e direttive prettamente esoterici; non è dato sapere del resto, se la Blavatsky, durante il suo ipotetico ingresso nel Tibet nascosto, abbia potuto prendere visione del Libro Sacro oppure ne abbia potuto assaporare il contenuto soltanto da una copia (non integrale) durante il suo soggiorno in India.
Analizziamo alcuni passi riguardanti l’Antropogenesi interpretandoli in modo concreto, senza i soliti misticismi; così operando otterremo una visione davvero sorprendente su meravigliose e remote descrizioni concernenti la non più misteriosa comparsa dell’uomo sulla Terra.
La discesa di Esseri dallo spazio cosmico, la loro divinizzazione, i loro terrificanti combattimenti con Esseri mostruosi che popolavano questo pianeta e, cosa estremamente valida e importante, i loro vari tentativi di creare una Razza a loro immagine e somiglianza, abbastanza funzionante sul pianeta Terra: Una Razza scaturita da vari esperimenti basati sull’ingegneria genetica.
Questa è l’Antropologia spaziale o Antropologia cosmica; una scienza d’avanguardia che è un atto di coraggiosa rottura con gli studi e le teorie sino ad ora formulati sul mistero dell’origine dell’uomo. Antropologia cosmica significa immagazzinare, registrare ed elaborare un’infinità di elementi, un turbine di avvenimenti in un vortice di concrete possibilità; significa mettere ordine tra le righe di antichissimi testi e saper ben leggere tra le righe, cogliere significati occulti di fatti storici o religiosi per ottenere così una chiara visualizzazione mentale sul passato remoto dell’Uomo. (…)
Queste doverose, brevi premesse, prima di cominciare lo studio di alcune descrizioni contenute nell’Antropogenesi delle “Stanze di Dzyan”: diremo ancora che il termine “Dzyan” deriva certamente da “Dhyâni”, Dei planetari.
Formatori e costruttori che, assieme ai “Lhâ”, Dei celesti con poteri sovrumani e ai “Lhâmayn”, Dei risplendenti inferiori, misero ordine sul pianeta Terra e cominciarono a costruire le razze umane, alcune distrutte perché mal riuscite, fino a giungere alla Quinta Schiatta, che tuttora alberga sulla Terra.
La prima razza“Allora i costruttori, indossate le loro prime vestimenta, discendono sulla terra radiosa e regnano sugli uomini che sono loro stessi” (Stanza VII-7).
Soffermandoci sul termine ‘allora’, viene spontaneo osservare che trattasi di un’azione consequenziale, cioè il succo, il riepilogo, seguito da una decisione, di una lunghissima preparazione al disegno programmato da una civiltà planetaria, di colonizzare il pianeta Terra. L’interpretazione di questa frase suona così:
Soffermandoci sul termine ‘allora’, viene spontaneo osservare che trattasi di un’azione consequenziale, cioè il succo, il riepilogo, seguito da una decisione, di una lunghissima preparazione al disegno programmato da una civiltà planetaria, di colonizzare il pianeta Terra. L’interpretazione di questa frase suona così:
“Dopo la suprema decisione, i cosmonauti, che avevano il compito di formare una Razza umana, atterrarono sul pianeta Terra in pieno giorno e da quel momento essi sono capi e re della futura Razza terrestre da loro formata e costruita.”
I “Costruttori” erano scesi sulla Terra dopo che il Pianeta aveva subito sconvolgimenti catastrofici e dopo la comparsa di Razze mostruose sulla sua superficie.
“La ruota girò per trenta crore ancora… dopo trenta crore si rivolse… essa creò dal proprio grembo. Sviluppò uomini acquatici terribili e malvagi… I Dhyâni vennero e guardarono. I Dhyâni vennero dal lucente padre-madre, dalle regioni bianco latte, dalle dimore dei mortali immortali… essi furono malcontenti… non Rûpa adatti per i nostri fratelli del quinto. Non dimore per le vite… e le fiamme vennero. I fuochi con le scintille… I Lhâ dall’alto ed i Lhâmayn dal basso vennero. Essi uccisero le forme che avevano due e quattro facce. Combatterono contro uomini-capra e contro uomini dal capo di cane e contro gli uomini dal corpo di pesce” (Stanza II-6).
I primi esseri che furono creati o che già abitavano la terra, qui il testo non è chiaro,erano quindi, delle creature acquatiche definite “terribili”, i Dyhâni capirono che l’anima non si poteva incarnare in quel corpo grezzo, e vedendo che erano dannosi decisero di distruggere la loro creazione. Poi notiamo nel testo, che in quel tempo vi erano contemporaneamente più razze sulla terra, gli uomini-capra, gli uomini dalla testa di cane e gli uomini dal corpo di pesce, questi altri esseri non si capisce se siano stati creati dagli stessi oppure da altre razze di creatori, e quali siano i fini di quest’ ultimi, non è dato saperlo.
La descrizione che la Terra si ribaltò è quanto mai veritiera. Il papiro Haris (1.300 a.C.) fa riferimento ad una “catastrofe di fuoco e di acqua che provocò il rivoltarsi della Terra”; il papiro Ipuwer (1.250 a.C.) precisa che “il mondo prese a girare a rovescio come se fosse una ruota del vasaio e la Terra si è capovolta”; il papiro Hermitage (1.700 a.C.) afferma che “il mondo si è capovolto” e per finire l’antichissimo testo indù “Visuddhi Magga” sostiene che la terra venne “scrollata”, si capovolse e un ciclo del mondo ne rimase distrutto.
Dopo la prima e la seconda Razza, rispettivamente Esseri formati da un connubio tra appartenenti a un pianeta giallo e altri di un pianeta bianco nonché i prodotti “per germinazione ed espansione”, il Sacro Testo passa a descrivere la formazione della Terza e Quarta Razza.
La Terza Razza
“Il bianco cigno della volta stellata adombrò la grande goccia. L’uovo della Razza futura, l’uomo-cigno della Terza che venne più tardi. Prima maschio-femmina, poi uomo e donna…” (Stanza VI-22).
“Il bianco cigno della volta stellata adombrò la grande goccia. L’uovo della Razza futura, l’uomo-cigno della Terza che venne più tardi. Prima maschio-femmina, poi uomo e donna…” (Stanza VI-22).
La bianca costellazione del Cigno dunque, adombrava la Terra (Grande goccia), allorché fu costruita la Terza Razza che venne appunto chiamata Razza-Cigno; una Razza diretta discendente dall’Essere androgino. Infatti viene specificato che mentre prima esisteva l’Essere Maschio-Femmina (cioè bisessuale), dopo l’intervento si ebbe lo stesso Essere che era diventato due, cioè Uomo e Donna.
Ma ecco una descrizione più dettagliata:
“Gli animali si separarono per primi; essi cominciarono a far Razza. L’uomo duplice si separò pure. Egli disse: ‘Facciamo come loro, uniamoci e formiamo delle creature’. E così fecero… e generarono dei mostri. Una Razza di mostri deformi coperti di pelo rosso, che camminavano a quattro zampe. Una Razza muta perché l’onta non fosse narrata” (Stanza VIII, 31-32).
Questo secondo intervento dei “Formatori” e dei “Costruttori” fu quindi dapprima sperimentato sugli animali e poi sull’Essere androgino, che era sì intelligente ma come vedremo, non poteva dirsi “ragionevole”. Anche questo Essere, divenuto due, cominciò ad accoppiarsi come del resto facevano da tempo gli animali e diede origine a una Razza di Mostri, che camminavano a quattro zampe ed erano coperti di pelo rosso. “Una razza muta, perché l’onta non fosse narrata”!
I creatori cominciarono ad apporre ulteriori modifiche manipolando il DNA, e crearono la terza e quarta razza, chiamata l’uomo-cigno.
Quando si usa il termine “androgino”, non possiamo dire con certezza indicasse proprio la a-sessualità dell’essere stesso, o una questione puramente simbolica, per esprimere il concetto di un uomo non ancora immerso nella dualità.
Questi cominciarono ad accoppiarsi e a procreare.
Alcuni di loro si accoppiarono con animali o altri esseri presenti nel pianeta?,dando vita a esseri mostruosi e pelosi.
Secondo i nostri studi, questi esseri mostruosi dal pelo rosso, sono ancora esistenti nel nostro pianeta, o almeno dei discendenti di questa razza, sono conosciuti con il nome di bigfoot, e vivono all’interno della terra, ma in un altra dimensione;
ogni tanto vengono avvistati in prossimità di grandi foreste, questi tramite tunnel sotterranei, riescono a risalire in superficie. Le migliaia di avvistamenti di questi esseri non possono essere frutto di fantasia, sicuramente sono dei superstiti di quei tempi lontani.
Quando si usa il termine “androgino”, non possiamo dire con certezza indicasse proprio la a-sessualità dell’essere stesso, o una questione puramente simbolica, per esprimere il concetto di un uomo non ancora immerso nella dualità.
Questi cominciarono ad accoppiarsi e a procreare.
Alcuni di loro si accoppiarono con animali o altri esseri presenti nel pianeta?,dando vita a esseri mostruosi e pelosi.
Secondo i nostri studi, questi esseri mostruosi dal pelo rosso, sono ancora esistenti nel nostro pianeta, o almeno dei discendenti di questa razza, sono conosciuti con il nome di bigfoot, e vivono all’interno della terra, ma in un altra dimensione;
ogni tanto vengono avvistati in prossimità di grandi foreste, questi tramite tunnel sotterranei, riescono a risalire in superficie. Le migliaia di avvistamenti di questi esseri non possono essere frutto di fantasia, sicuramente sono dei superstiti di quei tempi lontani.
La quarta razza
Dopo l’esperimento della Terza razza, ecco che le “Stanze di Dzyan” passano alla descrizione della formazione della Quarta:
“Vedendo la qual cosa i Lhâ, che non avevano costruito uomini, piansero dicendo: ‘Gli Amanâsa hanno disonorato le nostre future dimore…insegniamo loro meglio perché di peggio non avvenga…’; Così fecero. Allora tutti gli uomini divennero dotati di manas… La quarta razza sviluppò la parola” (Stanza IX, 33-34-35-36).
Questa volta non i Dyhâni ma i Lhâ, Dei celesti con poteri sovrumani, restarono delusi dalla riuscita di questo terzo esperimento che aveva generato degli Esseri “Amanâsa”, cioè senza “Manas”, senza mente. E allora corsero ai ripari: aggiunsero qualcosa per cui la Terza Razza svliuppò la parola e divenne così la Quarta razza che, se pur non proprio gradevole dal punto di vista estetico, divenne intelligente.
Ma ecco che l’intelligenza sviluppò evidentemente anche la malignità e la cattiveria per cui ricominciarono i guai:
“La Terza e la Quarta divennero gonfie di orgoglio: ‘Noi siamo i re, noi siamo gli dei’. Essi presero mogli belle a vedere. Mogli dai senza-mente, da quelli dal capo schiacciato: essi generarono dei mostri, demoni malvagi maschi e femmine, anche Khado, con piccole menti…”
(Stanza X, 40-41).
(Stanza X, 40-41).
Si deve quindi dedurre che la Terza Razza, mal riuscita, non fu annientata ma fu rifinita e modificata; tuttavia molti esemplari dovettero rimanere, specialmente donne, per cui da questi accoppiamenti si generò una Razza cattiva con la comparsa dei Khado, ovvero Esseri inferiori con piccole menti.
Ricapitolando:
dalla Terza Razza modificata (cioè dotata di mente) si ebbero due specie: una originata da accoppiamenti di appartenenti dalla Terza razza modificata e una originata da accoppiamenti della Terza modificata con donne della Terza non rifinita.
dalla Terza Razza modificata (cioè dotata di mente) si ebbero due specie: una originata da accoppiamenti di appartenenti dalla Terza razza modificata e una originata da accoppiamenti della Terza modificata con donne della Terza non rifinita.
Avvenne quindi che la Quarta Razza, invece di progredire, ottenne dei processi involutivi fisici e mentali rispetto alla dotazione del “Manas” difatti il senso della ragione, a poco a poco, fu adoperato sempre più per scopi immorali e malefici:
“Eressero templi al corpo umano. Essi adorarono il maschio e la femmina. Allora il terzo occhio cessò di funzionare…”
(Stanza X, 42).
“Eressero templi al corpo umano. Essi adorarono il maschio e la femmina. Allora il terzo occhio cessò di funzionare…”
(Stanza X, 42).
Il senso della ragione quindi, era servito esclusivamente ad erigere Templi al porto umano, ad abbrutirsi in una errata Religione e ad atrofizzarsi nel culto di se stessi: fu una Razza forte ma tuttavia malvagia, che dimenticò ben presto i propri Costruttori.
Fu questa la famosa Razza dei Giganti:
“Essi fabbricarono immense città. Fabbricarono con terre e metalli rari dei fuochi vomitati, della pietra bianca delle montagne e della pietra nera. Essi scolpirono le proprie immagini, della propria grandezza e somiglianza e le adorarono. Essi fabbricarono grandi immagini, grandi nove yati, statura del loro corpo…” (Stanza XI, 43-44).
Questa è la razza che si riferisce agli atlantidi, essi erano stati generati dalla terza razza, che venne a sua volta modificata, con interventi genetici per raffinare il corpo.
Questa razza aveva intelletto e grandi qualità spirituali, gli atlantidi nella Grecia antica, venivano raffigurati simbolicamente con la figura dei ciclopi, esseri giganti che disponevano di un occhio solo al centro della fronte, questo rappresentava simbolicamente la ghiandola pineale aperta, quindi il terzo occhio o occhio divino. Si narra anche che avevano la possibilità di vedere la propria anima all’interno del loro corpo, e che questa veniva percepita all’esterno come un bagliore.
Dopo l’epoca d’oro, questa civiltà si corruppe, o venne infiltrata, e frange che inseguivano il potere materiale presero il sopravvento, creando guerre e non dando ascolto alla saggezza che i divini creatori avevano impartito.
Avvenne la prima grande catastrofe, in cui venne usata un arma devastante, destinata prima ad un uso diverso,ora veniva usata per la morte. Questa arma sfuggi al controllo e distrusse quasi la terra.
La seconda catastrofe avvenne per una caduta di un asteroide, o l’inversione dei poli magnetici, che distrusse Atlantide inabissando Poseidonia la capitale provocando immense fratture terrestri, che poi diedero vita agli attuali continenti.
Questa razza aveva intelletto e grandi qualità spirituali, gli atlantidi nella Grecia antica, venivano raffigurati simbolicamente con la figura dei ciclopi, esseri giganti che disponevano di un occhio solo al centro della fronte, questo rappresentava simbolicamente la ghiandola pineale aperta, quindi il terzo occhio o occhio divino. Si narra anche che avevano la possibilità di vedere la propria anima all’interno del loro corpo, e che questa veniva percepita all’esterno come un bagliore.
Dopo l’epoca d’oro, questa civiltà si corruppe, o venne infiltrata, e frange che inseguivano il potere materiale presero il sopravvento, creando guerre e non dando ascolto alla saggezza che i divini creatori avevano impartito.
Avvenne la prima grande catastrofe, in cui venne usata un arma devastante, destinata prima ad un uso diverso,ora veniva usata per la morte. Questa arma sfuggi al controllo e distrusse quasi la terra.
La seconda catastrofe avvenne per una caduta di un asteroide, o l’inversione dei poli magnetici, che distrusse Atlantide inabissando Poseidonia la capitale provocando immense fratture terrestri, che poi diedero vita agli attuali continenti.
La catastrofe che distrusse Atlantide
“L’acqua minacciava la Quarta. Le prime grandi acque venero. Esse inghiottirono le sette grandi isole. Tutti i santi salvati, gli empi distrutti. Con questi, molti degli animali colossali prodotti dal sudore della terra…” (Stanza XI, 45-46).
Si fa quindi espresso riferimento ad una catastrofe avvenuta sul pianeta Terra nella notte dei Tempi, per cui potrebbe essere sia il ben noto Diluvio universale, sia la scomparsa del continente di Atlantide, sia la caduta di un immenso meteorite e sia l’esplosione e la disintegrazione di un intero pianeta del sistema solare (il pianeta mellon).
Qui ora vogliamo sottolineare un passo molto importante del libro:
Presero delle mogli piacevoli a vedersi. Donne prese tra coloro che erano sprovvisti di mente, dalle teste strette, e nacquero dei mostri, cattivi demoni, maschi e femmine, e anche dei Khado, con piccole menti.
Dal libro della Genesi:
“Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il SIGNORE disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni». In quel tempo c’erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi. Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il SIGNORE si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il SIGNORE disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del SIGNORE.”
Genesi 6:1-8
Genesi 6:1-8
Dal libro di Enoc:
“Dopo che i figli degli uomini si furono moltiplicati, nacquero loro in quei giorni belle e amabili figlie. Ma quando gli angeli, i figli del cielo, le videro furono presi dal desiderio per esse e parlarono fra loro: «Orsù scegliamoci delle mogli tra le figlie degli uomini e generiamoci dei figli»”
Enoc cap. 6
Enoc cap. 6
“ Costoro si presero moglie, ciascuno di loro se ne scelse una e cominciarono a frequentarle e a contaminarsi con esse, le ammaestrarono nelle arti magiche nelle formule di scongiuro, nel taglio di piante e radici e rivelarono le piante dotate di proprietà medicinali. Ma esse rimasero incinte e generarono giganti alti tremila cubiti che consumarono il prodotto degli uomini. Ma quando gli uomini non poterono più rifornirli di nulla, i giganti si rivoltarono contro di loro e li divorarono….”.
Enoc cap. 7: 1-4
Enoc cap. 7: 1-4
Dalla Terza Razza modificata (cioè dotata di mente) si ebbero due specie: una originata da accoppiamenti con appartenenti dalla Terza modificata e una originata da accoppiamenti della Terza modificata con donne della Terza non rifinita.
I testi sono simili, raccontano la stessa storia, è presumibilmente alcuni uomini della terza razza modificata (perfezzionata geneticamente affinché si incarnasse l’anima), si cominciarono ad accoppiare generando figli, questo erano i figli di Dio, altri invece si accoppiarono con delle donne non perfezzionate (in cui non si incarnava l’anima?), o un altra specie?, da qui nacquero dei figli malvagi “cattivi demoni”, chiamati nella bibbia anche nephelim, questi i figli degli uomini.
Quindi questi figli di Dio non erano angeli caduti o alieni come molti asseriscono,ma erano i discendenti della terza razza, che per un motivo che non sappiamo, cominciarono ad accoppiarsi con delle donne che vengono descritte con la testa stretta, e prive di mente, che a sua volta generarono una nuova specie di mostri.
Dal ceppo della terza razza modificata,si generarono due specie diverse, chiamati i figli di Dio e i figli degli uomini, questo concetto è bene espresso nello gnosticismo, e in molte altre antiche tradizioni esoteriche e religiose, in cui il mondo è diviso in figli della luce, esseri spirituali, e i figli dell’oscurita,esseri puramente materiali.
Noi presumiamo che la diversità non consiste nella razza specifica, ma nell’avere o no l’anima.
Restano ancora delle domande su chi fossero queste altre donne con la testa stretta, o se erano un altra specie?
Se erano un altra specie furono creati dagli stessi creatori, con gli stessi fini?
E questi figli degli uomini o nephelim sono ancora tra noi?
Noi presumiamo che la diversità non consiste nella razza specifica, ma nell’avere o no l’anima.
Restano ancora delle domande su chi fossero queste altre donne con la testa stretta, o se erano un altra specie?
Se erano un altra specie furono creati dagli stessi creatori, con gli stessi fini?
E questi figli degli uomini o nephelim sono ancora tra noi?
La quinta razza
“Pochi furono i superstiti. Alcuni fra i gialli, alcuni fra i bruni e i neri, alcuni fra i rossi rimasero. Quelli del colore della Luna erano partiti per sempre”.
“La Quinta prodotta dal gregge santo, restò; essa fu governata dai primi Re Divini. I Serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta, la istruirono e guidarono”.
(Stanza XII, 48-49).
La Quinta Razza, quella presente sulla Terra, sembra non abbia ricevuto alcun intervento di ingegneria genetica; è rimasta quella uscita malconcia, ma salva, da una catastrofe procurata. Una Razza che si avvaleva di alleanze e patti con gli Dei, visti i precedenti e fallimentari tentativi;
una Razza presumibilmente mista ad incroci con le stesse Divinità per cui potrebbero essere sorte due Stirpi: una direttamente apparentata con gli Esseri superiori ed una prettamente terrestre. Dimostrare questa ipotesi è difficile o quanto meno richiederebbe fiumi d’inchiostro (…).
“Pochi furono i superstiti. Alcuni fra i gialli, alcuni fra i bruni e i neri, alcuni fra i rossi rimasero. Quelli del colore della Luna erano partiti per sempre”.
“La Quinta prodotta dal gregge santo, restò; essa fu governata dai primi Re Divini. I Serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta, la istruirono e guidarono”.
(Stanza XII, 48-49).
La Quinta Razza, quella presente sulla Terra, sembra non abbia ricevuto alcun intervento di ingegneria genetica; è rimasta quella uscita malconcia, ma salva, da una catastrofe procurata. Una Razza che si avvaleva di alleanze e patti con gli Dei, visti i precedenti e fallimentari tentativi;
una Razza presumibilmente mista ad incroci con le stesse Divinità per cui potrebbero essere sorte due Stirpi: una direttamente apparentata con gli Esseri superiori ed una prettamente terrestre. Dimostrare questa ipotesi è difficile o quanto meno richiederebbe fiumi d’inchiostro (…).
Conclusione
Sulla terra migliaia di anni fa, una razza di “costruttori” entità angeliche ultradimensionali, venne su questo pianeta per dare il via all’esperimento dell’uomo.
Serviva un pianeta dove dare vita a un corpo fisico di tipo umano, simile alle fattezze degli stessi costruttori,in cui si potesse incarnare l’anima.
Nel libro si fa riferimento a più razze di costruttori, e tra questi una superiore a tutte le altre.
Apportarono più volte perfezionamenti al corpo fisico,e si denota chiaramente che questi esseri controllano da lontano ma con costanza, l’evoluzione spirituale dell’umanità. Dopo vari tentativi ed errori, riuscirono a creare un corpo fisico in cui la scintilla divina, l’anima, si potesse incarnare per fare le esperienze nel mondo materiale fisico, come volontà della grande energia creatrice, da cui si diramano tutte le anime.
Questo uomo venne creato prendendo come base un mammifero acquatico, di cui non si capisce se creato dagli stessi in un tempo precedente, o già esistente sul pianeta.
Su questo pianeta hanno convissuto contemporaneamente più razze e più specie diverse, come del resto affermano anche le pietre di ica e altri antichi reperti, in cui viene descritto che convivevano sulla terra più specie sia umane che di tipo rettiloide.
Non sappiamo però chi ha creato le une e chi le altre, o se sono gli stessi, e per quali fini, sappiamo però da molti resoconti storici, che vi sono state delle guerre combattute sia tra gli atlantidei stessi divisi in fazioni, sia atlantidei con altre specie sulla terra, sia guerre tra entità dimensionali.
Serviva un pianeta dove dare vita a un corpo fisico di tipo umano, simile alle fattezze degli stessi costruttori,in cui si potesse incarnare l’anima.
Nel libro si fa riferimento a più razze di costruttori, e tra questi una superiore a tutte le altre.
Apportarono più volte perfezionamenti al corpo fisico,e si denota chiaramente che questi esseri controllano da lontano ma con costanza, l’evoluzione spirituale dell’umanità. Dopo vari tentativi ed errori, riuscirono a creare un corpo fisico in cui la scintilla divina, l’anima, si potesse incarnare per fare le esperienze nel mondo materiale fisico, come volontà della grande energia creatrice, da cui si diramano tutte le anime.
Questo uomo venne creato prendendo come base un mammifero acquatico, di cui non si capisce se creato dagli stessi in un tempo precedente, o già esistente sul pianeta.
Su questo pianeta hanno convissuto contemporaneamente più razze e più specie diverse, come del resto affermano anche le pietre di ica e altri antichi reperti, in cui viene descritto che convivevano sulla terra più specie sia umane che di tipo rettiloide.
Non sappiamo però chi ha creato le une e chi le altre, o se sono gli stessi, e per quali fini, sappiamo però da molti resoconti storici, che vi sono state delle guerre combattute sia tra gli atlantidei stessi divisi in fazioni, sia atlantidei con altre specie sulla terra, sia guerre tra entità dimensionali.
Noi sappiamo che molte di queste specie sono sopravvissute fino ai giorni nostri, e vivono all’interno della terra in una dimensione diversa dalla nostra, (la terra cava), dove si sarebbero rifugiati prima della grande catastrofe, anche gli atlantidei rimasti fedeli alla luce, formando il regno di agartha insieme al consiglio dei 10 saggi, che governava Atlantide, formato da esseri di grande saggezza appartenenti ad altre dimensioni sicuramente i costruttori, tra di essi vi è il re del mondo, chiamato da molti esoteristi Melchisedec.
Essi sono i guardiani dell’evoluzione umana, e attendono la fine del ciclo previsto per risalire in superficie e ripristinare il regno della luce.
Secondo le nostre ricerche ci sarà una sesta razza sulla terra, ma questa volta non sarà modificata geneticamente, i maestri delle stelle ritornando riattiveranno alcune funzioni dell’uomo, funzioni psichiche e spirituali che sono state bloccate o ridotte a suo tempo, perché ancora non era pronto.
Secondo le nostre ricerche ci sarà una sesta razza sulla terra, ma questa volta non sarà modificata geneticamente, i maestri delle stelle ritornando riattiveranno alcune funzioni dell’uomo, funzioni psichiche e spirituali che sono state bloccate o ridotte a suo tempo, perché ancora non era pronto.
L’umanità quindi si appresta a finire un ciclo durato migliaia di anni, un grande ciclo cosmico, e sarà ora pronta a definire un nuovo percorso, caratterizzato non più dalla dualità ma di pace e di amore, in cui tutti gli esseri ritorneranno all’uno originario.
Naturalmente solo i destinati potranno accedere a questo nuovo orizzonte, chi non avrà una certa struttura spirituale, sarà annientato con lo stesso mondo disumano che ha alimentato e sostenuto.
Sono questi i figli degli uomini, i figli dell’oscurità, che periranno insieme ai loro padroni, coloro che credono di avere il potere su questo pianeta.
Naturalmente solo i destinati potranno accedere a questo nuovo orizzonte, chi non avrà una certa struttura spirituale, sarà annientato con lo stesso mondo disumano che ha alimentato e sostenuto.
Sono questi i figli degli uomini, i figli dell’oscurità, che periranno insieme ai loro padroni, coloro che credono di avere il potere su questo pianeta.
Abbiamo cercato con questo articolo, di riassumere il più possibile le nostre ricerche e i nostri studi, non entrando nel dettaglio di argomenti che risulterebbero infiniti, affinché sia semplice capire argomenti di tale complessità, ma di grande valore storico per l’umanità. Cercando di fornire dei dati e basi, da cui partire per effettuare una propria ricerca personale.
Hack the Matrix http://www.hackthematrix.it/?p=12505?p=12505
sabato 22 aprile 2017
I quattro Yuga: le età del mondo nella religione induista
Nella religione induista, l'evoluzione della Terra è divisa in quattro ere, o Yuga, che significa appunto «era» o «periodo di tempo del mondo».
Queste sono:
- Satya Yuga o Krita Yuga, l'età dell'oro;
- Treta Yuga, l'età dell'argento;
- Dvapara Yuga, l'età del bronzo;
- Kali Yuga, l'attuale età del ferro.
Complessivamente, insieme a periodi intermedi di "albe" e "crepuscoli" chiamati sandhi, i suddetti quattro Yuga formano un mahāyuga o chaturyuga ("grande era"), della durata di 12 000 anni divini, corrispondenti a 4.320.000 anni umani.[1][2] Una serie completa di mahāyuga forma a sua volta un kalpa.[3]
I nomi delle ere cosmiche derivano dall'antico gioco dei dadi, portato probabilmente dagli arii in India ed estremamente popolare (tanto che gli è addirittura dedicato un inno profano all'interno del Ṛgveda). Kŗta era il colpo migliore, Kali quello sempre perdente.
Sempre nell'ambito indù, tuttavia, un celebre guru di nome Sri Yukteswar, maestro del più noto Paramahansa Yogananda, ha sostenuto come i 12.000 anni divini siano da intendere in realtà come 12.000 anni effettivi, perché le quattro età andrebbero collegate ad un evento cosmico reale, cioè al periodo terrestre di precessione degli equinozi, della durata di 24.000 anni, diviso in una fase ascendente e una discendente di 12.000 anni ciascuna.[4] Secondo la sua Scienza sacra, scritta nel 1894, questi 12.000 anni sarebbero composti da:
- 4800 anni di età dell'oro, caratterizzati da armonia col piano divino;
- 3600 d'argento, caratterizzati dalla capacità di annullare il tempo;
- 2400 di bronzo, caratterizzati dall'annullamento dello spazio;
- 1200 di ferro, in cui prevalgono ignoranza e materialismo.
Il punto più alto raggiunto ultimamente dall'umanità sarebbe stato l'anno 11500 a.C., a partire dal quale sarebbe iniziata un'età dell'oro discendente, seguita da una d'argento e una del bronzo discendenti, fino ad una del ferro discendente cominciata nel 700 a.C. e terminata nel 500 d.C. Alle soglie del Medioevo dunque l'umanità avrebbe raggiunto il suo punto più basso, per ricominciare a percorrere una nuova età del ferro ma stavolta ascendente, conclusasi nel 1700.
A partire da questa data l'umanità avrebbe quindi già superato l'epoca oscura del Kali Yuga, e sarebbe entrata in un'età del bronzo o Dvapara Yuga a sua volta ascendente, contraddistinta da conoscenze innovative delle forze elettriche ed energetiche in grado di annullare lo spazio: Sri Yukteswar previde che «la materia si scoprirà essere energia» e che «il nostro Sole ha una stella gemella».[5] Seguiranno dal 4100 un'età d'argento ascendente, e dall'8900 una d'oro ascendente.[6]
Ogni era, secondo Sri Yukteswar che scrive nel 1894, è inoltre preceduta da un'«alba» o Sandhi, che nel caso dell'attuale Dvāpara Yuga, iniziato nel 1700, sarebbe durata fino al 1899, dopo il quale sarebbe cominciata l'età del bronzo vera e propria:
« Gli almanacchi indù non indicano correttamente che oggi [1894 d.C.] il mondo si trova nell'era del Dvāpara Sandhi. Gli astronomi e gli astrologi che compilano gli almanacchi, essendo stati fuorviati dalle annotazioni errate di alcuni studiosi di sanscrito (ad esempio Kulluka Bhatta) vissuti nell'oscura età del Kali Yuga, sostengono che la durata di tale yuga sia di 432.000 anni, che fino ad oggi (1894 d.C.) siano trascorsi soltanto 4.994 anni dal suo inizio e che ne debbano passare ancora 427.006. Una cupa prospettiva, fortunatamente inesatta!
[...] L'errore degli almanacchi venne individuato da alcuni esperti dell'epoca, i quali scoprirono che i calcoli degli antichi Rishi avevano fissato la durata di un Kali Yuga in soli 1.200 anni. Ma poiché il loro intelletto non era ancora sufficientemente evoluto, essi riuscirono soltanto ad individuare l'errore, ma non le cause che lo avevano determinato. Per risolvere il problema partirono dall'ipotesi che i 1.200 anni della durata effettiva del Kali Yuga non corrispondessero ai normali anni della nostra terra, ma andassero intesi come altrettanti anni divini (daiva, ovvero "anni degli Dèi"), suddivisi in 12 mesi daiva, ciascuno di 30 giorni daiva; un giorno daiva corrispondeva quindi a un normale anno solare della nostra Terra. Pertanto, secondo il parere di quegli esperti, i 1.200 anni del Kali Yuga equivalevano quindi a 432.000 anni terrestri. »
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(Swami Sri Yukteswar, The Holy Science, 1894 [7]) |
Note
- ^ Ogni anno divino dura 360 anni umani.
- ^ Abou Abdallah 2001, pag.54
- ^ Secondo alcune tradizioni 1.000 mahāyuga, secondo altre di meno.
- ^ Sri Yukteswar, La Scienza Sacra (1894), Astrolabio, 1993.
- ^ Poor Richard, Dwapara Yuga and Yogananda, pag. 10, 2007.
- ^ Nitamo F. Montecucco, Cyber. La visione olistica. Una scienza unitaria dell'uomo e del mondo, pag. 321, Roma, Mediterranee, 2000.
- ^ Trad. it. La scienza sacra, Roma, Astrolabio, 1993, pp. 25-27.
Bibliografia
- Albert Abou Abdallah, Roberto Sorgo, Religioni ieri e oggi: storia, idee, società, Milano, Franco Angeli, 2001, ISBN 88-464-3115-4.
- Sri Yukteswar, The Holy Science (1894), trad. it. La scienza sacra, Roma, Astrolabio, 1993 ISBN 978-88-340-1116-4.
Voci correlate
venerdì 21 aprile 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 61. Stregoneria a Casemurate: la maga Elvira predice il futuro di Riccardo
I Romagnoli sono superstiziosi, specie nelle campagne, dove sopravvive un approccio animistico alla dimensione del sacro, quasi che certe zone, come la Contea di Casemurate, fossero distanti dal mondo moderno tanto quanto lo può essere una tribù dell'Amazzonia.
Cristo non si è fermato solo a Eboli, ma anche qualche chilometro prima di Casemurate.
Il cristianesimo casemuratense è un paganesimo mascherato da venerazione dei santi come sostituto delle divinità naturali. Lo stesso concetto di sacerdozio è qualcosa di sciamanico e completamente scisso rispetto alla gerarchia cattolica, tanto che si verificano fenomeni del tutto eccezionali.
Per esempio, negli Anni Settanta, dopo la morte del vecchio parroco, per un lungo periodo, la Curia non riuscì a trovare un sostituto, perché quella zona era considera "pagana e ostile", una "terra di missione" che era diventata infine una missione impossibile.
Durante il lungo periodo in cui la sede del parroco rimase vacante, la messa fu officiata da una donna sposata che non aveva preso alcun tipo di ordine religioso.
Il vescovo, stranamente, fece finta di non accorgersi di nulla, come se ciò che accadeva a Casemurate fosse da considerare un unicum irripetibile.
Solo le donne andavano a messa, e solo le più vecchie.
Inutile dire che erano superstiziosissime e praticavano ancora riti pagani di origine celtica e addirittura si dedicassero alla magia.
Conoscere queste anziane maghe era un'esperienza oscillante tra l'antropologia culturale e il neo-spiritualismo della New Age.
Riccardo Monterovere ebbe modo di conoscere una vera strega casemuratense di nome Elvira, che viveva in un casolare diroccato nei pressi della confluenza del fosso Torricchia nel torrente Bevano.
Questa Elvira, di cui nessuno ricordava il cognome o la data di nascita, pareva essere esistita da sempre, dal momento che anche i più anziani l'avevano conosciuta da bambini.
Doveva aver superato i cent'anni, eppure sembrava ancora in salute e attribuiva questa longevità sana alle erbe che coltivava nel suo enorme orto o che raccoglieva nei prati o nei rivali di fossi e torrenti.
Le sue qualità di erborista erano famose e riconosciute da tutti, tanto che la maggior parte del reddito dell'Elvira derivava dalla vendita delle erbe curative, comprese quelle illegali, tipo la cannabis o i funghi allucinogeni, di cui lei stessa faceva ampiamente uso.
Affinché le sue erbe fossero più efficaci, le piantava e le raccoglieva in date ben precise, coincidenti con particolari festività.
Per esempio raccoglieva l'iperico soltanto nella Notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, da cui il nome di Erba di San Giovanni.
Ma l'Elvira non si limitava all'attività erboristica.
Celebrava i riti propiziatori nelle date stabilite dagli antichi Galli Senoni e poi riprese con altro nome dai Romani e dai cattolici.
Per esempio la celebrazione della Candelora con fiaccolate lungo i campi e candele aromatiche fuori dalla finestra, coincideva con l'antica festività celtica di Imbolc, il primo febbraio, che nel calendario cattolico coincide con la ricorrenza di Santa Brigida, la quale aveva sostituito, nell'immaginario dei Celti, la dea Brigid, protettrice dei druidi e dei guaritori.
Allo stesso modo erano festeggiati i solstizi e gli equinozi.
In corrispondenza con la festività celtica di Samhain, divenuta la notte di Ognissanti, si preparavano letti in più per i morti e si mettevano le candele dentro le zucche ben prima che la moda di Halloween arrivasse in Italia.
L'Elvira era in grado di praticare sia la magia bianca che la magia nera: poteva scacciare il malocchio oppure operare una fattura, su richiesta di qualche comare, e dietro lauto pagamento.
Secondo alcuni che si erano rivolti a lei, tra cui Ida Braghiri (che era ritenuta una apprendista dell'Elvira) la strega aveva persino il potere di evocare i demoni e le anime dei morti, ed era molto abile come medium, specie durante le sedute spiritiche.
Aveva inoltre le classiche abilità di chiaroveggenza, praticate sia in forma oracolare quando era in trance, sia in forma pratica attraverso gli oroscopi, la chiromanzia e la conoscenza dei Tarocchi.
C'era infine una sua peculiare abilità, che le aveva permesso di arricchirsi personalmente, tramite l'interpretazione dei sogni per decidere su quali numeri scommettere per il Lotto.
A volte, quando Riccardo la raggiungeva in segreto, l'Elvira gli dava prova dei suoi poteri.
Gli dava un pezzo di carta, gli diceva di strapparlo e poi di tenerlo stretto nel pugno, mentre lei formulava un rituale. Al termine Riccardo apriva la mano e il foglio era tornato intatto.
Gli dava anche dei foglietti con scritti alcuni numeri e se per caso li avesse sognati, allora doveva giocarli al Lotto. La pratica funzionò alcune volte, finché i genitori di Riccardo non intervennero vietando al ragazzo ogni contatto con la strega.
A distanza di decenni, il ricordo dell'Elvira rimaneva vivo e forte nella memoria del rampollo dei Monterovere, tanto da mantenere accesa in lui una specie di sensitività che si traduceva in premonizioni efficaci e in un interesse per la dimensione del soprannaturale.
Il ricordo più nitido riguardava una delle ultime visite che Riccardo aveva fatto, in segreto, all'Elvira, pochi anni prima che lei morisse.
Era già un adolescente quando chiese alla vecchia maga di predirgli il futuro.
Fu un errore dovuto a una sottovalutazione di certi poteri.
<<Ne sei sicuro? Il futuro può essere predetto, ma non può essere cambiato. E' un grande peso con cui convivere>>
Riccardo, scioccamente illuso che nel suo futuro ci sarebbero state solo cose belle, non aveva paura, e dunque la curiosità prevalse.
<<Sono disposto a sopportare questo peso>>
La strega Elvira annuì:
<<Sia come vuoi tu>>
Fu un lavoro lungo.
La maga studiò il suo oroscopo in base al giorno e all'ora della nascita, poi gli lesse le mani e le carte.
A un certo punto rivolse gli occhi chiari verso di lui, e lo guardò con aria diversa, con un misto di riverenza e compassione.
Alla fine disse:
<<Felice sarà la prima parte della tua vita, fino ai 35 anni.
Poi ci sarà un rovescio di fortuna, che ti toglierà tutto ciò che avrai di più caro. Una dopo l'altra, tutte le cose care ti saranno tolte.
E nessuno ti capirà, poiché solo chi attraversa questo tipo di esperienza può comprendere quanto male faccia. Ma tutto questo dolore un giorno ti sarà utile.
Quando non avrai più lacrime e ti sentirai prosciugato, allora sopraggiungerà l'Illuminazione.
La via del dolore e del sacrificio risveglia sempre una consapevolezza superiore.
La tua mente si aprirà ad una conoscenza più elevata.
Sarà come un'Iniziazione e i Misteri che apprenderai ti porteranno a conoscere verità superiori a quelle che, nel linguaggio dei Tarocchi, stanno dietro agli Arcani Maggiori.
Per questo io li chiamo gli Arcani Supremi, i più grandi segreti dell'universo. Spetterà a te decidere se divulgarli o meno, poiché questo è il tuo vero destino: diventare un Veggente e conoscere una nuova visione del mondo.
Vivrai a lungo, tanto a lungo che un giorno implorerai la morte di ricordarsi di te.
Vedrai i grandi cambiamenti del mondo, ma vedrai anche tutto il mondo che ami tramontare e svanire nel nulla. E capirai che è possibile vivere troppo a lungo, eppure sceglierai di vivere, perché sei troppo curioso del futuro.
La curiosità compensa il dolore, e tu apprenderai tutto ciò che c'è da sapere. E' successo così anche per me. Succede così a tutti i Sapienti e i Veggenti.
Imparerai tuo malgrado: è la regola>>
Riccardo ci rimase male:
<<Ma io non voglio diventare niente di tutto questo! Io voglio diventare una persona normale, fare quello che fanno le persone normali...>>
La vecchia si adirò:
<<Non mentire! So bene che cosa vuoi! Tu sei uno che non si accontenta! Sei come tuo nonno Ettore: ambizioso e insaziabile. Ma ciò che otterrai sarà molto più prezioso e varrà mille volte il prezzo che dovrai pagare.
Guarda la linea della vita nella tua mano: è molto lunga, ma frastagliata, specie dopo quel segno a metà strada. Questo indica le tribolazioni che ti trasformeranno in un Iniziato, nella seconda parte della tua vita. E più tu cercherai di cambiare questo responso, più creerai le condizioni affinché esso si verifichi>>
giovedì 20 aprile 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 60. Ettore Ricci e la trappola dei lupi
Un giorno, uscendo dall'asilo, Riccardo Monterovere trovò ad aspettarlo, al posto dei genitori, il nonno materno Ettore Ricci, con la sua vecchia automobile, una Prinz Sport NSU del '67.
La guida di Ettore era piuttosto spericolata e la macchina incominciava a risentirne.
<<Oggi ti porto in giro con me>> dichiarò laconico il vecchio.
<<Ma dove?>>
<<Lontano>>
Si inoltrarono in una valle e arrivarono ai piedi delle colline, in un posto dove c'era una vecchia baracca adibita a capanno da caccia.
La zona intorno era completamente selvaggia.
<<Questa era la casa di un mio vecchio zio pazzo, un certo Remigio. In realtà non era pazzo, ma faceva finta di esserlo, perché così poteva dire tutto quello che gli pareva senza temere le conseguenze.
Un esempio fu quello che disse al circolo fascista quando venne in visita il camerata Baroncini. Nel bel mezzo del discorso di questo gerarca, lo zio Remigio saltò su ed esclamò in dialetto. "Viva Baroncini, che con un'arenga us fa magné una stmana!" (Viva Baroncini, che con un'aringa ci fa mangiare per una settimana).
Ovviamente Baroncini non apprezzò la battuta e gridò: "Al confine!".
Poi però gli dissero che Remigio era pazzo e il gerarca lasciò correre.
Tutto questo per dire che noi Ricci siamo gente schietta, non come gli Orsini, che non prendono mai posizione neanche sotto tortura!>>
A settant'anni, Ettore Ricci era un ometto arzillo, sempre con la battuta pronta, anche se la sua fibra non era più quella di una volta: il viso sembrava una prugna secca, il naso era pieno di venuzze violacee, il ventre era tormentato da calcoli alla cistifellea e da un'ernia inguinale, ma lui rifiutava qualunque tipo di intervento, per scaramanzia.
Consapevole del tempo che passava, sentiva il bisogno di trovare un erede per il suo impero, e per questo cercava di conoscere meglio i suoi tre nipoti, per stabilire quello che gli sembrava più idoneo e incominciare a istruirlo con i suoi insegnamenti.
<<Vengo a caccia qui da oltre trent'anni. Ci sono fagiani in abbondanza e anche cinghiali. Devi stare attento al cinghiale: può essere pericoloso come un toro imbufalito. Se ti punta da vicino, meglio dargli una mela da mangiare per distrarlo.
Oh, e poi ci sono anche i lupi da queste parti>>
Riccardo ascoltava affascinato:
<<Cosa facciamo se ci assale un branco di lupi?>>
Ettore ebbe un guizzo compiaciuto agli occhi, come se attendesse proprio questa domanda per rivelare una verità profonda:
<<I lupi non attaccano mai gli uomini direttamente, e mai da soli. Aspettano la notte e li sorprendono nel sonno, in branco. Ma io ho inventato una trappola per difendermi da loro>>
Il nipote era scettico:
<<Davvero?>>
Il nonno annuì:
<<Bisogna fissare dei coltelli a dei pali, e poi spalmarli di miele. I lupi arrivano, attirati dall'odore dolce, e si mettono a leccare il miele, e continuano, perché gli piace troppo, senza accorgersi che la lama gli taglia la lingua. Poi quei poveri scemi ingordi incominciano la leccare il loro stesso sangue sulla lama, fino a morire dissanguati. Hai capito?>>
Riccardo inarcò le sopracciglia:
<<Credo di sì>>
Ettore si accigliò:
<<No che non capisci! E' una metafora! Persino un contadino come me, con la terza elementare, sa cos'è una metafora>>
Riccardo rimase a bocca aperta:
<<Cos'è una metafora?>>
Ettore sbuffò:
<<E' un paragone abbreviato. Pensavo che avresti intuito la cosa, ma potrei essermi sbagliato su di te. Mi sa che era meglio se mi portavo dietro Fabrizio. O Alessio, magari è lui quello più furbo tra i miei nipoti!>>
Riccardo si sentì punto sul vivo:
<<I lupi sono come gli uomini cattivi e la storia della trappola per i lupi è un avvertimento su come fare per difendermi da loro>>
Il nonno sorrise, impressionato:
<<Quando io non ci sarò più, tutti quei "lupi" si avventeranno sui miei eredi, per impadronirsi del patrimonio con minacce e intimidazioni.
Quel giorno, dovrai ricordarti di ciò che ti ho insegnato oggi: se vorrai salvarti da loro, dovrai attirarli in trappola con un'offerta ghiotta, a cui non possono resistere.
E più in generale, ogni volta che ti sentirai circondato dai nemici, non dimenticare mai di spalmare il miele sul coltello>>
mercoledì 19 aprile 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 59. L'anno dei tre Papi.
L'anticlericalismo accomuna i Romagnoli di qualunque opinione politica e ceto sociale, con l'eccezione di alcune bigotte intenzionate a rifarsi la verginità a suon di buonismo in salsa cattolica.
E' rarissimo, se non del tutto impossibile, che un Romagnolo di genere maschile possa essere avvistato in una chiesa a meno che non sia egli stesso il prete, oppure lo sposo o il defunto in un funerale, o al limite qualche parente o amico dello sposo o del defunto.
Ettore Ricci era a tal punto anticlericale che non andò nemmeno al funerale di sua madre, la maestra Clara, spentasi nel 1978 alla tenera età di 97 anni.
Si raccomandò tuttavia che il resto della famiglia ci andasse e manifestasse un adeguato cordoglio.
Ciò non impedì alle sorelle di Ettore, Carolina e Adriana, di prendersi vicendevolmente a male parole, borsettate ed unghiate in faccia, per una rivalità sorta in un tempo così remoto che esse stesse non sarebbero state in grado di spiegarne il motivo.
A tenere l'orazione funebre fu il Senatore Leandri, in quanto marito di una delle nipoti delle defunta, mentre la Signorina De Toschi si esibiva in uno dei suoi ruoli preferiti: quello della prefica.
Mentre si celebravano le esequie di Clara Ricci, i suoi figli maschi, Ettore, Aristide e Alberico si stavano cavando gli occhi vicendevolmente per spartirsi l'eredità materna, dal momento che l'anziana deceduta era stata l'inconsapevole prestanome per attività che qualche malalingua avrebbe potuto etichettare come prestito a tasso di usura.
Tra i fratelli Ricci volarono parole grosse, e non solo parole.
A impedire che la rissa finisse a coltellate furono due eventi concomitanti, ossia l'ingresso del piccolo Riccardo Monterovere, nipote di Ettore, e il fatto che quest'ultimo avesse acceso la televisione, giusto in tempo per ascoltare l'annuncio del rapimento di Aldo Moro.
Quell'evento rappresentò il più antico ricordo politico del piccolo Riccardo.
E come introduzione alla politica non fu proprio il massimo della positività, tanto che molti in seguito attribuirono a questo "imprinting" la colpa del suo pessimismo e del suo atteggiamento ferocemente critico nei confronti dei detentori del potere.
Alcuni si potrebbero chiedere come sia stato possibile che un bambino di tre anni potesse ricordare così distintamente quegli eventi.
Il fatto è che in famiglia tutti seguirono gli sviluppi del caso Moro con grande attenzione.
Ettore Ricci dichiarò che era evidente che <<Quella scimmia di Andreotti non muoverà un dito per salvare Moro>> e su questo tutti si trovarono concordi, tranne naturalmente il Senatore Leandri e la Signorina De Toschi.
Lo stesso discorso di papa Paolo VI risultò poco convincente, nella sua retorica tortuosità: "Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova". Così dichiarò il Pontefice in data 21 aprile 1978.
Il 9 maggio il cadavere di Moro fu ritrovato nel bagagliaio della famigerata Renault 4.
Cossiga, all'epoca Ministro dell'Interno, si dimise e fu forse l'unico atto dignitoso di tutta la sua carriera. Andreotti, com'era nel suo stile, resistette e tirò a campare.
A tirare le cuoia fu invece lo stesso Paolo VI, che andò in Paradiso a far compagnia ad Aldo Moro in data 6 agosto 1978.
Molti anni dopo, Riccardo avrebbe stupito gli amici dicendo: "Pensate che io mi ricordo della morte di Paolo VI", cosa gli dava una certa aura di uomo d'esperienza, che era stato testimone di eventi considerati molto lontani nel passato.
Ma tornando a quella specie di "anno dei miracoli", fu lo stesso Riccardo, per conto di sua nonna Diana, a dare la notizia al consorte di lei Ettore Ricci, che si trovava ad assistere all'estrazione delle prime barbabietole di stagione, da spedire allo stabilimento dell'Eridania del Gruppo Monti, successivamente ceduto al Gruppo Ferruzzi.
I Ricci e i Ferruzzi erano sempre stati soci in affari ed Ettore Ricci era amico personale di Serafino Ferruzzi, mentre non nutriva simpatia per suo genero, Raul Gardini.
In ogni caso, Ettore non parve particolarmente colpito dalla dipartita del pontefice:
<<Morto un Papa se ne fa un altro>> commentò.
E infatti dopo qualche tempo venne eletto Albino Luciani col nome di Giovanni Paolo I.
Qualche settimana dopo, si seppe che papa Luciani voleva controllare i conti dello IOR, l'Istituto Opere Religiose, ossia la banca del Vaticano e verificare se, come molti sospettavano, fosse implicata, tramite alcuni istituti controllati dalla Massoneria, in una attività di riciclaggio di denaro sporco, nella fattispecie denaro della Mafia.
Questa cosa preoccupava Ettore Ricci, che un giorno ne discusse con i fratelli:
<<Io se fossi in voi venderei tutte le azioni del Banco Ambrosiano. Non si sa mai...>>
Alberico pareva quasi convinto, ma Aristide non ne voleva sapere:
<<Mio genero, il Senatore Leandri, mi ha garantito che possiamo stare tranquilli. Chi vuoi che si metta a speculare contro le banche controllate dalla Chiesa?>>
<<Il Papa! Questo Luciani è troppo onesto per far finta di non vedere da dove vengono certi capitali...>>
<<Il Senatore mi ha assicurato che Calvi e Sindona non permetteranno a nessuno, nemmeno al Papa, di sollevare un polverone sulla finanza cattolica. Andreotti glielo ha garantito personalmente>>
I fatti sembrarono dar ragione ad Aristide.
Il 28 settembre 1978, mentre Riccardo trascorreva gli ultimi giorni in campagna, prima di iniziare l'asilo a Forlì', fu comunicata la notizia della morte di papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani.
Il primo commento di Riccardo fu: <<Chi se ne frega, tanto morto un Papa se ne fa un altro!>>
La risposta fu un sonoro scappellotto da parte di Ida Braghiri:
<<Ma chi ti ha insegnato questo modo di parlare!>>
<<Il nonno Ettore!>>
E corse a comunicargli la notizia.
Ettore Ricci socchiuse gli occhi:
<<Non è morto di morte naturale. Qualcuno deve averlo aiutato>>
<<Ma perché?>>
<<Un giorno capirai. Sì, un giorno ti spiegherò tutto quello che c'è da sapere sull'argomento. Ti insegnerò anche i rudimenti della finanza e della politica.
Se ti rivelerai sveglio, potrei fare di te il mio erede nella gestione di tutta la baracca: sei meno fighetto dei tuoi cugini e sei quello che mi assomiglia di più. Si sente che hai sangue caldo nelle vene! Si vede che sei uno che dice pane al pane e vino al vino e se ne infischia di quel che pensa la gente. Farò di te il vero capofamiglia!>>
martedì 18 aprile 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 58. Il valzer degli addii.
C'è stato un tempo in cui i balli dell'alta società si concludevano col valzer degli addii.
Per la famiglia Monterovere, che non apparteneva di certo all'alta società, il valzer degli addii ci fu lo stesso, ma incominciò troppo presto e ad aprire le danze non furono i più vecchi, perché molte volte le cose non vanno secondo natura.
Nell'agosto del 1976 morì improvvisamente, a sessant'anni, per un attacco cardiaco, Giulia Lanni Monterovere, moglie di Romano, madre di Francesco e nonna paterna di Riccardo.
Il giorno prima aveva tenuto in braccio il nipote, che aveva meno di un anno e non poté conservare quindi alcun ricordo diretto di lei, se non in via indiretta, tramite i racconti e le immagini, da cui traspariva il ritratto di una donna gentile, una madre dolce e una nonna affettuosa.
La sua era stata una vita breve, ma felice: aveva avuto tutto, tranne il tempo.
Una morte improvvisa è tuttavia il modo meno doloroso per andarsene, per chi muore, mentre è il più doloroso per chi resta.
Romano Monterovere non si riprese mai dallo shock della morte dell'amata moglie: era già di per sé un uomo austero e ipocondriaco: dopo la morte di Giulia divenne cupo e distante, si convertì al cattolicesimo e andò in pensione, conducendo da quel momento in avanti una vita ascetica e quasi monacale.
Era già parsimonioso prima di restare vedovo: dopo divenne taccagno.
Come padre era stato severo e inflessibile: come suocero divenne insopportabile.
Spesso sua nuora Silvia si lamentava: <<Come regalo di matrimonio ci ha fatto una pentola a pressione. Basta questo per capire che tipo è Romano>>
Senza la mediazione di Giulia, Romano finiva per essere preda delle proprie ossessioni.
La parte migliore di Romano era Giulia, e tutto ciò che era buono in lui morì con lei, e giacque sepolto insieme a lei.
Non si rassegnò mai alla scomparsa dell'amata consorte.
Sua figlia Enrichetta, al contrario, se ne fece una ragione molto più facilmente, commentando:
«La morte non accetta un No come risposta».
Spiegò inoltre che non bisognava mai investire troppo su un rapporto di coppia (lei stessa infatti trattava il marito come una pezza da piedi) perché in fondo l'amore non era altro che una dipendenza psicologica.
Detto questo, Enrichetta prese il posto del padre in Azienda, mentre i suoi fratelli Francesco e Lorenzo vennero di fatto estromessi, grazie all'alleanza che la sorella aveva concluso con lo zio Tommaso, la zia Anita e i figli di Ferdinando e degli altri fratelli defunti.
Ma Francesco e Lorenzo erano troppo sconvolti dal dolore per capire che quello era il primo passo per essere totalmente esclusi da una vera e propria fortuna.
Il secondo addio, due anni dopo fu per Eleonora Bonaccorsi Monterovere, madre di Romano, nonna di Francesco e bisnonna di Riccardo.
Nella memoria del pronipote bambino rimase l'immagine di questa bisnonna quasi centenaria, che camminava appoggiandosi a un deambulatore, ma era ancora lucida con il pensiero e le parole.
Tra questi ricordi il più chiaro fu l'ultimo, quando Eleonora, sentendo che la fine era prossima, volle parlare col nipote prediletto, il padre di Riccardo:
Cercò di metterlo in guardia:
<<Francesco, devi stare attento. Anita ed Enrichetta ti porteranno via tutto, e Tommaso non farà niente per impedirlo>>
Lui ci rimase male:
<<No, non arriveranno a tanto. Mi hanno assicurato che tutto sarà diviso in parti uguali>>
Eleonora rise:
<<Come sei ingenuo! Il più grande errore è credere che le persone pensino veramente quello che dicono, e viceversa>>
Francesco scuoteva la testa, facendo oscillare il ciuffo castano ribelle che aveva conquistato tante donne nei suoi anni universitari:
<<Io ho fiducia in loro. Non credo che mi deluderanno>>
Eleonora sospirò:
<<Francesco, hai trentacinque anni e non hai ancora capito che non sono le persone a deluderci, ma le aspettative che noi poniamo su quelle persone.
In generale, le aspettative sono nemiche della felicità e le tue sono decisamente troppo alte>>
Era vero, ma lui non voleva ammetterlo a se stesso:
<<Nonna, come puoi chiedermi di dubitare di loro? Sono la tua famiglia e anche la mia famiglia!>>
Proprio perché erano la sua famiglia, Eleonora li conosceva bene, e aveva scelto con esattezza da che parte stare:
<<La mia famiglia sei tu, Francesco, con tua moglie e tuo figlio. E loro sono la tua unica famiglia. Silvia e Riccardo, e basta! Questi sono gli unici Monterovere di cui tu sei responsabile. Non dimenticarlo mai!>>
Il nipote era ancora troppo legato a una visione patriarcale della famiglia per poter rendersi conto del fatto che sua nonna aveva detto qualcosa di molto importante.
<<E mio padre? Nemmeno di lui mi posso fidare? E' tuo figlio...>>
Eleonora non aveva certo bisogno che glielo ricordassero:
<<Romano non è più quello di una volta. Da quando Giulia è morta, lui si è chiuso in se stesso e ha delegato tutto ad Enrichetta e Tommaso, e loro se ne stanno approfittando>>
Francesco si commosse nel ricordo della madre:
<<Non posso credere che mia sorella e i miei zii mi stiano ingannando, con la tacita complicità di mio padre>>
L'anziana matriarca se ne uscì con uno dei suoi proverbi preferiti:
<<E' più facile ingannare la gente che convincerla di essere stata ingannata>>
Il nipote riconobbe l'insegnamento, ma continuò a resistere all'idea:
<<L'inganno da parte di un familiare è un tradimento troppo difficile da accettare>>
Eleonora lo guardò fisso, con i suoi occhi chiari che avevano visto troppe cose:
<<E' difficile, ma è la verità e bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia. La maggioranza delle persone non vuole conoscere la verità perché non vuole che le sue illusioni vengano distrutte, e per questo preferisce mettere la testa sotto la sabbia.
Tu non devi cedere a questa tentazione, o a rimetterci saranno tua moglie e tuo figlio>>
Questo fu il suo avvertimento.
Si dice che chi è in punto di morte riesca a vedere il futuro, ed Eleonora Bonaccorsi Monterovere aveva previsto tutto con inquietante esattezza, prima di lasciare questo mondo nel gennaio del 1978.
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