sabato 18 marzo 2017

Leaks e Spoiler sulla trama di tutti gli episodi della Settima Stagione di Game of Thrones

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EPISODIO 1

Gli estranei marciano al sud della Barriera, Bran raggiunge il Castello Nero e incontra Ed l’Addolorato, ora Lord Comandante.
Sansa e Jon discutono su cosa fare delle casate del Nord che non sono state loro fedeli combattendo insieme ai Bolton. Sansa Stark e Lyanna Mormont vogliono dare le loro terre a chi ha combattuto al loro fianco, Jon non vuole ritenere responsabili i figli degli Umber e dei Karkstar per le scelte fatte dai padri.Jon impone la propria decisione: d’ora in poi comanderà il Nord diversamente da quanto è sempre stato fatto.
Daenerys e le sue navi arrivano a Dragonstone, entra nella vecchia sala della guerra con ancora il tavolo e la mappa di Stannis, si gira verso Tyrion e dice: “Cominciamo?”

EPISODIO 2:

Jon riceve un corvo da Dany dove chiede a tutti i Lord del Nord di presenziare a Dragonstone per discutere.
Sansa resta al comando di Grande Inverno insieme a Spettro (a quanto pare il budget per i metalupi non c’è nemmeno quest’anno).
Dorne e Alto Giardino vengono saccheggiate dai Lannister, Jaime si confronta con Olenna e alla fine lei gli rivela la verità sulla morte di Joffrey: è stata lei insieme a Ditocorto ad orchestrare tutto il piano. Jaime le consente di bere del veleno e suicidarsi prima di essere catturata dall’esercito.
La flotta di Euron attacca quella di Yara e la distrugge, prendendola prigioniera. Theon riesce a scappare lanciandosi in mare, viene salvato da un altro Uomo di Ferro.
Anche Euron attacca Dorne, uccidendo due Serpi delle Sabbie e prendendo Ellaria in ostaggio.

EPISODIO 3:

Jon e Davos arrivano a Dragonstone e incontrano Tyrion sulla spiaggia e li porta al cospetto di Dany. Lei vuole che Jon si inginocchi al suo cospetto, lui si rifiuta e le racconta della minaccia dei White Walkers, alla quale Dany non crede. Davos prova a raccontare della resurrezione di Jon ma lui lo zittisce. Tyrion si schiera dalla parte di Jon, confortando Dany sul fatto che non è un pazzo. Dany rispetta Jon immediatamente, il sentimento non è ricambiato.
Jon incontra Theon e gli risparmia la vita solo per aver aiutato Sansa a fuggire.
Arya incontra Nymeria, il suo vecchio metalupo, tornando a Grande Inverno (ahhh, ecco che fine aveva fatto il budjet!).
Jorah e Sam si incontrano alla Cittadella e insieme trovano una cura per il Morbo Grigio.
Bran arriva a Grande Inverno e Meera decide di tornare a casa.

EPISODIO 4:

Arya arriva a Grande Inverno. Dany brucia qualche Lord di Westeros con i suoi draghi, compresi il padre e il fratello di Sam Tarly. Tyrion dissuade Dany dall’attaccare direttamente Approdo del Re temendo per la vita di troppi civili. L’armata Lannister si scontra contro i draghi di Dany, Jaime viene quasi ucciso ma salvato all’ultimo momento da Bronn.
Jon capisce che l’unico modo per unire tutti i lord contro i White walkers è catturarne uno vivo da mostrargli.

EPISODIO 5:

Sam lascia la cittadella con Gilly e il figlio, Jorah guarito si riunisce con Dany a Dragonstone.
Jon riceve un corvo da Grande Inverno che lo avvisa che Arya e Bran sono lì. Jaime e Bronn si incontrano segretamente con Davos e Tyrion, quest’ultimo prova a persuadere il fratello a convincere Cersei ad arrendersi prima della venuta dei draghi, ma viene ignorato.


EPISODIO 6:

Jon e gli altri uomini del Nord si uniscono alla Fratellanza senza vessilli, tra loro c’è anche il disperso Gendry, e insieme provano a catturare un Non Morto. Jon è a capo di un piccolo gruppo composto da Beric, Thoros, Tormund, Jorah e Gendry, ma vengono attaccati dall’esercito del Re della Notte, Thoros muore ucciso da un orso polare zombie (ma siamo su Lost o The Walking Dead? fatemi capire).
Vengono circondati intorno ad un lago ghiacciato, ma Dany li salva all’ultimo momento. Purtroppo il Re della Notte uccide Viserion, facendolo resuscitare come un drago di ghiaccio. Jon viene quasi ucciso nello scontro ma suo zio Benjen lo salva all’ultimo momento, sacrificandosi per lui.
Jon promette di rinunciare al suo titolo di Re del Nord se Dany lo aiuta a sconfiggere i White walkers.

EPISODIO 7:

Sansa decide che Ditocorto dovrà morire, Arya lo uccide. In precedenza lui aveva perfino tentato di metterle l’una contro l’altra usando una vecchia lettera scritta da Sansa mentre veniva costretta dai Lannister. Bran aiuta Sansa a vedere il piano di Ditocorto.
Cersei si risveglia in un letto pieno di sangue, probabilmente ha avuto un aborto di un altro bambino di Jaime.
Sam e Bran capisc ono chi sono i veri genitori di Jon, il suo vero nome è Aegon (i lettori inziano a piangere e ridere convulsamente fino allo svenimento) alla sua nascita è stato anche reso legittimo, quindi non è un bastardo.
Jon e Dany fanno sesso sulla barca che li riporta al Nord.
Alla fine dell’episodio la Barriera cade definitivamente, il Re della Notte la distrugge grazie a Viserion versione zombie.

Viene anche riportata una scena che non si sa ancora in che episodio collocare:

Jon mostra lo zombie a Dany e Cersei, la regina Lannister prova a farlo uccidere dalla Montagna, ma Jon spiega che è tutto inutile, l’unica arma che si possa usare è il Vetro di Drago. Cersei dice che manderà sicuramente delle truppe al Nord, ma poi confida a Jaime che non è vero: è più facile lasciare uccidere i suoi nemici dagli zombie anziché aiutarli. Jaime è disgustato e decide di andarsene al Nord.

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Vite quasi parallele. Capitolo 47. La Bancaccia

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L'Istituto di Credito di fiducia del Clan Orsini era soprannominato "la Bancaccia", per alcune sue abitudini non proprio consone ai criteri dell'efficienza amministrativa, tra cui l'assunzione di soli raccomandati, il prestito conferito a fondo perduto agli amici e ai potenti e l'abitudine di ricorrere, già a quei tempi, al salvataggio pubblico tramite provvidenziali interventi politici. Il Consiglio di Amministrazione era infatti nominato da alcune Fondazioni le quali a loro volta facevano capo ad alcuni partiti politici molto forti in Romagna.
Il direttore generale, Camillo Baccarani, era infatti un notabile democristiano, che poi divenne deputato.
Ma ancor più della politica, contavano le parentele con le famiglie di spicco.
Non a caso il Presidente del Consiglio di Amministrazione era Edoardo Leandri, il Senatore democristiano marito di Caterina Ricci, figlia di un fratello di Ettore Ricci, e dunque legata a doppio filo col clan Ricci-Orsini.
Per questa ragione il Senatore aveva garantito crediti sempre più consistenti alla Società in Accomandita Semplice "Ettore Ricci & Ercole Spreti" che gestiva il Feudo Orsini e il Latifondo Spreti,  che da soli comprendevano più della metà delle terre della Contea di Casemurate.
C'erano altri possidenti che incominciavano a farsi strada, tra cui un certo Cassio Baglioni, che era anche proprietario di un mulino, e un altro tizio che rispondeva al nome di Luciano Bastiani, proprietario di un enorme pollario. Ma all'epoca questi personaggio erano soltanto delle macchiette.
Il Senatore Leandri, sempre su richiesta dello zio Ettore Ricci, aveva fatto assumere come Capo Ufficio Legale della Bancaccia l'avvocato Goffredo Papisco, figlio maggiore del giudice Papisco e di Ginevra Orsini.
Goffredo Papisco, ormai quarantenne, era noto per le stravaganze del suo carattere.
La sua nomina, per quanto scandalosa, non aveva meravigliato nessuno.
L’Ufficio Legale, infatti, era soprannominato “Ufficio Raccomandati e figli di...”. 
In effetti, a ben vedere, tutti i componenti di tale ufficio, potevano vantare un pedegree di una certa importanza, almeno localmente.
Goffredo Papisco non era sposato: l’unico grande amore della sua vita erano i cavalli (e secondo le malelingue anche gli stallieri). Quando era morto il suo cavallo prediletto, chiamato modestamente “Carlo Magno”, lo aveva fatto imbalsamare e collocare presso una apposita dependance delle stalle di Villa Orsini.
In ufficio Goffredo Papisco si comportava in modo ambiguo: da un lato ostentava umiltà, si faceva dare del tu e chiamare per nome anche dai dipendenti, sembrava tollerante e malleabile, tanto che negli altri uffici si diceva di lui che era “un così buon uomo!”.
Dall’altro lato però il suo carattere mostrava inquietanti segni di lunaticità e nevrosi, e soprattutto repentini sbalzi d'umore.
Alcuni giorni, quando si svegliava euforico, arrivava in ufficio con ritardi imbarazzanti, leggeva tranquillamente il giornale tutta la mattina, si prendeva delle pause-caffè che duravano ore oppure rimaneva come inebetito con lo sguardo perso nel vuoto mentre nel reparto regnava la più assoluta anarchia.
Quando invece era di cattivo umore, cioè quasi sempre, diventava irascibile, dispotico, puntiglioso e provocatorio. Bastava il minimo errore o il più piccolo sgarro di un dipendente per causare drammatiche scenate, crisi isteriche, inquietanti minacce o funeste manie di perfezionismo.
Una tipica rappresaglia che in quei momenti si dilettava a esercitare sui malcapitati che quel giorno gli stavano particolarmente antipatici era quella di far riscrivere loro i documenti ufficiali più e più volte, cambiando le parole, ma non il senso del discorso.
Se per esempio uno scriveva: «Il cliente si è dimostrato inadempiente», il dott. Papisco gli faceva correggere: «Il cliente ha mostrato inadempienze», ma poteva benissimo accadere il viceversa con un altro dipendente, o magari con lo stesso una volta che avesse apportato la correzione.
I componenti dell’Ufficio Legale, però, si erano abituati a queste stravaganze e non ci facevano quasi più attenzione. Erano disposti a passar sopra a tutto, purché non li si costringesse a lavorare sul serio. Ciò sarebbe stato per loro assolutamente inaccettabile.
Per il Vicecapo Ufficio il lavoro in banca era una sorta di “sinecura”: il grosso dei suoi introiti derivava da consulenze esterne a cui dedicava tutto il tempo, comprese le ore di ufficio.
Fortunatamente c’era il giovane dottor Valentini, fanatico giurista, che si faceva carico anche del lavoro degli altri, sia per il gusto di eccellere nella sua materia, sia per una spontanea e talvolta perniciosa energia organizzativa.
Le due raccomandate di ferro erano le signore “Petruzzelli & Baldini”, ironicamente associate come una società commerciale non solo perché amiche e alleate di ferro, ma anche perché i rispettivi mariti, l’ingegner Petruzzelli e il commercialista Baldini, erano soci in affari.
Paola Petruzzelli e Francesca Baldini erano diplomate al liceo classico, non sapevano nulla di questioni di ufficio e tanto meno di questioni legali: a dire il vero non si sapeva neppure quali fossero i loro incarichi e le loro mansioni.
Fondamentalmente la Petruzzelli e la Baldini fungevano da Gazzetta Ufficiale del Pettegolezzo: nulla di ciò che accadeva presso l’alta società cittadina sfuggiva al capillare controllo della rete di amicizie delle due interessatissime signore.
I loro dialoghi perenni toccavano comunque anche altre “essenziali” questioni.
Paola Petruzzelli, bigotta e conservatrice, era specializzata in argomenti tradizionali come aste di beneficenza, iniziative parrocchiali, ricette di cucina, oroscopi, estrazioni del lotto, teleromanzi, parole crociate.
Francesca Baldini, più progressista, era invece l’ arbitra elegantiarum in fatto di ultime mode, acconciature, vestiario, viaggi, villeggiature.
Tra la scrivania della Petruzzelli, alla destra rispetto all’ingresso, e quello della Baldini, alla sinistra, c’era il tavolo di lavoro del ragionier Poponi, un ometto basso e grasso sulla cinquantina, trasandato, scarmigliato, distratto, volenteroso ma mediocre lavoratore. Scribacchiava continuamente scarabocchi incomprensibili su polverosi registri e fogliacci semiaccartocciati, tentava poi di ricopiare sulla macchina da scrivere i suoi appunti, sbagliando continuamente e borbottando tra sé.
Non parlava molto: di lui si sapeva che aveva una famiglia numerosa e problematica, con una moglie gelosissima, una suocera terribile, due cognate nubili a carico e cinque figlie una più brutta e antipatica dell’altra.
Altro personaggio che faceva parte per se stesso era il geometra Cipressi: uomo alto, magro, taciturno, riservatissimo, pareva sempre immerso in qualche fondamentale questione di lavoro, anche se nessuno avrebbe saputo dire esattamente quali pratiche stesse seguendo.
Neppure il Capo ufficio Goffredo Papisco riusciva a svelare il mistero che circondava il geometra Cipressi: quando gli chiedeva di cosa si stesse occupando, Cipressi era evasivo, cupo, terreo, quasi sdegnato. Se veniva messo alle strette, si chiudeva in un ostinato mutismo, interrotto solo da vaghe allusioni a un suo carissimo amico, ex attendente del generale De Toschi. Al che, ogni questione subito si stemperava in un nulla di fatto.

venerdì 17 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 46. Tra Faenza, Roma, Rovereto e la Calabria



Dopo la laurea in Matematica e Fisica, Francesco Monterovere fu esentato dal servizio militare in quanto "figlio di padre invalido". 
Suo padre Romano, infatti, essendo stato ferito a una gamba durante la Guerra d'Abissinia, era stato riconosciuto Grande Invalido Militare e percettore di una indennità, che all'epoca si sommava ai suoi compensi di direttore dell'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere.
In quegli anni l'Azienda aveva perduto il suo Profeta, e cioè l'ingegner Francesco Lanni, suocero di Romano e nonno paterno di Francesco Monterovere, che gli era molto affezionato.
Dei nonni di Francesco, rimaneva in vita soltanto la novantenne madre di Romano, la venerabile Eleonora Bonaccorsi, vedova di Enrico Monterovere.
Per un fortunato caso, Eleonora Bonaccorsi visse straordinariamente a lungo, tanto da poter conoscere il futuro figlio di suo nipote Francesco, Riccardo, il quale fu beneficiato dalla possibilità di essere il beniamino di ben due bisnonne: l'altra era la Contessa Madre Emilia Orsini. Ma di questo, naturalmente, si parlerà in seguito.
All'epoca l'Azienda Fratelli Monterovere si occupava del tratto finale del Canale di Bonifica in Destra di Reno, nel suo sbocco al mare presso il porto di Casal Borsetti.
A dirigere questo progetto in particolare fu la sorella di Francesco, l'imponente Enrichetta, una donna dal carattere molto focoso e determinato.
Il terzo fratello, Lorenzo, si laureò invece in Lettere Classiche e vinse una borsa di studio per il Dottorato di Ricerca in Letteratura cristiana antica.
Ma ancora una volta dobbiamo sforzarci di non precorrere i tempi.
Francesco, pur avendo potuto evitare il servizio militare, non poté evitare il Concorso, per poter avere un posto da insegnante.
Egli infatti non conosceva ancora la Signorina De Toschi e quindi non poteva avvalersi delle sue infallibili raccomandazioni.
All'epoca i concorsi per diventare insegnante di ruolo si tenevano a livello nazionale, a Roma, e questa era una garanzia di equità di trattamento. Erano ancora tempi in cui la serietà e la giustizia prevalevano su altre considerazioni che avevano ben poco a che fare con il merito e la qualità dell'insegnamento.
Francesco superò il concorso con un ottimo risultato, e su un migliaio di partecipanti provenienti da tutta Italia, arrivò tra i primi dieci, come poi avrebbe avuto modo di ricordare molte volte a certi colleghi che contestavano i suoi metodi didattici innovativi.
Ebbe dunque il posto, ma siccome la distribuzione delle cattedre avveniva su tutto il territorio italiano, a seconda delle esigenze reali, la cattedra che gli spettò fu quella in un liceo di Rovereto, in provincia di Trento.
Altri si sarebbero spaventati ad andare a vivere così lontano, ma per Francesco fu quasi una liberazione, perché finalmente poteva andare ad abitare per conto suo, avendo a disposizione uno stipendio da spendere come gli pareva e con chi gli pareva.
Tra i colleghi di Rovereto, conobbe personaggi molto singolari e divertenti, con cui fece amicizia e di cui rimase amico per tutta la vita: tra questi, il più spassoso era un certo Nullo (non si sa se fosse il nome o il cognome), un tipo pelato, dagli occhiali tondi, il papillon alla Gervaso e l'ossessione per la dentatura bianca e perfettamente disposta. Molti anni dopo, infatti, il figlio di Francesco, Riccardo, incontrando per la prima volta Nullo, fu onorato dal seguente complimento: "Ma questo ragazzo ha una dentatura perfetta!".
C'era poi anche un certo Peppino Brasati, ritenuto da tutti un genio della Fisica, anche se non spiccicava una mezza parola. Non mancavano due intellettuali marxisti e barbuti, Zanotti e Stefanelli, destinati a diventare accademici e pubblicisti.
Ma i due amici prediletti di Francesco rimanevano i fratelli faentini Rodolfo e Carlo Rossi. Il primo, dopo alcuni mesi di insegnamento, aveva avuto un grave esaurimento nervoso e si era ritirato a vita privata. Il secondo invece era diventato il compagno di viaggi e di vacanze improvvisate di Francesco. Memorabili furono i loro campeggi in Calabria, nei primi Anni Settanta.
Con una Cinquecento scassata, che Francesco aveva comprato a rate dopo il suo primo stipendio, si erano avventurati verso il Sud. Le loro avventure risultarono in seguito molto simili a quelle dell'indimenticabile duo Fantozzi e Filini.
Dopo tre anni di insegnamento a Rovereto e tre estati in Calabria, finalmente Francesco Monterovere, nel 1970, ottenne il trasferimento presso una scuola più vicina, e cioè l'Isituto Tecnico Industriale Statale di Forlì.

giovedì 16 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 45. L'allegra compagnia dei colleghi di Silvia Ricci-Orsini

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Silvia Ricci-Orsini rifiutò qualunque forma di raccomandazione da parte della Signorina De Toschi, del Senatore Leandri o del Giudice Papisco, cosa che sconcertò tutti i parenti fino al sesto grado.
Fu l'unica in tutta la sua famiglia a compiere quel gesto, e gliene va riconosciuto il merito.
E così, mentre il Sommo Poeta Trombatore declamava le sue prolusioni dalla cattedra del Liceo Classico, Silvia si accontentò di insegnare italiano, storia e geografia all'Istituto Tecnico Industriale Statale.
Tale scelta si rivelò felice, perché all'ITIS di Forlì conobbe, tra i suoi colleghi, gran parte dei futuri frequentatori del salotto a cui avrebbe dato vita in seguito, dopo il matrimonio.
Iniziamo dai colleghi di sezione, nel biennio.
Il collega di inglese, Professor Massimo Perfetti, era il fidanzato di Benedetta Papisco, cugina di Silvia, la quale insegnava inglese a sua volta in una scuola media. Avevano entrambi la ferma convinzione di essere "la coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri..."
La collega di scienze naturali era la Professoressa Maria Pia Teodati De Bonschamp, una ninfomane ipocondriaca fissata con l'igiene intima e lo studio dei germi al microscopio.
Il collega di disegno era l'Architetto Eolo Amedeo Leandri, fratello del Senatore Edoardo Leandri (e quindi affine alla famiglia Ricci), noto per il suo carattere irascibile e per la tendenza a scagliare fuori dalla finestra i quaderni di qualche malcapitato studente.
La collega di fisica era la Professoressa Diva Vermiglioni, il cui segno particolare era un enorme neo sferico e violaceo che le copriva quasi tutto il naso: tale oltraggio da parte della natura veniva compensato nella mente della  Vermiglioni con una compulsiva tendenza al pettegolezzo velenoso.
Il collega di ginnastica era il Professor Gilberto Cortesi, detto il Tenente Colombo, per la sua abitudine a portare in ogni stagione e con ogni tempo e temperatura, un impermeabile stropicciato color vomito.
La collega di matematica era la Professoressa Edda Rachele Romualdi, figlia di un ex-gerarca fascista di Predappio Alta, ed ella stessa fervente sostenitrice del Movimento Sociale.
Non poteva mancare il collega di religione, il rubicondo Don Adamo, un prete dai forti istinti carnali, le cui barzellette oscene mettevano in imbarazzo l'intero istituto, per non parlare della Curia.
Passiamo ora al triennio.
Italiano e storia negli ultimi tre anni erano affidati alla Professoressa Letizia Ramolino, omonima della madre di Napoleone Bonaparte, ma, a differenza di quest'ultima, zitella impenitente dalla voce nasale e dal fisico somigliante a un armadio.
Fisica nel triennio era tenuta dalla Professoressa Renata Maria Crocifissa Binetti Delle Vedove, di cui si vociferava che portasse una jella tremenda e implacabile.
Ma il più importante di tutti, destinato a diventare il miglior amico di Silvia, era il Professor Pier Carlo Filippelli, geniale matematico, filosofo platonico e tolemaico, sostenitore del geocentrismo, fine conoscitore di cinema e arte, brillante umorista e narratore, ma soprattutto principale organizzatore delle iniziative mondane della città e delle gite all'estero.
La sua vèrve era in grado di conquistare tutti: basti dire che persino Ettore Ricci, padre di Silvia, lo vedeva di buon occhio, apprezzandone la tagliente ironia.
Per quanto Filippelli e la Romualdi fossero ufficiosamente fidanzati, non si sposarono mai, né mai convissero, forse per ragione delle opposte visioni politiche, che li portavano a liti furibonde, placate soltanto dalla devozione amorevole di lei e dal bisogno che lui aveva di una donna con la patente di guida che gli facesse da autista, essendo lui volutamente sprovvisto di automobile, ritenuta una spesa frivola e indegna di un vero sapiente.
Va altresì ricordato che tutti i suddetti docenti erano stati, a loro tempo, studenti pubblici o privati della Signorina De Toschi, in particolare Massimo Perfetti e Pier Carlo Filippelli, considerati i "pupilli" della Signorina, per quanto tra loro esistesse un odio viscerale.
In conclusione, bisogna nominare anche i principali membri del personale amministrativo, tecnico e dirigente, ognuno dei quali era destinato ad avere un ruolo importante, nel salotto di Silvia Ricci-Orsini e della sua famiglia.
Ricorderemo quindi: il bidello Obino (di cui era ignoto il cognome, ma di cui erano ben note le barzellette sconce), il tecnico di laboratorio Guido Prati (che portava sempre la stessa maglia unta e bisunta), la segretaria Alice Fobert Van Der Bach, una bionda di origine olandese, il vicepreside Priamo Conti, dirigente democristiano, il Preside Prof. Everardo Rocca Rossellino, presidente del Rotary Club, l'Ispettrice Professoressa Rosalba Baccarani, moglie di un importante direttore di banca e la Provveditrice agli Studi, la temutissima Cordelia Sergenti Borgonzoni.
Ma la vera svolta ci fu quando un collega, proveniente da Faenza, sostituì la Romualdi, che si era trasferita in un'altra sezione. Quel collega era Francesco Monterovere.

mercoledì 15 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 44. Com'era verde la mia valle

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Dopo la laurea, Silvia Ricci-Orsini era tornata a vivere presso la sua famiglia a Casemurate, ma non era stato un ritorno particolarmente piacevole: tutto le pareva più piccolo, angusto, diverso da come se lo ricordava.
Tanti anni di vita in città, specie quelli a Bologna, le avevano allargato gli orizzonti in maniera tale da farle apparire insignificanti tutte le trame che ruotavano intorno a Villa Orsini, al Feudo e alla Contea.
Suo padre, Ettore Ricci, l'aveva "accolta" da par suo:
<<Ecco la figliola prodiga che torna al proprio ovile, ma per lei non ammazzeremo il vitello grasso. Te la sei già goduta abbastanza!>>
<<Ti voglio bene anch'io, papà>>
Sua madre, Diana Orsini Balducci, Contessa di Casemurate, fu più diplomatica:
<<Per quanto io sia immensamente felice di averti di nuovo qui con me, non posso fare a meno di chiedermi come mai tu non abbia preferito rimanere a Bologna, o quantomeno Forlì. Ti avrei pagato l'affitto, almeno nell'attesa che ti chiamassero a insegnare. Ah, io alla tua età sarei voluta tanto fuggire via da questo posto di bigotti retrogradi...>> e scoccò un'occhiata feroce contro la governante.
<<Ti voglio bene anch'io, mamma>>
Poi si fece avanti la governante, Ida Braghiri:
<<Ma Silvia, come sei magra, come sei pallida, denutrita... sei sicura di star bene?>>
<<Ti voglio bene anch'io Ida. Ora vorrei andare a salutare mia nonna... sarà sempre nel Salotto Liberty, immagino?>>
<<Naturalmente! La Contessa Madre Emilia e il suo Salotto sono inseparabili>>
Silvia sorrise:
<<Diciamo che più che altro mia nonna Emilia è inseparabile dalla sua bottiglia di vino, ma a quanto mi è stato detto, pare che sia l'unica alcolista che tragga giovamento fisico dalla sua condizione>>
<<Senza dubbio. Ha una salute di ferro, almeno a livello fisico>>
Quando Silvia arrivò nel Salotto Liberty, ebbe come un deja vu.
Tutto era rimasto immobile, invariato, come se le disgrazie che erano capitate alla famiglia Orsini non avessero potuto intaccare in alcun modo la bellezza di quel luogo, che era il cuore della Villa, la quale a sua volta era il cuore del Feudo Orsini, che a sua volta era il cuore della Contea di Casemurate.
Fuori tutto era cambiato, ma lì ogni cosa, compresa l'anziana Contessa Madre Emilia, era identica a come se la ricordava:
<<Nonna, sono tornata>>
La Contessa Madre si mise il monocolo sull'occhio destro:
<<Silvia! Sei davvero tu! Quanto tempo è passato! Ma io non conto più gli anni, sono troppo vecchia... non voglio nemmeno festeggiare i compleanni. Alla mia età servono solo a ricordare quanto poco tempo ci è rimasto... Ma non parliamo dei miei anni, vieni qui, fatti abbracciare>>
Come spesso succede, le madri che sono state severe con i figli, diventano nonne affettuosissime e molto tolleranti con i nipoti.
<<Parlami di te. Negli ultimi tempi siamo stati così presi dalle vicende di tua cugina Anna e di quel disgraziato che l'ha messa incinta, che abbiamo trascurato la nostra brava ragazza. Avrai avuto, spero, qualche storia romantica?>>
<<Ho avuto dei corteggiatori, tanti, ma ho rifiutato le loro proposte, perché non ero innamorata>>
<<Ah, mi sembra di sentire tua madre quando aveva la tua stessa età>>
<<Io sono molto diversa da lei!>>
<<Sei diversa da ciò che lei è adesso, Silvia, ma quando era giovane anche tua madre era piena di sogni. Ha sofferto tanto. E io ho la mia buona parte di responsabilità, in questo, e due terzi del vino che bevo serve per mettere a tacere, almeno per qualche ora, i miei sensi di colpa>>
Era una confessione sincera, da parte dell'anziana matriarca.
Aveva avuto anche lei i suoi presagi.
Come Marco Antonio, prima dell'ultima battaglia, aveva udito allontanarsi i passi del cambio della guardia, allo stesso modo la vecchia Emilia Orsini, nata Paolucci de' Calboli, aveva udito gli dei propizi allontanarsi da lei e da tutta la sua stirpe.
Silvia cercò di sdrammatizzare:
<<Ognuno di noi ha fatto ciò che era necessario per tenere in piedi questa famiglia>>
La vecchia Emilia scosse il capo dai capelli candidi come la neve:
<<Ci siamo spinti troppo oltre, Silvia. Siamo stati troppo avidi. Ah, se potessi ritornare indietro! Quando misi piede per la prima volta in questa casa ero una ragazzina inesperta, ma rimasi impressionata dalla sua bellezza. Erano altri tempi.  Non c'erano le strade asfaltate, non c'erano le automobili... era tutto così verde e tranquillo, come in un sogno... 
A volte chiudo gli occhi sperando che sia ancora così.
Com'era verde la mia valle!
Ed ora cosa ne resta?
Ho avuto sei figli, e sono sopravvissuta a quattro di loro. E' una cosa che non dovrebbe mai accadere. 
Mi dicono di ricordare i tempi felici, ma non serve.
La felicità passata non è più felicità, il dolore passato è ancora dolore.
Perdona queste mie svenevolezze... sono una vecchia... e alcolizzata per giunta... questa è la realtà>>
Silvia le prese entrambe le mani, quelle mani ormai così fragili e piene di rughe:
<<Non dire così, nonna. 
Tu resisterai e combatterai ancora. 
C'è una poesia che dice: "Non andartene docile in quella buona notte. I vecchi dovrebbero infiammarsi e infuriarsi contro il finire del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce".
Vivrai ancora a lungo.
 Hai già visto nascere i tuoi primi pronipoti, io te ne darò degli altri, quando troverò l'uomo della mia vita. Rifonderò la famiglia, una famiglia dove l'amore venga al primo posto. 
Devo solo trovare l'uomo giusto. Chissà dov'è adesso... chissà chi è... ma sento che c'è, da qualche parte, ci deve essere... e nemmeno troppo lontano da qui>>

martedì 14 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 43. Il Sommo Poeta

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Un altro clamoroso scandalo investì il clan Orsini intorno alla fine degli Anni Sessanta.
In questo caso i protagonisti furono il poeta forlivese Adriano Trombatore e la studentessa Anna Papisco, figlia di Ginevra Orsini (sorella minore di Diana) e del giudice Giuseppe Papisco.
Adriano ed Anna, coetanei, per quanto lui dimostrasse più tempo, si conoscevano fin dai tempi del liceo, ma la loro passione era scoppiata a Bologna, durante gli anni universitari.
I Trombatore erano una famiglia di impiegati statali piccolo borghesi: ferventi fascisti dal ’22 al ’43, poi repubblichini di Salò fino al 25 aprile ‘45, improvvisamente liberali fino al ’48, democristiani centristi fino al ’54, repubblicani fino al '58, socialdemocratici fino al ’61, socialisti nenniani fino al 68’, comunisti di ferro in seguito. Non ci si meravigli di questa strana metamorfosi politica: in Emilia-Romagna riguardò praticamente tutti, anche se ben pochi gradiscono che glielo venga rammentato.
Piuttosto corpulento, fumatore accanito, ottima forchetta, nonché bevitore da competizione (lui e la Contessa Madre Emilia facevano a gara a chi si scolava più Rosso di Borgogna nell'arco di un'ora), Adriano Trombatore non era proprio bellissimo, nemmeno nell'accezione più anticonvenzionale del termine, anzi, si può dire che fosse decisamente brutto, eppure aveva uno straordinario successo con le donne.
Era un seduttore, uno di quegli uomini con una personalità così affascinante da far dimenticare la sua bruttezza e soprattutto con "doti nascoste" di leggendaria eccezionalità.
E non era tutto.
Trombatore aveva altre considerevoli frecce al proprio arco: una voce da baritono, suadente e virile con cui decantava i versi poetici da lui stesso composti; una cultura letteraria sterminata; un'energia sessuale pressoché inesauribile e una fama di dongiovanni che lo precedeva come un biglietto da visita.
Ma era la sua fama di enfant prodige della poesia quella che gli aveva aperto le porte dei salotti buoni.
Si era distinto in giovanissima età per le sue idee dannunziane, e ciò gli era valso nientemeno che la stima del generale Ardito De Toschi, vedovo di Violetta Orsini, e di sua figlia Mariuccia, "La Signorina per antonomasia", che, dopo aver avuto modo di apprezzare le vigorose capacità amatorie della giovane promessa del mondo della Poesia, lo aveva introdotto a Villa Orsini.
Ma queste gentilezze furono mal ricompensate.
Trombatore rimase sconvolto dal fasto della Villa, dal lusso in cui vivevano tutti i componenti del potentissimo clan Orsini, e per lui fu amore a prima vista: amore per quel mondo, per quel fasto, e solo in un secondo tempo, e incidentalmente, per le donne che ne facevano parte.
Del resto le più belle e interessanti gli erano state precluse fin dall'inizio.
Pertanto, dopo aver inutilmente tentato di corteggiare le tre figlie di Ettore Ricci e Diana Orsini, a suon di versi d'amore scopiazzati dal Petrarca, ci provò con le gemelle Papisco, figlie di Ginevra Orsini.
Tornò alla carica con "Chiare, fresche e dolci acque", ma Benedetta Papisco non abboccò.
A quel punto decise di puntare tutto su Dante e recitò: "Tanto gentile e tanto onesta pare" ad Anna Papisco, la quale si innamorò di lui perdutamente.
Tennero comunque nascosta la loro relazione per tutti gli anni del liceo.
Negli anni universitari bolognesi, frequentarono insieme le lezioni di Lettere Classiche e prepararono insieme gli esami. Lo studio era però soltanto una copertura: in realtà i due ci davano sotto con altre attività più sollazzevoli.
Nell'ultimo anno di università, mentre preparavano la tesi, incominciarono a vivere la loro relazione apertamente, ma si spinsero un po' troppo oltre.
Entrambi preparavano una tesi sulla poesia d'amore latina: Adriano aveva scelto Catullo, Anna, con un "notevole" sforzo di fantasia, aveva optato per Tibullo.
Normalmente Anna si faceva aiutare dalla cugina Silvia, ma c'erano dei passaggi in cui solo la grande perizia estetica del Sommo Poeta Trombatore poteva dare quel tocco di classe che era necessario.
Fu così che, in un pomeriggio fatale del 1968, mentre nelle strade infuriava la Contestazione, Anna e Adriano correggevano insieme la tesi di lei e tra un verso e l'altro, tra un caffè e una sigaretta, scivolarono ben presto in una situazione alla Paolo e Francesca.
Lui, che aveva continuato a scrivere poesie e a declamare i suoi versi in pubbliche letture, le leggeva per diletto una lirica di sua creazione, a lei dedicata, che iniziava con l'espressione "Baluginii nei tuoi occhi".
Bastò questo perché lei si infiammare di passione e dimenticasse di usare le solite precauzioni.
Galeotta fu la poesia e chi la scrisse e “quel giorno più non vi lessero avante”.
Un mese dopo Anna non ebbe il ciclo.
Due mesi dopo ebbe la certezza di essere incinta.
Nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo alle rispettive famiglie.
Fuggirono dal collegio di Bologna la sera stessa, portandosi dietro i soldi e i gioielli delle compagne di stanza di Anna e cioè la sorella Benedetta e la cugina Silvia.
Pernottarono in un albergo a Firenze e il giorno dopo partirono per Roma.
Lì vissero per due settimane in un appartamento scalcagnato di Trastevere, abbandonandosi alla passione più sfrenata, poi, finiti i soldi e l’idillio, se ne tornarono a Bologna a coda bassa, coperti d'infamia e di ridicolo.
Le conseguenze furono ovvie ed inevitabili.
Trovarono ad attenderli lo "Stato Maggiore" del clan Ricci-Orsini-Papisco.
C'erano Ettore Ricci,  Diana Orsini, il giudice Papisco, sua moglie Ginevra Orsini, la vecchia Contessa Madre Emilia e, naturalmente, la Signorina De Toschi, che prese subito in mano la situazione (con l'altra mano reggeva sempre l'eterna sigaretta fumante).
Fu un interrogatorio degno della Gestapo.
Pressata dalle insistenti interrogazioni della De Toschi, alla fine Anna ammise:
<<C'è un bambino in viaggio>>
La Signorina Mariuccia, schiumante di rabbia, prese Adriano Trombatore per la collottola:
<<Lurido traditore! Viscido verme! Dopo tutto quello che ho fatto per téeee! Disgraziato! Smidollato! Se fosse ancora vivo il mi' babbo, te la farebbe vedere lui!>>
Trombatore era desolato:
<<Ma io...>>
<<Zitto, pezzo d'idiota! E ascoltami bene!>> tuonò la De Toschi, poi si ricompose e dopo essersi soffiata il naso e aver aspirato profondamente la sigaretta, dichiarò <<Certo noi avevamo ben altre aspirazioni per la nostra Anna, ma ormai il danno è fatto e si impone un matrimonio riparatore>>
Nella stanza cadde il silenzio.
Ginevra, la madre di Anna, che non voleva avere Trombatore come genero, avanzò timidamente una proposta:
<<E se... come dire... trovassimo un modo per interrompere la gravidanza?>>
La De Toschi strabuzzò gli enormi occhi da batrace:
<<Nooooo! Nooooo!>> tuonò scuotendo il testone, con le guance flaccide che tremavano, così come il triplo mento <<Mai! Non permetterò mai una cosa simile, perché su di me si potrà dire tutto, ma una sola cosa è assolutamente certa: io so' cattolica!>>
La vecchia Contessa Madre Emilia approvò:
<<La Signorina ha ragione, come sempre. In casi come questo, l'ho sempre detto, non c'è che la Signorina, e la famiglia si è sempre attenuta ai suoi consigli. Dobbiamo trovare un'adeguata sistemazione per questi due ragazzi. In fondo manca poco alla laurea. E' bene che si sposino il prima possibile>>
A quel punto, tutti gli occhi si rivolsero in direzione della capofamiglia, Diana Orsini, la quale, dal momento che i due giovani sembravano amarsi, si pronunciò in favore delle nozze.
Ettore Ricci invece grugnì qualcosa riguardo a "quel covo di comunisti " che era la famiglia Trombatore e sul fatto che lui personalmente non voleva averci nulla a che fare.
Ma in fondo nemmeno lui voleva un altro scandalo, non fosse altro che per evitare che si rispolverassero episodi non troppo edificanti del suo stesso passato.
E così la decisione fu presa, e Anna ne fu felice, mentre Adriano incominciava a pentirsi della sua bravata. Non si sentiva pronto a fare l'onesto padre di famiglia.
Ad essere sinceri, non lo sarebbe mai stato. Era contrario alla sua personale natura.
Il Sommo Poeta, infatti, aveva immaginato per sé una vita ben diversa, come i poeti maledetti parigini, un'esistenza fatta di genio e sregolatezza, di Boheme a Montparnasse, di viaggi alla Hemingway, di Contestazione, di oratoria politica, ma soprattutto di Bacco, Tabacco e Venere fino all'ultimo respiro.
Si ritrovava invece incastrato in una situazione che, giorno dopo giorno, assumeva sempre di più, ai suoi occhi, i contorni di un incubo.
Tornato a Forlì dopo la laurea e in attesa di un posto da insegnante procuratogli per raccomandazione dalla Signorina De Toschi, visse per un po' di tempo facendo lezioni private di letteratura italiana agli studenti privati della stessa De Toschi.
Nel frattempo gli Orsini trovarono un appartamento adatto alle sue esigenze, con tanto di stanza adibita per la biblioteca e studio dove comporre le proprie creazioni.
Alla fine del 1968, il Sommo Poeta ed Anna Papisco si sposarono, come imponeva la tradizione della famiglia di lei (o per meglio dire "della madre di lei") nella Chiesa di Pievequinta, alla presenza di Ettore Ricci e Diana Orsini, che, pur non parlandosi, guidavano con il pugno di ferro in guanto di velluto ciò che restava di una Dinastia traballante.
Il figlio dei novelli coniugi Trombatore nacque pochi mesi dopo (troppo pochi per l'opinione pubblica) e gli fu dato il nome di Matteo.
Il Sommo Poeta intanto era ritornato all’ovile del Villino De Toschi, come un figliuol prodigo, e, previe prestazioni sessuali all'anziana professoressa, ottenne l'onore di succedere alla stessa Signorina nella cattedra di Italiano, Latino e Greco al Liceo Classico di Forlì.
Non era proprio la Boheme a Montparnasse che aveva sognato, ma potevano ancora esserci per lui dei margini di libertà e divertimento, come ben presto si venne a sapere.
Altri scandali si profilavano all'orizzonte, quasi per verificare senz'ombra di dubbio ciò che la governante Ida Braghiri aveva detto riguardo alla famiglia per cui lavorava:
<<Gli Orsini? La loro storia si riassume in cinque parole: "uno scandalo dietro l'altro">>