Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
mercoledì 1 marzo 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 38. La famiglia Ricci-Orsini all'inizio degli Anni Sessanta.
Diana Orsini compì cinquant'anni nel 1963. Dopo la morte di suo padre Achille, ultimo dei Conti di Casemurate, era riuscita ad ottenere, tramite l'ennesima raccomandazione della Signorina De Toschi e del giudice Papisco, che le sue figlie, così come i figli di sua sorella Ginevra, potessero aggiungere il cognome Orsini a quello dei loro padri.
Per questo anche Silvia Ricci, figlia di Ettore e Diana, divenne all'anagrafe, ufficialmente, Silvia Ricci-Orsini.
Non si poté far nulla riguardo al titolo comitale, dal momento che la Repubblica aveva abolito i titoli nobiliari ereditari.
In ogni caso, Diana Orsini fu riconosciuta informalmente, ma unanimemente, dagli abitanti del Feudo come Contessa di Casemurate
Era chiaro, comunque, che lei sarebbe stata l'ultima della famiglia a vedersi riconosciuto quel particolare segno di rispetto.
Le sue figlie erano irrimediabilmente "meticce", considerando il contributo non trascurabile di Ettore Ricci nel loro concepimento.
Le tre sorelle Ricci-Orsini avevano i tratti aristocratici della madre, e il fenotipo "celtico" della famiglia paterna, che si manifestò nei capelli ramati e negli occhi verdi.
In ogni caso, a loro importava ben poco delle fumisterie araldiche che ancora persistevano nell'atmosfera della Villa e della Contea.
Margherita, la primogenita, era già fidanzata.
La secondogenita Silvia si era distinta come una delle più brillanti studentesse del Liceo Classico.
La sua fama era arrivata ben presto a Casemurate, anche in seguito ad un curioso aneddoto accaduto alcuni anni prima.
La sua insegnante di latino e greco, la professoressa Veronica Ottobrini, aveva incontrato per puro caso, in treno, una "personalità" del mondo casemuratense e cioè una certa Lucia Biasoni, titolare del negozio di alimentari, e nota, oltre che per essere una vera e propria centrale del pettegolezzo, anche per il fatto di sfoggiare dei folti baffi castani.
La signora Biasoni apparteneva alla temibile categoria di coloro che in treno attaccano bottone con tutti, in particolare con chiunque si trovino di fianco o davanti.
In quel memorabile viaggio sull'Accelerato delle 15.25 della Romagna Centrale, lungo la famigerata tratta Lugo-Bagnacavallo, la prof. Ottobrini fu vittima della logorroica attenzione della signora Biasoni.
Quando, in quel fiume di parole, in mezzo a quella cacofonia di suoni, la Ottobrini distinse il nome di Casemurate, le venne subito in mente la sua studentessa preferita e non appena fece il nome di Silvia Ricci, fu come se fossero state aperte le cateratte del Nilo.
La Biasoni raccontò nei minimi particolari le imprese degli Orsini di Casemurate dalla fondazione della Contea fino al matrimonio di Diana Orsini con Ettore Ricci.
La Ottobrini, impressionata da quelle vicende che sembravano appartenenre ai tempi dei Borgia, ebbe modo di tessere le lodi di Silvia a tal punto che la Biasoni dimenticò di scendere alla fermata di Godo, e finì poi per perdersi nell'hinterland ravennate.
Chi non è di Ravenna deve sapere che è una città in cui è facile entrare, ma quasi impossibile uscire, a causa di un ginepraio di tangenziali, autostrade, antiche vie romane, paludi e sobborghi che dai tempi dell'imperatore Onorio l'avevano resa di fatto inespugnabile.
Quando infine la vecchia Lucia riuscì a tornare a Casemurate, grazie a una cigolante corriera del Dismano, la prima cosa che fece fu di telefonare a tutti i suoi conoscenti per raccontare ogni dettaglio dell'accaduto, non senza preconizzare, per la giovane Silvia Ricci-Orsini, un futuro a tal punto luminoso che <<presto la vedremo in televisione>>
La notizia fece il giro della Contea, passò di bocca in bocca in tutto il Feudo, fino ad arrivare al suo nucleo operativo, la Villa.
Fu l'anziana maestra Clara Ricci, madre di Ettore, a comunicare tutto alla governante della Villa, la signora Ida Braghiri, la quale si era fatta verde in faccia dall'invidia, arrivando persino a dire che, comunque, <<la mia Oriana non è da meno!>>
La conversazione fu udita dalla vecchia Contessa Madre Emilia, che per l'occasione si scolò una bottiglia di Nero d'Avola del 1860, un vino talmente pesante che avrebbe corroso migliaia di stomaci e fegati meno robusti e allenati del suo.
Emilia riferì quanto udito alla figlia Diana, la quale telefonò subito al collegio dove alloggiava Silvia.
L'unico che paradossalmente non si rallegrò in alcun modo della cosa fu Ettore Ricci:
<<Mia figlia va bene a scuola? E' il minimo, con tutto quello che pago per mantenerla!>>
Al momento in cui Diana chiamò, Silvia non era ancora tornata dalla biblioteca.
Quando ritornò, le suore riferirono che aveva ricevuto una telefonata da casa.
Considerata la rarità dell'evento, Silvia richiamò subito.
Purtroppo rispose il padre:
<<Qui Ettore Ricci, chi parla?>>
Il tono era ancora più burbero del solito.
<<Ciao papà, come stai?>>
E lui:
<<Brutte notizie! Non sono ancora schiattato!>>
Era una delle sue risposte più frequenti, ma Silvia non riusciva ad abituarsi:
<<Dai, non fare così. E comunque ho telefonato solo perché mi avete cercato voi>>
E lui, ironico:
<<Ho avuto onori più grandi, ai miei tempi>>
Silvia non poté fare a meno di sorridere:
<<Va be', immagino che non sia stato tu a chiamarmi, nel qual caso sarebbe davvero un evento storico>>
Ettore in fondo si divertiva a punzecchiare le figlie:
<<No, ho da lavorare io! Ci dovrà pur essere qualcuno che tira avanti la baracca mentre tutti gli altri oziano! Ovviamente ti ha chiamato tua madre>>
Ettore e Diana non si parlavano più dai tempi della morte di Augusto Orsini.
<<Me la puoi passare, allora?>>
A quel punto avvenne una cosa piuttosto insolita, dovuta ai dissapori tra i coniugi Ricci.
Marito e moglie, non si rivolgendosi più la parola, comunicavano attraverso il cane.
Ettore, a voce altissima, si rivolse al suo fido levriero:
<<Bill, va' a dire alla tua padrona che sua figlia vuole parlare con lei>>
Silvia sospirò:
<<Papà, non ricominciare con questa storia del cane>>
Lui sbuffò:
<<Quel cane è più intelligente di tutti voi Orsini messi insieme! Ti saluto e mi raccomando, non ti montare la testa!>>
<<Ma di cosa stai parlando?>>
Si sentì il cane abbaiare e poi silenzio per un po':
<<Pronto Silvia, sono la mamma>>
<<Ciao mamma, mi avevi chiamato tu?>>
<<Sì, volevo dirti che qui a Casemurate tutti parlano di te. La Ottobrini ha incontrato in treno la Lucia Biasoni>> e le raccontò tutto quello che si erano dette.
Silvia si sentiva investita di una responsabilità eccessiva:
<<Uhm, non vorrei che si creassero aspettative troppo alte sul mio conto. Il babbo mi è sembrato più sarcastico del solito>>
Diana rise:
<<Lo sai com'è fatto, ma sono sicura che in cuor suo è orgoglioso di te. Siamo tutti orgogliosi. Di questi tempi abbiamo avuto così pochi motivi per rallegrarci. La nonna Emilia ha festeggiato con un Nero d'Avola e la nonna Clara ha girato in bicicletta fino a Cesena per spargere la notizia>>
Silvia si sentì sprofondare:
<<Immagino che Ida Braghiri si stia mangiando il fegato e stia ricordando a tutti quanto è brava la sua Oriana>>
Diana confermò:
<<Certe cose non cambiano mai>>
Silvia aveva una certa soggezione per la Governante e la sua famiglia:
<<Ida ci seppellirà tutti, prima o poi. C'è gente che vive solo assistere alle disgrazie degli altri>>
Diana abbassò la voce:
<<Ne ha già viste abbastanza, di nostre disgrazie, la "cara" Ida.
D'ora in avanti cercheremo di non darle troppe soddisfazioni>>
martedì 28 febbraio 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 37. Francesco Monterovere fugge dal seminario.
Nel 1956, Francesco Monterovere aveva diciassette anni ed una sola granitica certezza: non intendeva rimanere un giorno di più in Seminario.
La decisione fu presa dopo che ebbe visionato una foto di se stesso in abito talare.
La foto incriminata, della quale furono poi fatti bruciare persino i negativi, gli era stata scattata da sua zia Anita in un'occasione del tutto particolare e cioè l''ottantacinquesimo compleanno di sua nonna Eleonora Bonaccorsi Monterovere.
Era stata una grande festa di famiglia, a cui tutti i Monterovere, i Bonaccorsi e i Bassi-Pallai avevano partecipato, con abbondanti scorpacciate e libagioni.
Francesco aveva ottenuto il permesso di unirsi alla festa a patto di indossare la tonaca.
Quando era arrivato, prima degli altri invitati, sua zia Anita, a tradimento, gli aveva scattato la foto, poi gli aveva fornito abiti "borghesi".
La serata era stata piacevole. Francesco aveva rivisto tutti gli altri zii, ma soprattutto i suoi genitori Romano e Giulia, sua sorella Enrichetta, che lavorava già come segretaria dell'Azienda Fratelli Monterovere, e suo fratello Lorenzo, che frequentava il ginnasio.
E qui incominciò la maturazione dell'idea della fuga:
<<Se Lorenzo frequenta il Ginnasio da casa, allora anch'io voglio frequentare l'ultimo anno di Liceo Classico da laico>> aveva detto ai genitori e gli zii.
Alla sera aveva dormito dalla nonna e contava di andare con i genitori a parlare ai Salesiani della sua decisione.
Purtroppo, per una singolare applicazione della Legge di Murphy, il giorno dopo accadde un'imprevista tragedia: suo zio Ferdinando, che aveva mangiato e bevuto con particolare voracità, si sentì male e morì d'infarto a soli cinquantotto anni.
La festa si tramutò subito in lutto, e fu un lutto molto grave, anche perché Nando era il vero dirigente dell'Azienda Fratelli Monterovere, il vero uomo d'affari, e i suoi figli, che pure erano destinati a succedergli in quel ruolo, erano ancora troppo giovani.
Tocco dunque al fratello Romano, seppure di malavoglia, assumere temporaneamente la guida dell'Azienda, insieme al suocero, l'ingegner Lanni.
L'altro fratello, Tommaso, garantì come sempre la "copertura politica" da parte del PCI, specie per garantire i finanziamenti del progetto C.E.R.
Quando Romano spiegò al figlio Francesco che gli eventi di quei giorni richiedevano la sua presenza altrove e gli impedivano di recarsi subito dai salesiani, il ragazzo tornò in seminario, ma con l'intenzione di uscirvi il prima possibile e il momento della fuga fu deciso quando gli arrivò per posta la foto che sua zia Anita gli aveva scattato il giorno del compleanno della nonna.
Vedersi in abito da novizio fu troppo.
Francesco mise subito in atto il piano.
Quella notte, quando i suoi compagni di stanza si furono addormentati, prese il suo zaino e si diresse verso una zona dove l'alto cancello acuminato era affiancato da un ciliegio. Si arrampicò sul ciliegio e si trascinò con le mani lungo un ramo che andava oltre il cancello.
Il ramo si piegò sempre di più, anche se all'epoca Francesco, pur essendo già alto più di un metro e ottanta, era talmente magro e denutrito da pesare pochissimo.
Si lasciò andare e se la cavò con qualche graffio e una sbucciatura di cui rimase la una cicatrice a forma di croce: l'ultimo ricordo del Seminario.
Si diresse subito dallo zio Tommaso, il quale, essendo comunista, odiava i preti e avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliere il nipote dalle loro grinfie.
L'unico prezzo da pagare fu ascoltare per la milionesima volta i racconti puramente inventati da Tommaso riguardo alle sue presunte imprese eroiche durante la Resistenza.
I Salesiani, non appena si accorsero che Francesco era fuggito, si rivolsero alla sua protettrice, la contessa Zuccini, Dama di San Vincenzo, la quale subito individuò il rischio del pericolo comunista:
<<Quel suo zio è peggio di Lenin!>> dichiarò <<Sarebbe capace di tutto!>>
La delegazione andò ad affrontare il Lenin di Faenza e lo trovò particolarmente bellicoso.
<<Mio nipote non si muove di qua. Garantisco io per lui, e sapete che la mia parola pesa molto, da queste parti>>
Francesco fu irremovibile nel rifiuto di non tornare.
<<Non gli faremo superare l'anno di scuola>> minaccio il prete-vicepreside.
Ma lo zio Tommaso aveva già trovato la soluzione:
<<Darà gli esami di ammissione alla terza Liceo da privatista. E se non sarà presentato bene, sarete voi a fare una brutta figura>>
Alla fine si arrivò ad un compromesso: Francesco sarebbe stato promosso con la media del 6, molto più bassa di quella reale, ma avrebbe potuto accedere all'ultimo anno del Liceo Classico pubblico se, come prevedeva la legge per chi proveniva da scuole confessionali, avesse superato l'esame di ammissione.
Lo superò con la media dell'otto e finalmente, alle soglie dei 18 anni, fu libero.
La battaglia dell'Eufrate: Turchia, Siria, Rojava Kurdistan e Isis
L'operazione Scudo dell'Eufrate, ordinata dal "Sultano" turco Erdogan a partire dalla scorsa estate, ha dato inizio ad una trasformazione della guerra in Siria: non si tratta più di una guerra interna al paese, ma di un conflitto internazionale tra due stati sovrani, la Siria (in rosso nella cartina sono indicati i territori controllati dal presidente siriano Assad) e la Turchia (in verde scuro sono indicati i territori conquistati dai turchi), e due stati non riconosciuti dalla comunità internazionale e molto diversi (direi quasi opposti) tra loro e cioè il Rojava Kurdistan (cioè la regione curda interna al territorio siriano, indicata in giallo nella cartina) e l'Isis, il califfato islamico, che finalmente incomincia a dare evidenti segni di cedimento.
Lo scopo dell'intervento turco è molteplice: impedire la formazione di un territorio curdo unitario lungo tutto il confine meridionale della Turchia; bloccare la riscossa dell'esercito regolare siriano di Assad, galvanizzato dalla vittoria nella battaglia di Aleppo e dalla riconquista di gran parte del territorio nazionale; soccorrere gli alleati islamisti dell' "emirato" di Idlib e tutte le forze delle varie sigle islamiche che da anni cercano di rovesciare il governo siriano; acquisire un posto di primo piano nel futuro "tavolo della pace".
L'avanzata di Erdogan è stata piuttosto lenta. Dopo mesi di combattimenti i Turchi e i loro alleati islamisti sunniti hanno conquistato la città di Al-Bab, controllata dai miliziani dell'Isis in fuga.
Al-Bab era assediata da est e da ovest dai Curdi e da sud dai Siriani.
La conquista della città da parte della Turchia ha provocato l'immediata contromossa dell'esercito della Siria, che ha schierato le proprie truppe lungo la linea che collega la zona di Aleppo al territorio del Rojava Kurdistan.
Nel pomeriggio del 27 febbraio 2017, i Turchi e i Siriani si sono trovati finalmente faccia a faccia su un fronte militare lungo una cinquantina di chilometri.
Il 28 febbraio Erdogan ha dichiarato che il prossimo obiettivo dell'operazione Scudo dell'Eurfrate sarà la conquista di Mambji, attualmente sotto il controllo dei Curdi del Rojava.
Continua dunque, fuori dei confini della Turchia, l'ossessione turca contro i Curdi.
Bisogna però distinguere tra l'ala estremista del Pkk, il partito curdo dei lavoratori all'interno della Turchia, e il governo democratico dell'Ypd, il partito popolare dei Curdi del Rojava.
Le truppe turche hanno sferrato il primo attacco, insieme ai gruppi islamisti, nel villaggio di Kreidiyeh, mostrando quindi che una delle direttrici dell'offensiva per la conquista di Manbji sarà sferrata da sud-ovest.
Questo attacco può pregiudicare le operazioni militari contro l'Isis.
Sono proprio i Curdi dell'Ypd coloro che in questo momento, in Siria, stanno combattendo in prima linea, a est dell'Eufrate, contro il cuore centrale dell'Isis, in particolare la capitale Raqqa.
L'operazione condotta dai Curdi contro l'Isis è appoggiata dai paesi occidentali e, seppure in via temporanea e tattica, anche dallo stesso presidente siriano Assad, specialmente per quel che riguarda l'operazione che potrebbe portare a togliere l'assedio dell'Isis dalla roccaforte siriana di Deir ez Zor, che resiste da anni.
Hobbiville and Hobbiton set
Ho bisogno di credere, di sapere e di ricordare che tutto questo esiste davvero.
"Né la forza né la saggezza ci condurrebbero lontano; questo è un cammino che i deboli possono intraprendere con la medesima speranza dei forti. Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove.“
– John Ronald Reuel Tolkien -
Tolkien's world's art
The Riders of Rohan. Art by Ted Nasmith
Eternità e tempo nell'opera di Tolkien. Introduzione al Silmarillion, di Francesco Scarlata
Il Silmarillion è l'opera più complessa di J.R.R. Tolkien. Pubblicata quattro anni dopo la morte dell'autore, ha aperto nuovi scenari sull'estetica della Terra di Mezzo.
Lo stile altamente poetico rende la lettura impegnativa, e nello stesso tempo consente di percorrere i sentieri più nascosti e suggestivi della mitologia tolkieniana.
Dall'analisi delle lingue elfiche alla storia di Beren e Lúthien, passando attraverso il simbolo degli Alberi di Valinor, il saggio si propone di individuare possibili chiavi di lettura dell'opera del Professore. Alla base delle riflessioni è posto il rapporto tra eternità e tempo, fondamento e principio di ogni mitologia.
lunedì 27 febbraio 2017
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