Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
sabato 27 febbraio 2016
venerdì 26 febbraio 2016
La Toga: cos'è e come indossarla
La toga (il cui nome è connesso con il verbo latino tego, "ricoprire") è una sopravveste di lana o di altro tessuto, il cui uso è stato ed è tradizionalmente legato all'appartenenza ad una determinata professione o categoria sociale.
Tipologie
Con questa parola ci si riferisce in particolare:
- o a un ampio e lungo mantello di lana che gli antichi Romani portavano sopra la tunica,
- o a una lunga sopravveste nera indossata
Toga romana
Tito Livio e Floro raccontano che la toga pretesta (in latino toga praetexta) fu importata a Roma come usanza dei vicini Etruschi al tempo di Tarquinio Prisco.[1] Era un tipo di toga bordata di rosso, che veniva indossata da tutti i più alti magistrati.
« A me non dispiace la teoria di quelli che sostengono che [l'uso dei dodici littori siano stati] importati dalla vicina Etruria (da dove furono introdotte la sella curule e la toga pretesta) tanto questa tipologia di subalterni, quanto il loro stesso numero. Essi credono che ciò fosse così per gli Etruschi poiché, una volta eletto il re dall'insieme dei dodici popoli, ciascuno di essi forniva un littore. » |
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 8.) |
L'uso della toga era riservato esclusivamente ai cittadini romani maschi, mentre gli schiavi e gli stranieri non avevano il diritto di indossarla. Chi era condannato all'esilio era condannato a perdere il diritto ad indossarla, lo ius togae.[2] Solo più tardi ne fu concesso l'uso a tutti gli abitanti dell'impero. I cittadini delle province, secondo alcune testimonianze, tendevano a non indossarla,[3] ma anche gli stessi romani, con l'avvento del periodo imperiale, iniziarono ad abbandonarne l'uso, tanto che Augusto fu costretto ad imporre che i cittadini la usassero almeno nel Foro.[4] Ecco cosa scrive Svetonio:
« Si applicò per far riprendere la moda e il costume di un tempo: un giorno, vedendo in un'adunanza del popolo una folla di gente malvestita, indignato esclamò: "Ecco i Romani, padroni del mondo e il popolo che indossa la toga", e diede incarico agli edili, dopo ciò, di non tollerare che nel Foro e nei dintorni si fermasse qualcuno se non avesse prima abbandonato il mantello che copriva la toga. » |
(Svetonio, Augustus, 40.) |
Di qualsiasi tipo fosse, era un grande mantello ovale, ripiegato in due nel senso della lunghezza. Si indossava creando dapprima un mazzo di pieghe che dovevano essere appoggiate sulla spalla sinistra; la si passava poi attorno al corpo lasciando libera la spalla destra. Essendo ampia e pesante, la toga dava un aspetto imponente a chi la portava e ben rappresentava l'importanza di Roma, dominatrice del mondo antico.
Tra le varianti di toga abbiamo:
- Toga virilis (o toga pura): toga dell'età adulta (che si raggiungeva attorno ai 15-17 anni), solitamente di colore bianco avorio.[5] Il Pontefice massimo ne posava un lembo sulla testa. Questa festa era celebrata solitamente il17 marzo, coincidendo con i Baccanale.[6] I Senatori e i Cavalieri avevano il privilegio di poterla ornare con una striscia di tessuto color porpora appuntata sulla spalla e che scendeva sul davanti, larga per i primi e stretta per i secondi (laticlavio, angusticlavio).
- Toga candida: ossia bianca, indossata dai candidati che si presentavano alle elezioni. Il colore doveva indicare l'onestà delle loro intenzioni.
- Toga pulla (o toga atra): una toga marrone o grigio scuro, indossata durante i giorni di lutto.
- Toga praetexta: si trattava di un tipo di toga orlata di porpora. Essa veniva indossata da:
- Tutti i ragazzi romani liberi, che non avevano raggiunto ancora l'età adulta (fino ai 15-17 anni), veniva indossata nelle occasioni formali ed ovviamente era di dimensioni minori rispetto a quella degli adulti
- Tutti i maggiori personaggi civili e religiosi, che per la loro funzione erano considerati Magistrati Curuli
- Tutti gli ex Magistrati Curuli ed i Dictatores al momento della sepoltura e in altri casi anche durante certe solennità.
- Secondo la tradizione essa era stata indossata da tutti gli antichi Re di Roma
- Durante l'impero il diritto di portare questo tipo di toga venne spesso esteso come un onore riservato indipendentemente dalla funzione svolta
- Toga picta: toga color porpora e strisce d'oro, indossata dai comandanti delle legioni in occasione della celebrazione del trionfo dopo la battaglia e dagli imperatori nel periodo tardo romano. Attorno al IV secolo la toga picta era integralmente ricamata, e per questo indossata solo da personaggi di altissimo rango. Essendo rigida e pesante, fu superata da mantelli più comodi da indossare come la clamide.
- Toga trábea: toga variopinta indossata dagli Auguri, figure che, presso i romani, davano l'interpretazione della volontà degli dei studiando il volo degli uccelli.
- Toga sinus: versione più grandiosa, si pensa lunga circa tre metri. Il sinus era la parte di tessuto appoggiata al fianco destro, che poteva anche essere ripiegato sul capo. Il lembo che cadeva dalla spalla sinistra ai piedi diventò talmente lungo, che fu ulteriormente ripiegato e usato come tasca (umbus).
- La toga contabulata: usata nel tardo impero, era caratterizzata dal fatto che il lembo anteriore, invece di essere lasciato cadere ai piedi, era passato trasversalmente sul torace. Se ne vedono parecchi esempi sui dittici in avorio del IV secolo d.C.
Toga moderna
La toga nella magistratura e nell'accademia
Lo stesso argomento in dettaglio: Abbigliamento accademico. |
Alcune professioni e cariche pubbliche, di origine per lo più medievale e di particolare prestigio intellettuale.
Durante lo svolgimento dei loro compiti professionali tali funzionari indossavano, e spesso indossano ancora (abitualmente o in occasioni formali) specifici abiti di diversa foggia, che vanno tutti sotto il nome di toga. Tradizionalmente tale abito serviva per differenziarsi dal resto della popolazione ed all'interno della stesso ordine per distinguere particolari gradi, funzioni o prerogative.
La toga nel protestantesimo
Anche alcuni pastori protestanti, soprattutto quelli di tradizione luterana e calvinista, indossano normalmente una toga durante il culto evangelico, in particolare per la predicazione. Questa prassi fu voluta dai primi riformatori in esplicita polemica con l'uso cattolico-romano dei paramenti liturgici: la toga era un abito laico (come laico è a tutti gli effetti un pastore), ma era anche il segno di chi aveva visto pubblicamente riconosciuta (normalmente con il conseguimento del dottorato) la propria formazione accademica. Il pastore riformato, quindi, continua ad essere un membro di Chiesa non rivestito di particolari funzioni sacerdotali, e però, in virtù dei suoi studi teologici pubblicamente riconosciuti, viene scelto per una funzione ecclesiastica per molti versi analoga a quella civile del magistrato, il quale applica ai casi concreti una legge (per il pastore, la Scrittura) non stabilita dal magistrato stesso.
Note
- ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 5.6.
- ^ Svetonio, Claudio, 15; Plinio il giovane, Epistole, 4, 113.
- ^ Giovenale, 3, vv. 171-2; Marziale, IV, 66, vv. 3-4.
- ^ Svetonio, Augusto, 40.
- ^ Cicerone, Pro Caelio, 33.
- ^ Publio Ovidio Nasone, Fasti, III, 771 seg..
- ^ R.D. 14-12-1865 n. 2641
Bibliografia
- Henni Harald Hansen, Storia del costume, ed. Marietti
- Rosita Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, ed. Einaudi, 1978
giovedì 25 febbraio 2016
Il gatto quotidiano
Tragica verità: ai gatti piace molto "inaugurare" la nuova sabbia della lettiera con "effetti speciali"
Chiudiamo in bellezza
mercoledì 24 febbraio 2016
Gli Iniziati di Estgoth. Capitolo 36. Joelle e Jennifer in partenza
Preparare lo zaino per la spedizione sotterranea era stato, per Joelle Burke-Roche, una delle imprese più difficili della sua vita.
Non si trattava, infatti, soltanto di scegliere il necessario per arrivare al Varco di Estgoth, ma anche, e soprattutto, per ciò che sarebbe accaduto dopo che il Varco fosse stato oltrepassato
Jennifer osservava con l'aria compiaciuta di chi, essendo stato escluso da un'attività, se ne augura segretamente il fallimento.
<<Non ti basterebbe un camion per portare tutto ciò di cui avresti bisogno al di là del Varco, quando sarai a Gothian. E' il posto peggiore dove andare. Mi chiedo quale pazzia possa spingerti proprio là>>
Joelle, pur essendo sua gemella, era diversa: fisicamente appariva più tonica, più atletica, anche se non faceva niente di particolare per esserlo:
<<Curiosità verso "Il luogo che ci terrorizza tutte": così ha detto Margaret. Ma voi sapete davvero cosa c'è dall'altra parte?>>
<<Nessuna sacerdotessa è ritornata indietro per dirlo. Hanno tentato e hanno fallito. Hanno fallito e sono morte!>>
<<Non è detto, Jennifer. Forse non sono morte. Io sono curiosa di vedere con i miei occhi...>>
<<Vedere cosa c'è a Gothian? Te lo dico io cosa c'è: dolore, orrore e disperazione>>
<<Questi sono luoghi comuni! Ma nello specifico, nel concreto...>>
Jennifer sospirò:
<<Molto freddo, molto buio, molti vampiri, molti zombie, molti mostri e molti altri incubi ad occhi aperti>>
<<Niente zanzare?>>
<<Le tue spiritosaggini, là, non ti serviranno>>
Joelle sollevò gli occhi al cielo:
<<Dimentichi che sono una sacerdotessa di Eclion e conosco tutti i volti del Male.
E al mio fianco ci sarà Vlad, con la protezione di Gothar>>
Improvvisamente ripensò al Principe e a quella strana attrazione che provava nei suoi confronti.
Vlad è il giorno e la notte, l'inverno e l'estate, la guerra e la pace, la sazietà e la fame, e muta forma come il fuoco quando gli si getta un nuovo ramo resinoso, mescolandosi al suo profumo e predendone di volta in volta l'aroma.
Gli uomini ritengono giusta una cosa e ingiusta l'altra, ma per Vlad tutto è bello, tutto è giusto, tutto è buono.
<<Tu, Vlad e Gothar... proprio una bella squadra!>> ironizzo Jennifer
<<Almeno io ho il coraggio di prendere il toro per le corna! Non come voi altre che ve ne state qua in riva al fiume, ad aspettare che passi il cadavere del nemico. E nemmeno come Waldemar, che si fa chiamare Messaggero degli Dei, ma nei fatti è un loro servo>>
<<Lui serve Atar e Belenos allo stesso modo in cui tu servi Eclion e Gothar. Né più, né meno>>
<<Io ho preso le mie decisioni in autonomia>> ribatté Joelle <<E non imploro la salvezza o la libertà come dono che mi venga calato dall'alto: chi vuole la salvezza deve lottare per conquistarsela!
Se vuoi la libertà, non aspettare che qualcuno te la conceda: devi prendertela da te, con le tue mani, lottando!
E poi io non sono la messaggera di nessuno.
Ma lui, Waldemar...
Lui quale messaggio porta? Io mi vergognerei ad essere il Messaggero di Divinità che nascondono la loro sete di potere e di gloria dietro le belle parole.
Meglio chi fa il male apertamente, piuttosto che coloro che lo fanno fingendo di fare il bene!>>
Jennifer appariva insondabile, così come in generale il suo aspetto era evanescente, come quello di un fantasma:
<<Cos'avrebbe dovuto fare, secondo te? Sfidare gli Immortali? Opporsi al loro Grande Disegno? Violare il Patto stretto da Atar e Belenos?>>
<<Perché no? In fondo, nessuno di loro è onnipotente. L'errore più comune degli Immortali è illudersi di poter realmente comandare. Non ricordano tutte le volte che le cose si sono ritorte contro di loro. Non hanno ancora imparato la lezione>>
<<E quale sarebbe questa lezione, Joelle?>>
<<Che possono scatenare il vento, ma non ordinargli di soffiare nella direzione che vogliono loro.
Sai cosa disse Odino al figlio Balder morente?
"Se io fossi un vero dio, riuscirei a riportarti indietro dagli Inferi!">>
Jennifer si sentì punta sul vivo:
<<Nemmeno il Supremo Ahura Mazda, in tutto il suo splendore, può dirsi onnipotente! Vorresti forse insegnare a me il significato degli Arcani Supremi?>><<Se le mie parole non ti convincono, ti riferirò una frase che la vecchia Sidonie Waldemar ripeteva spesso: "L'unica divinità alla cui onnipotenza potrei anche credere è la Sfiga">>
E in quel momento le parve che Sidonie, nella sua estrema vecchiaia, avesse compreso qualcosa che gli altri non si rassegnavano ad accettare. Forse aveva capito che tutti i religiosi, i filosofi e gli scienziati si sbagliavano e che i principi fondamentali dell'universo rimanevano pur sempre l'errore e il caso.
Jennifer sorrise, ma controvoglia:
<<Sì, va be', se vogliamo contare le battute di Sidonie, non ne usciamo vive. Con me disse che tutti hanno quattro vite: una vita pubblica, una vita privata, una vita segreta e una vita di m...
Ma stavolta non te la caverai con una battuta, Joelle!
Devi dirmi qual è il tuo vero obiettivo, quello che va oltre la tua ricerca dell'immortalità e il suo conseguente transumanesimo>>
Joelle allora si fece seria, e il suo sguardo era quello di una statua ferma e solida di fronte all'abisso:
<<Quello che io chiedo è che agli uomini sia concessa la facoltà di decidere autonomamente. E' questa la posta in gioco!
Vogliamo essere burattini degli Immortali o essere padroni di noi stessi?>>
<<E tu credi che Vlad e i suoi parenti Vampiri lasceranno liberi gli Umani? Non puoi essere così ingenua!>>
<<Se avrò la fiducia di Vlad, potrò essere io la guida degli Umani, e saprei essere molto autonoma!
Non come Waldemar, che li lascia trasportare come un tronco di legno in un fiume!>>
Jennifer, che aveva fatto della difesa di Waldemar la sua principale ragione di vita, non intendeva transigere su quel punto:
<<Un giorno imparerai che il vero eroe è un eroe per errore. Uno che è capitato lì per caso e non gli è stato possibile di tirarsi indietro. Il vero eroe, in fondo, rimpiange di non poter essere un codardo come tutti gli altri. E la sua paura sarà la sua arma più preziosa!>>
<<Siete proprio fatti l'uno per l'altra! Avete paura anche della vostra ombra!>>
Jennifer tornò alla sua compostezza professorale:
<<Molto spesso a sopravvivere è chi ha avuto paura. Chi ha saputo quando fermarsi. Forse dovremmo studiare meglio le conseguenze di questo tipo di decisione. Del resto, si studiano coloro che sopravvivono e si impara da loro>>
<<Quella è la stirpe degli schiavi, come sta scritto nella Genealogia della morale di Nietsche!
Ma ne esiste un'altra! E tu lo sai bene, visto che ti occupi del Programma Genetico da una vita>>
<<Ma di che cosa stai parlando, Joelle? Del Superuomo o dell'Oltreuomo?>>
<<Sto parlando del fatto che quando arrivano le tempeste ci sono due modi di reagire: ci sono quelli che si rintanano e si rannicchiano, paralizzati dal terrore, e ci sono invece quelli che librano le loro ali in cielo come aquile e volano al di sopra delle nubi, al di sopra della tempesta, al di sopra di tutto.
Ecco, questa è la mia razza>>
Jennifer scosse il capo:
<<La razza degli esaltati!>>
Joelle sorrise:
<<Forse, ma sempre meglio della razza di chi trascorre la vita nelle caverne per paura di quello che c'è fuori>>
Jennifer inarcò le sopracciglia:
<<Hai presente qual il motto della Chiesa Cattolica: Unicuique suum. A ciascuno il suo!
Le mie caverne hanno molto da insegnare. Anche nell'inerzia può esistere conoscenza.
Sai cosa rispondeva la 116enne Sidonie a chi la rimprovera di non aver mai fatto sport?
Rispondeva: il mio sport è quello di camminare ai funerali dietro alla bara di chi faceva sport>>
Joelle rise:
<<Almeno nell'ironia posso riconoscerti come sorella.
E va bene! A ciascuno il suo!
Forse è giusto che ognuna di noi abbia scelto un ruolo diverso. Mettiamo da parte le rivalità, almeno per il momento.
Ci attende un lungo viaggio, e se è vero che ti fermerai prima del Varco, il mio viaggio sarà ben più lungo del tuo>>
Jennifer annui.
In fondo al cuore sapeva che le cose sarebbero dovute andare in quel modo.
Era chiaro fin dall'inizio che una di noi sorelle avrebbe affrontato la prova del dolore, e Joelle è sempre stata la più forte.
martedì 23 febbraio 2016
Lothlorien
Lórien o Lothlórien è un regno di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien. È una foresta della Terra di Mezzo, posta alla coincidenza tra i due fiumi Celebrant e Anduin. Il nome Lórien (nome del giardino del Vala Irmo, ma che in Sindarin può essere interpretato come "terra dell'oro", in riferimento alle foglie dei mallorn) deriva da Lothlórien ("fiore di sogno"), che è a sua volta derivato da Laurelindórinan ("terra della valle d'oro cantante"). Gli abitanti sono chiamati Galadhrim ("gente degli alberi"). Altri nomi sono Lórinand ("valle dorata", derivato dal Nandorin) e Lindorinand ("valle dei cantori", forse in Telerin)
« A Lórien le cose del passato vivevano ancora: i lupi ululavano ai margini del bosco: ma sulla terra di Lórien non vi era alcuna ombra » |
(J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell'Anello) |
La storia
Le origini
Come quelli del Bosco Atro più a nord, gli abitanti di Lothlórien erano originariamente Elfi Silvani della stirpe dei Nandor, che erano originariamente, di tutti gli Eldar, i più somiglianti agli Avari dell'est. I loro primi accampamenti erano sparsi in tutte le ampie foreste su entrambe le rive del corso superiore dell'Anduin, avendo dimorato lì in origine dopo essersi rifiutati di attraversare l'Hithaeglir in tempi molto antichi.
La prima traversata dell'Anduin
Prima della fine della Prima Era, gli Elfi Silvani si erano trasferiti ad est dell'Anduin per sfuggire al potere e all'influenza dei Nani di Khazad-dûm, in crescita durante quel periodo, ma la loro cultura e conoscenza fu notevolmente arricchita e ampliata con l'arrivo degli Elfi Sindar da ovest delle montagne agli inizi della Seconda Era: persino il linguaggio Silvano fu gradualmente sostituito dal Sindarin (pur con contaminazioni e accento Nandor, il quale trasse in inganno Frodo Baggins, che capiva il Sindarin "classico"). Tra questi arrivi ci fu anche quelli di Amdír, che divenne il loro primo signore ancor prima di Galadriel e Celeborn, il quale passò le montagne e l'Anduin per unirsi a questi Nandor del sud dopo la distruzione dell'Eregion durante la guerra tra gli Elfi e Sauron.
In definitiva, Amdír si mise a capo dell'armata che prese parte all'Ultima Alleanza tra gli Elfi e gli Uomini assieme ad Oropher, un altro signore Sindarin che guidò gli Elfi Silvani del nord nella stessa vittoria contro Sauron, perciò si può supporre che entrambi i reami boscosi, del nord e del sud, siano stati fondati allora.
La seconda traversata
Dopo la morte di Amdir, gli Elfi di Lorien proclamarono Regina lady Galadriel, figlia di Finarfin, della famiglia reale del Noldor, Re suo marito Celeborn, figlio di Elmo, della famiglia reale dei Sindar, e andarono ad abitare la foresta a ovest del fiume — che era nota col nome di Laurelindórinan ("Terra della Valle dell'Oro Cantante", secondo la traduzione di Barbalbero) o Lórinand ("Valle dorata") — e le diedero un nuovo nome, Lothlórien (Sindarin "Fiore di sogno"), in onore di quella regione che Galadriel dovette abbandonare esiliandosi dalla terra di Aman (abbandonarono così la zona dove poi sarebbe sorta Dol Guldur). La Dama custodì il paese di Lorien grazie al potere del suo anello elfico, Nenya, nonché quello della gemma Elessar.
Lothlórien era famoso per avere gli alberi più grandi della Terra di Mezzo, e dopo la caduta di Númenor divenne il solo posto dove cresceva ancora il mallorn, l'albero d'oro, donato agli Elfi da re Tar-Aldarion di Numeronor, durante la Seconda Era, a sua volta donato ai numenoreani dagli Eldar di Tol Eressëa, vicino a Valinor; si dice che i primi mallorn furono piantati nel bosco proprio da Galadriel[1]. Dopo la Guerra dell'Anello, inoltre, un seme di mallorn fu piantato da Samvise Gamgee nella Contea. Il seme gli era stato donato da Dama Galadriel lungo il suo viaggio e l'albero che crebbe al suo posto diventò il nuovo Albero della Festa davanti a Casa Baggins, dato che quello vecchio era stato abbattuto dai servi di Saruman.
La terza traversata
Dopo la partenza di Galadriel per Valinor nell'ultimo giorno della Terza Era, gli altri Elfi la seguirono e Lothlórien rimase disabitato e divenne così parte dei Regni Riuniti di Re Eldarion di Gondor, figlio di Aragorn e pronipote degli antichi regnanti.
Qui scelse di morire Arwen dopo la dipartita di Aragorn, re Elessar.
Qui scelse di morire Arwen dopo la dipartita di Aragorn, re Elessar.
Caras Galadhon
Caras Galadhon (città degli alberi in Sindarin, derivato dal Nandorin) era l'unica città del regno di Lórien. Era naturalmente priva di edifici, gli elfi essendo alloggiati prevalentemente in abitazioni ricavate nei mallorn (in origine piattaforme chiamate flet o talan), che Tolkien definisce come più imponenti delle più grandi sequoie. Tutti i sentieri che si delineavano sulla collina su cui sorgeva Caras Galadhon portavano in vetta dove sorgeva il mallorn più imponente, sede del palazzo di Celeborn e Galadriel. Il famoso giardino di Galadriel si trovava addossato ai confini meridionali della città, a ridosso della cerchia di mura. Queste fortificazioni non erano in muratura, ma erano presumibilmente costituite con terra, ed era presente anche, a presidio del centro cittadino, un piccolo fossato.
Curiosità
- Gli Ainur, gruppo rock italiano hanno dedicato un loro brano a Lorien, contenuto nel loro quarto disco The Lost Tales.
Note
- ^ Da Karen Wynn Fonstad, L'Atlante della Terra di Mezzo di Tolkien, Bompiani, 2004.
- ^ Morte avvenuta sul colle di Cerin Amroth appunto a Lórien, dove ella ed Aragorn si erano giurati amore eterno.
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