Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
domenica 23 novembre 2014
La Quarta Era. Capitolo 24. Dall'altra parte dell'oceano. Galadriel a Tol Eressea.
Il viaggio era finito lì, nelle coste rocciose dell'isola di Tol Eressea, l'unico luogo delle Terre Imperiture dell'Ovest in cui gli Elfi provenienti dalla Terra di Mezzo avevano avuto il permesso di abitare.
Gli unici che avevano il permesso di visitare le città degli Eldar nel continente erano i discendenti delle stirpi dei Noldor e dei Sindar, un piccolo manipolo di reduci, ormai.
E tra essi, l'unica che era nata a Valinor, presso la città di Tirion, e che aveva ricordi di quelle terre risalenti a migliaia di anni prima, era lady Galadriel.
Aveva lasciato quei luoghi quando era una giovane ribelle, con tanta energia e curiosità, e sete di giustizia.
E sono tornata carica d'anni ed esperienza, e sopravvissuta a millenni di battaglie contro il Male.
Speravo di trovare qui una felicità maggiore rispetto a quella che avevo conosciuto nel regno di Lothlorien, ma mi sbagliavo.
La prima impressione che aveva provato, scorgendo di lontano le scogliere di Tol Eressea, era stata di estraneità.
Me le ricordavo bianche e luminose. Ora sono scure e opache. Anche il mare si è fatto peggiore, l'acqua è fredda e torbida: ne vedo crudeli assalti al molo.
Il porto di Avallone era deserto.
Non s'infiocca più di vele, non è lo specchio di nulla, neppure di se stesso.
Quella malinconica visione l'aveva rattristata.
Abbiamo commesso un errore a venire qui. Era miglior pensiero restare dove eravamo, non andare oltre, sognare. Il sogno è l'infinita ombra del vero.
Anche gli altri a quella vista si erano incupiti..
Celeborn ed Elrond, che mai avevano visto Tol Eressea, mi guardavano come per dire:
"E' tutto qui? E' questa la gloria delle Terre Imperiture? Dov'è lo splendore degli Eldar? Dove sono i Troni dei Valar? E' così che accolgono i salvatori della Terra di Mezzo?"
Avrebbe voluto rispondere di no, ma non poteva.
Sarebbe stata una bugia, o quantomeno una mezza verità.
Frodo fu l'unico che mi capì davvero, quel giorno. Potevo leggere i suoi pensieri come un libro aperto, ed erano anche i miei pensieri:
"Come si fa a riannodare i fili di una vita interrotta? Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che la felicità spezzata non si ricompone più?"
Le era tornata in mente una poesia, scritta in gioventù, e ne aveva pronunciato i versi:
<<Essere uno è essere parte. Tardiva scoperta nel percorso irto, ma atta pure a riconsiderare la propria e l'altrui sorte. Vero viaggio è il ritorno, ma il sogno che interrompi non ritorna uguale.>> a questo punto si commosse e riuscì soltanto a
Fu allora che si ricordò qualcosa che le dava la misura dell'immensità del tempo passato e di come le cose erano cambiate:
<<Quando ero giovane, queste terre erano illuminate dai due Grandi Alberi: il dorato Laurelin e l'argenteo Telperion. Fu prima che Melkor e Ungoliant li avvelenassero.
Con l'ultimo frutto di Laurelin, i Valar crearono il Sole, e con l'ultimo frutto di Telperion, la Luna.
Ora guardate me e la Luna dietro di me, e giudicate voi stessi come mi posso sentire, sapendo che tra le due, io sono quella che è nata prima>>
Quelle parole suonarono strane, eppure erano vere.
Era stato Gandalf a rispondere per primo:
<<Come già una volta ti dissi, il tempo può avere cambiato me, ma non la Signora di Lorien!>>
Mithrandir, il Grigio Pellegrino, divenuto ora il Bianco, era sempre stato il più acuto nel capire i sentimenti di lei.
<<Non sono più la Signora di Lorien. Non so più esattamente che cosa sono.
Guarda, Mitrhandir, osserva i miei parenti che ci attendono sulla riva. Rivedrò mio padre e mia madre, e anche mia figlia. Non sai quante volte ho sognato questo momento, ma ora ho capito qualcosa che prima non mi era chiaro.
Vivere nella Terra di Mezzo mi ha cambiata e resa diversa da loro, e forse in tutti questi millenni anche loro sono cambiati. Ci illudiamo di rincontrare le stesse persone, ma in verità quelle persone non esistono più.
Ora capisco perché Earendil preferì volare in cielo con il Silmaril e diventare una stella, la nostra stella più amata, piuttosto che rimanere qui a vivere di ricordi tra persone che non riconosceva>>
Il riferimento al padre di Elrond, aveva riscosso quest'ultimo dal senso di stupore di fronte alle rive del nuovo mondo:
<<Se mio padre Earendil fosse qui, sarebbe per me una gioia rivederlo. Perché il tuo cuore si affligge, quando invece dovrebbe gioire, nel rivedere la tua famiglia, nel riabbracciare tua figlia Celebrian, la mia amata sposa, che ci ha atteso per tanto tempo?>>
Ancora una volta fu Frodo a mostrare la maggior comprensione per il conflitto interiore di Galadriel:
<<Mio signore Elrond, quando tornai nella Contea, credevo che sarei stato felice.
Eppure qualcosa si era spezzato dentro di me.
Ci sono cose che il tempo non può riaggiustare, ferite talmente profonde che lasciano un segno nell'anima, per sempre. E ciò che un tempo mi rallegrava, alla fine mi era divenuto estraneo. Ero partito per salvare la Contea, e l'avevo salvata, ma non per me...>>
Elrond aveva ricordato una frase pronunciata tanti anni prima dalla madre di Aragorn, la principessa Gilraen: <<Onen-i Estel Edain. U chebin Estel anim. Ho dato la speranza agli uomini ed ora non ne ho più per me>>
Galadriel ricordò il giorno in cui aveva detto addio ad Aragorn: "Namarie, Elessar. Ti dono anche l'avara mia speranza. A nuovi giorni, stanca, non so crescerla...>>
Quelle parole avevano avevano commosso persino il vecchio Bilbo, la cui mente era ormai obnubilata dall'estrema vecchiaia:
<<Questo è il nostro destino, amici miei, compagni, fratelli!
Il giorno in cui nascemmo, fummo prescelti dai Valar, che ci resero grandi e infelici, perché questo è il destino dei salvatori della patria>>
Gandalf appoggiò una mano sulla spalla del suo vecchio amico:
<<Noi non abbiamo una patria. Non apparteniamo a niente e a nessuno. Ecco il senso della poesia di Galadriel, che ci ricordava come "essere uno è essere parte">>
Frodo allora gli aveva domandato:
<<E noi, adesso, di cosa siamo parte, ora che il nostro ruolo nel Grande Disegno si è compiuto?>>
Gandalf aveva sospirato:
<<Il Grande Disegno non si è ancora compiuto e noi dobbiamo impiegare il tempo che ci resta per preparare la strada a coloro che verranno. Un'ultima battaglia li attende>>
Elrond aveva corrugato le folte sopracciglia:
<<Ma di cosa stai parlando, Gandalf? Il nemico è sconfitto!>>
Lo stregone scosse il capo:
<<La tua sapienza è grande, mio caro Elrond, ma c'è una cosa che persino tu non sai, e che tuo padre Earendil mi confidò, prima di portare il Silmaril nei cieli.
Egli aveva udito la profezia pronunciata da Mandos, riguardo alla sorte di Melkor il Morgoth, dopo la guerra dell'ira.
Secondo la profezia, Morgoth scoprirà come abbattere la Porta della Notte e distruggerà il Sole e la Luna. Allora Eärendil, per amore di questi, scenderà dal cielo e incontrerà Tulkas, Manwë ed Eönwë, il suo araldo, e Túrin Turambar ritornato dalla morte sulle pianure di Valinor. Tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo parteciperanno a questa battaglia, la Dagor Dagorath; Elfi, Uomini e Nani insieme, per l'ultima volta>>
Galadriel ne era a conoscenza, ma il suo cuore era in apprensione per l'incontro che l'attendeva.
Nel porto di Avallone c'era una grande folla.
Davanti a tutti loro c'erano i suoi genitori: Finarfin, re dei Noldor e sua moglie Earwen di Alqualonde.
Parevano più giovani di lei e la osservavano con un distacco solo lievemente intaccato dalla curiosità.
Quando me ne andai, lo feci contro la volontà. Fu un atto di ribellione contro di loro e contro i Valar, che ci avevano abbandonato.
E queste cose, anche se perdonate, non si dimenticano.
Galadriel si era infine inginocchiata davanti a suo padre, in segno di penitenza.
Finarfin le fece cenno di alzarsi, ma la sua voce era tetra e fredda:
<<Cinque figli partirono da Valinor alla volta della Terra di Mezzo. Finrod, il mio amato primogenito, e il nobile Orodreth, insieme ai gemelli Angord e Aegnor, trascinati dalla ribellione della mia unica figlia femmina, Galadriel.
E solo tu ha fatto ritorno nelle Terre Imperiture.
Dimmi, Galadriel, come morirono i tuoi fratelli?>>
Per lei era un ricordo straziante:
<<Mio re, mi comandi di rinnovare un dolore indicibile. I tuoi figli caddero combattendo valorosamente contro Melkor il Morgoth, durante la Prima Era del Sole.
Finrod sacrificò la sua vita per salvare l'amico Beren e la sua sposa Luthien...>>
Il viso di Finarfin si rabbuiò:
<<Il sangue più nobile dei Noldor fu versato per la salvezza di un uomo?>>
Galadriel fissò suo padre negli occhi:
<<Da quell'uomo e dalla sua sposa discese la valorosa stirpe dei Mezzelfi, i figli di Earendil.
Elrond di Rivendell, che è qui con me, ed Elros Tar-Minyatur, re di Numenor, da cui discende l'attuale sovrano di Gondor. E' stato anche grazie al loro valore che Arda fu salvata.
Come vedi, mio re e padre, il sacrificio di Finrod non è stato né inutile, né disonorevole>>
Finarfin non ne era convinto:
<<La salvezza di Arda non dipende dalla Terra di Mezzo. Quel luogo fu profanato dal Male e i Valar da tempo lo hanno dato per perso. E la profezia di Mandos parla chiaro, ed ecco che i segni della fine si manifestano.
La tua venuta tra noi è come le orme della rovina!>>
Galadriel, profondamente offesa, stava per ribattere, quando sua madre, la dolce Earwen, dai capelli color dell'argento, come quelli di tutti i Teleri di Alqualonde, le pose le mani sulle spalle e la abbracciò.
<<Bentornata, figlia mia, a queste prode, che rode la marea con moto alterno.
A lungo ho pregato per te, chiedendo la grazia al divino Iluvatar, ed ecco, ora sei qui, unica tra i miei figli, poiché gli altri giacciono come ombre nelle Aule di Mandos, e per loro a lungo piansi e sparsi gigli a piene mani.
E per questo tu mi sei ancor più preziosa, adesso che la la resa dei conti si approssima.
Ora va', ti attende un meritato riposo, poiché sei logora per il dolore e per la molta fatica. Questa notte, finalmente, dormirai in pace>>
Albero genealogico della Duchessa d'Alba
Possiamo vedere come Cayetana Fitz-James Stuart discendesse in linea diretta da Giacomo II Stuart, re d'Inghilterra e Scozia e come tale fosse titolata a reclamare la corona britannica.
Qui sotto la vediamo con la duchessa di Cornovaglia, Camilla Parker Bowles, moglie del Principe di Galles. Catyetana Stuart era imparentata con Diana Spencer, anch'ella discendente dagli Stuart,
Ecco lo stemma dei Duchi d'Alba
sabato 22 novembre 2014
Italia: la mappa dei luoghi comuni regione per regione
Per chi non sapesse chi sono i Guidos, ecco un'immagine che spiega il concetto più di mille parole:
Guido" (pronuncia inglese: /ˈɡwiːdoʊ/) è un termine gergale che storicamente designava la classe operaia urbana italo-americana. Lo stereotipo del "Guido" ha assunto varie connotazioni nel corso del tempo. In origine, il termine era per lo più usato per indicare in maniera dispregiativa gli italo-americani. Successivamente, ha iniziato ad identificare gli italiani che si comportano come teppisti o che hanno un atteggiamento apertamente maschilista[1]. Il momento esatto in cui ha iniziato ad assumere quest'ultima accezione non è chiaro, ma alcune fonti indicano orientativamente gli anni tra il 1970 e il 1980[2][3][4].
Etimologia[modifica | modifica wikitesto]
Tale termine trae la propria origine dal nome proprio italiano "Guido" (molto comune tra gli immigrati) o, meno probabilmente, dal verbo italiano "Guidare"[5]. Qualche ricercatore ha ipotizzato che possa essersi sviluppato come insulto nell'ambito stesso della comunità italo-americana, nei confronti dei nuovi arrivati.
L'uso moderno e la reazione degli Italo-americani
Il termine è particolarmente diffuso nelle aree metropolitane del nord-est degli Stati Uniti, aree con una numerosa comunità di italo-americani (come Brooklyn, Staten Island,Queens, Bronx, Long Island, Connecticut, South Philadelphia, Little Italy a Baltimora, Federal Hill a Providence, Johnston, Rhode Island e New Jersey)[6]. In altre zone, termini come "Mario" (Chicago) e "Gino" (East Haven, Connecticut, Toronto, Montreal) hanno un significato analogo a Guido[4]. Anche se alcuni italiani identificano se stessi con il termine "Guido", questa parola molto spesso assume una accezione denigratoria, divenendo un vero e proprio insulto etnico[4][7].
Nel 2009, MTV suscitò delle pesanti polemiche per l'utilizzo che fece di tale termine in alcuni spot pubblicitari per il reality show Jersey Shore, che vede protagonista un cast di italo-americani[4]. La protesta fu appoggiata da alcune organizzazioni italo-americane come Unico National, NIAF, l'Ordine Figli d'Italia in America[8][9].
Lo stile stereotipico
L'abbigliamento associato alla sottocultura e allo stereotipo del "Guido" include: l'uso di gioielli come le catene d'oro, amuleti d'oro come il corno ("cornicello") o medaglioni dei santi, e anelli da mignolo; l'abbigliamento della classe operaia, canottiere (anche chiamate "guinea t" o "dago t", essendo, "guinea" e "dago", insulti etnici per gli italiani), giacche di pelle, coppole, tute da ginnastica, le camicie eleganti aperte con le canottiere sotto, e abbigliamento per la discoteca. Anche la pompadour e l'uso dei prodotti per i capelli sono associati con lo stile "Guido". Certi aspetti dello stile "Guido" sono simili allo stile stereotipico dei "tamarri" o "truzzi" italiani.
Note
- ^ Edward Guthmann, 'Guido' Light On Swagger in San Francisco Chronicle, 18 luglio 1997. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ Libby Copeland, Strutting Season in The Washington Post, 6 luglio 2003. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ Maria Miro Johnson, High school: Where the wrong sneakers can turn a Skate Rat into an outcast in The Providence Journal, 28 agosto 1988, pp. E-01. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ a b c d Caryn Brooks, Italian Americans and the G Word: Embrace or Reject? inTime, 12 dicembre 2009. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ Bondanella, P. E., p. 70, 2005.
- ^ (EN) Donald Tricario, Guido: Fashioning An Italian-American Youth Style in Journal of Ethnic Studies, vol. 19, nº 1, 1991, pp. 44–66. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ Wayne Parry, NJ beach town mayor sez 'Fuhgeddaboudit!' to blog in USA Today, 19 luglio 2008. URL consultato il 30 novembre 2010. ("he referred to as 'guidos', employing a term widely considered an ethnic slur...")
- ^ Robert Allegrini, Lettera di protesta inviata a MTV in seguito agli eventi che hanno interessato il programma Jersey Shore, National Italian American Foundation (NIAF), 24 novembre 2009. URL consultato il 30 novembre 2010.
- ^ Joshua Rhett Miller, Italian-American Groups Ask MTV to Cancel 'Jersey Shore' inFox News, 25 novembre 2009. URL consultato il 30 novembre 2010.
Bibliografia
- (EN) Peter E. Bondanella, Hollywood Italians: Dagos, Palookas, Romeos, Wise Guys, and Sopranos, Continuum International Publishing Group, 2005, ISBN 978-0-8264-1757-2. URL consultato il 10 aprile 2011.
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https://www.facebook.com/pages/Comunisti-al-caviale/1540144022897456
"Comunisti al caviale" è un'espressione idiomatica ironica per definire gli appartenenti alla ricca borghesia, i vip o gli snob appartenenti all'elite dirigente che, per seguire la moda, per esibizionismo o per farsi perdonare il loro successo e la loro vita agiata, ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale (come il comunismo) o comunque opposte al loro vero ceto di appartenenza.
Un atteggiamento frequente è l'ostentato disprezzo del denaro, o il non volersene occupare in prima persona quasi fosse tabù, quando in realtà si abbia uno stile di vita improntato al procacciamento dello stesso con attività che, quando osservate in altri, un radical chic non esiterebbe a definire in modo sprezzante, come volgarmente lucrative.
Inoltre tale atteggiamento sovente si identifica con una certa convinzione di superiorità culturale, nonché per l'ostinata esibizione di tale cultura "alta", o la curata trasandatezza nel vestire e, talora, per la ricercatezza in ambito gastronomico e turistico; considerando insomma come segno distintivo l'imitazione superficiale di atteggiamenti che furono propri di certi artisti controcorrente e che, ridotti a mera apparenza, perdono qualsiasi sostanza denotando l'etichetta snobistica.
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