Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
lunedì 28 aprile 2014
#100happydays. La moda del "makes me happy for 100 days in a row".
Forse me ne sono accorto tardi, non essendo un utente di Twitter o di Instagram, ma da un po' di tempo impazza la moda dell'hashtag #100happydays.
Di cosa si tratta?
Noi viviamo tempi in cui le liste delle cose da fare e degli impegni programmati hanno raggiunto livelli insopportabili. La velocità della vita cresce e c'è sempre meno tempo per godersi i momenti in cui ci si trova a vivere. E' il famoso discorso del "carpe diem", cogli l'attimo fuggente.
Questa iniziativa vorrebbe andare nella direzione di effettuare il "carpe diem" e apprezzare il contesto in cui si svolge e il nostro stato d'animo, se quel particolare momento ci dà gioia. Questo comportamento sarebbe alla base della costruzione di una specie di "felicità di lungo periodo" per ogni essere umano.
L'iniziativa in questione parte da un dato secondo cui il 71% della popolazione tenta di completare questa sfida del trovare, per cento giorni consecutivi, almeno una cosa al giorno che rende felici e immortalarla con un'immagine o uno status su un social network.
E' così che io me ne sono accorto, vedendo i post di altre persone che improvvisamente hanno incominciato a dichiararsi felici per un certo motivo o per l'altro. La tal cosa mi fa felice, è la frase ricorrente, ma naturalmente in inglese "makes me happy".
Ma perché si dovrebbe fare una cosa simile?
Ci viene spiegato che la gente che ha completato con successo questa sfida ha mostrato di incominciare a notare ciò che la rende felice ogni giorno e quindi a sentirsi di umore migliore ogni giorno. Mostrano di incominciare a ricevere più complimenti dagli altri, di realizzare quanto sono fortunati di avere la vita che hanno. Diventano più ottimisti e a volte si innamorano durante questa sfida.
Se devo essere sincero a me questa sfida mette un po' di ansia, come tutte le sfide, per cui non saprei dire se il tentare una cosa del genere potrebbe produrre in me effetti positivi. Vedendo poi "quanto sono felici" gli altri che condividono le loro foto gioiose, senza invece condividere le loro sofferenze, mi sembrerebbe che la vita degli altri fosse tutta rose e fiori, mentre la mia avrebbe solo una piccola cosa al giorno che mi rende felice. Uso la prima persona solo come esempio. Io so già quello che mi rende felice e lo faccio, mentre non amo "vantarmi" della mia felicità in pubblico, mi sembra una cosa di cattivo gusto. Voi che ne dite? Ce nessuno tra i miei lettori e le mie lettrici che sta provando questa sfida? Vi trovate bene? Ne avete tratto beneficio?
domenica 27 aprile 2014
La "dipendenza" dai social network e i suoi effetti collaterali.
Sempre più persone sono in preda ad una grande confusione dovuta, oggi, non all’uso di una droga conosciuta nel contesto classico delle dipendenze, ma spesso, causata dalla frequentazione di Social Network. Lo sballo di questa “sostanza”non è più identificabile biologicamente attraverso oppiacei che raggiungono recettori sinaptici o altro, ma da un’attivazione diretta del sistema limbico che avviene tramite immagini, video, messaggi, parole ad effetto, che vanno immediatamente ad agire nelle “aree cerebrali del bisogno”.
Inizialmente molti si sono iscritti a Facebook attratti dall’idea di poter contattare qualche vecchio amico di cui si sono perse le tracce o per coltivare una conoscenza che non è ancora così stretta da permettere l'uso della comunicazione telefonica.
Il problema nasce quando il social network diventa lo strumento di comunicazione privilegiato, se non addirittura l'unico.
Davanti ad una persona passano una quantità infinita di informazioni che non possono essere trasmesse attraverso una connessione di rete.
I recenti studi sui neuroni specchio rivelano che coordinate spaziali intorno al corpo, e quindi il rapporto con gli oggetti e le persone che ci circondano, coinvolgono le parti fondamentali del nostro sistema nervoso.
In altre parole, la comunicazione più importante e, soprattutto, le informazioni più importanti passano attraverso il contatto fisico. La vicinanza prossemica, gli odori, la stimolazione galvanica del contatto con la pelle, l’impatto energetico e l’influsso della presenza, sono elementi della relazione che vengono assimilati ed elaborati inconsciamente molto più delle parole.
Novanta milioni di persone tra i quali il 30 per cento degli italiani, soprattutto giovani tra i 25 e i 34 anni, usano uno strumento come Facebook o altre realtà di Internet Community. Cosa li spinge a ciò? Una parola risponde, almeno in parte, a questa domanda: bisogno. Bisogno di affetto, di appartenenza, di apparenza, di marketing, di amore, di rapporti occasionali e chi più ha idee più ne aggiunga. Si tratta comunque di bisogni che non trovando soddisfazione nel campo reale si rivolgono a quello virtuale e non ci sarebbe niente di male in questo, se ne fossimo consapevoli.
Delle domande che potremmo porre a noi stessi mentre stiamo scrivendo qualche messaggio ad effetto, mentre stiamo caricando una nostra particolare foto o filmato, mentre il nostro cuore si accende all’idea di vedere se qualcuno ci ha scritto su Facebook, sono: “quale bisogno c’è dietro? Cosa sto cercando qui? Dove non riesco nella realtà?”.
Mi rendo conto che queste domande possono assomigliare a tecniche di decondizionamento cognitivo comportamentale che solitamente vengono utilizzate per frenare un atto compulsivo, una dipendenza, un istinto automatico, ma se dobbiamo darle un nome, diamole quello giusto: di una dipendenza a volte si tratta. Calcolando il tempo passato davanti a Facebook o a qualsiasi altro Social Network, spesso parliamo di ore che nell’arco di un anno sono settimane intere. Si tratta di un tempo dedicato ad una vera e propria altra realtà. Il problema non è costituto dal soddisfare un bisogno, che è qualcosa di vitale importanza per l’essere umano, ma lo diventa quando questa necessità si trasforma in una dipendenza che ci separa da una nostro esserci pienamente e manifestarci nella realtà.
Riguardo all’amicizia, viene da pensare ai compagni di scuola o a quelle persone particolari con le quali abbiamo condiviso le esperienze più belle ed importanti, amici che ci hanno accompagnato e ci sono stati vicini nei momenti più significativi della nostra vita. Può essere interessante fare un paragone tra queste persone così importanti, che si possono forse contare sulle dita di una mano ed i quattrocento o cinquecento contatti, chiamati “amici”, raggruppati in ogni profilo di Facebook.
Un adulto sa bene qual è la differenza, ma per un adolescente è diverso.
Alcuni valori non sono flessibili a mode o a tendenze, pertanto non ritengo possibile definire ex novo “amicizia” o “amore” attraverso questo nuovo veloce modo di favorire incontri. Anche da questo nasce molta confusione: si coltivano molteplici contatti di amicizia ma ci si sente soli, si manifesta amore in ripetuti rapporti occasionali o pratiche di sesso virtuale e non ci si sente mai amati.
Per non parlare dell’impatto emotivo che può avere la possibilità di rifiutare un’amicizia o ancora peggio ignorarla con un semplice click, o quanto può essere potente e compromettente vedere sparire persone dalla propria vita in un attimo, sostituite con disinvoltura l’istante dopo; questo si verifica quotidianamente nei Social Network.
Le Community sono inoltre una panacea di confessioni ed esibizioni personali, non si risparmiano le più inaspettate intimità, in parallelo al crescente interesse sociale per i Reality e a tutte quelle forme di esserci per gli altri “senza censure”. In questa apparente disponibilità, apertura, generosità di realtà personali in cambio forse di un po’ di capacità di stupire o di visibilità, si perde l’unicità del rapporto, la sacralità della confessione e la segretezza della confidenza; in altre parole si perde ciò che trasforma le relazioni superficiali in relazioni speciali. Riconoscersi in uno sguardo, trovare conferma in un contatto, essere contenuti con uno scambio fisico, viene sostituito da una conferma virtuale, e come ogni cosa non vera, si scinde dalla realtà, perdendo la sua esistenza concreta.
Allora possiamo chiederci: in quale realtà vanno tutte queste parti intime di noi, e soprattutto a chi vann? Cosa succede quando ci eccitiamo, piangiamo, ridiamo, ci soddisfiamo e diamo tutto noi stessi davanti ad uno schermo? A chi vengono indirizzati tutti quei sentimenti espressi ed inviati in messaggi, e-mail video o foto? Dove si disperdono?
Rollo May in Amore e volontà (1970) espone una visione molto chiara dell’individuo della società di allora, gli attribuisce un bisogno di emozioni forti per abbattere un muro di abitudini e d’insensibilità. Oggi, a mio parere, pur essendoci questa necessità, si delinea un altro problema: la scissione e la frammentazione dei vissuti. Non è difficile vivere più realtà contemporaneamente e dividersi in più contesti: amante virtuale e moglie reale, amicizie virtuali e amicizie reali, sesso virtuale e sesso reale, identità virtuale e identità reale.
Facebook, Myspace, Linkedin ed altri Social Network offrono la possibilità di soddisfare immediatamente il bisogno dell’uomo di comunicare, manifestarsi, confrontarsi e completarsi attraverso gli altri, ma rischiano di peggiorare il modo in cui tali bisogni vengono soddisfatti.
Resta aperta dunque la riflessione sulla modalità di esserci con gli altri attraverso delle realtà virtuali e sul pericolo che esse possano diventare una dipendenza, senza le quali si aprirebbe inevitabilmente il confronto con la propria solitudine.
La fiamma di Atar. Capitolo 15. Virginia D.
Quando Luca Bosco fece ritorno nel suo monolocale stipato di libri, gli tornò alla mente che non era sempre stato così. C'era stato un tempo in cui aveva condiviso il suo alloggio con una splendida ragazza, che era stata la sua compagna di vita e di studi ai tempi dell'università. Si chiamava Virginia, ed era stata il suo più grande amore. Si erano amati intensamente, ma tutto era finito troppo presto, e in modo drammatico, perché lei era morta a causa di una strana forma di consunzione, la cui causa non era segreta agli Iniziati, ma doveva rimanere tale per tutti gli altri.
Era stata Virginia stessa a volere questo, per impedire eventuali ritorsioni da parte della famiglia Dracu o della confraternita della Fonte Sacra. Dello stesso parere era stato il direttore Ferrante, a nome della Fiamma di Atar.
Era stata Virginia ad introdurre Luca nel mondo degli Iniziati, anche se aveva pagato un prezzo fin troppo caro per questo.
Luca aveva scritto un resoconto al riguardo, intitolandolo "Virginia D." e poi lo aveva nascosto insieme a tutti gli altri suoi scritti.
Piaga d'amore per allentar d'arco non sana
Eppure Virginia gli aveva fatto promettere che sarebbe andato avanti con la sua vita e che non avrebbe disdegnato eventuali future occasioni di felicità.
Fino a quel momento non ce n'erano state, ed erano passati ormai una decina d'anni.
Perdonami, Virginia, se non sono più riuscito ad essere felice.
Plaisir d'amour ne dure qu'un moment, chagrin d'amour dure toute la vie...
E non solo.
La felicità passata non è più felicità, ma il dolore passato è ancora dolore.
A queste considerazioni, che Luca aveva espresso più volte a Virginia, lei aveva ribattuto dicendo che l'essere stati felici dava già un senso alla vita, a prescindere da ciò che fosse successo dopo.
Virginia era morta senza rimpianti, avendo avuto dalla vita tutta la felicità desiderata.
Luca invece aveva dovuto subite la perdita di quella felicità.
Si chiedeva se a volte non fosse preferibile non aver mai conosciuto il vero amore, piuttosto che averlo conosciuto ed averlo perduto prematuramente.
Non esser mai, non esser mai, ma meno morte che non esser più...
Era tutto così difficile.
Virginia gli aveva mostrato che si poteva essere felici, e forse lo aveva illuso che esistessero scorciatoie per la felicità.
Ma essere belli e giovani, e nati al centro del mondo, non bastava. Non era sufficiente. Forse non era nemmeno necessario.
Non esisteva una ricetta facile. Erano richiesti dei sacrifici. Dietro ad ogni sorriso si celavano fiumi di pianto.
Nel dubbio se fosse meglio essere invidiati che compatiti o viceversa, Luca aveva fatto proprio un atteggiamento di "divina indifferenza".
E anche questo lo aveva appreso da lei.
Il ricordo di lei era così vivo che poteva sentirla parlare. Di solito la sua voce veicolava i messaggi della parte più genuina di lui.
Riscaldati al fuoco della fiamma di Atar. Illumina la strada. Non lasciarti bloccare dalla paura, come un gatto che si ferma in mezzo alla strada, abbagliato dai fari dell'automobile che lo ucciderà.
Erano messaggi in cui Virginia lo metteva in guardia dai pericoli, ma anche dall'eccessiva paura dei pericoli.
Protetto da robuste pareti, il cuore diventa ghiaccio. Lascia che il fuoco lo sciolga. Rifatti una vita...
Albero genealogico dei reali di Danimarca e parentela con la famiglia reale inglese.
La casata degli Oldenburg ha dato origine, oltre al casato di Danimarca, gli Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glucksburg, anche al casato di Grecia, da cui discende per linea paterna il principe Filippo, duca di Endinburgo, marito di Elisabetta II. Il cognome del principe Filippo, e cioè Mountbatten, gli deriva dalla madre Alice di Battenberg, una discendente della regina Vittoria. Una cosa che pochi sanno è che Alice di Battenberg, dopo essere rimasta vedova, si fece suora ortodossa, per cui la regina Elisabetta II ebbe come suocera una suora.
L'immagine qui sopra mostra Alice di Battenberg in una delle sue rarissime apparizioni pubbliche.
Nell'immagine sotto, Alice è al fianco del figlio Filippo, duca di Edimburgo.
Alcune strategie per gestire i colleghi difficili
Ce li hanno tutti i colleghi difficili: quelli che non ci arrivano, quelli che non sanno a stare al loro posto, quelli da cui non derivano che guai. Del resto, come scrive Business Insider, un’azienda “è un melting pot delle personalità”, un mix di esperienze, attitudini e prospettive che non sempre o non necessariamente si accordano armoniosamente fra di loro. Senza contare che non tutti reagiscono allo stress e alla pressione allo stesso modo. Ma se si vuole avere successo è determinante imparare a gestire nel modo migliore le diverse personalità che si incontrano sulla propria strada professionale. Ecco alcune idee per farlo.
Innazitutto, assicuratevi di non contribuire al problema: chiedetevi sempre se le vostre azioni sono corrette. Quando le relazioni si fanno più difficili, si può domandare a un altro collega di intervenire e gestire una questione al proprio posto. Secondo: distinguete fra la persona e il problema. Il modo migliore per discutere una questione è sempre quello costruttivo che si tiene al largo dagli aspetti personali. Per esempio: è meglio dire che non si è d’accordo con un’idea, piuttosto che puntare il dito contro la persona che la ha espressa. Fate il possibile per resistere alla tentazione di dare un nomignolo al vostro antagonista. Anche se rimane solo nella vostra testa, vi predisporrà in modo negativo.
Quarto: allo stesso modo, non prendetela in modo personale, ma cercate il modo più efficace per portare a termine il vostro compito: alla fine, è questa la ragione per cui siete pagati. Un altro modo efficace per gestire un conflitto è mettersi nei panni dell’altra persona. Una frase tipo: “Fammi capire se ho inteso bene, intendi dire che….” è una modalità quasi infallibile per sciogliere la tensione e per comunicare in maniera proattiva. Fermatevi e cercate di osservare dall’esterno la questione. Chiedetevi se è davvero importante la ragione per cui siete scesi sul sentiero di guerra. Gestire i problemi in modo aperto e diretto quando accadono evita che si ingigantiscano nel tempo.
Settimo: con tutta probabilità, le persone più difficili con cui avere a che fare sono quelle che cercano di manovrare dietro le quinte. Davanti a voi, infatti, fanno come se nulla fosse, ma il loro atteggiamento cambia appena voltate le spalle. Se possibile, gestite queste situazioni è nel corso di un meeting, quando sono presenti altri colleghi e i commenti saranno trascritti. Ricordate che se qualcuno persevera in un atteggiamento antagonista, prima o poi sarà allontanatodall’organizzazione aziendale. Evitate, dunque, di lamentarvi con il vostro capo, di rispondere colpo su colpo o di bussare alla porta dell’ufficio del personale, potreste essere etichettato come una fonte di problemi. Infine, accettate il fatto che non sempre avrete ragione e che chiedere scusa, qualche volta, paga.
La guerra civile in Ucraina
In Ucraina è in atto una guerra civile tra i separatisti russofoni del sud-est del paese e i sostenitori del colpo di stato che ha portato al potere l'attuale governo filo-europeista e filo-americano.
Sembra di essere tornati ai tempi della guerra fredda o, ancora prima, alla spartizione della Polonia tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista nel 1939, o addirittura ai tempi della Questione d'Oriente che un secolo fa portò alla prima guerra mondiale.
Nella cartina qui sopra vediamo in blu i paesi dell'Unione Europea e in rosso i paesi alleati della Russia, mentre con il simbolo della bussola si indicano i paesi aderenti alla NATO. I cerchi gialli indicano le zone di tensione alla frontiera tra la Russia e i paesi europei. Con l'ancora si indicano le flotte.
Le zone numerate indicano territori secessionisti che chiedono l'annessione alla Russia.
Infine in colore bordeaux ci sono gli stati neutrali.
Le zone zebrate indicano un conflitto di influenza tra Unione Europea e Federazione Russa.
Il gatto quotidiano. Cosa significano i movimenti della coda.
I gatti comunicano anche attraverso la coda. Ecco come interpretare le emozioni di un gatto tramite i movimenti della sua coda.
Leopardato...
Total black...
Color lavanda?
Gli occhi di un gatto sono le finestre per vedere attraverso un altro mondo
(proverbio irlandese)
Mini
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