Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
lunedì 24 marzo 2014
Recensione di "Quarta fase" di R.A. Lafferty
Quarta Fase (Fourth Mansions, 1970) è un romanzo di fantascienza di Raphael Aloysius Lafferty (Neola, 7 novembre 1914 – Broken Arrow, 18 marzo 2002)
Nella presentazione di Prinzhofer,che tenta di inquadrare l'opera in un contesto culturale molto ampio, si fa riferimento a due generi quali la quest arturiana e il masque cinquecentesco che, secondo lui,farebbero parte del background in cui si muove l'opera.
Per quanto riguarda la quest mi trova pienamente d'accordo,tanto che tale ripescaggio viene a confermare quanto sostengo io sulla possibilità di inquadrare l'opera del nostro come "fantasy moderna":"L'indagine giornalistica perseguita cocciutamente dal protagonista Freddy Foley a dispetto dei savi consigli e delle peggiori minacce,è una quest in piena regola,raccontata,anzichè coi modi del romanzo (o poema) cavalleresco,con i sistemi del masque."
A partire dalle citazioni in calce ad ogni capitalo, è ben chiaro che di simboli, e quindi di araldica, il romanzo è infarcito, a riprova dell'ampia cultura dell'autore, fondata su una fede cristiana e cattolica.
Ciò non toglie che si possano trovare riferimenti alla produzione più vicina a noi,al simbolismo della fantasy moderna,ed in questo contesto vengono perfettamente inquadrati anche quegli elementi impoetici che si possono riscontrare in Philip Dick, che col suo romanzo "Ubik", può apparire decisamente più vicino questo "Quarta fase" che i masque di Robert Lee Frost citati nell'introduzione.
Molto interessante il lavoro di Prinzhofer per quanto riguarda la posizione che Lafferty stesso si assegna all'interno della sua opera.
Prima cita Alexei Panshin che scrisse:"Raphael Aloysious Lafferty è un portentoso bugiardo e Quarta fase rappresenta la bugia migliore e più lunga."
Poi interviene lui stesso:"Bugia,ovviamente,sta per favola,in quanto ogni vero narratore racconta bugie più o meno lunghe,ma meravigliosamente convincenti."(vedi a questo proposito il saggio di G.Placereani "Novecento nonnine",vedi "Saggistica")
E poi prosegue:"Qui (nella trama) abbiamo un bugiardo matricolato grande come una montagna...a guardia di una fonte...questo guardiano appartiene ai tassi,,,fra i tassi,amici dell'uomo...ci sono anche gli aloisii,e l'autore si chiama anche Aloysius;sappiamo dunque quale parte egli assegni a se stesso:nel masque e fuori di esso."
Tra parentesi,vorrei far notare una curiosità:il Nostro si pone spesso come personaggio dei suoi racconti e romanzi;basti pensare a "Aloys" (Aloys) e a una frase di "Cantata spaziale",in cui uno dei marinai spaziali agli ordini di Roadstrom,l'Ulisse del futuro,si chiama appunto,Aloys;compare solo lì,poi non si sentirà mai più parlare di lui.
Abbiamo nominato i tassi;questi non sono altro che una delle categorie in cui sono suddivisi i protagonisti della storia;ci sono i pitoni,"quelli che si uniscono per diventare superuomini",ci sono i rospi, i redivivi,ci sono ifalchi,"l'autorità di pugno saldo,ma ottusa...il fascismo",e quindi i tassi,coloro che "amano realmente gli uomini.".
In conclusione mi sembra che la posizione dell'autore in questo romanzo sia senza dubbio una posizione molto morale,una posizione cristiana,e questo ci viene da lui stesso confermato in un'intervista(P.Walker,op.cit.,pag. 143).
Permettetemi a questo punto una piccola digressione personale,una divagazione sul tema:avrei gradito maggiormente il romanzo se Lafferty avesse fatto vincere i pitoni con la loro trama cerebrale,e se la quinta fase ci fosse stata,senza quei dubbi che egli espone nel finale;avrebbe potuto essere il superamento del nichilismo e della decadenza,la morte dell'ultimo uomo e l'avvento dell'uomo nuovo;Nietzsche,tanto per intenderci.
(da "R.A.Lafferty o della fantasy moderna",2° parte di "La lunga notte di Lafferty",di Marcello Bonati,"The Dark Side" n.4,’82,pag.53)
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domenica 23 marzo 2014
Le bassezze dell'Alta società. Capitolo 8. Le porte degli Inferi.
Tutto era buio e silenzio nella campagna.
Si
erano lasciati alle spalle le luci delle ultime sparute casette di Fossalta e la strada
proseguiva sempre più diritta e cupa verso il nulla.
Un
senso di abbattimento, di tristezza, di noia, subentrò alla rabbia, nelle emozioni
del figlio.
E’
tutto così assurdo!
La
madre si era di nuovo persa nei suoi pensieri.
«Ormai
ci siamo… ricordo che c’era un grande recinto, in fondo alla strada, e un bosco
intorno alla Villa…»
Aveva
di nuovo quella voce flebile, assente, quasi stesse vaticinando un oracolo.
Lentamente,
di lontano, parve prendere forma un grumo nero.
Che
sia questo, il bosco?
Eppure
era strano che non ci fosse neppure un lampione a illuminare quelle zone.
Se
quello era il posto, c’era di sicuro qualcosa di morboso in chi vi abitava, un
inspiegabile gusto per l’isolamento e per le tenebre.
«Com’era
la Villa ? Me la
immagino molto tetra… tipo il castello di Gothian».
Amava molto i romanzi del ciclo di Gothian, specie la figura del Conte Fenrik.
Amava molto i romanzi del ciclo di Gothian, specie la figura del Conte Fenrik.
La
madre scosse il capo: «No, anzi, fu costruita in stile neoclassico coloniale… ricorda
più le residenze dei latifondisti del sud degli Stati Uniti»
Delusione.
Delusione.
«Tipo
“Via col vento”?» ironizzò lui.
Lei annuì.
Lei annuì.
«Beh,
il progetto iniziale era molto… come dire… luminoso… arioso…»
Arioso? In quella palude?
Arioso? In quella palude?
Il
grumo nero si avvicinava e cresceva di dimensioni.
Giulia ne parve atterrita: continuò il suo discorso, ma con una vena di
malinconia nella voce.
«La
decadenza è venuta dopo. La stirpe ormai consumata, il sangue anemico, gli
ultimi discendenti... lo sai come vanno queste cose, hai letto il Gattopardo, i Buddenbrook, o il crollo di casa Usher, o il castello di Lourps dei Des Esseintes...»
Al
figlio venne il dubbio che la madre stesse impazzendo nel suo delirio di citazioni letterarie da lettrice compulsiva, ma il nobile profilo di Giulia si stagliava singolarmente
diritto e composto, ed i suoi occhi fissavano con lucida determinazione la minacciosa oscurità del bosco: «Gli alberi
sono cresciuti», disse.
Roberto
capì che il luogo era quello. L’orologio al polso segnava le dieci di sera.
Non è un’ora buona per arrivare a casa della gente.
Non è un’ora buona per arrivare a casa della gente.
Percorsero
l’ultimo tratto in silenzio, fino al muro di cinta e al grande cancello in
bronzo.
Fortunatamente il cancello era aperto e il vialetto era illuminato da piccoli faretti al neon.
Si fermarono senza dire una parola.
Fortunatamente il cancello era aperto e il vialetto era illuminato da piccoli faretti al neon.
Si fermarono senza dire una parola.
Scesero.
Si
sgranchirono un po’ le gambe, nel buio.
Videro un campanello con tanto di citofono e parve loro che fosse fuori luogo, un anacronismo, in quella terra dimenticata da Dio.
Videro un campanello con tanto di citofono e parve loro che fosse fuori luogo, un anacronismo, in quella terra dimenticata da Dio.
«Suono
io» sussurrò la madre.
Mentre
si avvicinava al cancello arrugginito, vide che vi era appeso uno stemma in
bronzo raffigurante due orsi rampanti e un’armatura medievale. Sotto lo stemma,
un motto latino: “Dominus providebit”, che Roberto trovò stranamente ironico.
A lato era appesa una targa, di epoca successiva, in cui si leggevano le opache lettere Villa Ozzani di Fossalta, e sotto di essa il citofono, con vari pulsanti ognuno per piano. Al piano nobile, naturalmente, c’era scritto: “Dama Virginia Ozzani, Contessa di Fossalta”.
A lato era appesa una targa, di epoca successiva, in cui si leggevano le opache lettere Villa Ozzani di Fossalta, e sotto di essa il citofono, con vari pulsanti ognuno per piano. Al piano nobile, naturalmente, c’era scritto: “Dama Virginia Ozzani, Contessa di Fossalta”.
La madre suonò.
Una voce cupa, sicuramente la governante, chiese «Chi è?»
«Giulia
Federici»
«La stavamo aspettando» (glaciale).
Percorsero il lungo viale alberato in salita fino
allo spiazzo davanti alla Villa, tra un abbaiare di cani e un fuggire di gatti.
Roberto incominciò a distinguere i contorni della costruzione, illuminati dai
fari dell’auto.
Villa Ozzani incombeva nell’imponenza neoclassica,
con tanto di scalinata centrale e colonnato, su un terreno sopraelevato.
Gli parve che la facciata fosse di colore chiaro, ma
ormai l’edera la ricopriva per buona parte. Si intravedevano ancora mezze
colonne ad angolo retto ai lati delle grandi finestre, con sopra un piccolo
timpano a capanna e fregi interni.
Sopra al colonnato centrale, in stile dorico, c’era
un enorme fregio con incise in enormi caratteri dorati delle lettere illuminate
dagli unici fari posti ai lati della scalinata e rivolti verso l’alto.
Roberto, ancora seduto in macchina, lesse ad alta
voce:
«IOSEPHUS OZZANI COMES AEDIFICAVIT ANNO DOMINI…e
poi…»
Lesse a stento MDCCCXVII
«1817» completò Giulia.
Lo ricordava a memoria.
Roberto si sentì a disagio e il silenzio calò tra
loro.
A riportarli alla realtà fu un deciso miagolio del
gatto.
Parcheggiarono l’auto nello spiazzo ricoperto di
ghiaia e scesero di nuovo con aria stravolta e stordita e un senso crescente di
inquietudine e di oppressione.
«I bagagli li portiamo dopo» ordinò Giulia.
Lui non ebbe da ridire, anche se sentiva crescere
dentro di sé un brutto presentimento.
Salirono i
gradoni scheggiati della scalinata, varcarono il colonnato e trovarono il
portone enorme, nero come ebano, e chiuso.
Le maniglie erano arrugginite.
C’era un campanello all’antica senza nome e
suonarono di nuovo.
La porta si aprì cigolando.
L’enorme figura obesa della governante si disegnò di
fronte a loro con un cipiglio austero che imponeva soggezione.
Imbarazzo…attimi di silenzio…interminabili…
«Ehm… salve… » azzardò Giulia e tese la mano «Sono
Giulia Federici»
Accennò un sorriso.
Accennò un sorriso.
L’altra apparve esitante.
Poi, di malavoglia si presentò: «Concetta Ajello, la governante».
Poi, di malavoglia si presentò: «Concetta Ajello, la governante».
L’accento napoletano era molto spiccato.
Si strinsero la mano freddamente.
Per un attimo la governante parve colta da un
dubbio:
«Ma lei è proprio lei?»
«Ma lei è proprio lei?»
«Prego?»
«No, dico, è proprio quella Giulia… »
«In che senso? Comunque sì, il mio nome…»
«No, non per il nome, è che nella fotografia mi pareva un'altra»
<<Sono passati più di quarant'anni>>
<<Sono passati più di quarant'anni>>
In effetti Giulia era invecchiata.
I lunghi capelli fulvi, vanto della sua età giovane, erano ridotti a un biondo grigiastro, sbiadito. Gli occhi verdi, che un tempo avevano fatto strage di cuori, si erano infossati e spenti in un grigio acquoso. La pelle già candida come porcellana ora evocava solo il pallore di un cadavere. E le rughe, poi…
<<E' proprio cambiata>>
I lunghi capelli fulvi, vanto della sua età giovane, erano ridotti a un biondo grigiastro, sbiadito. Gli occhi verdi, che un tempo avevano fatto strage di cuori, si erano infossati e spenti in un grigio acquoso. La pelle già candida come porcellana ora evocava solo il pallore di un cadavere. E le rughe, poi…
<<E' proprio cambiata>>
«Sa, signora Concetta, non tutti abbiamo i mezzi per tenerci giovani» fu
la risposta seccata di Giulia.
Roberto annuì in difesa della madre.
«Vabbe'… ma vi avverto… la Signora sta male, e sta de cattivo umore»
Come al solito pensò Giulia.
«E’ stata nervosa tutto il giorno… poi ha preso un
calmante…» c’era un tono di rimprovero nella sua voce «… adesso riposa».
Li fissò come per dire: “Avreste fatto meglio a non
venire”.
«Beh, allora, intanto che dorme, noi ci
sistemeremmo…» disse Giulia, notando che erano comparsi due giovani robusti dietro
la governante.
«Mia figlia e mio genero» li presentò (entrambi
erano corpulenti e cupi) e con un cenno del capo accompagnò l’ordine:
«Aiutate i signori a portare i bagagli»
Roberto si stupì.
Insolita cortesia: vuole forse controllare cosa ci
siamo portati dietro?
Dopo aver caricato tutti i bagagli, compresa la
gabbietta del gatto sempre più miagolante, entrarono.
Che buio!
Lentamente la vista si adattò all’ombra
dell’interno.
C’era fresco, ma non era l’aria condizionata a
crearlo, quanto piuttosto la robustezza delle pareti antiche.
Rimase
stupefatto dall’ampiezza del grande atrio.
O antro? O porta degli Inferi?
Vide al centro uno scalone in marmo rosa, a gradini bassi e levigati, che saliva costeggiando le pareti. Anche i pavimenti erano in marmo, ma più chiaro, quasi latteo, e tirato a lucido.
I busti e i ritratti degli antenati incombevano
arcigni alle pareti e ai lati dello scalone.
Vide soffitti alti, lampadari decorati:
l’arredamento era tutto “stile Impero”.
Qui il tempo si è fermato al 1817!
Sulla destra una porta dava su un enorme salotto,
sulla sinistra un’altra porta introduceva a un salone da ballo. L’atrio si
prolungava oltre, con porte che si affacciavano su scalette che scendevano nel
seminterrato.
In dimidio dierum mearum vadam ad portas Inferni!
In fondo, nel buio, si intravedeva una porta che
mostrava forse un cortile interno.
Unico tocco di modernità, un ascensore “stile
liberty” al centro della tromba del grande scalone.
«Al primo piano ci stanno gli appartamenti della
Signora, al secondo quelli degli ospiti e al terzo quelli del personale» (la
governante faceva da Cicerone con una certa aria di importanza).
Qui di ospiti non devono averne avuti molti, almeno negli ultimi anni.
Salirono al secondo piano.
L’imponente Donna Concetta li guidava in silenzio
verso i loro alloggi.
Corridoi, meandri…cunicoli…
Corridoi, meandri…cunicoli…
Le stanze degli ospiti erano meno ampie, con
soffitti più bassi e normali finestre. L’arredamento era spartano e all’antica,
un po’ usurato. C’era odore di chiuso e di vecchio. Odore di morte.
Mah… sarà vero che è ricca questa donna?
Mah… sarà vero che è ricca questa donna?
Però il bagno era enorme: Giulia disse di ricordare
che era stato ricavato da una camera da letto.
L’appartamento comprendeva poi un salottino con un vecchio televisore, una
sala da pranzo e una cucina.
Si accomodarono nelle loro stanze. La governante se
ne andò senza una parola.
Finalmente!
Accatastarono i bagagli, liberarono il micio, gli
prepararono una cassettina per i bisogni e si rilassarono un po’ in salotto.
Giulia però mostrava in viso una tensione che a
stento riusciva a dominare.
Il gatto si aggirava
sospettoso nella sala, annusandone accuratamente ogni angolo.
<<Non mi
meraviglierei se trovasse un topo>> fu il commento di Roberto.
Ma Giulia aveva la mente
altrove, lontano nel tempo, nei decenni e i suoi occhi parevano vedere oltre un
velo di nebbia e scrutare invisibili porte al di là delle tenebre.
Differenza tra individuo e persona. Il personalismo comunitario.
Gli altri due poli sono il personalismo e il collettivismo, a cui si aggiunge il comunitarismo, che è strettamente collegato col personalismo stesso, tanto che si può parlare di personalismo comunitario o di comunitarismo personalista. Ma andiamo con ordine.
Individuo è qualsiasi soggetto che agisce per perseguire finalità legate alla massimizzazione del proprio benessere in termini meramente utilitaristici.
Il pensiero liberale pone al centro la tutela della libertà e dei diritti dell'individuo.
Persona è l'essere umano concepito come soggetto unico e irripetibile, con una componente di natura spirituale che si realizza nella relazione, basata sui valori di amore e fratellanza, con le altre persone all'interno di una comunità.
Il personalismo comunitario o comunitarismo personalista si oppongono così sia al collettivismo comunista che all'individualismo liberista.
Cito ora un passo di Guido Pagliarino:
" Ritengo che la distinzione essenziale, pur non dovendosi trascurare quella fra sinistra e destra, debba ravvisarsi tra personalismo e collettivismo, relativi all'una e all'altra, e che sia necessario precisare se l'ideologia d'un partito sia personalista oppure collettivista, se questo abbia cioè, come suo interesse primario, rispettivamente ogni persona vista quale base della società, oppure la società stessa, di cui la persona venga intesa quale cellula.
Troviamo a sinistra partiti personalisti come, a puro titolo di esempio, i demo-social-liberali, i demo-cristiano-sociali, i socialdemocratici, e pure partiti collettivisti come i comunisti o i socialisti massimalisti; a destra, personalisti quali i liberali democratici o i cristiani demo-liberali, semi-personalisti come i liberali aristocratici o i cristiani integralisti simpatizzanti di partiti "forti", collettivisti come i fascisti e i nazisti. Sarebbe forse meglio rappresentarsi i diversi partiti non lungo un segmento da sinistra a destra, o viceversa,
Centro
Sinistra ______________|______________ Destra
bensì disposti su di una U rovesciata, una sorta di ferro di cavallo su cui situare, dalla parte semicircolare, lungo l'arco, l'area del personalismo, rispettivamente di sinistra e di destra, e dalla parte degli estremi, dei "corni", l'area del collettivismo, a sua volta di sinistra e di destra.
Parlare di opposti estremismi, come a volte si fa, è fuorviante, in quanto essi sono dalla stessa parte, quella del collettivismo, pur con differenze secondarie come, ad esempio, per il comunismo storico il mito della classe proletaria buona, sfruttata e destinata secondo una presunta legge storica, per le contraddizioni stesse del sistema capitalistico, alla vittoria contro la borghesia e alla presa di potere; e per il nazismo quello della razza ariana buona sfruttata dal giudaismo e da organizzazioni economiche e gruppi occulti di potere sovrannazionali, e destinata per natura alla vittoria e al dominio del mondo; miti che hanno portato a sterminare, non importa se nei gulag o nei lager, i supposti nemici, considerati come cellule infette, marce, della società, non come persone. Il collettivismo economico comunista, vale a dire la centralizzazione dei mezzi di produzione, in sostanza la proprietà e la direzione pubblica di ogni rilevante azienda, è solo un aspetto, anche se molto importante, della visione collettivistica socio-politica del comunismo; la politica economica nazista contempla comunque il dirigismo economico da parte dello Stato, tant'è vero che sotto la dittatura hitleriana, nelle aziende maggiori era presente anche un funzionario pubblico, cui spettavano le decisioni strategiche: lo Stato viene prima di tutto, appunto.
Qualunque Stato, come ben evidenziava il Maritain, è erroneamente confuso, nel generale sentire, con il corpo sociale, col complesso dei cittadini, mentre di fatto ne è solo la testa. Quel luogo comune è una deformazione della realtà; si tratta di un'idea, astratta, utile ai capi in generale, e indispensabile nei sistemi collettivistici di sinistra e di destra per giustificare la dittatura (del proletariato, della stirpe...). Com'è ben noto, nei sistemi democratico-elettivi, comunque i meno distanti dal mitico concetto di sovranità popolare, il cittadino può intervenire ad ogni elezione, statuale e locale, solo nella formazione del parlamento nazionale, di quello regionale, dei consigli provinciali, comunali, di quartiere, non in quella di tutti gli organi pubblici, per chiamarli così: non mi riferisco del tutto al potere esecutivo, al governo, che dev'essere approvato e controllato da quello legislativo eletto dai cittadini, cioè dal parlamento, ma a quello giurisdizionale (magistratura) ed a vari enti e istituti, su cui neanche indirettamente, nel nostro ed in molti altri Paesi, il cittadino può influire. Inoltre, nell'elezione dei rappresentanti la sua scelta è possibile solo entro certi limiti, in quanto egli può dare la preferenza soltanto a candidati prescelti dai partiti e, solamente se il sistema elettorale sia proporzionale, votare espressamente il candidato e il partito, di fatto il meno lontano dalle sue idee, che preferisce. È certo, quindi, che sia mera astrazione considerare lo Stato più tutti gli enti pubblici minori, come ad esempio le regioni, quale corpo sociale.
Nel sistema maggioritario, il voto dell'elettore a un disomogeneo listone può andare a persona di idee opposte alle sue, un personalista può trovarsi a eleggere un collettivista, o viceversa; ad esempio, un demo-cristiano-sociale può avere il suo voto indirizzato a un comunista, un elettore di un partito di destra fortemente statalista ad un parlamentare demo-liberale. I poli elettorali non presentano, in paesi con una miriade di partiti come il nostro, una piena alternativa, essendo ciascun polo, sovente, un'alleanza innaturale fra personalisti, semi-personalisti e/o collettivisti, e si può supporre che anche perciò vi sia disinteresse ed assenteismo in una notevole parte dell'elettorato; e che questa disaffezione sarebbe forse meno forte in un sistema proporzionale, con la possibilità di scegliere il proprio candidato non solo secondo destra o sinistra, ma secondo personalismo o collettivismo dell'elettore: a rischio di governi più deboli, non lo nego"
Parlare di opposti estremismi, come a volte si fa, è fuorviante, in quanto essi sono dalla stessa parte, quella del collettivismo, pur con differenze secondarie come, ad esempio, per il comunismo storico il mito della classe proletaria buona, sfruttata e destinata secondo una presunta legge storica, per le contraddizioni stesse del sistema capitalistico, alla vittoria contro la borghesia e alla presa di potere; e per il nazismo quello della razza ariana buona sfruttata dal giudaismo e da organizzazioni economiche e gruppi occulti di potere sovrannazionali, e destinata per natura alla vittoria e al dominio del mondo; miti che hanno portato a sterminare, non importa se nei gulag o nei lager, i supposti nemici, considerati come cellule infette, marce, della società, non come persone. Il collettivismo economico comunista, vale a dire la centralizzazione dei mezzi di produzione, in sostanza la proprietà e la direzione pubblica di ogni rilevante azienda, è solo un aspetto, anche se molto importante, della visione collettivistica socio-politica del comunismo; la politica economica nazista contempla comunque il dirigismo economico da parte dello Stato, tant'è vero che sotto la dittatura hitleriana, nelle aziende maggiori era presente anche un funzionario pubblico, cui spettavano le decisioni strategiche: lo Stato viene prima di tutto, appunto.
Qualunque Stato, come ben evidenziava il Maritain, è erroneamente confuso, nel generale sentire, con il corpo sociale, col complesso dei cittadini, mentre di fatto ne è solo la testa. Quel luogo comune è una deformazione della realtà; si tratta di un'idea, astratta, utile ai capi in generale, e indispensabile nei sistemi collettivistici di sinistra e di destra per giustificare la dittatura (del proletariato, della stirpe...). Com'è ben noto, nei sistemi democratico-elettivi, comunque i meno distanti dal mitico concetto di sovranità popolare, il cittadino può intervenire ad ogni elezione, statuale e locale, solo nella formazione del parlamento nazionale, di quello regionale, dei consigli provinciali, comunali, di quartiere, non in quella di tutti gli organi pubblici, per chiamarli così: non mi riferisco del tutto al potere esecutivo, al governo, che dev'essere approvato e controllato da quello legislativo eletto dai cittadini, cioè dal parlamento, ma a quello giurisdizionale (magistratura) ed a vari enti e istituti, su cui neanche indirettamente, nel nostro ed in molti altri Paesi, il cittadino può influire. Inoltre, nell'elezione dei rappresentanti la sua scelta è possibile solo entro certi limiti, in quanto egli può dare la preferenza soltanto a candidati prescelti dai partiti e, solamente se il sistema elettorale sia proporzionale, votare espressamente il candidato e il partito, di fatto il meno lontano dalle sue idee, che preferisce. È certo, quindi, che sia mera astrazione considerare lo Stato più tutti gli enti pubblici minori, come ad esempio le regioni, quale corpo sociale.
Nel sistema maggioritario, il voto dell'elettore a un disomogeneo listone può andare a persona di idee opposte alle sue, un personalista può trovarsi a eleggere un collettivista, o viceversa; ad esempio, un demo-cristiano-sociale può avere il suo voto indirizzato a un comunista, un elettore di un partito di destra fortemente statalista ad un parlamentare demo-liberale. I poli elettorali non presentano, in paesi con una miriade di partiti come il nostro, una piena alternativa, essendo ciascun polo, sovente, un'alleanza innaturale fra personalisti, semi-personalisti e/o collettivisti, e si può supporre che anche perciò vi sia disinteresse ed assenteismo in una notevole parte dell'elettorato; e che questa disaffezione sarebbe forse meno forte in un sistema proporzionale, con la possibilità di scegliere il proprio candidato non solo secondo destra o sinistra, ma secondo personalismo o collettivismo dell'elettore: a rischio di governi più deboli, non lo nego"
Grassi saturi: contrordine, abolirli non salva il cuore
Demonizzati per anni, ma forse a torto. Contrariamente alle linee guida, non ci sono prove che abolendo i grassi saturi e sostituendoli con quelli insaturi - omega 3, omega 6 - si riducano i pericoli di malattie cardiovascolari. La frenata sui grassi 'cattivi' per antonomasia, quelli presenti in salumi, burro, formaggi e altre prelibatezze, arriva da un'analisi che ha esaminato i risultati di 72 studi su oltre 600 mila partecipanti, condotta dai ricercatori dell'Università di Cambridge e pubblicata su 'Annals of Internal Medicine'.
La ricerca sta facendo il giro del mondo, anche se gli studiosi sottolineano che i risultati non si traducono in un via libera alle scorpacciate di formaggi, torte e dolci. Troppi grassi saturi possono aumentare la quantità di colesterolo nel sangue, che può accrescere il rischio di sviluppare una malattia coronarica. Un fenomeno ritenuto lapalissiano, ma la ricerca non ha trovato alcuna prova a sostegno di questa tesi. Insomma, il totale di grassi saturi nella dieta o nel sangue non è stato associato con il rischio di malattia coronarica nei 72 studi osservazionali inclusi nel lavoro.
Secondo il ricercatore Rajiv Chowdhury, "questi risultati interessanti potenzialmente stimolano nuove linee di indagine scientifica e incoraggiano un'attenta rivalutazione delle nostre linee guida nutrizionali". Inoltre la pratica comune di sostituire i grassi saturi nella dieta con carboidrati in eccesso (come pane bianco, riso bianco, patate), o con zucchero raffinato e sale in alimenti trasformati, dovrebbe essere scoraggiata, dice lo studioso. "Carboidrati raffinati, zucchero e sale sono tutti potenzialmente dannosi per la salute vascolare", avverte il ricercatore. Dal canto suo, la British Heart Foundation ribadisce che mangiare troppi grassi è dannoso per il cuore. Il punto è che non basta invertire i 'cattivi' saturi con i 'buoni' polinsaturi per proteggere il cuore.
di Adnkronos - Panorama
sabato 22 marzo 2014
Geopolitica dell'Africa Orientale (Somalia e Corno d''Africa)
La rivista Limes ci mostra l'attuale situazione della Somalia, che ormai da vent'anni vive in una situazione di totale anarchia.
Nella carta qui sotto, sempre tratta da Limes, si può osservare la situazione dell'Africa Occidentale.
Philipp Rösler - Nodo Windsor Club - Windsor knot - suit tie
Philipp Rösler (Khanh Hoa, 24 febbraio 1973) è un politico tedesco del Partito Liberale Democratico.
Nel novembre 2009 è stato nominato ministro federale della sanità nel Governo Merkel II, per poi passare a dirigere il ministero dell'economia nel maggio 2011. Contemporaneamente è stato nominato vice-cancelliere federale.
Il 13 maggio 2011 è stato nominato presidente del suo partito in sostituzione di Guido Westerwelle.
In precedenza ha detenuto la carica di ministro per l'economia e vice primo ministro del Land della Bassa Sassonia dal 18 febbraio 2009.
A noi interessa per il fatto che è un sostenitore del nodo Windsor doppio alla cravatta e quindi merita una puntata della nostra rubrica su questo blog dedicata al più elegante dei nodi di cravatta.
Philipp Rösler è nato a Khanh Hoa, in Vietnam; all'età di nove mesi è stato adottato da una coppia tedesca che aveva già due figli biologici naturali. È cresciuto ad Amburgo, Bückeburg e Hannover, dove ha conseguito la maturità nel 1992. Dopo la laurea in medicina ha conseguito ildottorato nel 2002. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla politica prestava servizio come medico militare. È cattolico e membro della Conferenza Generale del Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi.
Rösler è stato un membro della FDP e della sua organizzazione politica giovanile dal 1992. È stato segretario del FDP nello stato della Bassa Sassonia dal 2000 al 2004. Dal 2001 fino al 2006 Rösler è stato membro della assemblea regionale di Hannover, dove è stato anche vice presidente del gruppo parlamentare. Nel maggio 2005 è stato eletto come osservatore del Comitato esecutivo federale FDP, ottenendo il 95% dei voti. Nel marzo 2006, Rösler è stato eletto presidente del partito della Bassa Sassonia, sostituendo Walter Hirche, che aveva deciso di dimettersi dopo dodici anni al timone. Nel mese di aprile 2008, Rösler è stato confermato presidente del partito FDP in Bassa Sassonia, ricevendo il 95% dei voti. In occasione della conferenza federale del partito nel giugno 2007, Rösler è stato rieletto come membro del comitato esecutivo del partito. Il mese successivo, si è presentato come principale candidato del suo partito nelle elezioni dello stato della Bassa Sassonia, tenutesi nel gennaio 2008. Alle elezioni, ha ricevuto il 10,9% dei voti nella sua circoscrizione elettorale locale, Hannover-Döhren. Dal 2003 è presidente del gruppo parlamentare FDP nel parlamento dello stato della Bassa Sassonia. Il 18 febbraio, Rösler è stato nominato ministro per l'economia, lavoro e trasporti, nonché vice primo ministro dello stato della Bassa Sassonia. Nel mese di ottobre 2009, è stato annunciato che sarebbe succeduto a Ulla Schmidt come ministro federale della Sanità nel secondo governo di Angela Merkel. Il 12 maggio 2011 è subentrato a Rainer Brüderle alla guida del ministero dell'economia, e il giorno dopo è stato eletto alla carica di presidente del Partito Liberal Democratico in sostituzione di Guido Westerwelle
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Nuovo look di Barbara Berlusconi - Wide leg pants
Le bassezze dell'Alta società. Capitolo 7. La Bancaccia
Dopo i disastri finanziari dovuti alla pessima gestione patrimoniale del Conte Umberto Ozzani di Fossalta, l’esposizione debitoria della nobile famiglia nei confronti della Bancaccia (così veniva chiamato in famiglia, e non solo, l’istituto di credito “di fiducia” degli Ozzani) era diventata insostenibile.
Ciononostante la Bancaccia continuava a far
credito agli Ozzani, che garantivano i loro debiti con ipoteche sulle terre in loro possesso e persino sulla Villa.
Il direttore generale della Bancaccia, l’avvocato Davide Rubini, Cavaliere di Gran Croce, era stato in gioventù un attendente del generale De Toschi, e
per questo nutriva un'immotivata ammirazione nei confronti della famiglia
Ozzani.
Inoltre, segretamente, aspirava ad entrare a far parte dell'aristocratica famiglia, cullando il sogno che la sua unica figlia, Esther, potesse un giorno diventare la moglie di Alessio Ozzani di Fossalta, il figlio ed erede del conte Umberto.
Inoltre, segretamente, aspirava ad entrare a far parte dell'aristocratica famiglia, cullando il sogno che la sua unica figlia, Esther, potesse un giorno diventare la moglie di Alessio Ozzani di Fossalta, il figlio ed erede del conte Umberto.
Ciò lo aveva convinto non solo a concedere crediti sempre
più consistenti al Conte, ma anche ad assumere come Capo Ufficio Controllo Crediti il fratello minore del conte, il commendatore Carlo Ozzani, diplomato ragioniere con una passione per la contabilità.
Carlo Ozzani di Fossalta non era sposato: l’unico grande
amore della sua vita erano i cavalli (e secondo le malelingue anche gli
stallieri). Quando era morto il suo cavallo prediletto, chiamato modestamente
“Carlo Magno”, lo aveva fatto imbalsamare e collocare presso una apposita
dependance delle stalle di Villa Ozzani.
In ufficio Carlo Ozzani si comportava in modo ambiguo: da un
lato ostentava sobrietà, autocontrollo, distacco e una certa freddezza.
Dall’altro lato però il suo carattere mostrava inquietanti
segni di lunaticità e nevrosi.
Quando invece era di cattivo umore, cioè quasi sempre,
diventava dispotico, puntiglioso e petulante. Bastava il minimo
errore o il più piccolo sgarro di un dipendente per causare inquietanti minacce o funeste manie di perfezionismo.
Una tipica rappresaglia che in quei momenti si dilettava a esercitare sui
malcapitati che quel giorno gli stavano particolarmente antipatici era quella
di far riscrivere loro i documenti ufficiali più e più volte, cambiando le
parole, ma non il senso del discorso.
Se per esempio uno scriveva: «Il cliente si è dimostrato
inadempiente», il dott. Ozzani gli faceva correggere: «Il cliente ha mostrato
inadempienze», ma poteva benissimo accadere il viceversa con un altro
dipendente, o magari con lo stesso una volta che avesse apportato la
correzione.
I componenti dell’Ufficio Controllo Crediti, però, si erano abituati a
queste stravaganze e non ci facevano quasi più attenzione. Erano disposti a
passar sopra a tutto, purché non li si costringesse a lavorare sul serio. Ciò
sarebbe stato per loro assolutamente inaccettabile.
L’Ufficio Controllo Crediti era stato soprannominato “Ufficio Raccomandati” e tale appellativo non richiedeva ulteriori spiegazioni.
In effetti, a ben vedere, tutti i componenti di tale ufficio, potevano vantare un “pedegree” di una certa importanza, almeno localmente.
Per il Vicecapo Ufficio il lavoro in banca era una sorta di
“sinecura”: il grosso dei suoi introiti derivava da consulenze esterne a cui
dedicava tutto il tempo, comprese le ore di ufficio.
Fortunatamente c’era il giovane dottor Valentini, fanatico
giurista, che si faceva carico anche del lavoro degli altri, sia per il gusto
di eccellere nella sua materia, sia per un certo sadismo nel decretare la rovina finanziaria di una famiglia o di una azienda insolvente.
Le due raccomandate di ferro erano le signore “Petruzzelli
& Baldini”, ironicamente associate come una società commerciale non solo
perché amiche e alleate di ferro, ma anche perché i rispettivi mariti,
l’ingegner Petruzzelli e il commercialista Baldini, erano soci in affari.
Paola Petruzzelli e Francesca Baldini erano diplomate al
liceo classico, non sapevano nulla di questioni di ufficio e tanto meno di
questioni tecniche o legali: a dire il vero non si sapeva neppure quali fossero i loro
incarichi e le loro mansioni.
Fondamentalmente la Petruzzelli e la Baldini fungevano da
Gazzetta Ufficiale del Pettegolezzo: nulla di ciò che accadeva presso l’alta
società cittadina sfuggiva al capillare controllo della rete di amicizie delle
due interessatissime signore.
I loro dialoghi perenni toccavano comunque anche altre
“essenziali” questioni.
Paola Petruzzelli, bigotta e conservatrice, era
specializzata in argomenti tradizionali come aste di beneficenza, iniziative
parrocchiali, ricette di cucina, oroscopi, estrazioni del lotto, teleromanzi,
parole crociate.
Francesca Baldini, più progressista, era invece l’ arbitra
elegantiarum in fatto di ultime mode, acconciature, vestiario, viaggi, villeggiature.
Tra la scrivania della Petruzzelli, alla destra rispetto
all’ingresso, e quello della Baldini, alla sinistra, c’era il tavolo di lavoro
del ragionier Poponi, un ometto basso e grasso sulla cinquantina, trasandato,
scarmigliato, distratto, volenteroso ma mediocre lavoratore. Scribacchiava
continuamente scarabocchi incomprensibili su polverosi registri e fogliacci
semiaccartocciati, tentava poi di ricopiare sulla macchina da scrivere i suoi
appunti, sbagliando continuamente e borbottando tra sé.
Non parlava molto: di lui si sapeva che aveva una famiglia
numerosa e problematica, con una moglie gelosissima, una suocera terribile, due
cognate nubili a carico e cinque figlie una più brutta e antipatica dell’altra.
Altro personaggio che faceva parte per se stesso era il
geometra Cipressi: uomo alto, magro, taciturno, riservatissimo, pareva sempre
immerso in qualche fondamentale questione di lavoro, anche se nessuno avrebbe
saputo dire esattamente quali pratiche stesse seguendo. Neppure il Capo ufficio
Carlo Ozzani riusciva a svelare il mistero che circondava il geometra Cipressi:
quando gli chiedeva di cosa si stesse occupando, Cipressi era evasivo, cupo, terreo,
quasi sdegnato. Se veniva messo alle strette, si chiudeva in un ostinato
mutismo, interrotto solo da vaghe allusioni a un suo carissimo amico, ex
attendente del generale De Toschi. Al che, ogni questione subito si stemperava
in un nulla di fatto.
Tutti questi personaggi ebbero poi un ruolo più o meno importante in quello che fu chiamato in seguito "lo scandalo Ozzani", di cui si parlerà ampiamente in seguito.
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