lunedì 23 agosto 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 155. Tre cugini e una Principessa



 
Aurora aveva espresso più volte il desiderio di conoscere i cugini di Roberto, quelli materni naturalmente, ma lui, in un modo o nell'altro, aveva cercato di dilazionare nel tempo quell'inevitabile evento.
Il motivo era ben preciso, e cioè che i cugini in questione avevano manifestato sin dall'inizio un certo scetticismo.
Nei primi tempi Roberto non aveva dato alcuna importanza alla cosa, dal momento che lui stesso era scettico e si sentiva indegno delle attenzioni di una ragazza così straordinaria.
Quando lo scetticismo dei cugini si protrasse nel tempo, Roberto incominciò a chiedersi se, dietro quell'insolito atteggiamento, ci fossero ragioni serie e così, sondando il terreno, venne a sapere che l'Affaire du Savoy e la notizia del fidanzamento con tanto di anello di rubino regalato da lei a lui avevano sconcertato tutto il clan Ricci-Orsini-Monterovere, fino ai parenti più remoti.
Certo, considerando quanto incredibili e inusuali fossero stati quei gesti di generosità da parte della famiglia Visconti-Ordelaffi e dell'unica erede del casato, c'era da prevedere una reazione di perplessità crescente, specie se ci fossero stati altri episodi analoghi dopo il ritorno dei fidanzati dalla vacanza.

Al ritorno da Londra, Roberto aveva una valigia in più, piena di vestiti e accessori che lei gli aveva regalato, e questo non aveva fatto altro che aumentare la perplessità di cugini, parenti, commilitoni e affini, per una ragione ben precisa e cioè che non sapevano niente del ruolo di Lorenzo e di Albedo in tutta la faccenda. 
La decisione di non coinvolgerli nella questione era stata delle loro madri, secondo le quali, al momento, gli Iniziati avevano nel mirino solo Roberto, per cui non c'era motivo di allarmare i loro figli con problemi che non li riguardavano.
Roberto non era d'accordo, ma le due zie lo avevano costretto a giurare, e anche sua madre si era mostrata d'accordo, perché conoscendo il carattere curioso e spericolato di Fabrizio e Alessio, era sicura che avrebbero incominciato ad indagare per conto loro, col rischio di mettere in pericolo se stessi e creare ulteriori complicazioni.
E dunque Roberto aveva giurato e, come tutti sanno, i Monterovere mantengono sempre la parola data.

Il problema era che, non potendo dire ai cugini la verità, Roberto si trovava tra l'incudine e il martello, nel senso che da un lato sentiva che i cugini stavano diventando ancor più diffidenti nei confronti di Aurora, e dall'altro non sapeva più che scusa addurre per evitare l'incontro, dato che lei voleva a tutti i costi conoscerli.
Temendo che si potessero creare tensioni ulteriori, alla fine Roberto decise di indire, con i cugini, una riunione preparatoria, nella quale spiegare in maniera chiara e netta il fatto che lui richiedeva, anzi esigeva il massimo rispetto nei confronti di Aurora, di cui aveva intenzione di descrivere tutte le indubbie qualità e tutta la profonda sincerità dei sentimenti che entrambi provavano l'uno per l'altra.

E' venuto dunque, per i lettori, il momento di "fare conoscenza" con questi cugini, che diventeranno personaggi di rilievo nella nostra storia.
Incominciamo dal principio...

Fabrizio Spreti, Alessio Zanetti e Roberto Monterovere erano, in ordine di età, i figli delle tre considerevoli sorelle Ricci-Orsini, e cioè, rispettivamente, di Margherita Spreti, Marchesa consorte di Serachieda, di Isabella Zanetti Protonotari Campi, Contessa consorte di Predappio e di Silvia Monterovere, "duchessa di nessun luogo", a loro volta figlie di Ettore Ricci e Diana Orsini Paulucci, diciottesima Contessa "suo iure" di Casemurate.




Tutti e tre figli unici, tutti e tre cresciuti a Villa Orsini, erano profondamente legati tra loro, un po' come, se ci perdonate l'ennesimo esempio tolkieniano, Frodo Baggins, Meriadoc Brandibuck e Peregrino Tuc, a loro volta discendenti delle tre considerevoli figlie del Vecchio Tuc: Belladonna, Donnamira e Mirabella (da notare il fatto che a Tolkien piacevano molto i nomi eufonicamente italiani, e ne fece uso specialmente nell'albero genealogico di Bilbo Baggins e famiglia).
Tre sorelle, tre figli, tre cugini. Un singolare e involontario ossequio all' "ossessione trinitaria" degli Indoeuropei su cui tanto ha scritto George Dumezil.

I tre cugini Fabrizio, Alessio e Roberto avevano età piuttosto diverse, e personalità ancor più differenti, ma erano uniti da un profondissimo affetto fraterno, tanto che i due cugini maggiori furono, tranne nell'occasione che stiamo per raccontare, di grandissimo sostegno a Roberto, che sarebbe sempre rimasto il "piccolino" di cui avere cura.
Roberto aveva sempre avuto la certezza di poter contare su di loro, e questa certezza era divenuta uno dei pilastri portanti della sua vita, per questo la loro ostinazione nel rifiutare Aurora lo stava esasperando ancor più dell'insistenza di lei nel volerli incontrare a tutti i costi il prima possibile.

Vediamo dunque di conoscere meglio questi famosi cugini e di capire il loro carattere e le loro motivazioni.

Fabrizio Spreti di Serachieda era nato nel 1962, e quindi, all'epoca dei fatti che stiamo narrando, aveva già trent'anni, era laureato in Biologia ed era Dottore di Ricerca in Botanica.
Fisicamente era di media altezza, magro, aveva capelli neri e pizzetto, stranissimi occhi gialli da felino e una tendenza all'ipertricosi.
Lavorava come consulente di vari enti pubblici di salvaguardia e protezione ambientale, che successivamente sarebbero confluiti nell'Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale).
All'epoca era supervisore dei lavori di riforestazione nel Parco delle Foreste Casentinesi, ma si occupava anche di progetti più vicini al Feudo Spreti, come per esempio la riqualificazione ambientale del Bosco del Duca di Altemps, sorto intorno all'omonimo canale di bonifica, che aveva la funzione di drenare le paludi intorno alle Saline di Cervia nel fiume Savio, presso la località di Castiglione, la prima rilevante lungo la Cervese, dopo Casemurate.





I siti internet che parlano del Bosco e del Canale del Duca di Altemps, fanno risalire la sua fondazione ai primi del novecento, ad opera di un discendente di Giovanni Angelo d'Altemps, II Duca di Gallese (Roma, 1586 – Roma, 5 ottobre 1620), un nobile e letterato romano, nipote del celebre Cardinale d'Altemps, e nato dal matrimonio tra suo figlio Roberto e la nobile Cornelia Orsini.
C'è però una controversia al riguardo, ma non vogliamo tediare i nostri pazienti lettori con dettagli che appassionano Roberto Monterovere e pochissimi altri, compreso chi scrive.
Diciamo solo che, intorno al Canale d'Altemps, col tempo, crebbe l'omonimo Bosco del Duca, composto per lo più di farnie, il cui nome botanico è Quercus Robur.






Fabrizio era sempre stato un perfezionista, ma proprio per questa ragione, impiegando moltissimo tempo nei dettagli, finiva per essere perennemente in ritardo in ogni occasione.
Con l'andare degli anni i suoi ritardi passarono dal classico quarto d'ora accademico ad almeno due ore.
Se diceva: "Ci vediamo alle 15" si poteva star sicuri che non lo si sarebbe visto prima delle 17.
Era ormai una certezza e tutti ne avevano preso atto.
Se poi richiamava dicendo: "Sarò lì tra cinque minuti", allora si poteva star certi che sarebbero passate come minimo altre due ore.
Questa era solo la più clamorosa delle sue eccentricità.
La seconda era senza dubbio la sua riservatezza estrema: non parlava mai di sé, specialmente della sua vita privata, ammesso che ne abbia mai avuta una. Nemmeno Roberto è stato in grado di dircelo.
In compenso faceva sempre interrogatori di terzo grado agli altri, in particolare a Roberto, che per qualche ragione che forse i lettori avranno compreso, gli sembrava un soggetto da tenere d'occhio, e comunque lo divertiva, essendo piuttosto buffo e istrionico, cosa che possiamo confermare noi stessi.
Rimproverava Roberto per il fatto di essere fin troppo incline a spiattellare i segreti del clan Ricci-Orsini, e su questo aveva completamente ragione: fino ad ora siamo riusciti a nascondergli questa nostra narrazione, ma considerato il numero crescente dei lettori, prima o poi l'attuale marchese Spreti di Casemurate e Serachieda (sì, adesso è lui il numero uno del clan) lo verrà a sapere e allora al nostro non più giovane Monterovere toccherà subire una ramanzina memorabile.
Fabrizio nutriva una stima notevole per Francesco Monterovere, più o meno pari a quella che Roberto aveva per il padre di Fabrizio, il compianto zio Amilcare, che era davvero un gran signore e gentiluomo di campagna, oltre che persona generosa, accogliente e di piacevole compagnia.
Per Roberto lo zio Amilcare era diventato una specie di "nonno onorario", perché aveva preso il posto di Ettore come capofamiglia e aveva mostrato nei confronti di Roberto un grande affetto,
e una notevole capacità di comprenderlo e sostenerlo, tanto che si sentivano al telefono tutti i giorni,  e continuarono a farlo fino alla morte dello zio, il 5 agosto 2018.
Un rapporto analogo si era creato tra Fabrizio e Francesco, perché forse con gli zii risulta più facile confidarsi che col proprio padre, anche se col tempo Roberto imparò ad aprirsi con l'illustre genitore, che rimase sconcertato dalle rivelazioni della vita scapestrata di suo figlio, specie negli "anni milanesi"(1994-1999)
Fabrizio però non estendeva la sua confidenza agli altri Monterovere, anzi, biasimava l'Azienda Fratelli Monterovere per avere "sconvolto l'ecosistema emiliano-romagnolo".
La terza eccentricità riguardava un aspetto curioso della sua passione per la botanica.
Spariva per intere giornate, dalla mattina alla sera, e tornava carico di esemplari di piante di ogni genere, e questo poteva anche essere comprensibile.
La stranezza era che ogni pianta veniva messa a seccare all'interno di un giornale ben preciso e cioè Il Manifesto,e poi lasciata lì. Queste copie, con la loro pianta secca dentro, si accumulavano in alte colonne, fino a coprire i muri e poi a tappezzare l'intera stanza che fungeva da archivio.
Tutto questo accadeva già allora e continua ad accadere, solo che adesso quasi tutta la Villa Spreti è occupata da innumerevoli copie del Manifesto con dentro piante secche che nessuno ha più spostato dalla notte dei tempi.
A questo si aggiunga un ulteriore elemento involontariamente comico e cioè che il vecchio marchese Amilcare Spreti era di destra, per cui l'idea che la sua villa di campagna fosse invasa da copie di un quotidiano di estrema sinistra era una cosa scandalosa, che egli tollerava per un'unica ragione e cioè che Fabrizio era il suo unico figlio, non ne aveva altri di riserva, per cui il suo affetto paterno lo rendeva indulgente verso una cosa che avrebbe certamente considerato intollerabile se a farla fosse stato chiunque altro. 
Fabrizio possedeva anche un appartamento a Forlì, che però nessuno aveva mai visto, e che probabilmente è tutt'ora pieno di vecchie copie del Manifesto con dentro piante secche.
Per tutto il resto il cugino maggiore era ed è un'ottima persona, come lo era suo padre: generoso, signorile, ironico, colto, devoto verso la famiglia, solerte nel lavoro, integerrimo nei costumi.


Alessio Zanetti Protonotari Campi, nato nel 1967, aveva già conseguito due lauree, una in Agraria, considerando che era l'erede di una nota ed eminente famiglia di viticoltori (detto così non rende bene l'idea, ma i lettori dovranno fidarsi), e una in Matematica, che secondo i maligni gli serviva per contare la montagna soldi dei suoi facoltosi genitori, ma che invece era dovuta ad autentica passione e alla volontà (un po' masochistica) di diventare insegnante.
Sua madre Isabella imputava la "colpa" della laurea in matematica di Alessio e della sua vocazione per l'insegnamento al cognato Francesco Monterovere, che aveva stabilito un rapporto privilegiato con i nipoti acquisiti e aveva introdotto Alessio nel meraviglioso (?) mondo delle equazioni differenziali, delle geometrie non euclidee, dei frattali, dei numeri immaginari (esistono davvero), oltre che della fantascienza, nel cui "territorio" i precedenti argomenti sconfinavano.
I Monterovere erano fatti così: diventavano Maestri dei figli degli altri, lasciando i propri ad altri parenti. Francesco era Maestro di Alessio, mentre suo figlio Roberto sarebbe diventato allievo dello zio Lorenzo. A sua volta però, come vedremo molto più avanti, Roberto divenne Maestro della figlia di Alessio, Beatrice, di cui attualmente è "zio onorario".
Dei tre cugini, certamente Alessio era ed è il più "normale", lo scriviamo tra virgolette perché senza sarebbe un'offesa, almeno a nostro parere, e non è certo nostra intenzione offendere nessuno, tanto meno colui che ha garantito la continuità della discendenza dei Ricci-Orsini.

Come gli altri due cugini, anche Alessio era molto sveglio, intelligente e determinato.
Fisicamente era, come Fabrizio (e a differenza di Roberto, che aveva ereditato dai geni paterni l'altezza dei Monterovere) di media statura, e pure lui aveva capelli neri e pizzetto, ma per il resto era glabro e pallido, come la sua famosa nonna, la contessa Diana.

La sua stranezza principale era, prima di diventare padre di famiglia, il fatto di essere alquanto spericolato nel guidare sia le auto che le moto (era un Orsini, dopotutto),nel viaggiare il mondo e negli sport, in particolare nell'alpinismo e nelle immersioni subacquee.
La sua tendenza a sfidare il pericolo era presente già da bambino, quando, unico tra i tre cugini, osava fare il bagno nel Canale Emiliano Romagnolo, correndo il rischio, oltre che di annegare, di contrarre almeno una decina di malattie infettive o di vedersi un piede mangiato da un pesce siluro, se si voleva dare credito alle severe ramanzine di sua madre.

Mentre lui nuotava nel CER, Fabrizio si aggirava in cerca di piante rare e Roberto osservava i punti in cui il canale distribuiva l'acqua nei fossi, principalmente nello Spadolaro, il fosso che irrigava la tenuta di Villa Erbosa, dove i cani di zia Isabella facevano in bagno.







Anche Alessio era molto riservato, almeno prima di fidanzarsi con la sua attuale consorte, Barbara.
In precedenza aveva avuto altre storie, ma brevi e tormentate, seguite da periodi di sport estremi "per dimenticare".
Era però decisamente più loquace del cugino maggiore e non nascondeva le sue idee politiche, di sinistra, come ogni erede di famiglie molto ricche. Tali idee provocavano liti epiche con sua madre, che non a caso era orgogliosa di essere la Contessa di Predappio, paese natale di un certo signore calvo con la mascella squadrata.
Il padre di Alessio, Saverio, aveva dedicato tutta la sua vita alle numerose vigne che possedeva, ma questo è di dominio pubblico. Ciò che vogliamo aggiungere è il fatto che era anch'egli un gentiluomo, con un grande senso dell'onore che sconfinava a volte nell'orgoglio, una profonda dedizione al lavoro e alla famiglia e un carattere in apparenza severo, ma in realtà molto sensibile, tanto che spesso fu lui ad accorgersi per primo dei tormenti interiori del nipote Roberto, a cui dimostrò sempre grande affetto, ricambiato. Pur essendo ancora tra noi, in questa valle di lacrime, ahimè non è più presente a se stesso, e questa sua condizione è per Roberto motivo di grande sofferenza.

Verso fine agosto dell'anno della Falsa Primavera, i tre cugini si riunirono dunque per il pranzo preparatorio al successivo incontro.
Scelsero un ristorante che si trovava a metà strada tra Castiglione e Cervia, nella località che porta il nome di Tantlon, che fu il fondatore del suddetto ristorante/pizzeria/trattoria/osteria in questione.








Considerata la tendenza degli avventori ad alzare troppo il gomito, intorno al luogo erano avvenuti molti incidenti, specie in direzione della Contea di Cervia, per cui la zona, adesso, brulica di autovelox che contribuiscono notevolmente agli introiti nelle casse del comune cervese.

Fabrizio e Alessio vollero subito sapere, da Roberto, tutto quello che era successo a Londra, specialmente con Aurora Visconti-Ordelaffi, da loro stessi soprannominata "la Principessa", sulla cui famiglia avevano segretamente incominciato a condurre una specie di indagine parallela, e più indagavano e più si convincevano che c'era qualcosa che non tornava.

Roberto, abituato a confidarsi con loro, raccontò quasi tutto con entusiasmo e concluse:
<<Insomma, è stata un'esperienza meravigliosa, che rimarrà tra i ricordi più belli della mia vita>>
E su questo non c'erano dubbi.
A quel punto, però, Fabrizio incominciò il terzo grado:
<<E la Principessa è stata contenta di tutto?>>
E in quel "tutto" era chiarissima l'allusione a ciò che sostanzialmente era il quesito che il cugino biologo avrebbe voluto porre:
L'avete fatto o non l'avete fatto? Te la sei cavata bene? Lei è stata soddisfatta?
Magari fosse stato possibile rispondere con un sì e con un no, perché in effetti nemmeno Roberto era in grado di dare una risposta chiara su quel delicato argomento.
Optò, comunque, per la mezza verità del "bicchiere mezzo pieno":
<<Lei è contentissima, direi entusiasta>>
La risposta parve troppo generica ad Alessio:
<<Quindi, insomma... a livello fisico... c'è un'intesa? E' importante, sai, perché senza intesa a livello fisico, non si può costruire una relazione solida. In fondo per te dev'essere stata la prima volta...>>
Roberto, seccato per essere trattato come un novellino, rispose in maniera ironico-sarcastica:
<<Immagino che voi siate "molto" esperti in queste cose... vero?
E allora quando voi mi racconterete le vostre eventuali prime volte, ammesso che ci siano state, io potrei anche valutare l'idea di raccontarvi le mie.
Ma posso tranquillizzarvi dicendo che l'intesa c'è, anche a livello fisico, ed è un'intesa molto speciale, per giunta!>>
Seguì un silenzio imbarazzato, in cui Roberto ripensò ai feticismi di Aurora che ormai lo avevano fagocitato senza speranza di redenzione, perché in amore si finisce per condividere tutto, anche il peggio. E Aurora, col suo entusiasmo, era capace di trascinare Roberto ovunque lei volesse, come abbiamo già raccontato infinite volte.
Fabrizio però era un mago degli interrogatori, avrebbe dovuto fare l'ispettore di polizia e fece un commento che conteneva in sé una specie di trabocchetto:
<<D'accordo, d'accordo. Lasciamo stare. L'importante è essere sicuri che lei ti ami sul serio>>
Roberto, che su questo discorso aveva "la coda di paglia", come si suol dire dalle nostre parti, reagì emotivamente, arruffando il pelo come un gatto e mettendosi sulla difensiva:
<<Ma certo che mi ama sul serio! Perché non dovrebbe? Mi ritenete forse indegno di lei?>>
Alessio, che come sua madre era sempre concreto nei suoi discorsi, e molto attento ai dettagli economici, buttò sul tavolo il suo "asso di denari":
<<No no, al contrario! Tu non ci crederai, ma sei considerato quel che si dice "un buon partito". 
Sei l'unico erede maschio della terza generazione dei Monterovere, e questo cognome, in Romagna e non solo, è associato a tre cose che esercitano una certa attrattiva sulle donne: ricchezza, potere e prestigio>>
Roberto si indignò:
<<Questi sono discorsi da taverna!>> esclamò, rendendosi conto solo troppo tardi che, in effetti, loro si trovavano in una taverna <<Non mi piacciono queste generalizzazioni misogine. Spero che non ci sia dietro alcuna insinuazione, ma a scanso di equivoci vi ricordo che Aurora possiede già queste cose in abbondanza, e gli dà molto meno valore di quanto voi crediate!
Lei non è certo "quel tipo" di donna, è davvero una Principessa, ed io sono il suo "cavaliere" e la difenderò sempre a spada tratta!
Non permetterò a nessuno, ripeto, nessuno, di esprimere, anche solo con un cenno del viso, volgari insinuazioni, che oltre tutto si fondano sul nulla, perché voi non la conoscete e io, a differenza vostra e contrariamente a ciò che dite, non sono né ricco, né potente, né "prestigioso"!>>
Era sconvolto, quasi sull'orlo delle lacrime, perché quello era stato davvero un colpo basso, che lo feriva profondamente, toccandolo proprio nel suo punto più debole e cioè l'insicurezza.
Fabrizio cercò di rimediare, facendo la parte del poliziotto buono:
<<D'accordo, d'accordo, non era nostra intenzione offendere nessuno. Vogliamo solo essere sicuri che tu non vada incontro a delle delusioni. Le osservazioni di Alessio si basano sul "sentito dire". Secondo alcuni conoscenti di suo padre, i Visconti-Ordelaffi sarebbero molto meno ricchi di quanto facciano credere, anche perché il loro tenore di vita è obiettivamente troppo elevato, persino per chi commercia con gli idrocarburi all'ingrosso, quindi temiamo che si stiano indebitando con qualcuno, per questo è stato imprudente da parte tua accettare tutti quei regali>>
Roberto fissò i cugini per qualche interminabile istante e poi rispose, duro e tagliente:
<<Aprite bene le orecchie: io amo Aurora e lei mi ama. Tutto il resto non conta, sono stato chiaro?>>
Fabrizio annuì.
Alessio però non era il tipo da farsi zittire in quel modo, specie da quel cuginetto sbarbatello:
<<Nessuno nega che Aurora sia sinceramente innamorata di te. Ciò che stiamo cercando di dire è che c'è qualcosa di anomalo in tutta questa vicenda. Lo possiamo dire?
Guarda che noi stiamo dalla tua parte! Vorremmo solo che tu ci aiutassi a capire la situazione.
Ci sembra che lei abbia una certa fretta di arrivare all'altare... il che è sospetto: avete solo diciassette anni! E poi non si è mai visto che sia la donna a regalare l'anello di fidanzamento!
Tu dirai che sono discorsi vetero-maschilisti e forse hai ragione, ma consentimi di dirti che in tutta questa storia, dal Savoy in avanti, tu sei apparso un po' succube di lei>>
Roberto batté un pugno sul tavolo e alzò la voce:
<<Ma volete smetterla di gufare? Già io sono insicuro per conto mio, se poi voi incominciate a mettermi in testa tutti questi dubbi, allora è finita!>>
Ebbe l'impulso di alzarsi e lasciarli lì, ma purtroppo non aveva ancora la patente, e non intendeva certo tornare a Cervia a piedi.
Fabrizio si inserì di nuovo:
<<Ma non è questione di gufare o non gufare! Desideriamo tutti che tu sia felice, e se Aurora ti rende felice, va benissimo! Andrebbe benissimo anche un travestito brasiliano!
Ma noi ci preoccupiamo del tuo futuro, e anche, se ce lo consenti, del tuo patrimonio
Sarebbe un vero peccato se, in caso di divorzio, specie se ci fossero dei figli, i Visconti-Ordelaffi mettessero le grinfie sulla tua futura quota dell'azienda Fratelli Monterovere e sulle terre del Feudo Orsini>>
Roberto sorrise amaramente:
<<Ah, ecco. E' questa la ragione della vostra ostilità verso Aurora! Avete paura di perdere il controllo del Consiglio di Amministrazione del Feudo Orsini!
Non volete che i Visconti-Ordelaffi entrino in affari con noi! Che squallore: alla fine tutto si riduce sempre a una questione di soldi.
E poi cosa sarebbe questa storia del "divorzio"? Non ci siamo ancora sposati e voi già parlate di divorzio! Vi rendo noto che non ci sposeremo subito, ma soltanto dopo la laurea, quando la nostra relazione sarà talmente consolidata da poter escludere anche solo il pensiero di quell'eventualità!
Speravo di non dover scendere in questi dettagli, ma mi ci vedo costretto.
Voi credete che io sia un pollo da spennare, un ingenuo che si fa incastrare e poi si vede recapitare un'istanza di divorzio per "incompatibilità di carattere".
Ma per chi mi avete preso? Per un imbecille?
Se dico che lei è sincera, lo dico a ragion veduta, e quando la conoscerete mi darete ragione.
Perché lei vuole conoscervi, e voi dovrete comportarvi da gentiluomini, come i vostri padri, che portano con onore i loro cognomi e i loro titoli. 
Vi confesso che sono molto deluso e la cosa peggiore è che i vostri discorsi sono dettati da meschine considerazioni economiche: ciò che più vi fa paura è il fatto che, se Aurora mi "spennasse", io non sarei più economicamente in grado di contribuire al benessere del Feudo Orsini, del nostro Clan e della nostra Contea, che peraltro non è più nostra da un bel pezzo.
No, no, non negatelo, ho già capito tutto...
Voi, invece, non avete capito niente di come stanno le cose!
Volete parlare di soldi? Parliamone allora!
Vi rammento che i rapporti di mio padre con suo padre, mio nonno Romano, sono pessimi e mio padre non si metterà certo a leccare il grinzoso deretano del vecchio patriarca per avere i suoi soldi!
Mio padre è un uomo integerrimo e voi lo sapete meglio di me.
E poi avete dimenticato il fatto che mio nonno Romano è solo uno dei nove fratelli Monterovere, e ha tre figli, e farà i salti mortali perché la zia Enrichetta si prenda la fetta più grande, proporzionale alla sua considerevole massa.  Per cui alla fine cosa resterebbe a mio padre?
L'uno per cento a dire molto!
E nessuno può essere così sciocco da pensare che io sia un ereditiere solo perché forse mio padre avrà una minuscola quota da due soldi di un azienda da cui ha preso le distanze, per ottime ragioni, da molto tempo>>
Roberto era distrutto, le corde vocali gli facevano male, e si era già pentito di aver fatto una sceneggiata degna di Mario Merola.
Ma Alessio, il Matematico, l'aveva ascoltato attentamente e aveva già fatto una mano di conti:
<<Due soldi? Ma tu vivi proprio fuori dal mondo. E dire che vorresti fare il bocconiano!
Ho letto i bilanci, sono pubblici, e credimi se ti dico che il solo 1% dell'azienda Monterovere vale un sacco di soldi, anzi una montagna di soldi! 
Sto parlando di cifre a nove zeri... e voglio proprio vedere se avrai il coraggio di rifiutare la quota di legittima che spetterà a tuo padre per legge!
I tuoi non te lo dicono perché, saggiamente ed elegantemente, preferiscono mantenere un basso profilo, mentre tu avresti già spifferato tutto ai quattro venti!
Ma è ora che tu ti renda conto che con l'eredità di Romano potresti salvare il Feudo Orsini!
E con quei soldi, anzi, con quella montagna di soldi, potresti campare di rendita, da signore, per il resto della vita senza fare un emerito c...>>
Fabrizio, il Moderatore, intervenne:
<<Alessio, non c'è bisogno di alzare la voce o cadere nella volgarità. 
Credo che Roberto abbia perfettamente capito qual è il nocciolo della questione, per cui, prima di fare come i fratelli del nonno Ettore, che si presero a coltellate, è meglio sospendere qui il discorso>>
E il discorso fu sospeso, ma il pranzo era rovinato e Roberto, incredibile dictu audituque, aveva perso l'appetito.
In questi casi il nostro giovane Monterovere aveva già sviluppato una reazione che spiazzava gli interlocutori molesti.
Quando capiva che replicare sarebbe stato del tutto inutile, agiva di contropiede e incominciava a dare ragione, in maniera palesemente sarcastica, a chi sosteneva tesi opposte alle sue.
Quelli erano i momenti in cui era più temibile, perché nella sua mente aveva già emesso un verdetto, che per lui era come un debito, e come è noto, i Monterovere pagano sempre i loro debiti.
Il discorso alla fine si era spostato sulla questione del professor Sarpenti e dei tre ex-amici che lo aspettavano al varco, alla riapertura delle scuole.
<<Non so cosa mi aspetterà al ritorno a scuola. O meglio: di sicuro Sarpenti vorrà farmi rimandare in matematica e fisica, e la Sanguineti in disegno tecnico.
Vittorio Braghiri non mi rivolge la parola da anni, per cui non sarà una novità.
Felix Porcu mi prenderà in giro ancor più di prima. Mi chiama già "tacchino" per il mio naso e il mio pomo d'Adamo, ma si inventerà soprannomi ben più pesanti.
La vera incognita è Alessandro Panza: sua madre è una psicopatica che odia i Monterovere da sempre per questioni in cui io non c'entro niente, ma posso diventare per lei un ottimo capro espiatorio. Alex invece è buono, è mio compagno di banco e amico da anni, e mi dispiacerebbe molto se quella strega riuscisse a rovinare la nostra amicizia>>
I cugini questa volta si limitarono ad annuire, anche se di sicuro avrebbero potuto nuovamente rinfacciagli l'Affaire du Savoy e il modo catastrofico in cui lui e Aurora avevano gestito l'aspetto diplomatico di quella situazione.
C'era stato un ingenuo eccesso di esibizionismo, e Roberto ne era perfettamente consapevole, ma ormai il danno era fatto e purtroppo anche altri amici c'erano rimasti male.
Claudio Destri sicuramente, e forse anche Ludovico Corzani, che però in fondo era sempre stato molto equanime e comprensivo, forse perché aveva un carattere simile a quello di Roberto.
E gli eventi lo confermarono: Ludovico divenne infatti, come vedremo, il nuovo compagno di banco di Roberto, nel quarto anno di Liceo Scientifico.
L'incontro tra Aurora e i cugini, invece, fu rimandato sine die...




venerdì 20 agosto 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 154. Il Vaticinio




 

Per Roberto Monterovere, tornare a Confluentia dopo tanti anni era come tornare indietro nel tempo, anche perché quel luogo, in mezzo ai boschi e vicino alla confluenza dei due principali corsi d'acqua naturali della Contea di Casemurate, aveva un'atmosfera magica, che ricordava luoghi mitologici e leggendari, specie quelli connessi alle vicende arturiane.
Al riparo da sguardi indiscreti, nel mezzo delle terre degli Orsini di Casemurate, e con la complicità di questi ultimi, le Sacerdotesse avevano creato la loro Nuova Avalon, così come il conte Ippolito aveva restaurato la sua villa dandole l'aspetto di un castello neogotico e chiamandola apertamente "la Nuova Camelot".
Ad unire questi due luoghi c'era un sentiero che si inoltrava nel bosco, e lì il tempo era come "un orologio fermo da un'eternirà".
Mentre Roberto camminava attraverso il Bosco Sacro, gli venne incontro uno dei tanti gatti che popolavano l'Oasi Protetta e la colonia felina agreste.
Era molto giovane, un gattino svezzato da poco, di color grigio scuro, e sembrava un incrocio tra un Certosino e un Norvegese dal pelo lungo.




Roberto decise di seguirlo, e il micino lo condusse fino ad un tabernacolo, dove si trovava una raffigurazione di Uinen, la Signora dei Fiumi e delle Acque costiere, che le Sacerdotesse veneravano. La dea era seduta su un trono decorato con geometrie celtiche e reggeva uno scettro contorto come il ramo di un albero.
Dall'altra mano le pendeva un mazzo di chiavi, simbolo dell'ingresso nel Regno delle Fate, e ai suoi piedi c'erano un agnello, simbolo di purezza e innocenza, un'anfora e un baule, simboli di prosperità.
Le due estremità dello schienale del trono avevano la faccia di due serpenti, ad indicare la Stirpe di Confluentia e i due fiumi che avevano drenato, nei secoli, l'antica palude.









Altri la raffiguravano come una sirena e la chiamavano "la fata Melusina".
Mentre osservata i dettagli della statuetta, una voce lo chiamò:
<<Roberto Monterovere, bentornato a Confluentia>>
Lui si voltò e seppe di avere davanti a sé la Somma Sacerdotessa, da sola.
<<Grazie, Reverenda Madre>>
L'anziana aveva un aspetto stranamente benevolo, ben diverso da quello che sua madre gli aveva descritto.
<<Questo micino è un dono per te. E' un maschio. Consideralo come il tuo Spirito Guida. 
Gli troverai un nome. Ti seguirà e tu seguirai lui. 
Voi Monterovere siete tutti dei gatti sornioni: tuo zio Lorenzo è la classica "gatta morta", non gli daresti un centesimo a vederlo così, vestito di viola, e invece è il burattinaio degli Iniziati e persino il venerabile Albedo, Maestro dei Maestri, è ormai è una sua pedina.
Tu invece sei proprio come quel gattino. E' un complimento.
Ci sono pregiudizi sui gatti scuri, ma lui ti porterà fortuna, in particolare negli esami: dalla Maturità in avanti, negli esami avrai sempre fortuna, nel senso che accadranno sempre eventi tali da farti capire in anticipo, ma onestamente, le domande più insidiose che ti faranno.
E' anche parte dei tuoi talenti, ma avrai bisogno di fortuna per veder riconosciuta la tua preparazione. 
Per tutto il resto, invece... be', sei qui apposta per parlarne e ne parleremo>>
Roberto non sapeva come reagire a quelle parole:
<<Grazie per il micio! In effetti adoro i gatti e li percepisco simili a me. Troverò un nome adatto a lui. Quanto al resto...>>
La Somma Sacerdotessa :
<<Io so che sei scettico in generale e che non ti fidi di me in particolare, per tante ragioni, che ai tuoi occhi sembrano fondate. 
Ho la fama di essere una strega, ho confessato di aver commesso incesto con Ippolito Orsini e da quell'unione è nato il nemico di tuo nonno. Sono la nonna di Massimo Braghiri e la bisnonna di Vittorio, anche se non l'ho mai incontrato di persona.
Non c'è da stupirsi se agli occhi della tua famiglia e forse anche ai tuoi io rappresenti il Male, ma ti giuro che non sono tua nemica e che non ho mai esercitato le arti oscure, a differenza di mia sorella. E ti accorgerai che sono molto meno "malvagia" di quel che sembro.
Lascia che ti dica una cosa: a volte nel presunto "male" esiste un'umiltà che il presunto "bene" non conosce, perché i presunti "buoni" hanno sempre la certezza di essere nel giusto.
Io questa certezza non ce l'ho: in passato ho commesso molti errori, ma l'errore più grande è quello di non imparare nulla dai proprio errori. Io ho imparato molto, e tuttavia le mie certezze sono poche e tutto il resto è come il ricordo di un sogno immerso nella nebbia.
Ti posso dire ciò che percepisco o che ho percepito, ma non posso garantirti che sia la verità: i Misteri sono difficili da interpretare, anche per i più saggi e i più perspicaci.
Ora ti chiedo di seguirmi: ti porterò in un luogo dove potremo parlare liberamente, senza la presenza delle mie figlie e delle Novizie>>
S'incamminarono, col gattino alle loro spalle.
Roberto era meravigliato:
<<Avete ancora Novizie?>>
Lei sorrise:
<<Sono le ragazze che gestiscono l'erboristeria e si occupano dei gatti. Ai tuoi occhi sembrerà poco, ma loro credono ancora nel sogno della Nuova Avalon e della Nuova Camelot.
Quel sogno non è mai svanito del tutto, e sono in molti, ancora, a credere nell'Antica Via>>
Lui rifletteva ad alta voce:
<<Avalon e Camelot sono due nomi immortali, eppure la gloria di Artù, ammesso e non concesso che sia esistito, durò soltanto una generazione. Che ne fu di Camelot, dopo di lui? E della Tavola Rotonda, che ne è stato? Cosa è rimasto di tanta nobiltà? Le giostre ed i tornei, i cimieri e le armature: nient'altro fu che vento?
Che cosa sono stati, se non erbe di campo?>>
La Somma Sacerdotessa socchiuse gli occhi e parlò con voce remota:
<<Sono un ideale e continueranno ad esserlo finché l'umanità avrà vita.
 Come in ogni leggenda, anche per quella di Artù vale il detto "queste cose non avvennero mai, ma sono sempre".
Tu sai già tutto questo, ti sto solo rinfrescando la memoria. 
E lo faccio perché confido in te: so per certo che tu non abbandonerai mai l'Antica Via, e questo ti rende benedetto ai miei occhi.>>
Roberto era confuso:
<<Io non credo di capire...>>
Iole sorrise:
<<Non fare la "gatta morta" con me, giovane Monterovere: non sei ancora abile come tuo zio.
Ma tu conoscevi i miti ancor prima di incominciare a leggere: ah, la bellezza della tradizione orale! Tua nonna è stata bravissima a trasmetterti parole e formule che possono far rivivere le leggende, soprattutto quelle che riguardano persone e fatti non sono mai esistiti.
Questo Bosco Sacro è la Nuova Broceliande e la Nuova Lyonesse, il Regno delle Fate e degli Elfi di cui si narra nelle fiabe e nei romanzi ambientati in un universo fiabesco>>
Lui pensò subito all'altro mito fondante della sua predilezione celto-germanica, prima ancora di sapere che quella era la stirpe dei suoi padri, e cioè il Legendarium di Tolkien.
Chissà se l'anziana sacerdotessa ne aveva mai sentito parlare?
Roberto sondò il terreno alla sua maniera, buttando là una citazione, con tanto di "traduzione personale dall'inglese poetico all'italiano poetico":

<<"Gil-galad sugli Elfi solea regnare, 
      quando i giorni eran giovani e belli. 
      Ora tristi cantano i menestrelli, 
      del suo Regno perduto tra i monti e il mare">>







La Reverenda Madre era ancora più deliziata:
<<Un'ottima traduzione dei versi di Tolkien. Migliore di quella del testo che ho io. 
Le mie Novizie mi hanno fatto avere tutti i testi che compongono la sua opera omnia, naturalmente: il Silmarillion e il Signore degli Anelli sono testi imprescindibili, veri classici del Canone Occidentale. Bisogna conoscerli, punto e basta.
Quanta nostalgia in quei versi, riguardo al regno perduto di Gil-galad, e quanto dolore per la sua scomparsa, quando cadde eroicamente davanti al cancello di Mordor.
La guerra fu vinta, ma a caro prezzo. 
Il ricordo è sempre così, per una sorta di legge universale: la felicità passata non è più felicità, ma il dolore passato è ancora dolore.
L'hai appreso dopo la morte di tuo nonno: Ettore era il tuo Artù, il tuo Gil-galad. 
Persino i suoi nemici di allora lo rimpiangono, adesso.
E' stato un duro colpo per te, ma hai diciassette anni ed è tempo che tu sappia che la vita può essere molto dura. 
Sai cosa ha fatto scrivere, Bette Davis, come suo epitaffio? "She did it the hard way". Si riferisce al modo in cui ha vissuto: lo ha fatto nella maniera dura.
Ne era giustamente orgogliosa.
Ma ci sono momenti in cui può essere necessario lenire il dolore nascondendo, almeno per qualche tempo, il volto duro della realtà.
"Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba. Nascondi le cose lontane, le cose son ebbre di pianto", ed allora ecco le Nebbie di Avalon, ecco la Nuova Broceliande e la Nuova Lyonesse, ecco la Magia che continuerà a popolare i romanzi che ancora non sono stati scritti. 
Tutto questo continua a nutrire e ad arricchire la tradizione mitologica e magica che va sotto il nome di Antica Via.
E tu la stai apprendendo: i tuoi nonni, i tuoi genitori, tuo zio, tutti loro ti hanno impartito quello che noi chiamiamo "l'insegnamento profondo". 
E hanno potuto farlo perché tu eri ricettivo. 
Tu hai colto la magia di questo luogo, laddove tutti vedevano soltanto un boschetto e una casa vecchia, vicino a due rigagnoli: è così che ci difendiamo, apparendo insignificanti.
Ma tu ci hai scoperti, sei andato oltre l'incantesimo, e sei approdato qui, quando regnava Elvira.
Lei ha letto solo i presagi infausti, io ho percepito anche altre cose.
Tu sei qui per garantire che l'Antica Via non vada perduta e che questi sogni non svaniscano nella nebbia>>
Erano arrivati ad una radura, in riva al Bevano, dove sorgeva un piccolo cottage, molto ben curato, che aveva un'ala ad arco che poggiava nelle profondità del fiume e proteggeva un piccolo molto, dov'era custodita una barca.
<<Questo è il mio Petit Trianon, che mio padre, il conte Ippolito, fece costruire in stile Tudor, con tanto di giardino inglese attorno. E' un vero gioiello ed è un balsamo per l'anima>>





Roberto ne convenne: gli sembrava davvero di essere a Lyonesse, nel Regno delle Fate.
Si sedettero nel giardino, in una spiaggetta in riva al Bevano
E' questo ciò che la mia famiglia considera un luogo pericoloso, sede dei nostri nemici?
Non riusciva proprio a crederci.
Conoscere di persona un nemico è un'esperienza sorprendente, specie quando ci si rende conto che non è poi così diverso da noi e desidera cose molto simili a quelle che noi desideriamo.
Ci si accorge che forse non c'era nemmeno motivo di entrare un guerra, che tutto il sacrificio compiuto non aveva una motivazione reale, si basava solo su un equivoco, e dunque, in fondo, su una casualità.
Lo dice anche Sun Tzu: 
"Chi è prudente e attende con pazienza un nemico che non è un nemico, sarà vincitore"
Forse esistevano ancora margini per un accordo, o per lo meno un armistizio.
<<Ammetto di avere molta fantasia, ma credo di saper distinguere la realtà dall'immaginazione. La magia tu parli è metaforica, è letteraria, e questo va benissimo. Ma io non vado oltre. 
Non credo ai fenomeni soprannaturali...>>
Lei accennò un sorriso:
<<C'è una certa supponenza accademica nei confronti di questo argomento e di chi se ne occupa.
E' un pregiudizio, e contro i pregiudizi io cito sempre la stessa frase di Eleanor Roosevelt: "Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso", e il mio consenso non l'avranno mai.
Già il termine sovrannaturale è fuorviante. Si tratta di fenomeni naturali che la scienza non riesce ancora a comprendere. 
La fisica studia l'energia, ma non ne ha ancora scoperto tutte le fonti, e nemmeno tutte le tipologie. 
La nostra mente, si dice, sarebbe l'insieme delle attività superiori del cervello, le quali, secondo un modello esclusivamente medico, altro non sarebbero che neurotrasmissioni di energia elettrica ed energia chimica.
E' tutto qui? Nient'altro? Oppure "ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne può immaginare la tua filosofia"?
Certo tu potrai ribattere che la fisica non ha scoperto nient'altro, al riguardo, perché non ci sarebbe nulla da scoprire.
Ma ricorda ciò che ti dico: esiste ancora un luogo che noi possiamo chiamare "Terra incognita" e questo luogo è la nostra mente>>
Roberto annuì:
<<Mio padre è laureato in Fisica, la insegna da trent'anni e la pensa esattamente come voi, Reverenda Madre>>
Iole annuì a sua volta:
<<E' il fratello di Lorenzo Monterovere, mi meraviglierei del contrario!>>
Lui sospirò:
<<A quanto pare sono io lo scettico di famiglia. Eppure voi dite che io sono "ricettivo", ma se lo fossi davvero non sarei certo così scettico, non trovate?>>
La Somma Sacerdotessa, che era stata per alcuni minuti in contemplazione, con il capo chino, gli occhi chiusi e le orecchie tese ad ascoltare il rumore dell'acqua, si riscosse, sollevò solo leggermente il viso e dal basso guardò in su, verso di lui, con occhi scintillanti:
<<Tu percepisci il dolore degli altri, vero? Anche quando non te lo dicono, anche quando sorridono e anche quando non sono davanti a te, e soprattutto anche quando non vuoi.
Io sento che ogni volta che percepisci una sofferenza, anche se non riguarda te, tu soffri per la vittima,
e di fronte al suo dolore non riesci a voltarti dall'altra parte, anche se non la conosci, persino se non ne hai mai sentito parlare.
Tutte le forme di vita indifese, fragili, passive, che subiscono la ferocia altrui... tu percepisci il loro dolore e lo senti come se fosse tuo.
Questo denota un lodevole altruismo, ma è anche un pericolo.
Devi imparare a gestire tutto questo insieme di percezioni e di emozioni, o ti schiaccerà.
Lorenzo avrebbe dovuto dirtelo, ma vuole che tu superi la Prova del Dolore soltanto con le tue forze, senza una guida, ma io non sono d'accordo. 
Sei solo un essere umano, non puoi farti carico di tutto il dolore del mondo.  E' tempo che la tua ricettività sia impiegata in maniera più costruttiva.
Come puoi aiutare gli altri se non riesci nemmeno ad aiutare te stesso?>>
Roberto era sconcertato, perché non era mai riuscito a comunicare a nessuno questo aspetto della sua personalità:
<<Io... non lo so... sento una certa empatia emotiva, il che è quasi un ossimoro, ma non riesco a trovare altri termini. Compassione non sarebbe la parola adatta, perché mi porrebbe su un piedistallo, ed io ho sempre evitato i piedistalli. Si può vincere un campionato anche senza essere saliti mai in cima al podio. Il fratello di Diana era un motociclista, e partecipava alle gare, e lei continua a seguire i campionati mondiali di motociclismo, ma sto divagando, come al solito.
Potrei parlare di "pietas" o di "charitas", ma si tratta di qualcosa di più ampio, di più coinvolgente. A dire il vero non so nemmeno come sia cominciato. 
Da bambino provavo questo soprattutto nei confronti degli animali: sono cresciuto in campagna, tra galline che razzolavano nelle aie, a cui io davo il nome, salvo poi vederle sparire e ricomparire sotto forma di coscia di pollo... 
Guardavo la natura e guardavo anche i documentari: l'idea della catena alimentare mi faceva orrore e mi provocava terribili sensi di colpa, perché non ho mai avuto la forza di diventare vegetariano.
Per un Romagnolo è quasi impossibile: non potrei vivere senza la piadina col prosciutto!
Eppure so che il maiale, nonostante la gente lo disprezzi, è un animale molto intelligente. Dicono che è sporco e io dico: provate a starci voi ammassati in una stanza per tutta la vita! Non profumereste certo come rose!
Insomma stimo il maiale e poi lo mangio: questa incoerenza mi dilania, mi fa sentire un ipocrita e quasi un cannibale. 
Ma il peggio è che a questa ipocrisia se ne sono aggiunte altre, con tutti i loro sensi di colpa.
Vedendo come alcuni esseri umani privilegiati vivono sfruttando altri esseri umani meno privilegiati, mi sono sentito doppiamente ipocrita, dal momento che ho sempre beneficiato della posizione privilegiata della mia famiglia e ho goduto dei frutti delle fatiche di altre persone, compresi i miei genitori e i miei nonni, che hanno fatto molti sacrifici per tenere in piedi tutta la baracca, la quale comunque sta scricchiolando in maniera preoccupante.
Ma il discorso era quello della sofferenza condivisa.
Voi dite che io soffro pensando a tutte le vittime che non vedo, a ogni singola vittima prigioniera di uno dei milioni di inferni privati in cui vivono coloro che si trovano sotto il tallone di qualcun altro.
Non ho bisogno di conoscere i loro nomi: lo sappiamo tutti che certe situazioni esistono, solo che i più riescono a non pensarci. Tanto a che cosa serve? Cosa potremmo fare per aiutarli, se non sappiamo nemmeno aiutare noi stessi.
Persino chi sembra privilegiato può trovarsi in una di queste carceri infernali.
Si può essere prigionieri persino in casa propria: mia nonna Diana ha fatto una vita d'inferno, intrappolata in un matrimonio catastrofico, sconvolta dai lutti e tormentata dall'abisso senza fondo della depressione per non parlare della condanna quotidiana dell'emicrania.
Io sono stato l'unico, nella sua famiglia, che ha capito veramente il suo dolore, e ho cercato, con il mio affetto di curare le sue ferite, per quel che ho potuto.
Ecco, questa è l'unica cosa concreta che ho potuto fare>>
La Reverenda Madre annuì:
<<E ti sembra poco? Tu lei hai ridato la vita perché le hai ridato la speranza! 
Lo vedi anche tu: ha ottant'anni e non è mai stata così bene, è ringiovanita, ha tirato fuori una grinta che non sapeva nemmeno di avere. E ti proteggerà finché avrà vita.
La tua famiglia ora è in forze e ti protegge, ma questa condizione non è eterna, perché niente è indistruttibile a questo mondo.
Adesso c'è Aurora, tu la ami perdutamente, ma...>>
Lasciò la frase in sospeso, e lo guardò, come per chiedergli l'autorizzazione a proseguire.
<<Ma... finite il discorso. Siamo arrivati al dunque, alla vostra premonizione ed io sono qui per ascoltarla>>
L'espressione di Iole cambiò, come se si fosse pentita di aver accennato a quello, poi però proseguì:
<<Un giorno la lascerai: sì, sarai tu a lasciarla>>
Per Roberto fu come ricevere un pugno nello stomaco e la reazione fu immediata:
<<Mai! Non accadrà mai! Vi state sbagliando. E' impossibile che sia io a lasciare lei. Se mi aveste detto il contrario, avrei anche potuto crederci: Aurora può avere chi vuole. 
Ma io... per quale motivo dovrei lasciare una come lei? Persino se mi tradisse, io la perdonerei!>>
La Somma Sacerdotessa sospirò:
<<Ora ti sembra impossibile, ed è bene che sia così. Lei ti sarà di grande aiuto nei prossimi due anni. Ma poi, durante gli anni universitari, lei ti condurrà verso una strada che non ti appartiene. Edonismo, materialismo, vita frenetica e mondana: all'inizio ti piacerà e ti divertirai, ma dopo ne subirai le conseguenze. 
Vedi, a volte l'amore ci rende prigionieri della persona che amiamo.
Chi è innamorato non se ne accorge, almeno non subito, a volte possono passare molti anni, ma può succedere.
A un certo punto la sua frenesia finirà per esasperarti: non avrai più le energie per starle dietro e farai ricorso a scappatoie non sane... non so se mi spiego...>>
Lui era indignato:
<<No! Non sono un edonista e non lo è nemmeno lei. Ed io non farei mai ricorso a sostanze chimiche per star dietro al suo ritmo: lei stessa me lo impedirebbe>>
La Reverenda Madre chiuse gli occhi:
<<Vorrei tanto sbagliarmi. Ma non temere, la tua famiglia ti aiuterà ad uscirne. 
E poi ti trasferirai in un'altra città ti accorgerai all'improvviso di amare un'altra donna, una che ti saprà capire, una come te, una vera anima gemella, e sarà lei il grande amore della tua vita.
Io so chi è, ne conosco nome e cognome. 
Lo vuoi sapere?>>
Roberto scosse il capo:
<<No, non voglio che quella previsione si autorealizzi. Io sposerò Aurora: ne conosco benissimo i difetti, che sono ben pochi rispetto ai miei, e sarà lei ad aiutarmi in tutte le difficoltà>>
Iole lo fissò con i suoi occhi verdi come quelli dell'acqua di un fiume:
<<Ti aiuterà, per alcuni anni, ma a un certo punto ti condurrà verso una via che tu non potrai e non vorrai seguire.
Ma la parte più difficile deve ancora venire...>>
Roberto scrollò le spalle:
<<Se questo secondo vaticinio sarà improbabile come il primo, potete anche dirmelo, tanto io non ci crederò>>
Iole scosse il capo:
<<Alla fine lascerai anche quell'altra, la tua anima gemella: la lascerai, perché scoprirai un lato nascosto del suo carattere e della sua vita, e quel lato ti farà orrore.
E fuggirai, come sempre, perché questo è il tuo destino, negli anni della gioventù, fuggire da un luogo all'altro, da una città all'altra, da una casa all'altra, fino a che non le avrai perdute tutte.
Ricorda gli ammonimenti dei poeti e dei letterati.
Ricorda Seneca: <<Licet traieceris vastum mare, sequentur te, quocumque perveneris, vitia tua>>
Ricorda la profezia di Cacciaguida a Dante: "Tu proverai sì quanto sa di sale / lo pane altrui e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale".
Ricorda Foscolo: <<Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente>>
Ricorda Catullo: <<Multas per gentes et multas per aequora vectus...>>
Ricorda Kavafis: <<Non altra terra troverai, non altro mare. La città ti verrà dietro. andrai vagando / Per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. / Imbiancherai in queste stesse case. Sempre / Farai capo a questa città. Altrove, non sperare, / Non c’è nave, non c’è strada per te. / Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto / Tu l’hai sciupata su tutta la terra>>
Londra, Milano, Roma, Firenze, Bologna... soprattutto quest'ultima, dove vivrai per 16 anni.
E quando, a metà della tua vita, avrai perso tutto, tornerai come un figliol prodigo nella casa dei tuoi genitori, a Forlì, il "natio borgo selvaggio", e loro ti accoglieranno e tu avrai cura di loro, perché nella loro vecchiaia avranno bisogno di te.
Ma chi si prenderà cura di te, quando sarai tu ad averne bisogno? Nella mia premonizione c'è il volto di una bambina, che diventerà una giovane donna, ma qui tutto si perde nella nebbia.
Potrebbe essere tua figlia, o una parente stretta: di certo una discendente dei Ricci-Orsini: ha gli occhi color pervinca di Clara Ricci, e i suoi stessi capelli color oro. Di più non so dirti>>
Roberto era scosso:
<<Quella bambina sarà sicuramente figlia mia e di Aurora. In ogni caso, non preoccuparti per me, io non temo la solitudine, anzi, ne ho bisogno. 
Chi si sente solo quando è solo, vuol dire è in cattiva compagnia. E che nessuno si illuda: siamo tutti soli, in un modo o nell'altro.
Ma tutto questo riguarda un futuro lontano. Cosa mi attenderebbe nel breve periodo?>>
Iole scosse la testa e fece un profondo sospiro:
<<Scoprirai di essere molto più vulnerabile di quanto credi. Ci saranno momenti in cui la delusione che verrà da fuori e da dentro di te, ti farà desiderare di arrenderti. 
Ma io voglio che tu sappia che te la caverai: sopravvivrai a tutto quel dolore, e la tua mente, per quanto provata, sarà quella di un Iniziato. Ogni volta che avrai la tentazione di arrenderti, pensa a ciò che ti ho detto: tu supererai la Prova con onore, diventerai un Iniziato ancor più potente di tuo zio, o dello stesso venerabile Albedo, ma a differenza di loro, non userai quei poteri per fini personali. Verrà un giorno in cui le tue domande avranno risposta e le tue esigenze di giustizia saranno ascoltate e tu ti troverai faccia a faccia con gli Arcani Supremi>>
Roberto aveva un'ultima domanda da porre:
<<E se tutte queste visioni, le tue come le mie in futuro, fossero soltanto allucinazioni? Se il destino che mi aspetta fosse la pazzia? Con mia madre hai detto che temi per la mia salute mentale>>
La Somma Sacerdotessa sorrise:
<<Mi riferivo a disturbi dell'umore o della personalità, non certo alla pazzia: nessun delirio. Esiste un confine ben preciso tra la meditazione trascendentale e le allucinazioni: le prime sono terapeutiche, ti fanno stare meglio; le seconde ti portano alla perdizione.
Per riconoscere il confine, c'è un metodo chiaro: la meditazione trascendentale non conduce mai a fare del male a qualcuno, le allucinazioni purtroppo sì.
Mia sorella Elvira, nell'ultima fase della sua vita, aveva perso il controllo dei suoi poteri, e fu per questo che commise un errore gravissimo, di cui ancora paghiamo le conseguenze. 
Sono passati molti anni, ma ancora non ci siamo risollevate e le mie visioni tacciono su questo punto.
La Nuova Avalon e la Nuova Camelot sono in grave pericolo...>>
Roberto era profondamente turbato, al punto che i suoi occhi si riempirono di lacrime.
La Reverenda Madre tornò ad assumere un tono severo:
<<Suvvia, Roberto, non è il caso di piangere! Non è da te. In fondo il mio vaticinio nei tuoi confronti non va a finire male. Troverai il tuo equilibrio, non c'è motivo di piangere per il tu futuro...>>
Roberto la fissò, con gli occhi che scintillavano:
<<Non piango per me. Io piango per te!>>
Iole si afflosciò come un sacco vuoto, e appoggiò la sua schiena alla sedia:
<<Per me? E per quale motivo?>>
Lui continuò a guardarla con sincero dolore:
<<Ho posato lo sguardo sul naufragio di un sogno. La Nuova Avalon, la Nuova Camelot. "Camelot resisterà contro i barbari", mia nonna lo diceva sempre, pur sapendo che non sarebbe andata così>>




Lei dovette sforzarsi per non commuoversi a sua volta.
Questo ragazzo mi legge nell'anima. E adesso porterà sulle sue spalle anche il mio dolore.
Cercò di mantenere il controllo, come era stata educata a fare:
<<Diana è una degna avversaria, per me. Ci siamo combattute per una vita e lo faremo ancora, ma quanto rispetto, quanta stima...
Diana ha le sue buone ragioni per odiarmi, io sono la madre di Michele Braghiri>>
Roberto annuì:
<<Michele è morto. Tu hai preso le distanze da Elvira, quando Massimo le chiese di evocare Eclion contro Ettore. Hai sostenuto la necessità della pace con la famiglia Ricci. 
Ed ora mi hai avvertito riguardo a ciò che dovrò affrontare nel mio futuro.
Per me è sufficiente.
Alla fine siamo riusciti ad intenderci, Reverenda Madre, e vorrei suggellare un patto, con te, basato su due punti.
Il primo riguarda la faida che esiste da generazioni tra la tua famiglia.
Io ti imploro affinché tu possa intercedere con Massimo e Vittorio, affinché questa guerra possa avere fine, perché altrimenti ci distruggeremmo a vicenda, lasciando i nostri sogni in balia dei profani. Immagino saprai che io amo i fiumi, e in nome di questo, ti chiedo di pregare la Signora dei Fiumi affinché questa pacificazione sia possibile, prima o poi.
Le nostre famiglie sono in realtà la stessa famiglia: io sono pronto al dialogo, se loro lo saranno, e al riguardo, ti prego di mettere una parola buona e un'argomentazione convincente.
C'è poi un secondo punto. Io credo di aver avuto anch'io una specie di sogno premonitore, ero molto vecchio e ho visto Confluentia in inverno, e mi è parsa abbandonata... c'era come un vortice intorno a me, e tutto franava intorno... com'è possibile? Gli Iniziati lo permetteranno? La Signora dei Fiumi lo permetterà?>>













Roberto rivide le immagini di quell'incubo.
<<Persino il fiume era diventato ostile, lanciava crudeli assalti al ponte: non era più il simbolo di nulla, neppure di se stesso>>
Il volto della Somma Sacerdotessa era ancora più bianco di prima.
<<Tu hai visto ciò che accadrebbe se noi seguaci dell'Antica Via dovessimo fallire nel nostro compito di Custodi. 
La nostra missione è appesa a un filo: un solo errore e tutto cadrà nell'oscurantismo>>

Si sentì improvvisamente consapevole delle proprie responsabilità:
<<Difenderò tutto questo finché ne avrò la forza, ma come potrò reggere tutto sulle mie spalle, quando rimarrò solo?>>
La Reverenda Madre lo guardò severamente:
<<Scegliere l'Antica Via alle soglie del XXI secolo significa essere soli. E' il destino di ogni Custode. Qualcuno deve vegliare. Qualcuno deve essere presente>>
Era come se l'avesse sempre saputo:
<<Ne avrò la forza?>>
La Somma Sacerdotessa addolcì lo sguardo e sorrise:
<<Sì. E' questa la mia previsione. Non è necessario essere degli eroi: anche la persona più piccola può cambiare il corso della Storia>>
Lui annuì, ma poi chiese:
<<E se dovessi smarrire la Via?>>
Lei gli toccò la fronte con l'indice della mano sinistra:
<<La Via è dentro di noi, prima che in ogni altro luogo. E' questo il motto di ogni Cavaliere Errante. Il suo codice d'onore è dentro di lui. Ricordatelo, quando ti sembrerà di aver smarrito la strada.  
Ricordati ciò che scrisse il tuo autore prediletto: "Non tutti coloro che vagano sono perduti">>
Roberto annuì:
<<Ne farò il mio motto>>
La Reverenda Madre gli impose le mani sui capelli, in segno di benedizione, e poi lo congedò:
<<Namarie nella lingua delle fate e degli elfi significa "Addio!". Namarie, mio giovane amico!
L'estate è in fase calante, è giunto e passato il tempo del raccolto.
Namarie! Noi non ci rivedremo mai più>>





















(ART)

«Ai! laurië lantar lassi súrinen,
yéni únótimë ve rámar aldaron!
Yéni ve lintë yuldar avánier
mi oromardi lissë-miruvóreva
Andúnë pella, Vardo tellumar
nu luini yassen tintilar i eleni
ómaryo airetári-lírinen.
Sí man i yulma nin enquantuva?
An sí Tintallë Varda Oiolossëo
ve fanyar máryat Elentári ortanë
ar ilyë tier undulávë lumbulë
ar sindanóriello caita mornië
i falmalinnar imbë met,
ar hísië untúpa Calaciryo míri oialë.
Sí vanwa ná, Rómello vanwa, Valimar!
Namárië! Nai hiruvalyë Valimar.
Nai elyë hiruva. Namárië!»

(IT)

«Ah! come oro cadono le foglie al vento,
lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi!
I lunghi anni sono passati come rapidi sorsi
del dolce idromele in alti saloni
oltre l'Occidente, sotto le azzurre volte di Varda
ove le stelle tremolano
alla voce del suo canto, voce sacra di regina.
Chi riempirà ora per me la coppa?
Per ora la Vampa, Varda, la Regina delle stelle,
dal Monte Semprebianco levò le mani come nuvole
ed ogni sentiero è immerso nella profonda oscurità;
e fuori dalla grigia campagna l'ombra si distende
sulle onde spumeggianti poste fra di noi,
e la bruma ricopre i gioielli di Calacirya per sempre.
Ed ora persa, persa per chi è in Oriente è Valimar!
Addio! Forse un giorno troverai Valimar.
Anche tu forse un giorno la troverai. Addio!»



(J.R.R. Tolkien, La Compagnia dell'Anello, libro II, cap. VIII, pp. 467-468)