sabato 8 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 132. Perché l'Italia?







Si accomodarono nei divani del soggiorno, mentre dalla grande vetrata il crepuscolo sfumava nella notte.
Non appena ogni convitato ebbe ricevuto il suo aperitivo, Roberto, decise che era il momento per cominciare a far luce sulla "casuale" presenza, al Savoy, di due nobili inglesi conoscitori dell'italiano e delle opere di suo zio Lorenzo, proprio nel periodo in cui c'erano lui e Aurora.
 Iniziò da uno dei particolari che considerava più strani:
<<Jessica, da dove deriva il tuo grande amore per l'Italia e soprattutto per l'italiano, che in fondo, purtroppo, è ormai una lingua marginale?>> 
Lei gli lanciò uno sguardo severo e rispose con un tono di rimprovero:
<< La lingua fondata da Dante Alighieri non sarà mai marginale. Mai.>>
Roberto si sentì punto sul vivo:
<<D'accordo, ho usato un termine sbagliato. Intendevo dire che la parlano in pochi, se la confrontiamo allo spagnolo, o al cinese, o all'arabo, al russo...>>
Jessica annuì:
<<Sì, capisco cosa intendi. Sarebbe più utile imparare una lingua parlata da più persone. 
Il giudizio di utilità è importante specialmente in base al tipo di lavoro che si intende fare.
Io ho sempre avuto un'unica ambizione professionale, e cioè fare la ricercatrice universitaria di una materia che fosse collegata alla filologia classica o a quella tardo-antica, e questo l'ho deciso proprio sulla base di ciò che ho visto, sentito e conosciuto durante i miei soggiorni in Italia.
Ed è in Italia che farò i miei studi universitari>>
Roberto non era molto convinto da questa risposta.
<<Ah, bene. Ma gli studi classici  sono di grande qualità anche in Inghilterra, e forse persino migliori. Io, da italiano, mi chiedo come qualcuno che ha la fortuna di essere nato inglese, possa desiderare di diventare italiano.
Parliamoci chiaro: l'Italia è bella per farci una vacanza, non per viverci e men che meno per lavorarci. E dunque torno a chiedere: perché l'Italia?>>
Jessica sospirò:
<<E' c'è bisogno di chiederlo? E' una vita che gli Italiani che conosco mi fanno questa domanda.
E tutte le volte ho cercato di dare risposte ampie, argomentate, profonde, ma voi Italiani continuate a dire quello che dici tu.
E ogni volta io replicavo portando esempi concreti: arte, architettura, storia, cultura, letteratura, paesaggio, natura.
Ogni esempio che portavo veniva accolto con aria dubbiosa. 
E allora portavo esempi un po' più terra terra, come la buona cucina italiana, e loro rispondevano che ormai le pizzerie ci sono dappertutto, e con quello liquidavano la questione.
Alla fine mi rimaneva in mano una sola carta da giocare per esemplificare senza ombra di dubbio la superiorità della civiltà italiana rispetto a quella inglese>>
Si fermò: era chiaro che stava per pronunciare una delle sue famose battute.
Roberto capì che per estorcerle una risposta sincera bisognava prima superare gli ostacoli che il suo sense of humor frapponeva tra la sua mente e quella degli interlocutori.
Appariva abbastanza chiaro, infatti, che la giovane Burke-Roche fosse piuttosto reticente nell'affrontare alcuni argomenti e il suo ricorso alle battute fosse anche un modo per cercare di deviare il discorso.
Insomma, lady Jessica stava menando il can per l'aia, e lo faceva con un certo compiaciuto divertimento.
Lei era fatta così.
Roberto, spazientito, sbottò:
<<Bene, allora gioca la tua carta!>>
E qui, ancora una volta, Jessica si avvalse del consueto sarcasmo e della solita paradossale e provocatoria ironia tranchant :
<<Perché l'Italia? Per il bidet, naturalmente! Ma vi rendete conto che qui, a Londra, al Savoy, persino nella Royal Suite, manca il bidet! Noi anglosassoni siamo rimasti dei selvaggi!
Sì, sì. ridete pure, ma il bidet è un grande segno di civiltà, e gli Italiani sono i degni eredi degli antichi Romani, che avevano acquedotti, terme, fognature...
Dovreste metterlo nella bandiera, il bidet, perché è la prova inequivocabile che voi siete una civiltà superiore!>>
Tutti ridevano, ma Roberto, pur sorridendo anche lui, rimaneva concentrato sull'obiettivo di ottenere l'informazione che gli stava a cuore, e su questo non era disposto a cedere:
<<Ammetto che è una carta importante, ma mi piacerebbe conoscere anche le altre>>
Jessica lo fissò con sguardo severo, come a dire: "Venderò cara la pelle":
<<Le altre. E a che scopo? Per ottenere come risposta un misto tra sorpresa, incredulità, dubbio e un'espressione nel viso che parla da sola, e dice quello che pensi anche tu: "Lascia perdere l'Italia! La speranza ha abbandonato quella terra. E lascia perdere l'italiano! E' tempo perso! Tra due, massimo tre generazioni non lo parlerà più nessuno"
Dimmi, Roberto, da quanto tempo voi Italiani avete smesso di credere in voi stessi?>>

Ci fu un momento di silenzio,
Roberto allora propose un patto:
<<Facciamo così: se tu rispondi seriamente alla mia domanda, io rispondo seriamente alla tua, d'accordo?>>
Lady Jessica annuì, ma la sua espressione continuava ad essere severa.
A posteriori, possiamo dire che sarebbe stato meglio per tutti, compresa lei, se avesse detto la verità in maniera completa, ma non poteva, neanche se l'avesse voluto.

Era vincolata al più solenne dei giuramenti: era un'Iniziata di Rango Segreto, solo i membri del Consiglio Superiore sapevano che lei era stata ammessa nel Consiglio stesso per occupare il seggio che era stato di suo padre, di suo nonno e del suo bisnonno.
Ma era ancora nel periodo di prova.
Il suo compito era quello di tenere d'occhio Roberto e Aurora, ed esprimere una valutazione su di loro, per poi riferirla al Consiglio.
Tendenzialmente Jessica non amava mentire: preferiva essere reticente, ma non dire bugie.
E tuttavia il suo bisnonno, l'onorevole Francis George Burke-Roche, nato nel 1885 e ufficialmente morto nel 1958, ma segretamente vivo e in salute all'età di 107 anni, nel 1992, le aveva insegnato l'arte della menzogna, parlandole a lungo, giorno dopo giorno, di tutta la propria esperienza come Iniziato di Rango Segreto.
"Ricorda sempre, Jessica: il vero mentitore non dice bugie, ma solo mezze verità"
E le aveva spiegato il motivo: le bugie complete possono essere smascherate, ma le mezze verità no, perché in esse, il confine tra verità e menzogna è molto labile e chi sa usare bene le parole, può attribuire a quella mezza verità un'interpretazione estensiva. In tal modo, la mezza verità finisce per diventare una verità autonoma, persino per chi l'ha pronunciata, e continua a ricamarci sopra fintanto che non ne ha ricavato una versione talmente convincente da arrivare a crederci in tutta onestà, senza mentire nemmeno a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.
E lui, di tracce, non ne aveva certo lasciate, dal 1958 in avanti.

Francis George Burke-Roche era nato da un parto gemellare: non sappiamo come funzioni l'eredità dei titoli nobiliari quando nascono due gemelli maschi primogeniti. Roberto l'avrebbe saputo, ma non è più così facile riuscire a contattarlo. Quindi noi possiamo solo immaginare che il titolo lo erediti il primo ad uscire dal grembo materno.
Fu così che, mentre il primo gemello a venire al mondo, Maurice Burke-Roche, divenne il quarto Barone Fermoy, nonno materno della Principessa di Galles, il secondo gemello Francis George rimase senza titoli, tranne l'appellativo di "onorevole", che nel Regno Unito si attribuiva al figlio di un nobile titolato.

E forse era stara quell'ingiustizia a spingerlo a dedicare la sua vita ad un complesso, ma lucidissimo piano di rivincita
Jessica ne era certa: si trattava di far parte del Grande Disegno degli Iniziati, ma con un progetto ancor più segreto e alternativo a quello delle quattro fazioni dominanti. 
C'era voluta molta pazienza, ma ormai tutto era pronto: le cose procedevano esattamente come lui aveva previsto.
Rimaneva aperta solo la questione delle alleanze italiane, perché in Italia, e specialmente a Roma, non si poteva mai essere sicuri di niente.

Per questo Jessica doveva capire le intenzioni di Lorenzo Monterovere, e nel contempo apparire una semplice studentessa appassionata dell'Italia.
Decise quindi di partire dalle ovvietà, per poi lasciare le sottigliezze ad un secondo tempo, se ce ne fosse stato bisogno:
<<La mia risposta è piuttosto scontata: è il luogo comune su cui molti scrittori del nord hanno indugiato. La storia di questi nordici che provengono da tristezze artiche, o emergono da banchi di nebbia, come nelle atmosfere neogotiche dei quadri di Caspar David Friedrich e approdano in una terra dove il cielo è azzurro, limpido, terso, dove splende il sole, dove il mare è caldo e cristallino oppure blu o verde, e dove le città sono incredibilmente belle e straordinariamente piene di opere d'arte, e i piccoli paesini continuino a mantenere l'aspetto che avevano nel Medioevo, perché in Italia c'è tutto, dall'Età Arcaica in avanti: c'è tutto.

Io e i miei genitori trascorrevamo sempre l'estate in Italia, ogni anno in una città diversa e in una regione diversa. 
Sembrava di vivere in uno dei romanzi di Henry James o di Edward Morgan Forster, in particolare "Camera con vista". Il regista James Ivory ne ha colto pienamente lo spirito, nel film: Maggie Smith è la quintessenza della dama inglese di alto lignaggio, mentre Helena Bonham Carter, è una forza della natura e farà molta strada: io l'ho conosciuta, perché a Londra quelli che hanno almeno due cognomi si conoscono tutti tra loro.

Per gli inglesi dell'aristocrazia tradizionale, il viaggio in Italia è ancora visto come un'esperienza formativa, simile, in parte al Grand Tour dei secoli passati: adesso è nato il programma Erasmus, ma lo spirito è sempre quello.
Io mi sono innamorata dell'Italia, e anche di qualche giovane italiano, che però non l'ha mai saputo. E amo davvero la vostra cucina!
Voi avete una delle gastronomie più famose e apprezzate dal mondo intero, e tanti piatti tipici per ogni regione. La vostra agricoltura ha una tradizione di eccellenza: i vigneti e gli oliveti italiani sono un modello per il mondo intero.

Quando ero in Italia mi sembrava di vivere in un sogno, e voi dovreste sapere che nei sogni c'è tutto: il passato, il futuro, la verità...

Fu allora che incominciai a pensare all'Italia come alla mia seconda patria.
Voi vivete circondati dalla bellezza: da voi la bellezza e l'esistenza sono quasi la stessa cosa. 
Dal mio soggiorno a Roma imparai ad amare la civiltà classica e il latino, ma anche l'architettura, la pittura e la scultura, il Vaticano da solo è una delle meraviglie del mondo! 
E dal mio soggiorno a Firenze imparai ad amare il Rinascimento.
Ma soprattutto scoprii Dante, e incominciai a rendermi conto che la Divina Commedia è ai vertici della letteratura mondiale di tutti i tempi.
Ma per conoscere davvero questo capolavoro bisogna leggerlo in lingua originale
Certo, so bene che la lingua di Dante non è come l'italiano contemporaneo, ma voi almeno partite avvantaggiati. 
Ah, quanto vi ho invidiati per tutto questo!
Siete benedetti dalla sorte e non ve ne rendete conto. 
Voi potete leggere la Divina Commedia in lingua originale! 
Io non potevo e però lo desideravo. E del resto, non è sempre così che succede? 
Ciò che desideriamo di più è ciò che non possiamo avere, o che non possiamo essere: il frutto proibito. Io credo che sia anche questo il senso del Peccato Originale: il non sapersi accontentare mai di ciò che si è e di ciò che si ha>>

Roberto non poté fare a meno di notare il fascino di Jessica, ogni volta che parlava.
In quel corpo esile albergava un'anima dalle capacità straordinarie e dalla volontà di ferro: i suoi occhi sembravano poter leggere nel pensiero e piegare le anime altrui al proprio volere.
Ora, dopo averla sentita parlare, capiva bene perché lord Waldemar si era innamorato di lei, e quanto doveva sentirsi orgoglioso per il fatto che lei lo avesse scelto come futuro sposo.
Ma già allora il giovane Monterovere capiva che lei poteva essere pericolosa.
Dietro a quegli occhi malinconici e quel sorriso enigmatico, poteva esserci di tutto.
E chi avrebbe mai potuto sapere che quel corpo apparentemente fragile conoscesse le mosse più pericolose delle arti marziali?




E come si poteva immaginare che dietro a quell'aria da vergine dimessa e pura come acqua di sorgente, ci fosse una donna che conosceva, molto meglio di tutte le altre, i metodi con cui, attraverso le posizioni dell'amplesso, era possibile sottomettere la volontà del più inflessibile tra gli uomini?

Roberto non poteva di certo averne il minino sospetto, eppure qualcosa dentro di lui fece scattare una specie di campanello d'allarme, che gli diceva: "Attento, lei è centomila volte più potente di ciò che Wallis Simpson fu ai suoi tempi".
Il sesto senso di Roberto era nel giusto, e tante volte gli fu d'aiuto, nello sfuggire a trappole che sarebbero state infinitamente peggiori della sorte che infine gli toccò.
E quando commentò il suo discorso, c'era nella sua voce la consapevolezza di star parlando con una persona superiore a lui in tutto:
<<E tu quel frutto alla fine sei riuscita a coglierlo. Parli l'italiano meglio di noi italiani, e certamente ami l'Italia più di quanto l'amiamo noi, e forse persino più del tuo futuro marito>>

Waldemar annuì e confermò:
<<E' quello che dice anche mia madre, la quale non rimpiange l'Italia, e io glielo rimprovero, perché avrei voluto un'infanzia come quella di Jessica e le sue estati italiane>>

Jessica sorrise:
<<Lui si è innamorato non di me in quanto tale, ma delle mie estati italiane
E' l'unica spiegazione che riesco a darmi.
Ma tu, Roberto, devi rispondere alla mia domanda, ricordi?>>

<<Oh, sì. E la mia risposta non sarà facile, e nemmeno piacevole, perché sono tanti e oscuri i motivi che hanno reso quasi tutti noi Italiani così indifferenti rispetto alla bellezza che ci circonda.

Il primo motivo è l'abitudine. 
Quando fin da bambini si vedono continuamente certe cose bellissime, si finisce per darle per scontate.

Il secondo motivo è che il popolo italiano è una creazione recente, che ha poco a che vedere con il patriottismo.
Pensare all'Italia come a una Patria poteva anche essere bello quando era soltanto un sogno letterario.
Anche qui fu Dante a porsi per primo il problema di cos'era l'Italia, ai suoi tempi.
La definì "nave sanza nocchiero in gran tempesta" usò altre parole ancora più esplicite, tra cui "seva" e "bordello", eppure anche lui la considerava "il giardin de lo imperio" e biasimava apertamente Alberto d'Asburgo, per il fatto che trascurasse uno dei due regni fondatori del Sacro Romano Impero, che per il Sommo era la naturale continuazione cristiana dell'Impero di Costantino e Giustiniano, tramite la Chiesa Cattolica Romana e la Corona Imperiale che solo il Pontefice romano poteva concedere ai re di Germania e d'Italia.

Gli autori successivi, invece, sancirono una separazione tra l'Antichità e la Modernità, e crearono il concetto di Medioevo, con accezione negativa.
Già Petrarca, una sola generazione dopo Dante, percepiva questa cesura e si poneva l'obiettivo di restaurare la Res Publica Romana, guardando a Cola di Rienzo e alle tesi di Marsilio da Padova.
Quasi tutti i letterati italiani, da allora in poi, fino ai primi del Novecento, sono stati "patrioti" di questa immaginaria repubblica romana rediviva nella loro mente imbevuta di classicismo.

Ma la realtà era ben diversa, c'era sì una lingua scritta letteraria e una religione cattolica condivisa, ma non c'era un popolo, non c'era una Nazione e tanto meno una Patria.
L'Italia esisteva solo nella testa dei letterati, di alcuni massoni o carbonari e di intellettuali presi dal loro Grande Disegno>>

E qui Roberto notò che Jessica, finalmente, lo guardò con rispetto e considerazione.
In fondo, ciò che lei doveva valutare, era se il nipote di Lorenzo Monterovere avesse anche solo vagamente intuito l'esistenza del Grande Disegno, o almeno della parte che riguardava l'Italia.
E a quel punto, Roberto calò il suo asso nella manica:

<<Lo sbarco dei garibaldini a Marsala fu possibile solo perché due navi della flotta britannica del Mediterraneo erano lì, e non certo per caso. Senza l'ausilio degli Inglesi i garibaldini non sarebbero riusciti a sbarcare, e tanto meno a prendere la Sicilia.
Il Regno Unito voleva sottrarre una volta per tutte ai Borbone e agli Asburgo la penisola italiana, per rafforzare la propria presenza nelle acque mediterranee e nei porti. Tutto in previsione della futura rotta di Suez.
Miei cari amici inglesi: l'Italia come entità politica l'avete creata voi!>>

Calò il silenzio. Aurora e Waldemar apparivano confusi ed era normale, dal momento che la tesi enunciata da Roberto era molto ardita, ma destinata in seguito ad essere suffragata persino da Umberto Eco in uno dei suoi ultimi romanzi, Il cimitero di Praga.

Jessica invece sorrideva, con gli occhi fissi su quelli di Roberto e il bicchiere dell'aperitivo in mano.
Le luci della stanza facevano sembrare quasi neri quegli occhi che invece, alla luce del sole, erano blu scuri, screziati di verde. 
Per un solo istante sembrò che nella sala ci fossero solo lei e Roberto, che si guardavano e si "riconoscevano", come due anime che in una vita precedente si erano amate, e da tempo immemorabile si rincorrevano, nei secoli dei secoli, per potersi riunire ancora.




Jessica provava la stessa sensazione, ma a differenza di Roberto, lei sapeva esattamente qual era il legame tra loro, e tuttavia era troppo presto per potergliene anche solo fare il minimo cenno.
Ognuno di loro doveva percorrere, prima, un lungo cammino, e soltanto molto tempo dopo, quando finalmente tutti i tasselli sarebbero stati al loro posto, lei gli avrebbe potuto dire ciò che in quel momento pensava.

Gli disse invece:
<<E' una tesi interessante. Ma tu avevi detto che c'era una terza ragione per cui gli Italiani non sono fieri di essere tali, eccettuate le partite di calcio, naturalmente!>>

Tutti risero: era una battuta di Churchill. E forniva a Roberto la giusta introduzione per concludere il discorso:
<<La terza ragione è che, quando finalmente lo Stato Italiano creò il Popolo Italiano, 
l'ubriacatura nazionalista, incominciò a vacillare, fino al momento in cui, l'8 settembre 1943, la Patria morì e lo Stato Italiano si spezzò in due e il Popolo Italiano tornò a dipendere dagli stranieri.  Certo, è stato molto meglio essere diventati colonia militare degli Stati Uniti piuttosto che vassalli di Hitler o di Stalin. Ma adesso sta succedendo qualcosa di cui solo in futuro potremo constatare gli effetti. 

Quest'anno, nel giorno 7 febbraio 1992, è stato firmato il Trattato di Maastricht ed è nata l'Unione Europea, che ha fissato dei parametri molto restrittivi per le nostre finanze. 
Certo, il risanamento è necessario, purché non ci renda una colonia economica di Francia e Germania.
Lo dico perché è successo un altro fatto, di cui un giorno si tornerà a parlare, e cioè che ancora una volta il Regno Unito ci ha messo lo zampino, ufficialmente come arbitro super partes ed "onesto sensale". 
Il governo di Sua Maestà ha invitato tutti gli Italiani che contano sullo yacht Britannia, ufficialmente ancora "panfilo della Famiglia Reale", anche se gli ultimi ad usarlo furono i Principi di Galles durante il loro viaggio di nozze, con Carlo che leggeva libri di filosofia, teologia e giardinaggio sotto l'ombrellone e lady Diana che prendeva il sole a prua  in costumi succinti per la gioia dell'equipaggio. 




Ebbene, non è sfuggita alla mia attenzione la notizia che il Britannia, ancorato al porto di Civitavecchia, in data 3 giugno 1992, è stato lo scenario dell'inizio della privatizzazione dell'Iri, la holding pubblica che per più di mezzo secolo ha controllato l'industria italiana.
Noi siamo un'economia mista tra pubblico e privato, e a livello di grande industria, siamo stati quasi un paese socialista, e questo a partire da quando Mussolini, che nel suo cuore era rimasto un socialista nazionale, fondò l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, affidandone la guida ad Alberto Beneduce, socialista e massone, suocero di Enrico Cuccia, il leader della finanza laica italiana.
E adesso la storia dell'Iri si sta concludendo. Romano Prodi l'ha guidata bene, ma dal momento che gli investitori privati, in Italia, non hanno denaro sufficiente per comprarsi la loro fetta di torta, ecco che gli investitori britannici, francesi e tedeschi sono giunti "in nostro aiuto", acquistando tali fette di torta a un prezzo molto conveniente, per loro, facendo quindi entrare qualche obolo nelle casse della Repubblica Italiana, che non aveva altra scelta.
Il Ministro degli Esteri, Beniamino Andreatta, il Governatore della Banca d'Italia Ciampi e il direttore del Ministero del Tesoro, Mario Braghi, hanno preso atto della realtà e hanno fatto l'unica cosa che si poteva fare, per evitare la bancarotta e la fuga dei capitali.
Il nostro debito pubblico è talmente grande che ci siamo dovuti arrendere senza condizioni.

Ecco la terza ragione per cui non siamo patriottici, ed è molto semplice. 
Non siamo più padroni in casa nostra, per nostra stessa colpaperché siamo stati sconfitti inesorabilmente sia dal punto di vista militare che da quello economico.
Mia cara Jessica, noi Italiani non contiamo più niente : questa è la verità ed è sotto gli occhi di tutti>>

Nella stanza calò il gelo. Ma nessuno poteva smentire ciò che avevano capito anche i muri.

Jessica allora intervenne per riportare la conversazione su un tono più allegro:
<<E tu e i tuoi soci, Wald, vi siete comprati anche voi qualche fetta di torta, sul Britannia?>>

Lord Ravensbourne, un po' imbarazzato, sorrise e dovette ammettere:
<< Be', in effetti i miei soci, nella riunione di ieri, mi hanno spiegato come stanno le cose... sì, alcuni di loro erano sul Britannia, perché mio padre, prima di morire, aveva dato ordine di prenotare delle quote azionarie della Comit, la Banca Commerciale Italiana.
Ma io non sapevo tutti questi retroscena.
Mio padre, che Dio lo abbia in gloria, mi diceva solo che quel ferrovecchio del Britannia ci costa troppo, e presto sarà mandato in pensione, e sarà un dolore enorme per la Regina: potrebbe persino versare una lacrima, quando verrà il giorno in cui il Britannia troverà il suo ormeggio definitivo.






I miei insiders mi hanno riferito che l'ultimo viaggio del Britannia avverrà tra cinque anni, quando il Principe di Galles si recherà ad Hong Kong per formalizzare la fine dell'Impero Britannico, con il ritorno di quel nostro gioiello alla Cina.
Vedi, Roberto, la verità è le cose per il Regno Unito non vanno molto meglio rispetto all'Italia: vincemmo la guerra, sì, ma perdemmo l'Impero. 
La sterlina si è svalutata e continua a svalutarsi.
La flotta degli USA domina i mari, laddove una volta noi cantavamo con orgoglio: "Rule Britannia, Britannia rules the waves", e mi commuovo solo a pensarci.
Ma la cosa che adesso preoccupa di più Sua Maestà, stando almeno a quel che dicono i miei parenti più vicini alla Famiglia Reale, è la dissoluzione del Regno Unito.
Gli Scozzesi e gli Irlandesi vogliono la secessione, e i Laburisti, quando prima o poi torneranno al governo, potrebbero concedergli persino un referendum.
Alla fine diventeremo il Regno Unito di Inghilterra e Galles, nel migliore dei casi>>

Jessica rise, per stemperare la malinconia del Duca:
<<E nel peggiore ci rimarranno solo Londra, Windsor e l'Isola di Wight perché non la vuole nessuno!
Ma lo sapevate che dopo l'invasione anglosassone Londra rimase disabitata per due secoli?

Gli anglosassoni erano completamente analfabeti e se qualcosa dell'Età Sassone è rimasto, questo è merito della Chiesa! Il latino è rimasto la lingua scritta ufficiale per tutto il Medioevo e oltre.
Le lingue romanze assomigliavano sufficientemente al latino, e quindi si affermarono presto, mentre gli idiomi germanici erano ancora considerati come qualcosa di completamente barbaro, perché non c'era stato prima il latino, a fornire le fondamenta.>>

Aurora sorrise rivolta all'altra ragazza:
<<Sei molto colta, Jessica, immagino che i tuoi genitori siano fieri di te>>
Jessica sospirò, pur rimanendo cordiale:
<<Purtroppo i miei genitori sono morti in un incidente stradale alcuni anni fa. 
Da allora i miei nonni paterni mi ospitano nel maniero di famiglia e sostengono tutte le spese per la mia istruzione.
Quando io dissi che volevo un'istitutrice di madrelingua italiana, loro mi accontentarono.
Con la signorina Ferri parlavamo della mitologia classica ed ellenistica: da lì è nato il mio interesse per le religioni misteriche, che mi ha portata a leggere i libri di Lorenzo Monterovere>>

E quella era appunto la mezza verità che nascondeva la mezza menzogna, e cioè che lei conosceva Lorenzo fin da quando era bambina, ed aveva appreso molti segreti, ascoltando ciò che lui e i suoi genitori dicevano, credendo che lei fosse troppo piccola per capire.

Allora Lord Ravensbourne si alzò in piedi e disse: 
<<Propongo dunque un brindisi alla salute del caro professor Monterovere e di tutti i suoi parenti, in particolare i nostri ospiti!>>

E' un vero signore, pensò Roberto, così come lo è lo zio Lorenzo.

E si unì, con sincera amicizia, al brindisi proposto dal Duca.
Il clima conviviale ritornò giocoso: erano le 21.15 e il cameriere Archibald li invitò ad accomodarsi in Sala per la Cena vera e propria.

martedì 4 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 131. Aperitivo e Dinner party alla Suite Royale


Nel suo biglietto d'invito, Sua Grazia l'onorevole Lord Waldemar Richmond FitzCharles-Stuart, settimo Duca di Ravensbourne, si riferiva alla cena come a un cocktail and dinner party con aperitivo alle otto di sera e cena a partire dalle nove.
Specificava inoltre che quella serata non era da considerarsi un evento formale, per cui gli ospiti potevano sentirsi liberi di vestirsi come volevano. Lui avrebbe indossato lo smoking, ma era solo per abitudine.

Roberto aveva subito detto con Aurora che per nessuna ragione al mondo avrebbe indossato quel ridicolo farfallino: lui era per la cravatta senza se e senza ma, e col nodo Double Windsor, "sia ben chiaro", su questo non poteva transigere.
Aurora sostanzialmente era d'accordo ma gli chiese:
<<E se te lo chiedessi io?>>
<<Per te farei di tutto, tranne perdere la stima di me stesso>>
Questa frase ci suonava familiare e ci siamo chiesti se l'avesse detto qualcun altro, oltre a Roberto, per cui, così come citiamo i poeti e i filosofi e altri personaggi illustri, dobbiamo segnalare anche la canzone, intitolata "Per averti" e il suo interprete, che non ci è particolarmente simpatico come uomo, ma il suo mestiere lo sa fare bene, ed è sufficiente il suo nome di battesimo, e cioè Adriano. La trascriviamo con qualche nostra modifica che la rende più consona a quelli che potrebbero essere stati i pensieri di Roberto.

Per averti farei di tutto / tranne perdere la stima di me stesso / e se è questo che tu mi chiedi /
io ti perdo, ma stavolta resto in piedi / anche se qui dentro me qualcosa muore //  sì,  farei di tutto, / farei di tutto ma rinuncio con dolore / farei di tutto, farei di tutto / ma rinuncio, sì rinuncio senza amore // tu due cuori non li hai / e a me non basta la metà / se tu scegliere non sai / scelgo io, che male fa // Io non mi vendo, ma sto morendo / morsicato da un serpente e senza siero / disperato ma però un uomo vero...

Mentre Aurora sceglieva i vestiti per entrambi, Roberto concordava con lei sulle cose che avrebbero potuto dire e quelle che invece sarebbe stato meglio evitare.
Poi lei continuò a curare la parte estetica, mentre lui passò molto tempo nelle varie piscine del centro benessere, per poi tornare di sopra e prepararsi a sua volta. 
Ed in effetti la scelta di lei gli piacque molto.

I due fidanzati si presentarono alla Royal Suite del Savoy in perfetto orario, alle otto di sera. 
Entrambi erano, come sempre, molto eleganti, e nel contempo originali: Aurora voleva comunicare l'idea che loro fossero come due sposi, per cui Roberto avrebbe indossato un abito scuro e lei uno bianco.
Ma voleva anche apparire come una sposa di carattere e dunque aveva scelto di stupire tutti ancora una volta, indossando un abito con giacca bianca (con lievissime sfumature azzurre, che si potevano notare solo se l'illuminazione era dalla parte giusta), camicia bianca a collo alto e lungo, una cravatta bianca molto spessa e decorata, ampi pantaloni a palazzo bianchi (sempre con sfumatura azzurrognola) che arrivavano fino a terra (con sotto scarpe con tacco molto alto, affinché l'effetto complessivo le desse un aspetto da top model, da indossatrice in una sfilata).
Le erano sempre piaciute le divise, comprese quelle maschili, e questo la induceva, ogni tanto, ad osare abiti simili a quelli maschili, forse per controbilanciare l'aspetto angelico del suo volto, attribuendogli più carattere.

Aveva trascorso il pomeriggio nel solarium, per cui la sua notevole abbronzatura era particolarmente in sintonia col colore dei capelli.






Roberto aveva trovato un accordo con lei: avrebbe sì indossato lo smoking regalatogli da Aurora, ma con una cravatta scura color indaco. 
Il farfallino rimase incellofanato, destinato a restare intonso, come certi libri comprati sull'onda dell'emozione del momento, ma la cui lettura era sempre posticipata a impossibili "tempi migliori".
Gli oggetti non usati, come i libri non letti, un giorno si vendicheranno. 
Ogni feticista con tendenza ad accumulare oggetti inutili lo sa fin troppo bene: alla fine quegli oggetti avrebbero sommerso la casa e il suo stesso proprietario, che ne sarebbe morto, come la vittima di una valanga.





L'onorevole lord Waldemar Richmond FitzCharles-Stuart, Duca di Ravensbourne era invece, come anticipato, in smoking e quando vide i suoi ospiti, mostrò di apprezzare molto la scelta estetica di entrambi, specialmente, com'era ovvio, quella di Aurora.
Lui a sua volta appariva diverso: così vestito e pettinato sembrava aver messo da parte, almeno per quella sera, il suo aspetto androgino, preferendo un look adeguato al proprio rango.
Forse la riunione con i suoi soci in affari gli aveva fatto capire che certe sue pose troppo effemminate gli avrebbero fatto perdere credibilità.
Si era negli Anni Novanta del secolo scorso, quando ancora l'elite non aveva accettato certi atteggiamenti e comportamenti che ora sono diventati quasi una moda.
Ma il Duca voleva anche darsi un'aria principesca, persino regale ed era quello il suo intento, e se avesse avuto indosso la corona, il mantello di velluto blu con gigli d'oro, bordato di ermellino, la spada e lo scettro, avrebbe fatto impallidire anche Luigi XIV.





La Royal Suite al quinto piano del Savoy era ed è ancora un gioiello: un appartamento di sette stanze e tre bagni, collegate l'una all'altra lungo una direttrice open plan che si estende sul lato verso il  fiume, con vista panoramica sul Tamigi e sui monumenti di Londra. Lo stile residenziale che soddisfava il desiderio del viaggiatore di lusso era un misto tra eleganza antica e comfort moderno. Questo stile era una armoniosa composizione di elementi classici con altre correnti artistiche, tra cui l'Art Nuveau e l'Art Deco. L'ingresso conduceva in un’ampia soggiorno con un bar privato di notevoli dimensioni. Vi era poi, collegato da una porta, un secondo salotto più intimo e tradizionale.






Dal secondo salotto si entrava nella sala da pranzo.



Nel ricordo di Roberto la sala da pranzo era molto luminosa, grazie sia alla vetrata con vista sul Tamigi, sia alla presenza di specchi e ornamenti chiari, con le pareti in stile neoclassico e l'arredamento che affiancava elementi liberty però più sobri.

Adiacente alla sala da pranzo, c'era la sala per il guardaroba da cui si dipartivano due bagni di cui uno per gli ospiti e, in fondo, c'era una stanza adibita a studio e biblioteca, con tanto di librerie, scrivanie e custodie per i documenti, lampade decorate e poltrone ergonomiche.






Le camere da letto con baldacchino erano nel reparto notte, e affiancato si trovava uno spazioso spogliatoio con armadi rivestiti in cedro e un maestoso bagno con profonda vasca idromassaggio Jacuzzi e tonificante doccia a vapore.









Lady Jessica Burke-Roche arrivò con un quarto d'ora accademico di ritardo, elegantissima, con un vestito lungo, azzurro, che le lasciava quasi del tutto scoperte le spalle, e una stola dello stesso colore che le avvolgeva il petto, passando sopra gli avanbracci.
I capelli castano chiari erano ravvivati da colpi di sole e il viso, pur mostrando tratti affilati, era addolcito da un make-up che riusciva a far apparire meno lungo il naso e più corpose le labbra.

Lo sguardo era magnetico, molto intenso, con un'espressione che oscillava tra il serio e il vagamente divertito, e infatti la prima cosa che disse, in un italiano privo di inflessioni, fu:
<<Chiedo scusa per il ritardo, ma per rendermi presentabile c'è voluto molto tempo. Un lavoro di restauro molto impegnativo. Più di così non poteva fare>>
Lord Ravensbourne si alzò andarle incontro e dopo un cortese baciamano disse :
<<Sei meravigliosa, Jessi>> e poi le indicò gli ospiti <<ti presento lady Aurora Visconti-Ordelaffi e il suo fidanzato Roberto Monterovere, nipote del celebre Filosofo Metafisico>>
Roberto si chiese come mai suo zio fosse stato citato come filosofo invece che come storico delle religioni. Forse i suoi studenti lo conoscevano meglio di quanto lo conoscesse lui.

Jessica porse la mano a entrambi con molta cordialità, poi concentrò inizialmente la sua attenzione sulla giovane Visconti:
<<Aurora, che splendido nome! E tu sei la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto! 
Io venderei l'anima al diavolo se potessi essere alta come te, avere le gambe così lunghe, poter indossare pantaloni come i tuoi e avere un viso d'angelo come il tuo.
Be', anche le tue tette non guasterebbero..,
Sarò anche una banale eterosessuale, ma per una come te potrei fare un'eccezione>>
Aurora rise, lusingata:
<<Ah ah, e io ci starei molto volentieri, perché guarda che anche tu sei un bel bocconcino.  Ah sì, decisamente!>>
Jessica rise a sua volta:
<<Sì, ma a me c'è voluto tutto il giorno per rendermi vagamente appetibile, mentre io ci scommetto la testa che tu anche al naturale sei perfetta, cosa ne dici Roberto?>>




Chiamato in causa a sorpresa, Roberto sorrise e annuì:
<<Confermo, e infatti mi reputo un uomo molto fortunato>>
Jessica concentrò la sua attenzione e il suo sguardo magnetico su di lui:
<<Lo credo bene!>>
Roberto non poté fare a meno di notare il suo italiano perfetto:
<<Ma dove hai imparato a parlare così bene l'italiano?>>
Lei si aspettava quella domanda:
<<Be', vedi, noi inglesi abbiamo l'innegabile vantaggio di conoscere già l'inglese>>  e qui tutti risero perché la battuta li aveva colti di sorpresa <<per cui abbiamo molto più tempo per dedicarci allo studio di altre lingue.
Io frequento un liceo classico con indirizzo linguistico, per cui sto studiando il greco e il latino, ma anche il francese e l'italiano. In più ho un'istitutrice italiana, che è la stessa che ha aiutato anche Wald a perfezionare il suo>>
Waldemar Richmond Fitzjames Stuart confermò:
<<Io e Jessica ci siamo conosciuti così. E' stata la nostra istitutrice a farci conoscere e a invitarci a parlare italiano tra di noi, in sua presenza, ed è stato un metodo molto efficace.
Ed è cosa pubblicamente nota che è da allora che ho cominciato, purtroppo ancora senza risultati incoraggianti, a corteggiare lady Jessica>>
L'attenzione di tutti si spostò di nuovo sulla giovane Burke-Roche:
<<No, Wald, se presenti le cose in questo modo dai l'idea che io sia una che se la tira, il che non è affatto vero. E' solo che ho paura di essere, come si dice... "sedotta e abbandonata". 
Succede così quando si è corteggiati da un Duca che potrebbe aspirare a molto meglio>>



Roberto intervenne:
<<Non credo che lo farebbe mai. Sono io quello che deve preoccuparsi di più, se penso che Aurora potrebbe trovare qualcuno più degno di me>>
Jessica colse la palla al balzo:
<<Allora non resta che gli indegni lascino il posto alle divinità. Io e Roberto ci togliamo dal mezzo e così Aurora e Wald potranno generare una stirpe di eletti>>
Tutti presero quella frase come una battuta, ma tra loro Jessica era l'unica a conoscere quello che gli Iniziati chiamavano "Il Grande Disegno".
Aurora, volendo mostrare di essere altrettanto ironica e auto-ironica, disse:
<<Sì, però in questo modo tu e Roberto ci portereste via tutta l'intelligenza>>
Waldemar sollevò l'indice della mano destra:
<<Avrebbero dei rampolli con grande quoziente intellettivo, ma si dovrebbero assumere la responsabilità dei loro nasi>>
Tutti risero.
Jessica guardò il Duca con la sua tipica espressione maliziosa:
<<E va bene, allora. Mi hai convinto, Wald. Vorrà dire che mi sacrificherò e diventerò la Duchessa di Ravensbourne, il che in fondo è pur sempre meglio che lavorare>>




La risata corale che ne seguì, sancì il trionfo della giovane Burke-Roche. 
Lo spirito di Jessica era contagioso, gli altri cercavano sempre di trovare arguzie migliori delle sue, ma era difficile riuscirci. Sembrava che fin da bambina avesse studiato un manuale su come rispondere in maniera intelligente e ironica in qualsiasi tipo di conversazione brillante.
Lord Ravensbourne ne era molto compiaciuto, e si vedeva chiaramente che amava Jessica, tanto che le fece sapere:
<<Quando vuoi, c'è un anello di fidanzamento con zaffiro e diamanti più grande di quello della tua cugina ricca, la Principessa di Galles>>
Jessica sorrise:
<<In una delle prossime serate, magari più intime, potremo riparlarne, ma mi raccomando, io sono una persona romantica, per cui, prima di inginocchiarti, assicurati che l'anello sia davvero più grande e più prezioso!
Il romanticismo si misura a carati, in Inghilterra, specie per quel che riguarda gli aristocratici caduti in disgrazia, come me>>
Roberto si sentì in dovere di precisare:
<<Io credo di essere l'unico plebeo qui, dal momento che l'unico quarto di nobiltà accertato è quello di mia nonna materna>>
Incredibilmente fu il Duca a smentirlo:
<<Tuo zio mi ha detto che anche i Monterovere sono nobili>>
Roberto rise:
<<Lorenzo sarà pure un grande "filosofo metafisico" come il suo maestro Franz Kranz, ma il resto è pura invenzione>>
Ancora più incredibile fu la smentita di lady Jessica:
<<Ma tu li hai letti i libri di tuo zio?>>
Imbarazzato, Roberto dovette ammettere la verità:
<<No. A dire il vero li ho acquistati solo di recente e non ho ancora avuto tempo per...>>
Jessica non accettò scuse:
<<Devi leggerli al più presto, soprattutto gli ultimi. Ci sono dei contenuti che ti faranno capire che il Professore è uno studioso le cui tesi sono accompagnate e suffragate da ricerche approfondite e da prove robuste. Se afferma qualcosa, qualsiasi cosa, non lo fa mai per caso e tanto meno per millanteria. Uno come lui non ne ha bisogno>>
Aurora cercò di capire meglio la situazione:
<<Si direbbe che tu conosca Lorenzo meglio di suo nipote e anche meglio di Waldemar>>
Era verissimo, per questo Jessica smentì in maniera categorica:
<<Io conosco i suoi libri, e le loro fonti, e so che su certi argomenti, come ad esempio le genealogie, ha consultato gli archivi di mezzo mondo. L'apparato delle note e la bibliografia dei suoi testi sono più che illuminanti al riguardo>>
Ci fu un momento di silenzio meditativo e ne approfittò il cameriere privato del Duca, che si offrì, in inglese, di preparare un aperitivo per tutti i presenti, se eventualmente volevano accomodarsi in soggiorno.
Per Waldemar l'anziano cameriere era come un secondo padre, perché subito disse:
<<Senza Archibald sarei perduto>>
Si sedettero nelle poltrone: erano le 20.45 e chissà cosa sarebbe successo, da lì a fine serata, o nottata, a seconda delle abitudini del Duca e di lady Jessica, la futura Duchessa.

sabato 1 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 130. Lady Jessica Burke-Roche



Aurora e Roberto erano ancora a letto insieme, quando la mattina dopo, a tarda ora, Battista suonò con decisione il campanello finché lei trovò la forza di andargli ad aprire.
Le consegnò allora, con aria solenne, l'invito di Lord Ravensbourne, il quale esprimeva il suo grande desiderio di averli come ospiti a cena, nella Suite Royale, insieme a lady Jessica Burke-Roche, che conosceva molto bene la lingua e la cultura italiana, di cui era grande ammiratrice.

Aurora guardò Roberto, il quale annuì, poi tornò a rivolgersi a Battista e gli disse:
<<Va bene, fagli sapere che accettiamo l'invito... >>
E con quelle semplici parole segnò il destino di molte persone, compreso il proprio.

Quello fu il momento in cui Jessica entrò in scena nella vita di Roberto, facendo dunque la sua prima comparsa nella nostra narrazione e diventerà una delle tante vite "quasi" parallele destinate a collidere con le altre, concorrendo alla realizzazione di qualcosa che fu nel contempo mirabile e terribile.
Perciò è necessaria, anche in questo caso, una premessa introduttiva.

Se Aurora Visconti-Ordelaffi fu il primo grande amore di Roberto Monterovere, lady Jessica Burke-Roche era destinata ad essere, molto tempo dopo, l'ultimo, e il più importante.

Prima di tutto va notato che, come nel caso di Aurora, sarebbero dovuti passare anni prima che Roberto si innamorasse di lei.
E del resto Roberto era felicemente fidanzato con Aurora, la amava profondamente ed era senza ombra di dubbio intenzionato a sposarla.

Non c'era nessuna ragione al mondo che gli facesse prevedere che Jessica, negli anni a venire, sarebbe salita e scesa sulla Ruota del suo Destino per tante volte, ed ogni volta sarebbe stata un po' più grande nel suo cuore.

E' difficile da spiegare, persino per noi che abbiamo udito raccontare questa storia da più fonti, come sia potuto accadere.
Ci sono esempi simili anche nella grande Storia, quella dei personaggi famosi del passato, e forse il modo migliore per capire tutto questo sono proprio le similitudini.

Il primo esempio che ci viene in mente è molto famoso e controverso: Jessica fu per Roberto qualcosa di simile a ciò che Wallis Simpson fu per Edoardo VIII, nel bene e nel male.

E per dare significato a questa similitudine, ci sia consentita l'ennesima digressione sui reali inglesi e le loro consorti e amanti. 

Wallis Warfield Spencer Simpson Windsor (Baltimora 1896 - Parigi 1986) ebbe tre mariti, divorziò dai primi due per sposare un uomo che per lei aveva rinunciato alla corona dell'Impero Britannico.
Come fu possibile? Wallis non era bella, né giovane, né fertile, né inglese, né nobile, né, soprattutto, nubile: era sposata con altro uomo, Ernest Simpson, dopo aver divorziato dal primo marito, un certo Spencer, ufficiale dell'aviazione statunitense di stanza a Shangai e Pechino.

Ma Wallis era interessante, elegante, brillante, ironica, carismatica, seducente, sicura di sé e molto esperta nelle questioni erotiche, apprese negli anni in cui visse in Cina, ai tempi dei Signori della Guerra, che dominarono la scena dopo l'esautorazione dell'ultima Dinastia e la fine dell'Impero.

La sua personalità fu tale da far tremare la Corona britannica e nel contempo, però, fu capace di dare il via ad una secolare stagione di scandali drammaturgicamente appassionanti e aventi come fulcro le vicende dei reali, specie per quel che riguarda i matrimoni, i tradimenti, i divorzi e le tragedie, perché c'è una cosa che bisogna ammettere, senza l'adulterio e lo scandalo, la Monarchia britannica sarebbe morta a causa della noia.










Alla fine lo capirono anche Elisabetta II e il principe Filippo, quando decisero di riconciliarsi con Wallis, durante la malattia di Edoardo VIII e dopo la morte di quest'ultimo, nel 1972.
La Regina acconsentì persino che Wallis fosse seppellita accanto al marito, nel cimitero reale di Frogmore, a Windsor, a pochi metri di distanza dal mausoleo di Vittoria e Alberto.

L'unico membro della Famiglia Reale che non perdonò mai Wallis fu la Regina Madre, e possiamo comprendere le sue ragioni, che trovarono espressione limpidissima nel sorriso trionfale con cui osservò passare la bara della Duchessa di Windsor, nel 1986.




Ma Elisabetta II e Filippo concessero a Wallis un funerale molto dignitoso, a Windsor, che, paradossalmente, servì allo stesso Filippo come prima prova per il suo stesso funerale, le cui linee principali incominciarono a definirsi già due anni dopo, a partire dal 1988.

Uscire di scena in punta di piedi è qualcosa di molto dignitoso, e le esequie del Principe, nel 2021, ci fanno pensare che egli fosse una persona migliore di quanto lo descrivessero i media e le serie tv.
E' risaputo infatti che Filippo (pace all'anima sua) fu un marito infedele, ma gli va comunque riconosciuto il non indifferente merito di essere stato sempre molto discreto. 
Se però il suo matrimonio è durato così a lungo, il merito principale va attribuito a Elisabetta, che oltre a possedere le doti della pazienza, della prudenza, della riservatezza e del senso di responsabilità che il suo ruolo le imponeva, amava profondamente suo marito e sentiva di aver bisogno di lui, della sua forza di ruvido nostromo, di navigato ufficiale di marina, come tutti i Mountbatten, zio e nonno, prima di lui.

Massima ammirazione quindi per una coppia che ha dimostrato che i matrimoni, a volte, possono anche riuscire bene. Ma se tutti i matrimoni dei Windsor fossero stati così, la Corona, paradossalmente, avrebbe perso parte del suo fascino, quel tipo di fascino che deriva dallo scandalo, dal tormento, dalla passione e dalla tragedia.

Più volte abbiamo sostenuto la tesi secondo cui in genere i lettori non sono interessati a leggere storie di amori felici.

La felicità degli altri, nel migliore dei casi, genera noia e quindi disinteresse, e nel peggiore genera invidia e persino odio, e adesso lo sappiamo ancor meglio attraverso il fenomeno degli haters, gli "odiatori" da tastiera che, non essendo riusciti a farsi una vita propria, non hanno niente di meglio da fare che insultare coloro che sembrano felici, e dico "sembrano", perché ognuno porta la sua croce, ed è turbato dalle sue paure. 

Quisque suos patimur manes: ognuno di noi soffre per i propri fantasmi. Ognuno, senza eccezioni.

"Chi più e chi meno", si potrebbe obiettare, ma questo vale per il presente: riguardo al futuro, anche i più previdenti sono esposti egualmente agli eventi imprevisti e imprevedibili.

L'invidia, oltre che essere meschina, perché non riconosce il merito e gioisce dei mali altrui, è anche infondata, perché non tiene conto la fortuna è volubile, la felicità è effimera, le cose materiali si logorano, e niente, assolutamente niente è indistruttibile, nessuno può considerarsi fuori pericolo, e questa è la Ruota del Destino o del Caso o della Provvidenza o del Karma o di qualunque cosa che eccede la nostra umana comprensione.

Ma se anche sconfiggiamo il demone dell'invidia, resta pur sempre presente quello della noia.
La preoccupazione primaria di chi scrive è cercare di non annoiare, e come disse Manzoni, "se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta".

E così come i lettori si annoiano di fronte agli amori eternamente felici, allo stesso modo si sarebbero annoiati i cittadini britannici, e se non ci fosse stato nemmeno un adulterio, nemmeno uno scandalo, nemmeno una tragedia, allora col tempo questi cittadini avrebbero incominciato persino per provare antipatia ed invidia verso queste persone troppo felici e troppo baciate dalla fortuna.

Gli Inglesi, che crescono studiando o "respirando" nell'aria  le tragedie di Shakespeare, sono abituati a veder scorrere il sangue tra fratelli e tra cugini, e ad appassionarsi alle vicende degli York e dei Lancaster che si sterminano a vicenda per poi regalare la Corona a un gallese tisico e sconosciuto come Enrico VII Tudor.
La Monarchia Britannica, che ci piaccia o no, è anche questo.
I Britannici, e gli Inglesi in modo particolare, si sentono parte di questo infinito dramma shakespeariano.

Certo, nella famiglia ci deve essere una persona autorevole che tiene in piedi la baracca, e in questo caso a farlo sono state principalmente le donne, anch'esse, come le loro rivali, donne di carattere: Eleonora d'Aquitania, Elisabetta Woodville, Margaret Beaufort, Elisabetta I, Vittoria, Mary di Teck, Lizzie Bowes-Lyon ed Elisabetta II.







Vale la pena soffermarsi sul mistero che circonda lady Margaret Beaufort Tudor, Contessa di Richmond, che fu la vera vincitrice della Guerra delle Due Rose.
Donna di grande cultura e di granitica fede cattolica, lady Margaret, appartenente a un ramo cadetto e morganatico del Casato dei Lancaster, sposò il gallese Edmund Tudor, conte di Richmond, all'età di soli dodici anni ed ebbe un unico figlio, Enrico, destinato a diventare Enrico VII, il fondatore della dinastia Tudor.
Quando Enrico nacque, lady Margaret era consapevole del fatto che l'unico modo con cui suo figlio sarebbe potuto diventare Re, era passare sopra sette bare: quella di Enrico VI, di suo figlio Edoardo di Galles, di Edoardo IV di York e dei i suoi due figli Edoardo V e Riccardo, di Giorgio di Clarence e di Riccardo III, ma non smise mai di credere che suo figlio avrebbe vinto e lei sarebbe diventata la vera dominatrice del Regno.

Margaret seppellì anche suo figlio, e nel breve periodo che intercorse tra la sua reggenza e l'incoronazione del nipote, cercò di convincere quest'ultimo a non sposare la vedova di suo fratello, Caterina d'Aragona, perché facendo questo si contravveniva a un precetto religioso, che rendeva annullabili le nozze, ma Enrico giurò che Caterina era una "virgo intacta" e dunque il matrimonio era valido.

E così, quando molti anni dopo chiese l'annullamento sostenendo il contrario, creò uno dei più controversi casi di diritto canonico della storia.

A questo punto è legittimo chiedersi: come sarebbe stata la storia inglese senza quella specie di stallone sanguinario, violento, brutale, spergiuro e paranoico che fu Enrico VIII ?
Ovviamente non possiamo saperlo, forse sarebbe stata migliore, ma di una cosa possiamo stare certi, sarebbe stata molto più noiosa.

Purtroppo i personaggi come Enrico VIII sono il sale della Storia: senza di loro la storia sarebbe insipida.
Ma se lui non fosse stato ciò che era, non ci sarebbe stata Elisabetta I, considerata la vera fondatrice della supremazia marittima britannica.





Ma non è necessario arrivare alle vette di crudeltà di Enrico VIII, o all'eccessivo ricorso, da parte delle sue figlie, del rogo (nel caso di Maria I) , della scure e della forca, nel caso di Elisabetta (e se il malcapitato non aveva la "fortuna" di soffocare o rompersi l'osso del collo, l'esecuzione sarebbe proseguita con eviscerazione e squartamento. Si consiglia la lettura di Sorvegliare e punire, di Michel Foucault)

Ai cittadini britannici, per divertirsi un po', basta semplicemente che ad un principe o una principessa del sangue reale un matrimonio d'amore sia negato e che uno non voluto sia imposto: basta questo per creare uno psicodramma destinato a durare mezzo secolo e anche più, coinvolgendo generazioni su generazioni, e questo vorrà pur dire qualcosa!

E non stiamo parlando solo di Wallis Simpson o di Diana Spencer.
Crediamo che persino l'amore vero tra Carlo e Camilla, vituperati e derisi, ma uniti e coerenti da mezzo secolo di affetto reciproco, un giorno diventerà esso stesso materia di leggenda, perché ha resistito a tutto, si è imposto su tutti, e pur avendo tutti contro, ha continuato e continua a procedere, da cinquant'anni, verso la meta finale: il Trono.

Ce la faranno? Tutto dipende dalla longevità di Elisabetta II. La legge di successione parla chiaro, nel momento stesso in cui il cuore dell'attuale sovrana smetterà di battere, il Principe di Galles e la sua consorte, se saranno ancora vivi (ed è un "se" grande come una casa, anzi, come il castello di Windsor) saranno Re e Regina del Regno Unito, (con o senza la Scozia), con grande scorno dei tanti ignorantelli che credono che la Corona si erediti mediante testamento, come se fosse una pelliccia di castorino, e vorrebbero "saltare una generazione", come se l'esperienza maturata in tanti anni di attività diplomatica sia qualcosa di insignificante rispetto a ciò che a loro dire conta davvero, ossia il colore del cappotto di Kate Middleton (ottima persona, ma la vedremmo meglio, per un po', come futura Principessa di Galles).

Carlo, uomo colto e reso saggio dall'età e dalle tormentate esperienze della vita, paga, in termini di popolarità, lo scotto di aver avuto una madre fredda, distante ed eterna, e una prima moglie caratterialmente incompatibile con lui, ma abilissima a rubargli la scena per poi recitare il ruolo di vittima indifesa.

Ovviamente ci dispiace molto per la sorte della Principessa di Galles, soprattutto per il dolore enorme dei suoi figli, perché come madre era stata immensamente più brava della regale suocera.
Ma colpevolizzare Carlo significa cadere in una trappola mediatica, perché lui ha amato una sola donna nella sua vita, Camilla, e l'ha amata davvero, mentre Diana ha avuto innumerevoli amanti, salvo poi andare alla BBC a lamentarsi perché il suo matrimonio era "affollato".

I lettori potranno obiettare che Carlo, se non era innamorato di Diana, non avrebbe dovuto sposarla. Ma ormai, essendo Camilla già sposata, era suo dovere sposarsi a sua volta e avere dei figli.

Gli haters di Camilla obietteranno che lei non amava Carlo, visto che sposò un altro uomo, ma anche qui ci fu un imbroglio.
Le due promotrici del matrimonio di Carlo con una delle sorelle Spencer erano Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre, e lady Ruth Burke-Roche, Baronessa Fermoy, Prima Lady-in-Waiting.

Le due anziane signore sapevano però che bisognava prima togliere di mezzo Camilla, sgradita per molti dei motivi per i quali era sgradita Wallis.

Carlo, all'epoca ufficiale di marina, fu spedito in una missione del tutto inutile nei Tropici, e nel frattempo fu fatto capire molto chiaramente a Camilla che il "partito di Clarence House". all'epoca residenza della Regina Madre, avrebbe impedito in tutti i modi il suo matrimonio con il Principe di Galles, mentre avrebbe favorito con generosità e prebende le nozze con Andrew Parker-Bowles, l'altro suo spasimante, la cui famiglia era nelle grazie della vedova di Giorgio VI.
 Non escludiamo che Camilla provasse affetto anche per il suo primo marito, ma quel matrimonio fu un ripiego, così come quello del Principe di Galles con Diana.

Certo, Diana era troppo giovane e ingenua per rendersi conto del fatto che sua nonna le aveva combinato un matrimonio dove l'amore non c'entrava assolutamente niente, e in questo fu vittima non tanto di Carlo, quanto di tutta una intera mentalità basata sul pedrigree, che all'epoca, nell'aristocrazia inglese e non solo, era ancora dominante.
Ma se avesse avuto un minimo di ragionevolezza, Diana avrebbe potuto accettare una separazione "de facto", che le permetteva persino l'adulterio, purché praticato con discrezione, salvando almeno la facciata, senza comportamenti tali da portare al divorzio.
E invece, come ben sappiamo, accadde l'esatto contrario. 
Diana sapeva di avere i sondaggi di popolarità dalla propria parte, e se ne avvalse, alimentando questa popolarità con lodevoli iniziative filantropiche e molto presenzialismo "glamour" sulla scena del jet-set internazionale, del mondo della moda, dello spettacolo e in generale dello star system.

Questa popolarità sarebbe evaporata nel nulla se Diana non fosse morta giovane, in tragiche e oscure circostanze, che la resero una martire agli occhi di chi già la venerava e a quelli delle generazioni successive.

La morte, paradossalmente, l'ha resa immortale, eternamente giovane, per sempre martire agli occhi del mondo, per sempre consegnata ad una leggenda decisamente faziosa.
Se fosse sopravvissuta, oggi sarebbe una delle tante vecchie glorie rese ridicole dai lifting, dal botox e dal silicone: non certo materia di leggenda!
Si sarebbe rovinata con le proprie mani.
Ma se muori a Parigi a 36 anni, all'apice della tua popolarità, allora continueranno a fare film e serie tv su di te per secoli, con un processo di beatificazione laica, simile a quella di tanti personaggi dello spettacolo che la morte ha preso con sé prima che loro avessero il tempo di distruggere in maniera irrimediabile la propria reputazione.

E a questo punto ci avviciniamo all'argomento e cioè, in primo luogo, alla famiglia Burke-Roche.

Lady Jessica Burke-Roche, pur essendo una lontanissima parente di lady Frances Burke-Roche, la madre di Diana Spencer, non aveva niente in comune con l'allora Principessa di Galles.
Del resto, i rapporti interni alla famiglia Burke-Roche erano tesi, specie nel ramo dei Fermoy.
Per esempio. quando lady Frances divorziò dal conte Spencer, la sua stessa madre, lady Ruth Fermoy testimoniò contro sua figlia, che perse a sua volta la custodia dei propri figli.
Diana subì un trauma, aveva sei anni quando fu separata da sua madre, e soltanto in età adulta lady Frances e lady Diana ricostruirono il loro rapporto, e anche questa volta fu per poco tempo: dopo la morte della figlia, lady Frances si ritirò in solitudine e si spense sette anni dopo, e possiamo solo immaginare quanto grande sia stato il suo dolore.




I termini di parentela tra il ramo dei Fermoy e gli altri rami della famiglia Burke-Roche erano così complessi che gli stessi membri della famiglia si conoscevano a malapena.

Lady Jessica aveva avuto modo di incontrare sia lady Ruth Fermoy, sia lady Frances, sia lady Diana, e di parlare con loro, ma con nessuna di loro stabilì un rapporto di confidenza.

Jessica era un altro tipo di persona, e ci basta una parola per dare l'idea di che tipo fosse: intellettuale. 
Sì, questa è la parola giusta. Prima di ogni altra cosa, Jessica era ed è un'intellettuale, una donna estremamente colta, di straordinaria intelligenza, impegnata nello studio della storia e della filologia.

Jessica non si poteva definire "bella" nel senso convenzionale del termine: era bassa, piatta, col naso lungo e le labbra sottili.
Però aveva altre caratteristiche fisiche che la rendevano interessante e. almeno agli occhi di Roberto. molto attraente: era magrissima (e a lui piacevano magre), aveva grandi occhioni tra il verde e il blu, uno sguardo dolce e un sorriso gentile, una grazia aristocratica, ma soprattutto un'aria da eterna ragazzina, che conservò nel tempo, miracolosamente, ma non per caso, come avremo modo di scoprire in seguito.

Le immagini che alleghiamo, la ritraggono all'età di 26 anni, e poteva dimostrarne dieci di meno.
Sono immagini di dominio pubblico essendo lei stessa, per varie ragioni, un personaggio pubblico. 






Ma ci furono altre doti che resero lady Jessica attraente agli occhi di molti: era elegante, ironica e aveva una forza di carattere ineguagliabile.

Roberto Monterovere, che la conobbe durante quel famoso soggiorno a Londra del 1992, ha sempre parlato di lei con grande rispetto e vale la pena ricordare le esatte parole che ci disse quando affrontammo l'argomento per la prima volta:
<<Ciò che mi colpì immediatamente furono la sua ironia e la sua raffinatezza, e poi, naturalmente, la sua straordinaria cultura, di fronte alla quale io mi sentivo come un analfabeta. E poi aveva un tipo di intelligenza non vulnerabile, un carattere d'acciaio e una capacità di prendere sempre le decisioni migliori, specie nei momenti difficili. 
Quando la conobbi non avevo idea che lei sarebbe diventata così importante nella mia vita, non potevo neanche immaginare fino a che punto i nostri destini si sarebbero ripetutamente incontrati, fino al momento in cui lei riuscì a farmi dimenticare tutte le donne di cui ero stato innamorato in precedenza, e a diventare senza dubbio il più grande amore della mia vita, e anche l'ultimo>>

Nel biglietto d'invito, Lord Ravensbourne aveva scritto che la cena sarebbe incominciata alle ore 20 (a dire il vero, nel mondo anglosassone si preferisce scrivere 8 pm, post meridiem, ma siccome questo è un romanzo in lingua italiana, noi continueremo ad usare la numerazione italiana dell'orario, che peraltro si presta meno ad equivoci).

Aurora era molto sospettosa:
<<C'è qualcosa sotto, è evidente. In tanti anni che vengo al Savoy, questa è la prima volta che un Pari del Regno mi invita a cena. E guarda caso è uno studente ammiratore di tuo zio>>
Roberto annuì:
<<Dovremo stare molto attenti e capire con chi abbiamo a che fare>>
La giovane Visconti era preoccupata, e giustamente, per la presenza dell'altra invitata:
<<E poi c'è quella tipa, quella lady Jessica... la grande ammiratrice dell'Italia... quella che conosce l'italiano... troppe coincidenze. 
Devi tener conto del fatto che Lorenzo, oltre ad avere amici potenti, come quel tale Albedo, potrebbe avere nemici altrettanto potenti>>
Il giovane Monterovere era d'accordo:
<<Sì, lo credo anch'io. Ne parlerò al telefono con i miei. In ogni caso, la prudenza dovrà essere massima. Non dobbiamo rivelare nulla di personale.
In questo tipo di contesti vince chi riesce a estorcere all'altro più informazioni>>
<<L'ha detto Sun Tzu?>>
<<No, l'ha detto mia nonna, la quale conosce l'arte della guerra molto meglio del maestro cinese>>
Risero entrambi, e si prepararono ad affrontare una nuova giornata, perché i problemi si affrontano uno alla volta ed ad ogni giorno basta la sua pena.