giovedì 15 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 125. Vita et Victoria



Aurora fu silenziosa per quasi tutto il tragitto dall'aeroporto all'hotel, che aveva richiesto due ore e mezzo, quasi più tempo di quello da Milano a Londra in aereo.

Roberto, invece, era completamente preso dall'osservazione di quella città di cui aveva sentito tanto parlare e che era stata l'ambientazione di numerosissimi romanzi e saggi che aveva letto.
E per quanto non riuscisse proprio ad abituarsi alla questione della guida a sinistra, decise di fidarsi del tassista e immerse lo sguardo nel paesaggio circostante.

Gli venne in mente che non aveva mai visitato una capitale, neppure Roma.

Possiamo però anticipare il fatto che i suoi numerosi viaggi a Roma avvennero in seguito, nell'estate del 1994, sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II, e poi numerose volte tra il Giubileo del 2000 e il 2005, dopo l'elezione di papa Benedetto XVI, e di questi viaggi si parlerà quando la narrazione raggiungerà quegli anni.
Diciamo solo che, in seguito, ripensando ai suoi primi quarantacinque anni, Roberto provava quel senso di smarrimento e di senilità dovuto alla consapevolezza che nell'arco di tempo della sua vita fino ad allora, si erano succeduti cinque Papi (uno dei quali aveva guidato la Chiesa per 27 anni) e la sua memoria era in grado di ricordare persino la morte di papa Paolo VI.
Aveva solo tre anni, nel 1978, ma era già pienamente consapevole dell'importanza della memoria e della Storia.
Spesso ci ripeteva e ci ripete ancora: <<Io non sono mai stato e non sarò mai un protagonista, per fortuna mia e vostra, ma sono sempre stato e sarò sempre un testimone dotato di grande memoria>>
 E queste considerazioni ci saranno utili proprio nel presente capitolo.

Ma ora torniamo a Londra.
La prima sorpresa furono le cosiddette "new towns", o città-giardino, che ricoprivano la fascia periferica della Outer London.
Si trattava di una concezione urbanistica innovativa e potenzialmente valida, che però alla lunga, dopo aveva cosparso non solo la periferia di Londra, ma quella di tutte le città del Regno Unito, incominciò a mostrare i suoi limiti.

Chi ha visto i film del ciclo di Harry Potter avrà capito che la Privet Drive, dove risiedevano gli zii del protagonista, era proprio un esempio perfetto di strada delle New Towns riservata alla piccola borghesia impiegatizia.
I punti essenziali erano i seguenti: 

1) piccole villette a schiera unifamiliari, o al massimo bifamiliari, con un giardinetto davanti e una veranda con cortiletto dietro

2) le abitazioni si affacciavano su vialetti alberati, curvi, inframmezzati da parchi con laghetti e cigni, spesso vicini a fiumi o boschi, che si immettevano, tramite rotonde, in viali più grandi, circolari, i quali a loro volta erano ben collegati con le principali strade, autostrade, treni, metropolitane a cielo aperto, autobus, tram.

3) ogni singola new town aveva un suo centro commerciale, con nelle vicinanze tutti i tipi di attività ludiche, sportive e ricreative, scuole materne ed elementari, edifici di culto, ambulatori per medici di base con infermeria per i casi urgenti.






4) Le abitazioni più vicine alle strade che conducevano alla città vera e propria, compensavano quello svantaggio del rumore e dell'inquinamento, a parità di prezzo, con una maggiore ampiezza della casa e del giardino, dotato anche di piscina.

5) Questi quartieri erano concepiti come zone residenziali ecosostenibili per la classe media.

Durante l'era di governo di Margaret Thatcher, tra il 1979 e il 1991 ci fu una immensa proliferazione di questi quartieri residenziali, e fu allora che divennero un imprescindibile modello di riferimento per gli urbanisti di tutto il mondo.

L'idea delle new towns trovò riscontro anche in Italia, dove il più entusiasta imprenditore edile degli anni Settanta, il cavaliere Silvio Berlusconi, acquistò un enorme terreno nelle vicinanze di Segrate e lì costruì la sua prima new town chiamata, con un eccesso di ottimismo, Milano Due.
Questo però aprì la strada a progetti successivi, specie quelli realizzati sotto l'amministrazione del sindaco Sala, e cioè la riqualificazione della Darsena e dei Navigli (purtroppo in questo caso i Fratelli Monterovere non furono interpellati, anche se Roberto, nei suoi anni milanesi, era preparatissimo sull'argomento e aveva fatto sopralluoghi di persona nelle aree critiche del Naviglio Pavese), la zona Fiera col progetto di creare una via navigabile tra Milano e Venezia, ma soprattutto l'avveniristico quartiere di City Life, molto simile al modello della nuova City londinese.
Le new towns erano state il primo passo.
Il nostro vecchio Silvio, però intervenne con una "miglioria": siccome i cigni reali finivano per diventare ingestibili, li sostituì con cigni bianchi di plastica e in questo egli manifestò tutta la sua essenza.

E quindi, pur ammettendo che ci siano state eccessive ambizioni urbanistiche tradottesi in una omologazione architettonica alla lunga un po' troppo banale e piuttosto estraniante, le new towns indicarono la via nella direzione di quelle che adesso vengono chiamate smart cities.

Quando nell'estate del 1992, Roberto Monterovere, con gli occhi sgranati, osservava per la prima volta nella sua vita questo genere di quartieri, la neo-baronessa lady Thatcher si era da poco dimessa a vantaggio dello scialbo John Major, che fu una specie di cuscinetto tra l'era della "lady di ferro" e quella di Tony Blair.

Va detto, comunque la si pensi su questo argomento, che le New Towns, insieme al National Trust, hanno permesso all'Inghilterra di conservare molte grandi distese di aree verdi, infatti ogni new town è circondata da una "Cintura Verde" fatta di boschi, foreste, prati, brughiere, stagni, piccoli laghi e ruscelli.





Tutte le strade principali delle varie new towns della Outer London, erano collegate, in direzione del West End, alla superstrada A4 che, nel tratto tra l'aeroporto e la Inner London, aveva tre corsie per ogni lato, ed era affiancata da piste ciclabili, marciapiedi piastrellati, siepi e alberi.

E per un bel po' il panorama fu solo quello, perché, nonostante fosse agosto, c'erano ancora moltissimi lavoratori che andavano in ufficio, diversamente dal caso italiano, in cui sembra che ad agosto l'intera popolazione della penisola sparisca. 

Emblematico a tal proposito (e i lettori ci perdonino la nostra senile tendenza alle digressioni) fu un aneddoto del defunto Marchionne, grande dirigente della Fiat, divenuta FCA dopo la fusione con Chrysler. L'ingegnere dal maglioncino blu, raccontò che quando, dopo essere vissuto in Canada e negli USA per molto tempo, tornò in Italia per assumere l'incarico di Amministratore Delegato dell'azienda degli Agnelli-Elkann era agosto. 
Trovò Torino completamente deserta e quando salì sull'auto aziendale che lo attendeva, chiese subito al tassista, col suo italiano americaneggiante: "Posso farle una domanda?", al che l'autista naturalmente assentì, e Marchionne chiese: "Ma dove diavolo sono finiti gli Italiani?".

A Londra questo non succede, né succedeva all'epoca della nostra narrazione,
A un certo punto le new towns incominciarono a cedere il posto a quartieri periferici degradati e poi ad un'ampia zona industriale, dopo la quale la A4 si trovò ad essere letteralmente sotto la M4.
Seguì una zona con centri commerciali del tipo "ipermercato", con qualche palazzo nei dintorni, fino ad arrivare, dopo un'ora di traffico sempre crescente, ad Hammersmith, da dove si entrava nella Inner London.

E a quel punto le aspettative di Roberto crebbero, perché si era giunti finalmente nel West End della Londra propriamente detta. Purtroppo l'alta siepe alla sinistra della A4 gli impedì un primo sguardo nella direzione del Tamigi. 

Ad Hammersmith la A4 conquistò il ruolo di strada sopraelevata, dalla quale si potevano già vedere i tipici quartieri della Londra compresa tra tra il Giubileo di Diamante della regina Vittoria, nel 1897 e la breve, ma idilliaca età edoardiana, tra il 1901 e il 1910, prolungabile però fino al 1914, quando la Grande Guerra scardinò l'ordine sociale precedente, nel bene e nel male.
C'erano palazzine in pietra rossa, con modanature bianche e camini alti in stile Tudor, chiesette in perfetto stile neogotico, viali con grandi platani e ai lati palazzi di maggiore imponenza.

Quando la A4 tornò al "piano terra", e divenne la Cromwell Road, incominciarono le costruzioni in mattoni chiari con finestre bianche e quadrate, di stile più classico, risalente alla prima età vittoriana o addirittura dell'età georgiana (1714-1837, comprendente i regni di Giorgio I, II, III, IV e di Guglielmo IV).

E tuttavia, a parte questi edifici, il resto poteva essere trovato in qualunque parte semiperiferica di qualunque città, e l'unica cosa davvero british continuava comunque ad essere la stramaledettissima guida a sinistra.

Poi però si giunse a South Kensington, e tutto cambiò, assumendo il ruolo di un vero centro storico, con i palazzi neoclassici georgiani dipinti di bianco, alternati con alcuni non intonacati, con alcune chiese, o scuole o edifici più moderni in luoghi dove si era buttato giù quel che c'era prima.

Il cuore di Roberto si mise a battere forte, perché sentiva che stava arrivando al cuore della città tentacolare che un tempo, tramite l'Impero Britannico, aveva controllato quasi tutto il pianeta.
A trent'anni di distanza da quegli eventi, c'era ancora in lui una vena di entusiasmo, quando ci riferiva, il suo stato d'animo con le seguenti parole: 
"Sentivo un forte senso di déjà vu. Era come se ritornassi in una patria ideale che avevo lasciato tanto tempo prima.
Tutto ciò che vedevo ispirava in me la nostalgia di un passato mai vissuto>>

Questo poetico sentimento si fondava su tutto ciò che aveva letto e che ricordava così bene da  sembrargli già noto.
In altri casi poi si trattava addirittura di luoghi comuni, di icone dell'inconscio collettivo, gli autobus rossi a due piani, le cabine rosse del telefono (c'erano ancora, non erano state ancora rese inutili dall'avvento dei cellulari).

Passarono davanti al Museo di Storia Naturale e all'Albert and Victoria Museum, dove la Cromwell Road era diventata Cromwell Gardens, a causa della vicinanza con Kensington Park, e naturalmente con Kensington Palace, dove nacque e crebbe la regina Vittoria, ed attuale residenza del principe William, Duca di Cambridge, che l'ha ereditato da sua madre Diana, Principessa di Galles.

Poi la strada cambiò più volte nome, e sia gli edifici bianchi che quelli rossi diventavano sempre più puliti, eleganti, circondati da giardini ben tenuti e da strade pulite.
Svoltando a sud si sarebbe entrati nel quartiere residenziale centrale dei ricchissimi, e cioè Belgravia, mentre continuando verso ovest, con una leggera inclinazione verso nord, si raggiungeva Kensington Garden, confinante con Hyde Park, e ci si sentiva, finalmente e inequivocabilmente, a Londra.

Arrivati alla grande rotonda del Wellington Arch, ci si trovò proprio di fronte ai luoghi più importanti e famosi. Imboccando la Constitution Hill si fiancheggiava il parco di Buckingham Palace, protetto da una muratura e vari sistemi di allarme, dopo che un intruso, anni prima, era riuscito a penetrare fino agli appartamenti privati di Sua Maestà senza trovare ostacoli.
Proseguendo si arrivava infine alla facciata del Palazzo Reale e alla rotonda del Victoria Memorial, dal quale la statua giunonica della defunta Regina,  con scettro e globo, nelle mani, osservava dall'alto i passanti, con sguardo severo, cupo e vagamente minaccioso.




Il tassista fece un commento ironico, in un londinese talmente cockney da risultare quasi incomprensibile, ma non ad Aurora, la quale, interpellata da Roberto, gli tradusse le parole dell'autista:  "Dice che quella statua lo fa rabbrividire. Ne aveva paura fin da bambino e ancora adesso, ogni volta che ci passa davanti, gli viene la pelle d'oca".
Roberto sorrise, divertito dalla battuta del tassista, che in effetti non aveva tutti i torti, ma evitò di ridere sguaiatamente, sia perché era poco british, sia considerando le condizioni della sua fidanzata.





Era sempre la solita storia, che non vorremmo essere costretti a menzionare, ma qualcosa bisogna comunque dire, per meglio comprendere il finale di questo capitolo.
Nonostante la lunghezza del viaggio, Aurora era stata irremovibile nella sua fobia, al contrario di Roberto, che aveva usufruito dei servizi in aereo, mentre lei dormiva.
Lui si chiese quanto fosse durato in tutto il loro viaggio: erano partiti a mezzanotte da Forlì e in quel momento erano le 15, ora di Greenwich.
Sedici ore. A un certo punto il disagio fisico di Aurora avrebbe dovuto prevalere su quello psicologico e condurla a comportarsi in maniera sensata, ma quando erano saliti sul taxi lei disse di essere perfettamente a suo agio.
Ma dopo quasi tre ore, era nel panico, con gli occhi sgranati e le gambe quasi attorcigliate l'una sull'altra e con la mano destra, stringeva forte la mano di Roberto.
Ma l'altra mano della ragazza, che da un po' era stata destinata a coadiuvare gli arti inferiori nel loro ruolo contenitivo (credo che questa perifrasi, in cui ci siamo arrampicati sugli specchi al fine di non cadere nella volgarità, meriti un encomio) forse svolse il suo compito con un eccesso di zelo, tanto che un certo compiacimento comparve nel volto di lei.
E anche se Roberto fece finta di non accorgersene, non poté fare a meno di ricordare quei discorsi che Aurora gli aveva fatto riguardo a un fantomatico punto del sistema nervoso periferico femminile inferiore, che poteva essere attivato anche senza contatti diretti, purché sussistessero certe condizioni negli organi circostanti.
Roberto all'epoca era estremamente puritano, e quasi totalmente privo di conoscenze sia pratiche che teoriche sull'argomento, e dunque faticava a comprendere tutto questo e tanto meno ad accettarlo, ma pur di stare vicino a lei ed essere la sua ombra e contemplare il suo viso d'angelo, era disposto a sorvolare e a distogliere lo sguardo da tutto il resto.





Sentì la mano di lei stringere la sua nel momento dell'acme, ma la sua mente era da un'altra parte.
Gli era riaffiorata nella memoria una frase latina, scritta da Marco Antonio a Cicerone, per chiedergli di non contrastare la carriera politica del figlio di Clodio.
E' una frase che fa molto riflettere, se consideriamo che alla fine i sicari di Antonio uccisero Cicerone.
Scrive Antonio: 
"Nihil enim non tua causa feci" : non c'è infatti nulla che io non abbia fatto per te.
Cicerone rispose in maniera sprezzante, e tutti sappiamo com'è andata a finire.
Perché quella reminiscenza in quel momento?
Non c'è nulla che io non sia disposto a fare per Aurora?
E se anche fosse, alla fine, conterebbe qualcosa?
Oppure tutto sarebbe terminato con le Filippiche da una parte e le liste di proscrizione dall'altra?
Roberto era fatto così, nel bel mezzo di situazioni che non riusciva a gestire, lui reagiva proteggendosi con qualche citazione, meglio se latina, o con qualche aneddoto storico: ognuno si difende come può, e lui all'epoca non conosceva altro modo.

Dopo un po', quando il piacere passò e il viso di Aurora tornò normale, in lei la preoccupazione riprese il sopravvento, aggravata da quel senso di abbandono,
A quel punto gli chiese un favore che lo fece rimanere di sasso:
<<Commenta in modo serio qualcosa che hai visto oggi, con parole che mi aiutino a concentrarmi su qualcosa di diverso, ma non mi facciano ridere, mi raccomando>>
E lui, preso alla sprovvista, improvvisò:

<<Dunque, ripensando a come la regina Vittoria è raffigurata, nel suo memoriale davanti al Palazzo, mi torna in mente un articolo riguardante la storia dell'iconografia dei re, che segue un modello millenario, per poi cambiare rapidamente e radicalmente nel Novecento, con il crollo di alcune delle più grandi monarchie e l'avvento dei mass media.




L'articolo, di cui purtroppo non ricordo l'autore, partiva dal concetto di sacralità del monarca e dal suo collegamento con la solarità e la divinità. Il monarca è il sole degli uomini.
Pensiamo ad Akhenaton e Nefertiti, che sono il tramite fra Aton e il popolo dell'antico Egitto.

Segue un'analisi dall'immagine del re Davide, "il Re Giovane", favorito da Dio, contro Saul, il re vecchio che non vuole rinunciare alla sua sovranità, e per questo è punito dal Signore.
Si analizzavano le caratteristiche di Davide così come descritto nella Bibbia, specie l'unzione con l'olio sacro, che è un ulteriore elemento di elevazione.

Il modello ellenistico dei diadochi e dei primi Cesari si fonde con quello biblico nel momento dell'ascesa al potere di Costantino, che vuole incarnare sia le virtù romano-ellenistiche, sia quelle giudaico-cristiane.

Si passa dall'imperatore divinizzato al monarca per grazia di Dio.

Poi si inserisce poi una terza componente, che potremmo chiamare "germanico-barbarica" che trova espressione nei Merovingi, con i capelli lunghi e la barba fluente.
Le loro raffigurazioni sono state eseguite molto tempo dopo la moro morte, secoli interi, a volte più di uno, per cui comunque dobbiamo tener conto di questo sfasamento temporale significativo.
Per esempio i ritratti postumi di Clodoveo, considerato il fondatore della Francia, pur essendo un personaggio semi-mitologico, su cui abbiamo pochissime fonti, mostrano che egli fu rappresentato in molti modi, prima e dopo la conversione e il battesimo.
In alcune prevale il modello del "Re Giovane", solare, come Davide e Costantino.




In altre prevale l'aspetto "germanico-barbarico", con la lunga chioma bionda e la lunga barba dorata.





Il tre modelli si fondono e si cristallizzano nei ritratti postumi di Carlo Magno, che diventa il rappresentante per eccellenza della maestà reale e imperiale, così come lo descrivono le parole pronunciate da papa Leone III, in una frase tutta espressa come augurio rivolto a lui e dunque declinata secondo il caso dativo: 

Carolo piissimo Augusto a Deo Coronato magno pacifico Imperatori Romanorum Vita et Victoria.





In questo modo Carlo, che era già Rex Francorum et Langobardorum, oltre che Patricius Romanorum et Italicorum, ossia "comandante supremo dell'esercito romano e italico", ottenne anche anche la sovranità temporale sull'antico Impero Romano d'Occidente, con la benedizione del Pontefice, ponendosi così sullo stesso piano, dell'Imperatore Basileus di Bisanzio, che all'epoca era in realtà un'imperatrice, Irene, una donna terribile: aveva detronizzato, arrestato e accecato il suo stesso figlio, che morì pochi giorni dopo. La sua unica giustificazione sta nel fatto che, essendo in corso la guerra contro gli iconoclasti, il figlio di Irene, da iconoclasta, forse avrebbe sottoposto la madre a un trattamento analogo. 
Direi che, in confronto a Irene, la regina Vittoria sia un esempio di affettuosissima maternità, per quanto considerasse i neonati "brutti come rospi"... per forza, erano figli suoi e lei non era certo una bellezza...>>

Aurora aveva ascoltato con attenzione, ma alla fine incominciò a sorridere troppo, per cui subito Roberto tacque.
Lei, riconoscente, commentò:
<<Ti piace proprio la storia. Peccato che adesso le si dia così poca importanza>>
Roberto annuì, ripensando alla promessa fatta a suo nonno Ettore, in articulo mortis, e  quella estortagli dal Visconte presso lo studio del notaio Papisca. 
Economia a Milano. "Muss es sein?" Es muss sein.
Ma il suo commento fu un altro:
<<Oggi mi sento nel cuore della Storia medievale e moderna. E sono qui grazie a te, e con te. 
Oggi la vita è bella>>
La sua adorazione per Aurora cresceva di giorno in giorno, di ora in ora, sempre.
Cosa posso fare per aiutarla? 
Ma il problema era un altro.
Lei non vuole essere aiutata, ma accettata per quello che è, costi quel che costi.
Era un dilemma. 
Ho fatto un giuramento anche a lei. Sono vincolato al rispetto della parola data.
Si diceva che i Mendoza di Castiglia avessero sempre mantenuto fede alla propria parola, anche a costo della vita.
Roberto si chiese se questo valesse anche per i Monterovere.
Si allentò la cravatta, infatti era vestito di tutto punto come richiesto dalla stessa Aurora, ma non di molto, perché comunque all'ingresso del Savoy voleva fare una bella figura, per quanto temesse di essere, se non fosse stato per quei capelli lunghi e ondulati, scambiato per un cameriere in prova o un lift, il ragazzo degli ascensori dell'età tardo vittoriana.






Pensava che quello fosse il suo unico vestito a giacca, ma Aurora aveva in serbo per lui varie sorprese, tra cui alcuni abiti completi formali e semi-formali, da giorno, da sera e da festa, che si trovavano in una delle sue valigie.
Aveva in programma alcune serate mondane, ma non gli aveva ancora detto nulla, perché, conoscendolo, sapeva che queste cose gli avrebbero creato ansia.

Nel frattempo il taxi, anzi i due taxi, stavano percorrendo il Mall, il viale alberato che collegava Buckingham Palace con Trafalgar Square.
Era un viale molto grande, con alberi secolari, e grandi marciapiedi.
Lì il traffico era limitato, almeno all'epoca, ai residenti di Westminster, ai lavoratori e ai taxi diretti verso alberghi, sempre di Westminster, purché i passeggeri mostrassero la prenotazione.
A Trafalgar Square c'era il traffico dell'ora di punta, era circa l'una del pomeriggio, per cui si tornò ad andare a rilento.
<<Manca poco>> disse Roberto.
Aurora annuì e gli sorrise.
Finalmente arrivarono al viale dello Strand e nel giro di meno di dieci minuti voltarono per l'ingresso al Savoy Hotel, che non era soltanto un edificio, ma un intero isolato, come si premurò di dire il tassista, al quale Aurora lasciò una mancia così generosa che per un momento parve sul punto di svenire dalla gioia.

Eguale trattamento ebbe l'altro tassista, che insieme al collega davanti si premurò di portare alcuni bagagli, mentre Battista, accolto alla reception come un Re, dava disposizioni al personale, che lo conosceva bene da tempo.
 Aurora consegnò a una receptionist che l'aveva riconosciuta, tutti i suoi dati e quelli di Roberto, e nel giro di pochi secondi ebbero ognuno la sua tessera magnetica per le suite prenotate.
Presero l'ascensore, perché le loro suite erano all'ultimo piano, per garantire la vista sul Tamigi.
In quella corsa forsennata, Roberto non ebbe modo di esprimere il suo stupore per il lusso eccezionale della hall e persino degli ascensori.
Finalmente, quando l'ascensore arrivò a destinazione, Aurora gli indicò la direzione, perché erano le stesse camere degli anni precedenti.
Nel giro di una frazione di secondo lei raggiunse la sua suite, fece passare la tessera magnetica e corse dentro, lasciando la porta semiaperta.
Roberto chiuse la porta e poi prese la propria tessera ed entrò nella propria suite, rimanendo senza parole per il lusso sfrenato che si trovò davanti.

Descriveremo lo sfarzo del Savoy nei capitoli successivi, con gradualità.
Ma in questo momento è più importante riportare quella che fu la reazione di Roberto.
Una parte di lui ne fu intimorita, come se sapesse già che ogni cosa bella che gli stava accadendo, l'avrebbe pagata con gli interessi in futuro.
C'era un motivo in più, per pensare questo, e lo vedremo tra poco, in conclusione di questo capitolo.
Ma, quel giorno, prevaleva comunque l'entusiasmo: fu uno dei pochi giorni della sua vita in cui poté dire con assoluta sincerità: "oggi la vita è bella".

Guardò dalla finestra il Tamigi e per lui, così amante dei fiumi, fu una grande gioia, poi appoggiò per terra zaino e valigia (che aveva insistito per portare da solo, facendo però una figura fantozziana) e infine si lasciò andare sul letto a due piazze con tanto di baldacchino.

Pochi minuti dopo, Aurora bussò alla sua porta e pareva un'altra persona: liberatasi della "corazza", la salopette, e soprattutto di due litri  (purtroppo non è un'ipertbole, lei se ne vantò come se fosse un primato olimpico) di liquido che neanche dopo 10 pinte di birra il bevitore più incallito avrebbe saputo immagazzinare e men che meno trattenere, era divenuta leggera come una farfalla e il suo sguardo era tornato seducente come al solito.





Quando Roberto la vide, notò che era rimasta con indosso solo la camicia con i volant, che su di lei sembrava la cosa più sensuale dell'universo.
Era raggiante:
<<Ci vorrà un po' per sistemare i bagagli nella mia stanza, per cui nel frattempo sto da te. Non preoccuparti di Battista, lui è qui soltanto per supportarci e difenderci, non per spiarci, e anzi, da dopo la riunione a casa tua a Cervia, mi sembra che i miei genitori siano diventati improvvisamente e senza motivo i più grandi sostenitori del libero amore>>

Roberto rise, anche se sospettava cosa ci fosse dietro all'improvvisa conversione dei Visconti.
Aurora, senza preamboli, si distese nel letto di fianco a lui, tanto che Roberto ne rimase quasi intimidito.
Lei si mise a prenderlo in giro, con affetto:
<<Non preoccuparti, Robs,  non ti faccio niente>>
Roberto allora si tranquillizzò e si mise più comodo.
Robs, che diminutivo ridicolo, ma mi mancherebbe terribilmente, se lei dovesse lasciarmi.
Aurora era così attraente da farlo rimanere senza parole, ma non ci sarebbe stato alcun rapporto sessuale propriamente detto, in quelle vacanze londinesi. 
C'era un motivo ben preciso per il quale lui sapeva che non ci sarebbe stato.
Era arrivato il momento della totale sincerità, anche riguardo a ciò che fino ad allora aveva preferito tacere:
<<Aurora, devo confidarti una cosa su di me, e forse usando terminologie anatomo-patologiche appropriate, posso comunicartela in maniera più asettica: io soffro di una condizione chiamata fimosi non serrata di media entità
Ho condiviso questo segreto soltanto con mio padre>>

Lei, sorprendentemente, capì al volo:
<<So cos'è. Anche Felix è messo così. Fa tanto lo sbruffone, ma questa cosa ha fatto sì che ancora fosse vergine anche lui e quindi non sa esattamente cosa potrebbe succedere. 
Tu pensi di sentire dolore o addirittura di rischiare un danno?>>
Lui arrossì, sentendosi sempre più ridicolo:
<<Dolore senza dubbio. Il danno potrebbe esserci e risultare tanto traumatico da richiedere un intervento immediato di circoncisione, il che non è il massimo, tenuto anche conto che siamo in vacanza a Londra>>
Lei annuì:
<<Certo, hai ragione. Affronteremo questo problema in Italia>>
Roberto divenne rosso come un pomodoro:
<<Sì, anche perché tutto questo mi ha come provocato un blocco psicologico, che mi impedisce anche... insomma... diciamo la forma più classica del peccato di Onan. 
Non so come mai, ma mi fa schifo>>
Aurora annuì, per niente sorpresa:
<<Hai una fobia. Chi meglio di me può capirti? Non ti devi vergognare. Così come tu hai avuto un grande rispetto per certe cose di me che nessun altro potrebbe capire, così io ho un grande rispetto per questa tua situazione. Non temere, non c'è nessuna fretta, abbiamo tutta la vita davanti.
Potremmo persino arrivare entrambi vergini al matrimonio, se tua madre ci tiene tanto.
Io ho comunque ho studiato anche l'aspetto psicologico di quel tuo problema, quando Felix mi ha confessato il suo, e non ci crederai, ma dietro a tutto il suo atteggiamento da bullo c'è una paura pazzesca, insomma è messo peggio di te>>
Roberto, a cui veniva un senso di nausea anche solo a parlare di certe cose, cercò di nobilitare l'argomento con discorsi storiografici e sociologici.
<<Gli Ebrei hanno ragione di far circoncidere i neonati, evitando così questo tipo di problema quando sono più grandi.
Sono sempre stati un popolo assediato e la crescita demografica doveva essere garantita e favorita in tutti i modi. 
Il seme non deve né indebolirsi, né andare disperso, da qui la punizione non solo di Onan, ma anche di Sodoma e Gomorra.
Accanto a questa eredità giudaica, i cristiani hanno posto un eguale fondamento nella filosofia greco-ellenistica, in particolare il neoplatonismo e altre correnti che predicavano il disprezzo dei piaceri sessuali al di fuori del matrimonio e anche della funzione procreativa.
Per questo i preti chiedevano: "Quante volte?", e forse lo chiedono ancora.
Il confessore di Andreotti, scherzando, lo chiede ancora e il Divo Giulio, che ce lo ha reso noto per sua stessa ammissione, risponde sempre: "Sette volte. Sì, sette volte Presidente del Consiglio"

Io purtroppo ho perso la Fede strada facendo, forse perché mio padre e mia nonna hanno idee che potrebbero essere definite eretiche, mentre mia madre ha un approccio integralista e intransigente.
E non mi ha mai nascosto il fatto che certe cose facciano schifo anche a lei>>

Aurora mostrò una grande comprensione:
<<Sono inibizioni che si possono sviluppare, così come nel mio caso ci sono state delle deviazioni.
Ne ho sempre parlato molto con Felix e poi con la mia ginecologa, e lei mi ha dato alcuni consigli, sia per me che per lui.
E si sono rivelati validi>>
Roberto si chiese fino a che livello di intimità i due cugini si fossero spinti, ma quella era una domanda che non intendeva porre.
Lei gli si avvicinò ulteriormente e gli mise le mani tra i capelli, e poi, con un tono materno, anzi molto più materno di quelli usati dalla sua vera madre persino nei tempi migliori, gli disse:
<<Stai tranquillo, ti aiuterò io. Tu farai solo ciò che ti senti di fare, senza nessuna forzatura, perché se no si rovina tutto. Se vuoi io ti farò un giuramento analogo a quello che mi hai fatto tu quella sera al cinema. 
Insomma, per quanto puro e casto tu sia, credo che in un modo o nell'altro, a diciassette anni, avrai trovato, per dirla con Freud, un modo per indirizzare la tua libido, dico bene?>>
Roberto tornò a sorridere:
<<Sì, alcuni modi. E sai la cosa comica? Uno l'ho appreso leggendo una biografia di Caterina II di Russia>>
Aurora prima rimase incredula, poi scoppiò a ridere:
<<Solo tu potevi trovare una soluzione a questo tipo problemi leggendo la biografia di una di quelle regine ninfomani>>
E in quel momento a tutti e due venne in mente la stessa cosa, e lo dissero contemporaneamente:
<<Per me anche la regina Vittoria, dietro a quella faccia sdegnata, chissà quali desideri nascondeva... e forse, dopo tanti anni di vedovanza, quando conobbe il signor Brown... chissà>>








lunedì 12 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 124. Da Heathrow al Savoy

 


Londra ha il sistema aeroportuale più trafficato del mondo, con due hub di dimensioni titaniche a Heathrow e Gatwick, e altri importanti scali a Luton, Stansted e presso la City . 
Nel 1992 Heathrow incominciava ad imporsi come scalo principale, secondo la stessa logica per cui in quegli anni già si pensava, a Milano, di trasferire la maggior parte dei traffici da Linate a Malpensa.

Heathrow, lontano dal centro, aveva intorno un terreno sufficiente per espandersi, e infatti da molti anni è in programma la creazione di una terza corsia, di nuovi terminal, edifici avveniristici e di altre quattro fermate della metropolitana.
Già allora, però, le strutture e le strade interne che lo componevano erano talmente tante da farlo sembrare una città a se stante.
All'epoca il padiglione centrale non era stato ancora ampliato e ristrutturato, e dunque non aveva quell'aspetto luminoso e scintillante che ha oggi, per cui la primissima sensazione che si provava, quando si entrava sotto la sua enorme volta, era quella di vedere una stazione in stile Milano Centrale, solo più grande, più candida, più fresca (avevano già l'aria condizionata) e naturalmente più pulita.

Roberto era talmente frastornato dal viaggio e da quel caos, che si limitò a seguire Aurora come se fosse la sua ombra, mentre Battista, sfoggiando un perfetto british english, si occupava di tutte le questioni logistiche, tenendo d'occhio il faraonico carico di valigie della figlia dei suoi datori di lavoro.
Nel brevissimo tragitto tra lo scalo e il padiglione centrale, Roberto notò che era una giornata piovosa, con un gran vento che, come seppe in seguito quando Battista fece conversazione col suo quasi collega del Taxi, proveniva da est e, secondo la visione romantica del tassista, portava con sé un vago odore di acqua di mare e di fiume, dal grande estuario del Tamigi, tra l'Essex e il Kent.

Da Heathrow si dipartivano due "main roads", di cui una immetteva nella Motorway M4, mentre l'altra portava alla A4, scelta preferenziale per chi non era diretto verso la famigerata M25, ossia la tangenziale della Greater London.
La Grande Londra è una contea cerimoniale a sé stante, che ha unito la Inner London, cioè la ex Contea di Londra propriamente detta, quella all'interno della Circolare (la circonvallazione), con la Outer London, ossia i borghi circostanti, che in precedenza appartenevano alle contee confinanti del Surrey, del Berkshire, del Buckinghamshire, dell'Herfordshire, dell'Essex e del Kent.




La M25 è più o meno l'equivalente londinese del GRA romano.
La M4 viene scelta da chi vuole immettersi nella M25 o andare fuori dalla Greater London.
La A40 era, all'epoca, la corsia preferenziale per chi, da Heathrow era diretto alla Contea di Londra propriamente detta, la Inner London.
Era incredibile come il traffico fosse enorme anche d'agosto, per non parlare della giungla di autostrade i cui svincoli si intrecciavano nelle forme più strane (soltanto a Los Angeles ne esistono di più complessi).

Ci vollero due taxi, uno per Aurora e Roberto e i bagagli di lui e Battista, l'altro per lo stesso Battista e per i bagagli di Aurora.
La prima cosa che sconvolse Roberto nel momento in cui i due taxi partirono, fu la famosa questione della guida a sinistra: all'inizio si ha sempre la spiacevolissima impressione di andare contromano ed essere sul punto di schiantarsi. 
Alcuni ci si abituano, Roberto non si abituò mai.

Heathrow si trova nel borgo periferico di Hillingdon e la A40 attraversa il borgo di Hounslow, fino ad arrivare allo snodo di Hammersmith e Fulham, che permette l'ingresso nella Inner London.





Da Hammersmith si proseguiva poi per l'arteria centrale che conduceva a Kensington e Chelsea fino ad arrivare a Westminster, che attualmente è considerato il vero centro di Londra, dove hanno sede tutti i vertici politici e le principali istituzioni e fondazioni, laddove invece nell'antico centro, la City vera e propria, c'è il cuore finanziario del Regno Unito e di buona parte della finanza internazionale, con la Borsa e le sedi centrali di grandi merchant bank e assicurazioni, per non parlare di tutti gli studi legali che vi gravitano attorno.



La zona più centrale in assoluto è quella che si trova tra la linea blu e la linea giallo-verde della metropolitana, tra il Westminster Bridge e il London Bridge, cioè il collegamento tra Westminster e la City.


Attualmente si tende a considerare come attuale punto centrale di Londra la Trafalgar Square, dove, proprio mentre ora scriviamo, giganteggia l'immagine video di S.A.R. il Principe Filippo, Duca di Edimburgo, marito di Sua Maestà, deceduto il 9 aprile 2021, a Windsor, all'età di 99 anni: in giugno ne avrebbe compiuti 100, di cui 73 come marito della Regina.
Ci eravamo abituati a considerarlo immortale, come la sua ferrea consorte, per cui parlarne al passato sottolinea ancora di più quel senso del trascorrere del tempo, che travolge tutto e tutti, che è un po' il filo conduttore della nostra narrazione.

Westminster è a sua volta diviso in quartieri storici, in cui i prezzi immobiliari per compravendite e locazioni sono tra i più alti del pianeta.
Questi quartieri circondano l'area tra Buckingham Palace e St. James Palace, le due sedi ufficiali della Corona.
Belgravia, quartiere residenziale più prestigioso, "protegge" i giardini di Buckingham Palace e il loro collegamento con Hyde Park, KnightsBridge, anch'esso residenziale, si affaccia all'area sud-orientale di quelli di Kensington Palace, Mayfair, l'antica zona della "fiera di maggio", è un'area a vocazione commerciale, ora ad un livello molto elevato in termini di "brands", St.James è il quartiere diplomatico, con le grandi ambasciate, la sede del Commonweath e la residenza londinese del Principe di Galles e della Duchessa di Cornovaglia, ossia Clarence House, che il principe Carlo ha ereditato da sua nonna, Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre.




Pimlico e Victoria hanno una vocazione prevalentemente logistica, ospitando la Victoria Station e molti snodi della metropolitana. 
Millbank e Whitehall sono il cuore politico del Regno Unito, dove hanno sede il Parlamento, i Ministeri e la residenza del Primo Ministro.

Soho è la zona dei divertimenti, dei teatri, a partire da Piccadilly Circus, dei cinema, dei ristoranti tipici e dei pub.

E infine arriviamo allo Strand, il quartiere che prende il nome dall'arteria centrale del traffico londinese, che collega il Mall, a partire da Trafalgar Square, e la City.
E' la sede di grandi alberghi e palazzi, ed è considerato uno dei quartieri di maggiore lusso.
Sul viale dello Strand c'è l'ingresso del Savoy Hotel, che si estende poi fino al Tamigi.

Ed è lì che, dopo ore di traffico e in stato semi-confusionale, arrivarono Aurora e Roberto, scortati dal fedele Battista, che fu ricevuto come un re, essendo una vecchia conoscenza del personale dei Savoy, e che si mise subito a impartire ordini riguardanti i bagagli di "lady Aurora".


venerdì 9 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 123. Il 1992, l' "annus horribilis" della regina Elisabetta II


Quando Aurora e Roberto partirono per Londra, ai primi di agosto del 1992, la Regina era già a Balmoral, il suo amato castello scozzese in stile neogotico, ma era di pessimo umore, nonostante i sorrisi di circostanza del Trooping the Color, il giorno in cui si festeggia il suo compleanno.
Quello del 1992 era stato più sfarzoso del solito, poiché si celebrava anche il quarantesimo anno di regno di Sua Maestà, ma passò alla storia per un'altra ragione: fu l'ultimo a cui avrebbe partecipato anche Diana Spencer, la cui separazione dal Principe di Galles sarebbe stata ufficializzata solo a novembre, ma di cui ormai tutti parlavano da maggio, in seguito alla scandalosa biografia non autorizzata, intitolata "Diana - La sua vera storia", scritta da un tale Andrew Morton, in cui si rivelavano sia il tradimento di lei col maggiore Lewitt, suo insegnante di equitazione, sia quello di lui con la donna che mai aveva smesso di amare, Camilla Shand, ex-signora Parker-Bowles, attuale Duchessa di Cornovaglia e "de iure" anche Principessa di Galles (ma gli Inglesi non lo sanno, perché sono straordinariamente impreparati sulle regole della Corona, l'istituzione che tiene insieme il Regno Unito, sempre sull'orlo della dissoluzione finale).

Naturalmente della vicenda si discusse anche nel Salotto Liberty di Villa Orsini, dove la diciottesima Contessa di Casemurate, con in mano le solite riviste, scuoteva la testa: 
<<La cosa che mi dà più fastidio è che la Spencer  ha disonorato per sempre il mio nome di battesimo>>
Al che, la dama Consuelo le aveva rivolto uno sguardo ironico, che solo lei poteva permettersi, e Diana Orsini Paulucci si trovò costretta ad ammettere:
<<D'accordo,  anche il mio matrimonio con Ettore non è stato proprio esemplare, e ormai lo sanno anche i sassi, ma nessuno di noi due ha mai pensato nemmeno lontanamente alla separazione, figuriamoci poi al divorzio, perché è lì che la Spencer vuole arrivare, non fosse altro che per fare un dispetto al marito. 
Guarda come se la ride, nella foto, sa già di avere la gente comune dalla sua parte, e lo farà pesare, stanne certa.
Comunque, mia cara Consuelo, per quel che mi riguarda, e tutti ne sono testimoni, quando Ettore è caduto in disgrazia, io sola l'ho difeso a viso aperto, ho persino giurato il falso, in tribunale, pur di difenderlo e sapevo cosa rischiavo, ma l'ho fatto e lo rifarei ancora. 
E per quanto sembri incredibile, adesso lui mi manca. Ettore mi faceva sentire al sicuro, e poi era l'anima di questa casa e di questa terra, senza di lui tutto si sgretola...>>

La dama di compagnia, prese una mano all'anziana Contessa e per distrarla dai pensieri cupi si mise a commentare le fotografie del Trooping the Color 1992.
Indicò, nella foto, la figura a sinistra, vestita di rosso:
<<Margaret si è messa un cappello che sarebbe giudicato eccessivo persino al carnevale di Rio >>
Diana rise: 
<<Io ho una gran simpatia per Margaret. Ha sofferto tanto. E' la prova che il Sangue Reale si sta indebolendo. Dovresti dirlo al consigliere Albedo>>
Consuelo scrollò le spalle, come per far intendere che il suo lontano cugino lo sapeva benissimo e poi continuò a commentare:
<<Sua Maestà è sempre uguale, cambia solo il colore del completo, oggi è toccato al salmone, e come al solito oscura il povero Carlo, totalmente in ombra, se non fosse per le medaglie>>

Anche su questo, la Contessa aveva da dire la sua:
<<Io sto dalla parte di Carlo, cosa paradossale, considerando come mi chiamo. 
Il Principe si è trovato tra l'incudine e il martello. Da una parte una madre fredda e distante, e dall'altro una moglie totalmente, ripeto to-tal-men-te inadeguata, mentalmente instabile, narcisista, con manie di protagonismo>> e qui si fermò pensando che anche  Aurora aveva tutti quei difetti.
Poi riprese:  <<C'è da capirlo se è tornato tra le braccia di Camilla, la sua anima gemella, e la gente non sa che il loro fidanzamento fu ostacolato in tutti i modi dalla Regina Madre e dalla sua Prima Dama, lady Ruth Burke-Roche, baronessa Fermoy, nonna materna di Diana.

Pochi lo sanno, ma furono proprio la Regina Madre, Lizzie Bowes-Lyon e la sua Dama Ruth Burke-Roche, lady Fermoy a combinare il disastroso matrimonio dei loro rispettivi nipoti: Carlo e Diana si conoscevano a malapena, lei era ancora una bambina, mentalmente dico, e comunque quanti anni aveva quando si sposò, venti?
Forse questo genere di cose potevano funzionare nell'Ottocento, quando i Sassonia-Coburgo-Gotha, dal niente, divennero una potenza con ramificazioni ovunque.
Il Consigliere non ti ha raccontato niente sulla Cospirazione dei Coburgo? 

No? Be', allora sappi che Leopoldo di Sassonia-Coburgo-Gotha era il secondogenito di un duca tedesco minore, eppure sposò la figlia di Giorgio IV del Regno Unito, Carlotta, e fece sposare sua sorella Vittoria al Duca di Kent, Edoardo, e da quell'unione nacque l'ultima regina Hannover, la regina Vittoria, il cui primo nome era Alexandrina, e dai familiari era chiamata Drina. 
Quando Carlotta morì dando alla luce un bambino morto, Alexandrina Victoria divenne l'erede presuntiva, dal momento che Guglielmo IV non aveva figli.
Quando Vittoria salì al trono, nel 1837, doveva decidere con chi sposarsi, e nonostante l'infatuazione per Lord Melbourne, alla fine si innamorò perdutamente di suo cugino Albert.
Erano cugini di primo grado, la madre di lei e il padre di lui erano fratelli, tutti e due della dinastia dei Coburgo.
Lo zio Leopoldo, il terzo fratello, il grande cospiratore, dicono fosse un Rosacroce, in ogni caso divenne Re dei Belgi, dopo il 1848.

Nel frattempo Alberto e Vittoria avevano allargato di molto la famiglia: in tutto ebbero nove figli, e li fecero sposare alle famiglie di Sangue Reale o principesco di tutta Europa.
La parentela tra i sovrani fu un bene, perché per molto tempo riuscì a evitare le guerre, almeno fino a quando visse la regina Vittoria e successivamente suo figlio Edoardo VII, che fu l'artefice della riappacificazione storica tra Regno Unito e Francia.
E nel caso di Alberto e Vittoria fu un matrimonio d'amore: lui fece costruire per lei il castello di Balmoral, nelle highlands scozzesi, sul modello del maniero di Walter Scott, il quale fu in un certo senso l'inventore dello stile neogotico.





Ma adesso tutto è cambiato, non necessariamente in meglio, ed è molto più difficile combinare matrimoni, e molto più rischioso. Io ne so qualcosa.

Comunque, tornando a Carlo e Diana, la prova che le due nonne avessero già programmato tutto persino prima dalla nascita di lei, sta nel fatto che Diana è nata, a Sandringham, nel Norfolk, dove c'è il maniero di campagna in cui i Reali trascorrono il Natale o alcuni fine settimana.

Credimi,  non si nasce a Sandringham per caso! 

Il Sandringham Estate può ospitare una notevole quantità di ospiti: fu pensato e voluto proprio per questo scopo da Edoardo VII, figlio della regina Vittoria, quando era ancora Principe di Galles e amava dare festini che avrebbero fatto impallidire le cene di Eliogabalo.




Lady Fermoy e sua figlia Frances Burke-Roche, la madre di Diana, viaggiavano sempre dietro alla Regina Madre, sempre!
E' per questo che Diana nacque a Sandringham, dove la Regina Madre si era temporaneamente trasferita con gli Spencer e i Burke-Roche, nell'attesa che nascesse la bambina.
Poi Lizzie e lady Fermoy se ne andarono al Castello di Mey, all'estremo nord della Scozia, lasciando la povera Frances con tre figlie femmine, un figlio maschio e un marito infedele.




Frances aveva un ruolo secondario, infatti dopo la nascita di Diana, lady Fermoy le consentì di divorziare dal Conte Spencer di Althorp e di sposare un membro della famiglia Shand-Kidd, che per ironia della sorte era un lontano parente di Camilla.
Si imparano tante cose studiando gli alberi genealogici, i castelli e i manieri.
Mia figlia Silvia disapprova questo mio interesse, ma non capisce che molte informazioni importanti passano da qui.

C'era una logica ferrea in tutte quelle unioni: preservare il sangue puro, iniettarlo nel Sangue Reale, e quando i continui incesti finiscono, inevitabilmente, per presentare dei problemi, ecco che si sente il bisogno di cooptare nuovo sangue, forte e robusto.
L'hanno fatto tutti e i Burke-Roche in particolare, perché sono esperti in tale materia, e potenti.
Il Consigliere Albedo sa bene quanto sono potenti i baroni Fermoy, e se non fa attenzione, gli faranno le scarpe, nel Consiglio Ristretto!>>

Consuelo, che aveva parlato con Albedo di recente, e conosceva benissimo la precarietà del suo seggio in Consiglio, era determinata a sviare ogni tentativo di Diana di affrontare quell'argomento:
<<Guardi, la Regina Madre assomiglia sempre di più alla povera contessa Emilia, non trova?>>
Diana Orsini aveva esaminato la fotografia con più attenzione:
<<Le vecchiette ultra-novantenni si assomigliano un po' tutte, ma in effetti mi sembra proprio di rivedere mia madre negli ultimi anni. 
E dicono che anche la Regina Madre beva come una spugna, tanto che Sua Maestà ha vietato gli alcolici a Clarence House prima delle 18, che la vecchia Lizzie Bowes-Lyon chiama "l'ora magica". 
Di solito lady Fermoy le portava di nascosto il famoso gin che producono al castello di Mey, i cui costi di manutenzione generano ogni anno una voragine di debiti. Vedrai che dopo la morte di Lizzie lo trasformeranno in una sede per feste di  matrimonio.
Ma se ci sarà la separazione, Ruth Fermoy cadrà in disgrazia, e temo che ne morirà di dolore, dopo aver servito la Corona per una vita intera. 
Dicono che già adesso non rivolga più parola alla nipote, ma questo non basterà... vedrai che salterà fuori la storia del gin tonic e sarà la scusa per congedare la baronessa
Un bel guaio per i Burke-Roche, e scommetto che il tuo Duca di Alcazar spera di trarne vantaggio, che ne dici, mia cara?>>
Consuelo sorrideva sempre:
<<Il Duca si occupa di questioni ben più rilevanti, per le sorti del mondo
Certo, adesso dovrà cercare qualche nuova soluzione.
Forse ne avrà già parlato col principe Filippo, Duca di Edimburgo, o più probabilmente col Duca di Kent, che è il Gran Maestro della Loggia d'Inghilterra, e fa parte del Consiglio>> 
Ma Diana scosse la testa:
<<Albedo crede di sapere tutto, ma sta scherzando col fuoco.
Spero di poterlo incontrare, un giorno, per metterlo in guardia: ho ricevuto informazioni dai miei parenti di Roma. Il Consiglio non è affatto contento dei fallimenti collezionati da Albedo col suo abominevole Programma Genetico.
Sì, adesso conosco la verità e ne sono disgustata: ci sono molti modi per intendere la genetica e il suo è ripugnante.
Le tradizioni esoteriche sono una cosa seria, ma quando degenerano in giochi di potere o forme deliranti di endogamia o eugenetica, allora diventano aberrazioni e abominazioni.
E non solo io a pensarla così.

Ho ricevuto alcuni messaggi da persone molto importanti.
Gli Orsini dei rami principali, i Duchi di Gravina e i Principi di Solofra, quelli della Nobiltà Nera romana, per intenderci, si sono improvvisamente resi conto della mia esistenza. 
Non che a me interessasse più di tanto essere in contatto con loro, ma a quanto pare, avevano da dirmi alcune cose, che riguardavano Fernando Albedo.
Mi hanno messo in guardia!
E siccome sono avveduti, hanno spedito le lettere a Villa Spreti, dove scorrono placidamente le acque della Serachieda e dove il personale non legge preventivamente la posta, come invece succede qui, e non dovrebbe succedere affatto...






Purtroppo i principi non sapevano che la Villa è in fase di restauro e che mia figlia e il marito alloggiano altrove.
C'è un mortorio da quelle parti, senza di loro... tranne l'allegro scorrere delle acque della Serachieda: è un ruscello ameno, nonostante questo nome insulso, e alla fine confluisce nel Bevano, che "beve" le acque di tutta la nostra bella Contea, "tra i monti e il mare".
Roberto mi recitava una filastrocca, da bambino, ma poi ho scoperto che era una cosa seria, di un autore serio:
"Gil-Galad sugli Elfi solea regnare, / quando i giorni eran giovani e belli / ora tristi cantano i menestrelli / del suo regno perduto tra i monti e il mare", così iniziava il poema La caduta di Gil-Galad, rimasto incompiuto, come tante altre opere di Tolkien.
Naturalmente in inglese suonava diverso, ma la traduzione italiana, la prima, la "mitica stesura" di Vittoria Aliata e Quirino Principe, seppe rendere magnificamente il linguaggio di quell'autore.
Gil-Galad, ultimo re dei Noldor, cadde nella battaglia di Dagorlad, ucciso da Sauron dopo avergli lanciato una freccia che penetrò la corazza del Signore Oscuro. 
Ho letto il romanzo sai? E l'ho fatto molto prima che uscisse il film.




Gli sarebbe piaciuta la mia Contea, a Tolkien dico, non a Gil-Galad, gli elfi sono più raffinati di noi mortali. 
Perdonami se sto divagando, ma succede, sai, Consuelo, dopo una certa età.
Per esempio: sapevi che la Serachieda fa da confine tra la provincia di Forlì e quella di Ravenna?
No, infatti non lo sa più nessuno, la geografia non si studia più, un posto vale l'altro, ho visto gente che pianta dei banani in giardino. 
A volte mi chiedo se sono vissuta troppo a lungo, comunque, tornando alla questione delle lettere...

I Marchesi Spreti adesso sono a Ravenna, e considerando che il restauro della torretta va per le lunghe, credo che per un po' di tempo non torneranno da queste parti.
Però la posta è stata recapitata a mia figlia Margherita che mi ha letto fatto vedere quei messaggi, prima di distruggerli: erano molto interessanti, e in alcuni di loro si parla persino dei Burke-Roche, gli antenati materni di Lady D.
Una curiosa coincidenza, non trovi?
I Burke-Roche cadono in disgrazia e scrivono ai principi Orsini di Solofra e Gravina, con i quali, ufficialmente non dovrebbero avere niente a che fare, e i Principi scrivono a me, ultima tra gli ultimi, nelle tante ramificazioni della dinastia Orsini.
E hanno anche l'accortezza di spedire le lettere a mio genero il Marchese Spreti di Serachieda, consigliandogli di disfarsene dopo avermele fatte leggere.

E così i miei sospetti hanno avuto conferma.
L'Ordine degli Iniziati non è soltanto una confederazione di culti esoterici, ma persegue altri obiettivi.
Come sai, io ho rispetto per le tradizioni esoteriche, specialmente quelle di impronta gnostica, e infatti mi considero un'eretica, ma esiste un limite per tutte le cose, e stando a ciò che mi è stato riferito, alcuni consiglieri si sono spinti troppo oltre.
Gli equilibri nel Consiglio Ristretto sono molto più precari di quanto lo stesso Albedo possa credere.
Il Programma Genetico deve essere chiuso una volta per tutte! Questa vergogna è durata anche troppo, e ne abbiamo pagato tutti le conseguenze sulla nostra pelle e tu sai a cosa mi riferisco!
Diglielo pure, io non ho paura, ho ricevuto alcune garanzie da parte di persone che denuncerebbero subito il Consigliere se dovesse succedere qualcosa a me o alla mia famiglia.
I principi Orsini di Roma appoggeranno i Fermoy, nella prossima riunione del Consiglio.
Di' ad Albedo che il suo rivale, George Burke-Roche è pronto a tutto, e può farlo impunemente, dato che tutti credono che sia morto tempo fa.
Ha una pronipote, lady Jessica, è solo una bambina, ma un giorno, chissà... dicono che dopo la caduta in disgrazia degli Spencer, la famiglia Burke-Roche punti tutto su Jessica.
Dovrei dirlo anche a Lorenzo, lui seleziona i suoi potenziali studenti fin da quando sono in fasce>>
Aveva parlato con ironia e compostezza, ma dentro di sé continuava a prevalere un senso di allarme, unito alla consapevolezza di avere ormai troppi anni sulle spalle per riuscire a proteggere la sua famiglia da pericoli tanto gravi.




Quando era venuta a conoscenza di tutta la verità, le era quasi venuto un malore.
Gli Albedo di Spagna avevano avviato da tempo il Programma, e tra gli altri, avevano scelto anche i suoi genitori e i suoi discendenti come cavie, la sua stessa vita era stata programmata, pur facendo sembrare il suo concepimento un "incidente" riparato poi con un matrimonio.
E nessuno si è accorto di nulla!
Doveva fare qualcosa, ma cosa poteva fare, da sola contro il mondo intero, alla sua età?
Si sentiva così stanca, tremendamente stanca...
Di quanti fardelli devo ancora farmi carico? Non ho forse dato abbastanza, amato abbastanza, pagato abbastanza, sacrificato abbastanza?
No.
Per sua figlia Silvia, caratterialmente la più difficile, ma senza dubbio la più intelligente, la risposta era no.
Avevano litigato pesantemente, nei giorni successivi a quella maledetta cena dell'1 luglio con i Visconti-Ordelaffi di Bertinoro, da cui era emersa una situazione molto più allarmante del previsto.
Diana ne attribuiva la responsabilità a Lorenzo, la vera Eminenza Grigia che governava tutti i clan a loro insaputa.
Silvia, invece, dava la colpa di tutto sia ad Aurora, che sembrava essere diventata la nuova Salomè, sia alla stessa Diana, per aver esercitato troppa influenza su Roberto, e per essersi fidata troppo degli Albedo, in particolare "di quella spia di Consuelo".
In un momento di esasperazione, Silvia aveva avuto un cedimento emotivo, durante il quale tutto ciò che si era tenuta dentro per una vita era venuto fuori moltiplicato per mille, ed erano volate parole grosse, gravi, pesanti come pietre, cosa di cui in seguito si sarebbe pentita:

<<Tu pensi di poter educare mio figlio meglio di quanto potrei farlo io
Non provare a negarlo, è evidente a tutti. E' facile fare la nonna anticonformista quando poi a risolvere i problemi devo pensarci io. 
Gli hai messo in testa tutte le tue ossessioni, le tue manie di grandezza, le famiglie reali, i castelli, i palazzi, il farti chiamare "Vostra Grazia" come se fossi la Duchessa d'Alba o se stessimo recitando il Riccardo III di Shakespeare! E poi, però vuoi fare la trasgressiva, gli metti i preservativi nello zaino senza dirmi niente, gli comunichi la tua insofferenza verso le "convenzioni borghesi", gli inoculi il virus delle tue idee eretiche nelle questioni religiose, per non parlare dei tuoi atteggiamenti teatrali, della tua malinconia ostentata, del tuo pessimismo radicale alla Leopardi: ma non lo capisci che sono tutti esempi sbagliati?
Ma la cosa peggiore è che così facendo fai apparire me come una madre pedante, priva di fantasia e di sogni, che interrompe le emozioni, che fissa dei limiti, che impone divieti, che insiste con lo stare con i piedi per terra. Insomma critichi implicitamente tutta la mia strategia educativa.

Ma quando era il tuo turno, quando avresti dovuto prenderti cura delle tue figlie, te ne stavi rintanata nella tua stanza, a letto per settimane intere, con la scusa dell'emicrania o della depressione, e noi eravamo lasciate a noi stesse, a farci coraggio l'una con l'altra, mentre Ida Braghiri ci prendeva a schiaffi ogni volta che non le obbedivamo. 
Tu non sai niente di cosa voglia dire essere un genitore. E allora te lo spiego io!

Un genitore è come un albero, pieno di rami, foglie e frutti, e il figlio prima si mangia i frutti, poi si prende le foglie, poi spezza i rami, poi taglia il tronco, un po' alla volta, e alla fine, quando rimane solo il ceppo, il figlio ci si siede sopra. Punto.
Questo vuol dire essere genitori!
E' un atto di suprema, totale, assoluta dedizione nei confronti della nuova vita che abbiamo generato.>>



Diana, sconvolta più che altro dalla rabbia con cui Silvia l'aveva accusata, aveva risposto con altrettanta durezza:
<<Tutta la mia vita... sì, io ho dato tutta la mia vita per questa famiglia e continuerò a farlo fino al mio ultimo respiro!
Ho sacrificato tutto per voi!
Tu ricordi solo i miei momenti di debolezza e dimentichi tutto il resto.
E così facendo ti siedi sul ceppo dell'albero da te evocato come modello e credimi, del mio albero ormai resta ben poco, oltre alle radici.

Tu esalti sempre tuo padre, ma se hai studiato è perché io mi sono battuta con le unghie e con i denti, perché Ettore non voleva che tu andassi all'università, perché sei una donna e al massimo, secondo lui, potevi fare la maestra, come sua madre, ma non di più.
Sono stata io a convincerlo a farti studiare fino alla laurea!
Tu accusi me di non averti protetto da Ida Braghiri, ma dimentichi che lei dipendeva da tuo padre, non da me: io non contavo niente in casa, era Ettore il padrone, e solo lui aveva il potere di fermare quella donna, e non l'ha fatto, permettendole non solo di molestare voi, ma di mandare in rovina tutto ciò per cui io ho sacrificato la mia esistenza.
Potrei fare altri mille esempi, ma credo che tu te li ricordi benissimo anche da sola e se non te li ricordi allora non vale neanche la pena parlarne.

Ma c'è un'altra cosa di cui invece dobbiamo parlare, visto che secondo te sarebbe solo "una scusa", e cioè la depressione.
Tu ne parli senza sapere cos'è, come ci si sente angosciati e disperati, privi di speranze, incapaci di fare anche il minimo sforzo fisico: tu che ne sai di tutto questo?
Niente! Non sai niente e quindi non puoi capire, e non hai il diritto di giudicare!
Ma la cosa più tragica ora è un'altra e cioè il fatto che Roberto sia predisposto a questa malattia, è fragile, vulnerabile, questo lo sai, ma non è colpa dei miei cattivi esempi, come li chiami tu.
La scienza ci dice che la depressione è una malattia del sistema nervoso e che la predisposizione a contrarla si trasmette geneticamente, anche saltando una generazione.
Tu sei una "portatrice sana", come spesso succede nelle malattie ereditarie.
Io l'ho ereditata da mia madre, ma sono stata più fortunata di lei, perché a un certo punto ho potuto curarmi con i farmaci, lei invece trovava rifugio nell'alcol e per qualche miracolo, il suo fegato ha retto.
Nella tua generazione è toccata a Isabella.

Il principio dell'ereditarietà, questo è il motivo per cui mi opponevo al tuo matrimonio con Francesco.
Il gene della depressione c'è anche nei Monterovere, per questo le due linee di discendenza non dovevano convergere.

Certo, negli Anni Settanta era ancora un argomento tabù, ma io mi ero documentata.
Lo sai perché Anita Monterovere mi detesta? 
Perché io ho capito subito che anche lei soffriva di depressione e le ho chiesto quanti altri casi c'erano stati, in famiglia. 
Lei non me l'ha voluto dire, ma poi alla fine sono saltati fuori tutti i vari cugini di tuo marito che hanno tentato il suicidio o che sono finiti nelle cliniche psichiatriche storditi dai farmaci.
Anita vede la depressione come un disonore, mostrando così di avere una concezione molto superficiale di ciò che significa la parola "onore".
Io almeno ho il coraggio di parlare apertamente di ciò che sono, perché non c'è motivo di vergogna nell'essere malati per qualcosa che non dipende dalla nostra volontà.
Io sono sincera, esprimo una testimonianza di vita vissuta, sono una persona che ha avuto l'umiltà di fermarsi prima di andarsi a schiantare o di fare del male agli altri.
Questo è tutto l'onore che ho mai avuto, e questo è il mio ricordo, che si ferma ad un confine e non lo supera!

C'è stato un periodo di tregua, in cui credevo che il peggio fosse passato.
Poi una sera venne Lorenzo, sì, sempre lui... "ubiquo ai casi e onnipresente sugli affari tenebrosi"e stette a parlare con Ettore per due ore di fila.
Non ho mai saputo che cosa si dissero, ma tuo padre improvvisamente divenne favorevole al tuo matrimonio con Francesco.
E questo successe prima di stipulare un accordo con l'azienda dei Fratelli Monterovere.
L'accordo economico-politico, da solo, non sarebbe bastato: Ettore non aveva alcuna simpatia per loro, eppure quella sera cambiò tutto.
Ricordo la faccia di Lorenzo come se fosse ieri: era rosso per l'emozione e sembrava un gatto che ha appena mangiato il canarino.
Poi sempre lui mi ha portato in casa la famiglia Albedo, ottime persone, certo, ma dopo un po' salta fuori la storia di quel loro parente spagnolo che è sempre tanto generoso, quanto ficcanaso! Sempre pronto a metter becco dappertutto negli affari nostri.
E alla fine, quest'anno, la verità che sospettavo da tempo è saltata fuori.

E tu dai la colpa a me?
Quel povero ragazzo per loro è soltanto una cavia, una delle tante, come anche Aurora... io faccio quel che posso per dargli un minimo di sicurezza, di serenità, di sogni, e tu vieni qui ad accusarmi di dargli cattivi esempi?
Tu, che non ti sei mai accorta di quello che stava succedendo sotto il tuo naso?
Accusi me di manie di grandezza, ma eri tu che andavi in giro a sbandierare le pagelle coi nove e i dieci, attirandoti l'invidia di mezzo mondo, e non ti accorgevi che lui aveva bisogno anche di altro, oltre alla tua pedante grammatica latina!
Io almeno gli ho dato qualcosa in cui credere, ideali più elevati, una capacità di vedere le cose in una prospettiva di lungo periodo, generazione dopo generazione, nello scorrere del tempo.
Certo, ai tuoi occhi io sono un'eretica, ed è vero, ma non mi si può accusare di materialismo, perché anche gli eretici hanno una loro spiritualità.
In sintesi, io gli ho offerto una visione del mondo che giustificasse e nobilitasse e nel contempo nascondesse l'assoluta arbitrarietà di un'incrocio tra linee genetiche che non si sarebbero mai dovute incontrare!

Adesso capisci, Silvia? 
Capisci cosa intendevo dire quando parlavo di "vite quasi parallele"?
Vite che non si sarebbero mai dovute incrociare, e invece, nella più o meno assoluta inconsapevolezza delle manovre altrui, queste vite ne hanno generate altre in rotta di collisione tra loro, innescando un processo che, se non viene fermato, porterà ad una deflagrazione.

Io stessa sono nata da una di queste... non so nemmeno come chiamarle... unioni programmate?
Per la gente come Albedo siamo come cani o cavalli con il pedigree. Niente di più.
Lui si diverte a fare incroci, come se fosse un allevatore, o Mendel con le piante dei piselli.
E il Consigliere non è il solo a portare avanti quello che loro chiamano "il grande disegno".
Da quante generazioni va avanti questa storia?
E chi è che manovra i fili, dietro di noi, mentre noi ci illudiamo di compiere scelte consapevoli?
Possibile che prima di generare una vita umana, nessuno di noi si sia mai chiesto che cosa stava facendo?

Ecco, questa è l'unica colpa che riconosco di avere, e cioè di aver dato per scontato che il fatto di mettere al mondo una vita sia sempre una cosa buona.
Un tempo lo credevo anch'io, poi, dopo che metà della mia famiglia è stata distrutta, dopo grandi sofferenze, ho studiato le eresie dei Catari, degli Gnostici, dei Manichei, e mi è venuto qualche dubbio.
Le scoperte della genetica hanno confermato questi dubbi.
Tu dici che procreare è un atto di dedizione e altruismo, ma più ci penso e più mi convinco che sia invece, da parte di tutti, un atto di supremo egoismo e narcisismo e presunzione e prevaricazione, consumato nel piacere carnale, desiderato per rendere completi se stessi, voluto per continuare la nostra stirpe, educato per far crescere una persona in base ai nostri valori, offerto per dare il nostro contributo alla crescita del genere umano, come se tutti i miliardi di persone che già ci sono non fossero abbastanza.
E tutto questo senza renderci conto di aver scagliato un'anima innocente in un mondo senza pietà.>>




Silvia era rimasta ammutolita.
Diana aveva dato poi l'affondo finale:
<<E dunque è di questo che ti chiedo scusa, e cioè di averti messa al mondo>>

Nessuna delle due tornò mai sull'argomento, facendo finta che quello scambio di accuse non fosse mai accaduto, ma nessuna delle due riuscì mai a dimenticare le parole che erano state dette quel giorno.
Solo trent'anni dopo, quando ormai Diana non c'era più e Silvia si era sentita recriminare dal figlio cose molto simili a quelle che lei aveva recriminato a sua madre, si rese conto che, nonostante tutte le sue stranezze e le sue idee eretiche, Diana aveva ragione, e che tutto si riduceva sempre a quell'interrogativo, quell'eterno dilemma dell'esistenza.

Sì perché in fondo Shakespeare non si era inventato niente di nuovo, e la questione non era tanto "essere o non essere", perché ormai, se sei in gioco, non è poi così facile tirarsi indietro.
La vera questione è procreare o non procreare. Questo è il dilemma.

Certo, noi per primi lo riconosciamo: avere Roberto come figlio doveva essere stato un incubo, per Silvia, anche se non riusciamo esattamente a determinare come e quando quell'incubo si era palesato, perché, in fondo, prima che entrasse in scena Aurora Visconti, le cose tutto sommato erano andate abbastanza bene.
Roberto era stato un bambino felice e un bravo ragazzo prima di conoscere l'ereditiera della stirpe Visconti-Ordelaffi.

Quindi, sostanzialmente, possiamo dire che l'incubo iniziò nel 1992, nell'Anno della Falsa Primavera e della Folle Estate, e da quel momento non c'era stato più un attimo di tregua.

"Annus horribilis", lo aveva definito la regina Elisabetta, dopo che tre dei suoi figli si erano separati uno dietro l'altro e persino un'ala del Castello di Windsor era andata a fuoco.
L'Inghilterra, sempre l'Inghilterra!
E Londra, perché sotto l'epidermide della storia, pulsano le vene di Londra...
In un certo senso, Londra aveva ereditato ciò che un tempo era stato peculiare di tre città molto diverse tra loro: Atene, Roma e Gerusalemme, fondendo insieme queste tradizioni in un impasto nuovo, originale, e carico di storia.

Se c'era un'origine del male, per Roberto Monterovere e la sua famiglia, andava ricercata proprio lì, in quella specie di viaggio di nozze intrapreso con una diciassettenne bellissima, ma fuori di testa, con l'insolenza spudorata di chi si sente in diritto di fare ciò che gli pare e far pagare il conto agli altri, per poi infine avere anche il coraggio di lamentarsi e atteggiarsi a vittima!
Avremmo voluto dire a Roberto tutte queste cose, mentre lui a ruota libera raccontava gli eventi di quell'estate con un'intollerabile dose di vittimismo.
Ma il narratore non deve lasciarsi coinvolgere troppo nelle emozioni dei suoi personaggi, e deve limitarsi ad essere testimone trasparente e cronista fedele.

La prima parte del viaggio la fecero in auto, fino a Milano Linate. 
C'erano ben due automobili: una era la BMW guidata da Battista, con dentro Aurora e Roberto, mentre l'altra era un'Audi Station Wagon, completamente piena di valige, tutte di lei, ovviamente.
Roberto stava per compiere il primo viaggio in aereo, ma non diede particolare importanza a questo fatto: ormai era completamente preso da Aurora, era "ebbro di lei", se ci consentite questa metafora.

Naturalmente, la tenuta da viaggio della giovane Visconti era accuratamente studiata e ormai il suo "fidanzatino" poteva leggere, nel look da lei scelto, tutta una serie di sottintesi, messaggi, programmi, e addirittura proclami.
Era agosto, per cui ci si sarebbe aspettati un look totalmente estivo, e invece no.
<<Ci sarà l'aria condizionata sia in macchina che in aereo, per cui non è necessario vestirsi come se si andasse in spiaggia>> aveva ammonito severamente Aurora, dalle rosee dita.
Inoltre c'erano stati dei temporali, per cui l'aria era più fresca anche fuori, e bisognava anche tener conto che sarebbero arrivati in aeroporto alla mattina abbastanza presto.
Questa era dunque la premessa, ma per quanto riguardava il resto Aurora voleva, come al solito, creare un effetto sorpresa, perché lei amava stupire, specchiare se stessa negli occhi degli altri, perché, come si suol dire, la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Ma prima descriviamo l'outfit, cioè l'abbinamento complessivo dei vari capi e accessori.
Non ci è dato conoscere la biancheria, per cui partiamo dalla camicia bianca di cotone con colletto grande, ampio, lungo e appuntito, stile Anni Settanta, e polsini lunghi e slacciati. 
Ma la vera sorpresa, l'ultima cosa che ci si sarebbe potuti immaginare, era la scelta di una salopette azzurra di jeans, che racchiudeva il suo corpo dalle spalle ai piedi.
Aurora non amava particolarmente il denim, però, considerando che ogni altro tipo di tessuto si sarebbe spiegazzato durante un viaggio così lungo, la scelta del jeans aveva un senso razionale, più che estetico.

Ciò che invece, agli occhi di qualcuno che non conoscesse Aurora, sarebbe sembrato totalmente privo di senso era proprio la scelta della salopette e anche della sua conformazione.
Si tratta di un pezzo unico, un po' come la tuta da sci, di cui condivide sia i vantaggi che gli svantaggi.
Ovviamente d'agosto i suoi vantaggi sono uguali a zero, mentre gli svantaggi sono facilmente intuibili, e infatti, normalmente, per ovviare a questi svantaggi si cerca di creare una cerniera a zip sul davanti che arrivi fino al bacino, per facilitare il momento in cui si rendeva necessario fuoriuscire, almeno in parte, dalla salopette.
Ma come ci si poteva aspettare, conoscendo la mente contorta di lei, la zip mancava del tutto nel capo scelto da Aurora, sia davanti che dietro.
Anzi, quella salopette sembrava creata apposta per non essere facile da togliere: anzi, sembrava che a progettarla fosse stato il Grande Houdinì redivivo.
Non aveva cerniera, come abbiamo detto, né davanti, né di dietro: era concepita quasi come un'armatura che le avvolgeva i seni, il busto, il bacino e le gambe, dove il jeans si allargava progressivamente dai polpacci alla caviglia, anche qui con un chiaro stile Anni Settanta. Le bretelle erano strette ma resistentissime e molto corte, in modo da avere una maggiore forza traente.. 
Per sottolineare il punto vita c'era una cintura, sempre in denim, che si allacciava dietro, con un nodo complicatissimo che avrebbe fatto sembrare un'inezia quello gordiano.
Nel retro tutta la chiusura sulla schiena era a bottoni manuali (non a clip, ovviamente, perché tutto doveva essere il più complicato possibile, per cui, per liberarsi da quella corazza ci sarebbe voluta almeno un'ora.




Le scarpe a stivaletto nero con tacchi erano poi masochismo puro e semplice.
A parziale discolpa di Aurora, dobbiamo dire che però questa sorta di armatura azzurra, esteticamente aveva un suo fascino: le attribuiva, per via indiretta, e considerando il suo fisico, l'aspetto di una Valchiria, il che era insospettabilmente erotico.

Ma Roberto sapeva che la sua Valchiria personale aveva indossato quell'armatura come protezione dalla "sporcizia del mondo intero".
Era anche un modo per ribadire fermamente la sua fobia dei bagni pubblici. Ormai il suo corpo e le sue funzioni erano stati come programmati fin dall'inizio in un certo modo e lei sembrava essere sempre perfettamente a suo agio, come del resto era sempre successo anche nelle gite scolastiche.

In quelle gite, Aurora aveva sempre evitato come la peste gli autogrill: Roberto lo sapeva, perché quello era un momento in cui tutti i suoi compagni facevano a turno a corteggiarla.
Era una scena quasi comica, perché l'occasione di starle a fianco in pullman era rarissima e durava al massimo il tempo della fermata, prima che la sua amica tornasse, per cui quegli idioti di corteggiatori non sapevano se andare in autogrill prima di "intortarsela", come si diceva all'epoca, oppure dopo.
Roberto aveva sempre deriso, anche se non apertamente, quei rozzi personaggi, che alla fine battevano tutti in ritirata quando si capiva che se non si spicciavano il pullman sarebbe ripartito e loro sarebbero rimasti cornuti e mazziati, senza aver ottenuto niente da lei, e senza aver visitato il bagno.

Però poi c'era stato, in una di quelle gite, da parte di Aurora, un comportamento paradossale, che Roberto aveva completamente frainteso e che capì solo ex post.
Si trattava di una cosa che lei gli aveva detto, e che, nelle intenzioni di lei, doveva essere una grande manifestazione di fiducia e di intimità, mentre a lui sembrò una mancanza di rispetto, come se lei lo stimasse talmente poco da parlare di cose che, anche a nostro parere, non si dovrebbero mai dire a una persona con cui si vuol creare un contesto romantico.
Eravamo quindi incerti se riferire o meno quell'episodio, perché, come già successo in altri analoghi casi, ci troviamo in difficoltà a dover, anche solo di sfuggita, accennare a certi particolari che consideriamo un po' degradanti e che quasi sempre preferiamo omettere, ma purtroppo ci sono alcuni casi in cui siamo costretti, obtorto collo, ad essere più specifici, perché altrimenti non sapremmo come spiegare uno dei motivi più importanti che condussero, tre anni dopo, a un senso di crescente e logorante disagio ed esasperazione da parte di Roberto riguardo agli elementi malsani e destabilizzanti della personalità di Aurora, che lui non sapeva proprio come gestire.
Abbiamo giurato di essere testimoni trasparenti e cronisti fedeli delle vicissitudini di questi personaggi, e dunque ecco cosa accadde.

Era successo un anno prima, in una gita a Lucca, mentre lui sedeva nei pressi delle splendide mura della città, integralmente conservate, lei gli si sedette accanto, cosa che ovviamente gli fece piacere, visto che era quello che tutti desideravano, però poi lei invece di dirgli qualcosa di gentile, si peritò di fargli sapere, con aria soddisfatta, divertita e complice, che, testuali parole, "Mi scappa una pipì pazzesca". 
Lui c'era rimasto male: aveva sorriso, per cortesia, come se lei avesse fatto una battuta autoironica, però aveva pensato "e con tutte le cose carine che potevi dirmi, non hai trovato niente di meglio?" e si sentì preso in giro. Per ironia della sorte, in quel momento lui si trovava nella stessa situazione di lei, perché i bar del centro in cui si erano fermati erano piccoli e il bagno era riservato al personale.
Questo fatto rafforzò la sua irritazione e l'idea che lei avesse in qualche modo spiato e studiato i suoi movimenti per poi poterlo deridere con cognizione di causa.
Alla fine si limitò a dirle, seccamente, "anche a me", e lei per un attimo lo guardò come se avesse deto una cosa straordinariamente romantica, quasi una dichiarazione d'amore, e lui si convinse che era sicuramente uno scherzo di cattivo gusto, poi in quel momento la prof. richiamò tutti verso il pullman per iniziare il viaggio di ritorno e l'argomento fu chiuso.





Roberto si era così irritato e offeso che alla fine aveva rimosso completamente quel ricordo, che gli riaffiorò alla coscienza proprio quando, a distanza di un anno dalla gita in questione, erano diretti a Milano per poi volare a Londra.
E il recupero del ricordo, almeno stando alla teoria freudiana dei meccanismi di difesa dell'Io, era riemerso quando il suo Io non si sentiva più minacciato: ora che conosceva i veri sentimenti di lei nei suoi confronti, e che aveva appreso tutte le sue fobie e l'effetto paradossale che col tempo avevano provocato, ossia un capovolgimento masochistico del dolore in piacere, capì che quel giorno a Lucca lei aveva scelto di condividere con lui un suo momento di vera e propria eccitazione erotica.
Certo, era stata una cosa totalmente irrazionale da parte sua, ma forse, nel suo immaginario distorto, era stato un tentativo di sondare il terreno, di valutare il tipo di reazione, e di capire poi come avrebbe dovuto correggere il tiro. 
E adesso che Aurora gli aveva confessato tutto, compresa la sua abitudine di spiare i suoi movimenti, cosa facile, perché lui era abitudinario e con la testa tra le nuvole, tutto divenne chiaro: nella sua ottica di masochismo conclamato c'era anche una piccola vena di sadismo, ma non per umiliare, cosa deplorevole che Roberto non le avrebbe mai perdonato, ma per coinvolgere, per partecipare a un gioco, per quanto totalmente assurdo e potenzialmente dannoso.
Fino a quel momento l'unica persona che lei aveva potuto coinvolgere era quel pervertito di suo cugino.
Insomma, per dirla tutta, Aurora era stanca di dover condividere i suoi rituali erotici con Felix Porcu, aggiungendo alla parafilia una coloritura vagamente incestuosa.
Finalmente ogni tassello del mosaico era andato al suo posto e Roberto aveva capito ciò che lei, quella famosa sera del cinema, non aveva avuto il coraggio di dire fino in fondo, per paura che si ripetesse ciò che era successo a Lucca.
E il rischio c'era, per quanto ormai, già allora, lui fosse così innamorato che si sarebbe messo a camminare a quattro zampe per tutto il Corso della Repubblica, se lei glielo avesse chiesto.
Ed ora che tutto questo gli era divenuto chiaro, Roberto provò uno strano senso di tenerezza nei confronti di dei, della sua ingenuità. della sua solitudine, della sua ricerca di comprensione e condivisione e si sentì come in dovere di proteggere quella ragazza che dietro alla sua bellezza nascondeva tanta fragilità e tanti paradossi.
Questa sorta di illuminazione, dovuta alla riflessione sulla salopette e sul fatto che la BMW sfrecciava sull'A1 senza fermarsi mai, si tradusse subito in una volontà di manifestarle il proprio affetto.
Le mise un braccio sulle spalle, stringendola a sé, e lei, sorridendo dolcemente, appoggiò il proprio capo sul petto di lui, che per la prima volta manifestava un forte istinto protettivo, come se avesse tra le mani un gattino abbandonato, che aveva bisogno di essere accudito con affetto.
Roberto è sempre stato molto chiaro su questo discorso, nei suoi resoconti: certo, in quel momento c'era una grande attrazione fisica e un'esaltazione dei sensi, come era naturale, ma l'elemento che lui ricordava con più nostalgia era la tenerezza, unita al senso di responsabilità che lui sentiva di avere nei confronti di lei, ossia di non approfittare mai della sua fragilità, ma farle sentire che lui era partecipe, e che in quel momento sentiva che loro due erano diventati una cosa sola, e condividevano tutto, in un abbraccio che avrebbe voluto essere eterno.

Se mai al mondo esiste qualcosa di simile alla felicità, allora era quella, in quel preciso istante. 
Sì era quella, la Felicità, era quello il Momento, il loro momento di gioia allo stato puro, e non sarebbe tornato mai più così puro e dolce e meraviglioso.

In fondo Roberto aveva sempre cercato la tenerezza, prima di ogni altra cosa, e più di ogni altra cosa, nelle donne amava e che lo avevano amato. 
Quando ripensava a questo, i suoi occhi sembravano guardare lontano nel tempo, all'indietro, regredendo sempre più nei ricordi, e osservando i volti, prima che il tempo li segnasse per sempre.
Ricordava com'era sua madre quando lui aveva al massimo due anni, ed ecco che gli appariva il volto di Silvia, così solare e dolce e spontanea negli Anni Settanta, così diversa dalla donna severa che era diventata in seguito, a causa dei colpi del destino, e naturalmente il volto di Diana, che aveva riversato sul nipote più giovane tutto l'amore che non stata in grado di trasmettere prima al marito o alle figlie, o ai nipoti più grandi, quando la vita era ancora troppo dura per abbassare la guardia e concedersi il lusso della tenerezza.
E poi veniva il volto di Aurora, così incantevole da fargli mancare il respiro, al solo ricordo.
Ci furono poi altre donne e altre storie, molto importanti, ma non vogliamo precorrere gli eventi.
"Sono stato molto amato" ci disse Roberto, quando parlammo di quel viaggio a Londra e dei pensieri che lo avevano lambito, anche in riferimento a come erano cambiati i rapporti interni alla sua famiglia.
Quel giorno seppe con sicurezza che Aurora, pur nella sua maniera stravagante, lo amava davvero, ed era ingiusto da parte sua continuare a dubitarne. Non era da lei che sarebbe venuto il pericolo. Lei ne fu vittima prima di lui e più di lui, lasciando nella mia vita di Roberto, per alcuni anni, un grande vuoto. 
Forse è il prezzo che si deve pagare, quando si è ricevuto troppo, e l'eccesso deve essere restituito.

E dopo averci reso partecipi della bellezza e dell'amore di Aurora, la Valchiria in salopette, Roberto, come tutti coloro che hanno superato una certa età senza aver salvato quasi niente di tutto ciò che gli era stato concesso, si lasciava andare al suo delirio pseudoreligioso, riguardante la rovina del mondo causata dall'i-Phone e l'imminente inizio del Regno Millenario.
Inizialmente la cosa ci divertiva, anche se non riuscivamo proprio a cogliere il nesso, ma poi lui un giorno chiarì:
"Se Aurora avesse avuto, trent'anni fa, a disposizione la potenza dei social network, avrebbe dato lezione di stile a tutti! Ah, che splendida influencer sarebbe stata! 
E invece questo ruolo è andato a donne dai gusti pacchiani, macchine da soldi totalmente prive di stile, che per una serie di combinazioni casuali si sono trovate al posto giusto, nel momento giusto, ma per fare la cosa sbagliata, e cioè imporre a quegli innocenti nati dopo il 2000 l'abominio della moda skinny, i leggins, i risvoltini... 
Le maggiori influencer e i loro lacchè, non hanno forse reso il mondo un posto più brutto?
I loro capi skinny, i leggins e risvoltini, non sono forse il segno dei tempi? 
Non sono una prova evidente del fatto che il Giorno del Giudizio si sta avvicinando?"
Forse scherzava, ma nei suoi occhi c'era la lucida follia del predicatore che grida nel deserto.

Noi, imbarazzati, non sapevamo cosa dire, cosa fare, dove guardare.
C'era davanti a noi il relitto di un uomo che aveva vissuto troppo intensamente e si era consumato fino alla pazzia, ma a volte riuscivamo a scorgere nei suoi occhi la visione di qualcosa che andava oltre l'umano.
Sapevamo che gli erano accadute molte cose, negli anni più recenti, tali da giustificare questo nostro sospetto.
Poi però lui si riscuoteva e tornava a raccontarci con dovizia di particolari le tappe del suo viaggio.

Arrivarono a Milano all'alba, Battista indicò loro il Palazzo dell'Eni, a San Donato, che si stagliava alto come la Torre di Babele, e Roberto sentì un brivido, perché prevedeva che avrebbe rivisto quella sagoma imponente per molti anni e molti viaggi, innumerevoli, di andata e ritorno in treno a Milano, quando studiò e soggiornò per cinque anni in quella città.
L'aveva promesso prima ad Ettore e poi al Visconte, e sapeva mantenere la parola data.

E poi si erano immessi nei gangli della tangenziale.
La Tangenziale di Milano era la Madre del Caos, non c'era alcun senso in quel dedalo di corsie, in quella sovrapposizione di ponti e di strade, ma sullo sfondo, all'orizzonte, c'erano le Alpi.
Non gli rimase alcun ricordo preciso di Linate, soltanto una gran fretta per arrivare in tempo, sbrigare tutte le pratiche, che erano comunque niente in confronto ad adesso, e correre tutti a prender posto sull'aereo in prima classe, quando ancora l'Alitalia aveva qualcosa che potesse essere degno di tale nome.
Per sistemare i bagagli di Aurora ci volle la forza di una decina di energumeni, ma alla fine tutto fu caricato, compresa la misera valigia di Roberto, e il suo zaino stracolmo.
Quando infine presero posto nelle otto poltrone ufficialmente prenotate, per non avere vicini nel mezzo, ebbero solo il tempo di vedere Milano e la Lombardia e poi l'Italia farsi sempre più piccole e insignificanti, e poi scomparire sotto la foschia e le nubi.
Poi il sonno e l'oblio ebbero la meglio, e si addormentarono l'uno nelle braccia dell'altra, perché questa volta era lei che aveva fatto appoggiare il capo di lui sul proprio petto, e per un momento a Roberto parve di essere tornato ancora più indietro nel tempo, e il volto di Aurora si confondeva con quello di Silvia e di Diana e di tutte le donne a cui lui aveva affidato senza riserve la propria vita.
Quando si risvegliarono, due ore dopo, la voce della cabina di pilotaggio annunciava di indossare le cinture di sicurezza, perché l'aereo stava per sbarcare ad Heatrow, l'aeroporto di Londra.