lunedì 12 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 124. Da Heathrow al Savoy

 


Londra ha il sistema aeroportuale più trafficato del mondo, con due hub di dimensioni titaniche a Heathrow e Gatwick, e altri importanti scali a Luton, Stansted e presso la City . 
Nel 1992 Heathrow incominciava ad imporsi come scalo principale, secondo la stessa logica per cui in quegli anni già si pensava, a Milano, di trasferire la maggior parte dei traffici da Linate a Malpensa.

Heathrow, lontano dal centro, aveva intorno un terreno sufficiente per espandersi, e infatti da molti anni è in programma la creazione di una terza corsia, di nuovi terminal, edifici avveniristici e di altre quattro fermate della metropolitana.
Già allora, però, le strutture e le strade interne che lo componevano erano talmente tante da farlo sembrare una città a se stante.
All'epoca il padiglione centrale non era stato ancora ampliato e ristrutturato, e dunque non aveva quell'aspetto luminoso e scintillante che ha oggi, per cui la primissima sensazione che si provava, quando si entrava sotto la sua enorme volta, era quella di vedere una stazione in stile Milano Centrale, solo più grande, più candida, più fresca (avevano già l'aria condizionata) e naturalmente più pulita.

Roberto era talmente frastornato dal viaggio e da quel caos, che si limitò a seguire Aurora come se fosse la sua ombra, mentre Battista, sfoggiando un perfetto british english, si occupava di tutte le questioni logistiche, tenendo d'occhio il faraonico carico di valigie della figlia dei suoi datori di lavoro.
Nel brevissimo tragitto tra lo scalo e il padiglione centrale, Roberto notò che era una giornata piovosa, con un gran vento che, come seppe in seguito quando Battista fece conversazione col suo quasi collega del Taxi, proveniva da est e, secondo la visione romantica del tassista, portava con sé un vago odore di acqua di mare e di fiume, dal grande estuario del Tamigi, tra l'Essex e il Kent.

Da Heathrow si dipartivano due "main roads", di cui una immetteva nella Motorway M4, mentre l'altra portava alla A4, scelta preferenziale per chi non era diretto verso la famigerata M25, ossia la tangenziale della Greater London.
La Grande Londra è una contea cerimoniale a sé stante, che ha unito la Inner London, cioè la ex Contea di Londra propriamente detta, quella all'interno della Circolare (la circonvallazione), con la Outer London, ossia i borghi circostanti, che in precedenza appartenevano alle contee confinanti del Surrey, del Berkshire, del Buckinghamshire, dell'Herfordshire, dell'Essex e del Kent.




La M25 è più o meno l'equivalente londinese del GRA romano.
La M4 viene scelta da chi vuole immettersi nella M25 o andare fuori dalla Greater London.
La A40 era, all'epoca, la corsia preferenziale per chi, da Heathrow era diretto alla Contea di Londra propriamente detta, la Inner London.
Era incredibile come il traffico fosse enorme anche d'agosto, per non parlare della giungla di autostrade i cui svincoli si intrecciavano nelle forme più strane (soltanto a Los Angeles ne esistono di più complessi).

Ci vollero due taxi, uno per Aurora e Roberto e i bagagli di lui e Battista, l'altro per lo stesso Battista e per i bagagli di Aurora.
La prima cosa che sconvolse Roberto nel momento in cui i due taxi partirono, fu la famosa questione della guida a sinistra: all'inizio si ha sempre la spiacevolissima impressione di andare contromano ed essere sul punto di schiantarsi. 
Alcuni ci si abituano, Roberto non si abituò mai.

Heathrow si trova nel borgo periferico di Hillingdon e la A40 attraversa il borgo di Hounslow, fino ad arrivare allo snodo di Hammersmith e Fulham, che permette l'ingresso nella Inner London.





Da Hammersmith si proseguiva poi per l'arteria centrale che conduceva a Kensington e Chelsea fino ad arrivare a Westminster, che attualmente è considerato il vero centro di Londra, dove hanno sede tutti i vertici politici e le principali istituzioni e fondazioni, laddove invece nell'antico centro, la City vera e propria, c'è il cuore finanziario del Regno Unito e di buona parte della finanza internazionale, con la Borsa e le sedi centrali di grandi merchant bank e assicurazioni, per non parlare di tutti gli studi legali che vi gravitano attorno.



La zona più centrale in assoluto è quella che si trova tra la linea blu e la linea giallo-verde della metropolitana, tra il Westminster Bridge e il London Bridge, cioè il collegamento tra Westminster e la City.


Attualmente si tende a considerare come attuale punto centrale di Londra la Trafalgar Square, dove, proprio mentre ora scriviamo, giganteggia l'immagine video di S.A.R. il Principe Filippo, Duca di Edimburgo, marito di Sua Maestà, deceduto il 9 aprile 2021, a Windsor, all'età di 99 anni: in giugno ne avrebbe compiuti 100, di cui 73 come marito della Regina.
Ci eravamo abituati a considerarlo immortale, come la sua ferrea consorte, per cui parlarne al passato sottolinea ancora di più quel senso del trascorrere del tempo, che travolge tutto e tutti, che è un po' il filo conduttore della nostra narrazione.

Westminster è a sua volta diviso in quartieri storici, in cui i prezzi immobiliari per compravendite e locazioni sono tra i più alti del pianeta.
Questi quartieri circondano l'area tra Buckingham Palace e St. James Palace, le due sedi ufficiali della Corona.
Belgravia, quartiere residenziale più prestigioso, "protegge" i giardini di Buckingham Palace e il loro collegamento con Hyde Park, KnightsBridge, anch'esso residenziale, si affaccia all'area sud-orientale di quelli di Kensington Palace, Mayfair, l'antica zona della "fiera di maggio", è un'area a vocazione commerciale, ora ad un livello molto elevato in termini di "brands", St.James è il quartiere diplomatico, con le grandi ambasciate, la sede del Commonweath e la residenza londinese del Principe di Galles e della Duchessa di Cornovaglia, ossia Clarence House, che il principe Carlo ha ereditato da sua nonna, Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre.




Pimlico e Victoria hanno una vocazione prevalentemente logistica, ospitando la Victoria Station e molti snodi della metropolitana. 
Millbank e Whitehall sono il cuore politico del Regno Unito, dove hanno sede il Parlamento, i Ministeri e la residenza del Primo Ministro.

Soho è la zona dei divertimenti, dei teatri, a partire da Piccadilly Circus, dei cinema, dei ristoranti tipici e dei pub.

E infine arriviamo allo Strand, il quartiere che prende il nome dall'arteria centrale del traffico londinese, che collega il Mall, a partire da Trafalgar Square, e la City.
E' la sede di grandi alberghi e palazzi, ed è considerato uno dei quartieri di maggiore lusso.
Sul viale dello Strand c'è l'ingresso del Savoy Hotel, che si estende poi fino al Tamigi.

Ed è lì che, dopo ore di traffico e in stato semi-confusionale, arrivarono Aurora e Roberto, scortati dal fedele Battista, che fu ricevuto come un re, essendo una vecchia conoscenza del personale dei Savoy, e che si mise subito a impartire ordini riguardanti i bagagli di "lady Aurora".


venerdì 9 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 123. Il 1992, l' "annus horribilis" della regina Elisabetta II


Quando Aurora e Roberto partirono per Londra, ai primi di agosto del 1992, la Regina era già a Balmoral, il suo amato castello scozzese in stile neogotico, ma era di pessimo umore, nonostante i sorrisi di circostanza del Trooping the Color, il giorno in cui si festeggia il suo compleanno.
Quello del 1992 era stato più sfarzoso del solito, poiché si celebrava anche il quarantesimo anno di regno di Sua Maestà, ma passò alla storia per un'altra ragione: fu l'ultimo a cui avrebbe partecipato anche Diana Spencer, la cui separazione dal Principe di Galles sarebbe stata ufficializzata solo a novembre, ma di cui ormai tutti parlavano da maggio, in seguito alla scandalosa biografia non autorizzata, intitolata "Diana - La sua vera storia", scritta da un tale Andrew Morton, in cui si rivelavano sia il tradimento di lei col maggiore Lewitt, suo insegnante di equitazione, sia quello di lui con la donna che mai aveva smesso di amare, Camilla Shand, ex-signora Parker-Bowles, attuale Duchessa di Cornovaglia e "de iure" anche Principessa di Galles (ma gli Inglesi non lo sanno, perché sono straordinariamente impreparati sulle regole della Corona, l'istituzione che tiene insieme il Regno Unito, sempre sull'orlo della dissoluzione finale).

Naturalmente della vicenda si discusse anche nel Salotto Liberty di Villa Orsini, dove la diciottesima Contessa di Casemurate, con in mano le solite riviste, scuoteva la testa: 
<<La cosa che mi dà più fastidio è che la Spencer  ha disonorato per sempre il mio nome di battesimo>>
Al che, la dama Consuelo le aveva rivolto uno sguardo ironico, che solo lei poteva permettersi, e Diana Orsini Paulucci si trovò costretta ad ammettere:
<<D'accordo,  anche il mio matrimonio con Ettore non è stato proprio esemplare, e ormai lo sanno anche i sassi, ma nessuno di noi due ha mai pensato nemmeno lontanamente alla separazione, figuriamoci poi al divorzio, perché è lì che la Spencer vuole arrivare, non fosse altro che per fare un dispetto al marito. 
Guarda come se la ride, nella foto, sa già di avere la gente comune dalla sua parte, e lo farà pesare, stanne certa.
Comunque, mia cara Consuelo, per quel che mi riguarda, e tutti ne sono testimoni, quando Ettore è caduto in disgrazia, io sola l'ho difeso a viso aperto, ho persino giurato il falso, in tribunale, pur di difenderlo e sapevo cosa rischiavo, ma l'ho fatto e lo rifarei ancora. 
E per quanto sembri incredibile, adesso lui mi manca. Ettore mi faceva sentire al sicuro, e poi era l'anima di questa casa e di questa terra, senza di lui tutto si sgretola...>>

La dama di compagnia, prese una mano all'anziana Contessa e per distrarla dai pensieri cupi si mise a commentare le fotografie del Trooping the Color 1992.
Indicò, nella foto, la figura a sinistra, vestita di rosso:
<<Margaret si è messa un cappello che sarebbe giudicato eccessivo persino al carnevale di Rio >>
Diana rise: 
<<Io ho una gran simpatia per Margaret. Ha sofferto tanto. E' la prova che il Sangue Reale si sta indebolendo. Dovresti dirlo al consigliere Albedo>>
Consuelo scrollò le spalle, come per far intendere che il suo lontano cugino lo sapeva benissimo e poi continuò a commentare:
<<Sua Maestà è sempre uguale, cambia solo il colore del completo, oggi è toccato al salmone, e come al solito oscura il povero Carlo, totalmente in ombra, se non fosse per le medaglie>>

Anche su questo, la Contessa aveva da dire la sua:
<<Io sto dalla parte di Carlo, cosa paradossale, considerando come mi chiamo. 
Il Principe si è trovato tra l'incudine e il martello. Da una parte una madre fredda e distante, e dall'altro una moglie totalmente, ripeto to-tal-men-te inadeguata, mentalmente instabile, narcisista, con manie di protagonismo>> e qui si fermò pensando che anche  Aurora aveva tutti quei difetti.
Poi riprese:  <<C'è da capirlo se è tornato tra le braccia di Camilla, la sua anima gemella, e la gente non sa che il loro fidanzamento fu ostacolato in tutti i modi dalla Regina Madre e dalla sua Prima Dama, lady Ruth Burke-Roche, baronessa Fermoy, nonna materna di Diana.

Pochi lo sanno, ma furono proprio la Regina Madre, Lizzie Bowes-Lyon e la sua Dama Ruth Burke-Roche, lady Fermoy a combinare il disastroso matrimonio dei loro rispettivi nipoti: Carlo e Diana si conoscevano a malapena, lei era ancora una bambina, mentalmente dico, e comunque quanti anni aveva quando si sposò, venti?
Forse questo genere di cose potevano funzionare nell'Ottocento, quando i Sassonia-Coburgo-Gotha, dal niente, divennero una potenza con ramificazioni ovunque.
Il Consigliere non ti ha raccontato niente sulla Cospirazione dei Coburgo? 

No? Be', allora sappi che Leopoldo di Sassonia-Coburgo-Gotha era il secondogenito di un duca tedesco minore, eppure sposò la figlia di Giorgio IV del Regno Unito, Carlotta, e fece sposare sua sorella Vittoria al Duca di Kent, Edoardo, e da quell'unione nacque l'ultima regina Hannover, la regina Vittoria, il cui primo nome era Alexandrina, e dai familiari era chiamata Drina. 
Quando Carlotta morì dando alla luce un bambino morto, Alexandrina Victoria divenne l'erede presuntiva, dal momento che Guglielmo IV non aveva figli.
Quando Vittoria salì al trono, nel 1837, doveva decidere con chi sposarsi, e nonostante l'infatuazione per Lord Melbourne, alla fine si innamorò perdutamente di suo cugino Albert.
Erano cugini di primo grado, la madre di lei e il padre di lui erano fratelli, tutti e due della dinastia dei Coburgo.
Lo zio Leopoldo, il terzo fratello, il grande cospiratore, dicono fosse un Rosacroce, in ogni caso divenne Re dei Belgi, dopo il 1848.

Nel frattempo Alberto e Vittoria avevano allargato di molto la famiglia: in tutto ebbero nove figli, e li fecero sposare alle famiglie di Sangue Reale o principesco di tutta Europa.
La parentela tra i sovrani fu un bene, perché per molto tempo riuscì a evitare le guerre, almeno fino a quando visse la regina Vittoria e successivamente suo figlio Edoardo VII, che fu l'artefice della riappacificazione storica tra Regno Unito e Francia.
E nel caso di Alberto e Vittoria fu un matrimonio d'amore: lui fece costruire per lei il castello di Balmoral, nelle highlands scozzesi, sul modello del maniero di Walter Scott, il quale fu in un certo senso l'inventore dello stile neogotico.





Ma adesso tutto è cambiato, non necessariamente in meglio, ed è molto più difficile combinare matrimoni, e molto più rischioso. Io ne so qualcosa.

Comunque, tornando a Carlo e Diana, la prova che le due nonne avessero già programmato tutto persino prima dalla nascita di lei, sta nel fatto che Diana è nata, a Sandringham, nel Norfolk, dove c'è il maniero di campagna in cui i Reali trascorrono il Natale o alcuni fine settimana.

Credimi,  non si nasce a Sandringham per caso! 

Il Sandringham Estate può ospitare una notevole quantità di ospiti: fu pensato e voluto proprio per questo scopo da Edoardo VII, figlio della regina Vittoria, quando era ancora Principe di Galles e amava dare festini che avrebbero fatto impallidire le cene di Eliogabalo.




Lady Fermoy e sua figlia Frances Burke-Roche, la madre di Diana, viaggiavano sempre dietro alla Regina Madre, sempre!
E' per questo che Diana nacque a Sandringham, dove la Regina Madre si era temporaneamente trasferita con gli Spencer e i Burke-Roche, nell'attesa che nascesse la bambina.
Poi Lizzie e lady Fermoy se ne andarono al Castello di Mey, all'estremo nord della Scozia, lasciando la povera Frances con tre figlie femmine, un figlio maschio e un marito infedele.




Frances aveva un ruolo secondario, infatti dopo la nascita di Diana, lady Fermoy le consentì di divorziare dal Conte Spencer di Althorp e di sposare un membro della famiglia Shand-Kidd, che per ironia della sorte era un lontano parente di Camilla.
Si imparano tante cose studiando gli alberi genealogici, i castelli e i manieri.
Mia figlia Silvia disapprova questo mio interesse, ma non capisce che molte informazioni importanti passano da qui.

C'era una logica ferrea in tutte quelle unioni: preservare il sangue puro, iniettarlo nel Sangue Reale, e quando i continui incesti finiscono, inevitabilmente, per presentare dei problemi, ecco che si sente il bisogno di cooptare nuovo sangue, forte e robusto.
L'hanno fatto tutti e i Burke-Roche in particolare, perché sono esperti in tale materia, e potenti.
Il Consigliere Albedo sa bene quanto sono potenti i baroni Fermoy, e se non fa attenzione, gli faranno le scarpe, nel Consiglio Ristretto!>>

Consuelo, che aveva parlato con Albedo di recente, e conosceva benissimo la precarietà del suo seggio in Consiglio, era determinata a sviare ogni tentativo di Diana di affrontare quell'argomento:
<<Guardi, la Regina Madre assomiglia sempre di più alla povera contessa Emilia, non trova?>>
Diana Orsini aveva esaminato la fotografia con più attenzione:
<<Le vecchiette ultra-novantenni si assomigliano un po' tutte, ma in effetti mi sembra proprio di rivedere mia madre negli ultimi anni. 
E dicono che anche la Regina Madre beva come una spugna, tanto che Sua Maestà ha vietato gli alcolici a Clarence House prima delle 18, che la vecchia Lizzie Bowes-Lyon chiama "l'ora magica". 
Di solito lady Fermoy le portava di nascosto il famoso gin che producono al castello di Mey, i cui costi di manutenzione generano ogni anno una voragine di debiti. Vedrai che dopo la morte di Lizzie lo trasformeranno in una sede per feste di  matrimonio.
Ma se ci sarà la separazione, Ruth Fermoy cadrà in disgrazia, e temo che ne morirà di dolore, dopo aver servito la Corona per una vita intera. 
Dicono che già adesso non rivolga più parola alla nipote, ma questo non basterà... vedrai che salterà fuori la storia del gin tonic e sarà la scusa per congedare la baronessa
Un bel guaio per i Burke-Roche, e scommetto che il tuo Duca di Alcazar spera di trarne vantaggio, che ne dici, mia cara?>>
Consuelo sorrideva sempre:
<<Il Duca si occupa di questioni ben più rilevanti, per le sorti del mondo
Certo, adesso dovrà cercare qualche nuova soluzione.
Forse ne avrà già parlato col principe Filippo, Duca di Edimburgo, o più probabilmente col Duca di Kent, che è il Gran Maestro della Loggia d'Inghilterra, e fa parte del Consiglio>> 
Ma Diana scosse la testa:
<<Albedo crede di sapere tutto, ma sta scherzando col fuoco.
Spero di poterlo incontrare, un giorno, per metterlo in guardia: ho ricevuto informazioni dai miei parenti di Roma. Il Consiglio non è affatto contento dei fallimenti collezionati da Albedo col suo abominevole Programma Genetico.
Sì, adesso conosco la verità e ne sono disgustata: ci sono molti modi per intendere la genetica e il suo è ripugnante.
Le tradizioni esoteriche sono una cosa seria, ma quando degenerano in giochi di potere o forme deliranti di endogamia o eugenetica, allora diventano aberrazioni e abominazioni.
E non solo io a pensarla così.

Ho ricevuto alcuni messaggi da persone molto importanti.
Gli Orsini dei rami principali, i Duchi di Gravina e i Principi di Solofra, quelli della Nobiltà Nera romana, per intenderci, si sono improvvisamente resi conto della mia esistenza. 
Non che a me interessasse più di tanto essere in contatto con loro, ma a quanto pare, avevano da dirmi alcune cose, che riguardavano Fernando Albedo.
Mi hanno messo in guardia!
E siccome sono avveduti, hanno spedito le lettere a Villa Spreti, dove scorrono placidamente le acque della Serachieda e dove il personale non legge preventivamente la posta, come invece succede qui, e non dovrebbe succedere affatto...






Purtroppo i principi non sapevano che la Villa è in fase di restauro e che mia figlia e il marito alloggiano altrove.
C'è un mortorio da quelle parti, senza di loro... tranne l'allegro scorrere delle acque della Serachieda: è un ruscello ameno, nonostante questo nome insulso, e alla fine confluisce nel Bevano, che "beve" le acque di tutta la nostra bella Contea, "tra i monti e il mare".
Roberto mi recitava una filastrocca, da bambino, ma poi ho scoperto che era una cosa seria, di un autore serio:
"Gil-Galad sugli Elfi solea regnare, / quando i giorni eran giovani e belli / ora tristi cantano i menestrelli / del suo regno perduto tra i monti e il mare", così iniziava il poema La caduta di Gil-Galad, rimasto incompiuto, come tante altre opere di Tolkien.
Naturalmente in inglese suonava diverso, ma la traduzione italiana, la prima, la "mitica stesura" di Vittoria Aliata e Quirino Principe, seppe rendere magnificamente il linguaggio di quell'autore.
Gil-Galad, ultimo re dei Noldor, cadde nella battaglia di Dagorlad, ucciso da Sauron dopo avergli lanciato una freccia che penetrò la corazza del Signore Oscuro. 
Ho letto il romanzo sai? E l'ho fatto molto prima che uscisse il film.




Gli sarebbe piaciuta la mia Contea, a Tolkien dico, non a Gil-Galad, gli elfi sono più raffinati di noi mortali. 
Perdonami se sto divagando, ma succede, sai, Consuelo, dopo una certa età.
Per esempio: sapevi che la Serachieda fa da confine tra la provincia di Forlì e quella di Ravenna?
No, infatti non lo sa più nessuno, la geografia non si studia più, un posto vale l'altro, ho visto gente che pianta dei banani in giardino. 
A volte mi chiedo se sono vissuta troppo a lungo, comunque, tornando alla questione delle lettere...

I Marchesi Spreti adesso sono a Ravenna, e considerando che il restauro della torretta va per le lunghe, credo che per un po' di tempo non torneranno da queste parti.
Però la posta è stata recapitata a mia figlia Margherita che mi ha letto fatto vedere quei messaggi, prima di distruggerli: erano molto interessanti, e in alcuni di loro si parla persino dei Burke-Roche, gli antenati materni di Lady D.
Una curiosa coincidenza, non trovi?
I Burke-Roche cadono in disgrazia e scrivono ai principi Orsini di Solofra e Gravina, con i quali, ufficialmente non dovrebbero avere niente a che fare, e i Principi scrivono a me, ultima tra gli ultimi, nelle tante ramificazioni della dinastia Orsini.
E hanno anche l'accortezza di spedire le lettere a mio genero il Marchese Spreti di Serachieda, consigliandogli di disfarsene dopo avermele fatte leggere.

E così i miei sospetti hanno avuto conferma.
L'Ordine degli Iniziati non è soltanto una confederazione di culti esoterici, ma persegue altri obiettivi.
Come sai, io ho rispetto per le tradizioni esoteriche, specialmente quelle di impronta gnostica, e infatti mi considero un'eretica, ma esiste un limite per tutte le cose, e stando a ciò che mi è stato riferito, alcuni consiglieri si sono spinti troppo oltre.
Gli equilibri nel Consiglio Ristretto sono molto più precari di quanto lo stesso Albedo possa credere.
Il Programma Genetico deve essere chiuso una volta per tutte! Questa vergogna è durata anche troppo, e ne abbiamo pagato tutti le conseguenze sulla nostra pelle e tu sai a cosa mi riferisco!
Diglielo pure, io non ho paura, ho ricevuto alcune garanzie da parte di persone che denuncerebbero subito il Consigliere se dovesse succedere qualcosa a me o alla mia famiglia.
I principi Orsini di Roma appoggeranno i Fermoy, nella prossima riunione del Consiglio.
Di' ad Albedo che il suo rivale, George Burke-Roche è pronto a tutto, e può farlo impunemente, dato che tutti credono che sia morto tempo fa.
Ha una pronipote, lady Jessica, è solo una bambina, ma un giorno, chissà... dicono che dopo la caduta in disgrazia degli Spencer, la famiglia Burke-Roche punti tutto su Jessica.
Dovrei dirlo anche a Lorenzo, lui seleziona i suoi potenziali studenti fin da quando sono in fasce>>
Aveva parlato con ironia e compostezza, ma dentro di sé continuava a prevalere un senso di allarme, unito alla consapevolezza di avere ormai troppi anni sulle spalle per riuscire a proteggere la sua famiglia da pericoli tanto gravi.




Quando era venuta a conoscenza di tutta la verità, le era quasi venuto un malore.
Gli Albedo di Spagna avevano avviato da tempo il Programma, e tra gli altri, avevano scelto anche i suoi genitori e i suoi discendenti come cavie, la sua stessa vita era stata programmata, pur facendo sembrare il suo concepimento un "incidente" riparato poi con un matrimonio.
E nessuno si è accorto di nulla!
Doveva fare qualcosa, ma cosa poteva fare, da sola contro il mondo intero, alla sua età?
Si sentiva così stanca, tremendamente stanca...
Di quanti fardelli devo ancora farmi carico? Non ho forse dato abbastanza, amato abbastanza, pagato abbastanza, sacrificato abbastanza?
No.
Per sua figlia Silvia, caratterialmente la più difficile, ma senza dubbio la più intelligente, la risposta era no.
Avevano litigato pesantemente, nei giorni successivi a quella maledetta cena dell'1 luglio con i Visconti-Ordelaffi di Bertinoro, da cui era emersa una situazione molto più allarmante del previsto.
Diana ne attribuiva la responsabilità a Lorenzo, la vera Eminenza Grigia che governava tutti i clan a loro insaputa.
Silvia, invece, dava la colpa di tutto sia ad Aurora, che sembrava essere diventata la nuova Salomè, sia alla stessa Diana, per aver esercitato troppa influenza su Roberto, e per essersi fidata troppo degli Albedo, in particolare "di quella spia di Consuelo".
In un momento di esasperazione, Silvia aveva avuto un cedimento emotivo, durante il quale tutto ciò che si era tenuta dentro per una vita era venuto fuori moltiplicato per mille, ed erano volate parole grosse, gravi, pesanti come pietre, cosa di cui in seguito si sarebbe pentita:

<<Tu pensi di poter educare mio figlio meglio di quanto potrei farlo io
Non provare a negarlo, è evidente a tutti. E' facile fare la nonna anticonformista quando poi a risolvere i problemi devo pensarci io. 
Gli hai messo in testa tutte le tue ossessioni, le tue manie di grandezza, le famiglie reali, i castelli, i palazzi, il farti chiamare "Vostra Grazia" come se fossi la Duchessa d'Alba o se stessimo recitando il Riccardo III di Shakespeare! E poi, però vuoi fare la trasgressiva, gli metti i preservativi nello zaino senza dirmi niente, gli comunichi la tua insofferenza verso le "convenzioni borghesi", gli inoculi il virus delle tue idee eretiche nelle questioni religiose, per non parlare dei tuoi atteggiamenti teatrali, della tua malinconia ostentata, del tuo pessimismo radicale alla Leopardi: ma non lo capisci che sono tutti esempi sbagliati?
Ma la cosa peggiore è che così facendo fai apparire me come una madre pedante, priva di fantasia e di sogni, che interrompe le emozioni, che fissa dei limiti, che impone divieti, che insiste con lo stare con i piedi per terra. Insomma critichi implicitamente tutta la mia strategia educativa.

Ma quando era il tuo turno, quando avresti dovuto prenderti cura delle tue figlie, te ne stavi rintanata nella tua stanza, a letto per settimane intere, con la scusa dell'emicrania o della depressione, e noi eravamo lasciate a noi stesse, a farci coraggio l'una con l'altra, mentre Ida Braghiri ci prendeva a schiaffi ogni volta che non le obbedivamo. 
Tu non sai niente di cosa voglia dire essere un genitore. E allora te lo spiego io!

Un genitore è come un albero, pieno di rami, foglie e frutti, e il figlio prima si mangia i frutti, poi si prende le foglie, poi spezza i rami, poi taglia il tronco, un po' alla volta, e alla fine, quando rimane solo il ceppo, il figlio ci si siede sopra. Punto.
Questo vuol dire essere genitori!
E' un atto di suprema, totale, assoluta dedizione nei confronti della nuova vita che abbiamo generato.>>



Diana, sconvolta più che altro dalla rabbia con cui Silvia l'aveva accusata, aveva risposto con altrettanta durezza:
<<Tutta la mia vita... sì, io ho dato tutta la mia vita per questa famiglia e continuerò a farlo fino al mio ultimo respiro!
Ho sacrificato tutto per voi!
Tu ricordi solo i miei momenti di debolezza e dimentichi tutto il resto.
E così facendo ti siedi sul ceppo dell'albero da te evocato come modello e credimi, del mio albero ormai resta ben poco, oltre alle radici.

Tu esalti sempre tuo padre, ma se hai studiato è perché io mi sono battuta con le unghie e con i denti, perché Ettore non voleva che tu andassi all'università, perché sei una donna e al massimo, secondo lui, potevi fare la maestra, come sua madre, ma non di più.
Sono stata io a convincerlo a farti studiare fino alla laurea!
Tu accusi me di non averti protetto da Ida Braghiri, ma dimentichi che lei dipendeva da tuo padre, non da me: io non contavo niente in casa, era Ettore il padrone, e solo lui aveva il potere di fermare quella donna, e non l'ha fatto, permettendole non solo di molestare voi, ma di mandare in rovina tutto ciò per cui io ho sacrificato la mia esistenza.
Potrei fare altri mille esempi, ma credo che tu te li ricordi benissimo anche da sola e se non te li ricordi allora non vale neanche la pena parlarne.

Ma c'è un'altra cosa di cui invece dobbiamo parlare, visto che secondo te sarebbe solo "una scusa", e cioè la depressione.
Tu ne parli senza sapere cos'è, come ci si sente angosciati e disperati, privi di speranze, incapaci di fare anche il minimo sforzo fisico: tu che ne sai di tutto questo?
Niente! Non sai niente e quindi non puoi capire, e non hai il diritto di giudicare!
Ma la cosa più tragica ora è un'altra e cioè il fatto che Roberto sia predisposto a questa malattia, è fragile, vulnerabile, questo lo sai, ma non è colpa dei miei cattivi esempi, come li chiami tu.
La scienza ci dice che la depressione è una malattia del sistema nervoso e che la predisposizione a contrarla si trasmette geneticamente, anche saltando una generazione.
Tu sei una "portatrice sana", come spesso succede nelle malattie ereditarie.
Io l'ho ereditata da mia madre, ma sono stata più fortunata di lei, perché a un certo punto ho potuto curarmi con i farmaci, lei invece trovava rifugio nell'alcol e per qualche miracolo, il suo fegato ha retto.
Nella tua generazione è toccata a Isabella.

Il principio dell'ereditarietà, questo è il motivo per cui mi opponevo al tuo matrimonio con Francesco.
Il gene della depressione c'è anche nei Monterovere, per questo le due linee di discendenza non dovevano convergere.

Certo, negli Anni Settanta era ancora un argomento tabù, ma io mi ero documentata.
Lo sai perché Anita Monterovere mi detesta? 
Perché io ho capito subito che anche lei soffriva di depressione e le ho chiesto quanti altri casi c'erano stati, in famiglia. 
Lei non me l'ha voluto dire, ma poi alla fine sono saltati fuori tutti i vari cugini di tuo marito che hanno tentato il suicidio o che sono finiti nelle cliniche psichiatriche storditi dai farmaci.
Anita vede la depressione come un disonore, mostrando così di avere una concezione molto superficiale di ciò che significa la parola "onore".
Io almeno ho il coraggio di parlare apertamente di ciò che sono, perché non c'è motivo di vergogna nell'essere malati per qualcosa che non dipende dalla nostra volontà.
Io sono sincera, esprimo una testimonianza di vita vissuta, sono una persona che ha avuto l'umiltà di fermarsi prima di andarsi a schiantare o di fare del male agli altri.
Questo è tutto l'onore che ho mai avuto, e questo è il mio ricordo, che si ferma ad un confine e non lo supera!

C'è stato un periodo di tregua, in cui credevo che il peggio fosse passato.
Poi una sera venne Lorenzo, sì, sempre lui... "ubiquo ai casi e onnipresente sugli affari tenebrosi"e stette a parlare con Ettore per due ore di fila.
Non ho mai saputo che cosa si dissero, ma tuo padre improvvisamente divenne favorevole al tuo matrimonio con Francesco.
E questo successe prima di stipulare un accordo con l'azienda dei Fratelli Monterovere.
L'accordo economico-politico, da solo, non sarebbe bastato: Ettore non aveva alcuna simpatia per loro, eppure quella sera cambiò tutto.
Ricordo la faccia di Lorenzo come se fosse ieri: era rosso per l'emozione e sembrava un gatto che ha appena mangiato il canarino.
Poi sempre lui mi ha portato in casa la famiglia Albedo, ottime persone, certo, ma dopo un po' salta fuori la storia di quel loro parente spagnolo che è sempre tanto generoso, quanto ficcanaso! Sempre pronto a metter becco dappertutto negli affari nostri.
E alla fine, quest'anno, la verità che sospettavo da tempo è saltata fuori.

E tu dai la colpa a me?
Quel povero ragazzo per loro è soltanto una cavia, una delle tante, come anche Aurora... io faccio quel che posso per dargli un minimo di sicurezza, di serenità, di sogni, e tu vieni qui ad accusarmi di dargli cattivi esempi?
Tu, che non ti sei mai accorta di quello che stava succedendo sotto il tuo naso?
Accusi me di manie di grandezza, ma eri tu che andavi in giro a sbandierare le pagelle coi nove e i dieci, attirandoti l'invidia di mezzo mondo, e non ti accorgevi che lui aveva bisogno anche di altro, oltre alla tua pedante grammatica latina!
Io almeno gli ho dato qualcosa in cui credere, ideali più elevati, una capacità di vedere le cose in una prospettiva di lungo periodo, generazione dopo generazione, nello scorrere del tempo.
Certo, ai tuoi occhi io sono un'eretica, ed è vero, ma non mi si può accusare di materialismo, perché anche gli eretici hanno una loro spiritualità.
In sintesi, io gli ho offerto una visione del mondo che giustificasse e nobilitasse e nel contempo nascondesse l'assoluta arbitrarietà di un'incrocio tra linee genetiche che non si sarebbero mai dovute incontrare!

Adesso capisci, Silvia? 
Capisci cosa intendevo dire quando parlavo di "vite quasi parallele"?
Vite che non si sarebbero mai dovute incrociare, e invece, nella più o meno assoluta inconsapevolezza delle manovre altrui, queste vite ne hanno generate altre in rotta di collisione tra loro, innescando un processo che, se non viene fermato, porterà ad una deflagrazione.

Io stessa sono nata da una di queste... non so nemmeno come chiamarle... unioni programmate?
Per la gente come Albedo siamo come cani o cavalli con il pedigree. Niente di più.
Lui si diverte a fare incroci, come se fosse un allevatore, o Mendel con le piante dei piselli.
E il Consigliere non è il solo a portare avanti quello che loro chiamano "il grande disegno".
Da quante generazioni va avanti questa storia?
E chi è che manovra i fili, dietro di noi, mentre noi ci illudiamo di compiere scelte consapevoli?
Possibile che prima di generare una vita umana, nessuno di noi si sia mai chiesto che cosa stava facendo?

Ecco, questa è l'unica colpa che riconosco di avere, e cioè di aver dato per scontato che il fatto di mettere al mondo una vita sia sempre una cosa buona.
Un tempo lo credevo anch'io, poi, dopo che metà della mia famiglia è stata distrutta, dopo grandi sofferenze, ho studiato le eresie dei Catari, degli Gnostici, dei Manichei, e mi è venuto qualche dubbio.
Le scoperte della genetica hanno confermato questi dubbi.
Tu dici che procreare è un atto di dedizione e altruismo, ma più ci penso e più mi convinco che sia invece, da parte di tutti, un atto di supremo egoismo e narcisismo e presunzione e prevaricazione, consumato nel piacere carnale, desiderato per rendere completi se stessi, voluto per continuare la nostra stirpe, educato per far crescere una persona in base ai nostri valori, offerto per dare il nostro contributo alla crescita del genere umano, come se tutti i miliardi di persone che già ci sono non fossero abbastanza.
E tutto questo senza renderci conto di aver scagliato un'anima innocente in un mondo senza pietà.>>




Silvia era rimasta ammutolita.
Diana aveva dato poi l'affondo finale:
<<E dunque è di questo che ti chiedo scusa, e cioè di averti messa al mondo>>

Nessuna delle due tornò mai sull'argomento, facendo finta che quello scambio di accuse non fosse mai accaduto, ma nessuna delle due riuscì mai a dimenticare le parole che erano state dette quel giorno.
Solo trent'anni dopo, quando ormai Diana non c'era più e Silvia si era sentita recriminare dal figlio cose molto simili a quelle che lei aveva recriminato a sua madre, si rese conto che, nonostante tutte le sue stranezze e le sue idee eretiche, Diana aveva ragione, e che tutto si riduceva sempre a quell'interrogativo, quell'eterno dilemma dell'esistenza.

Sì perché in fondo Shakespeare non si era inventato niente di nuovo, e la questione non era tanto "essere o non essere", perché ormai, se sei in gioco, non è poi così facile tirarsi indietro.
La vera questione è procreare o non procreare. Questo è il dilemma.

Certo, noi per primi lo riconosciamo: avere Roberto come figlio doveva essere stato un incubo, per Silvia, anche se non riusciamo esattamente a determinare come e quando quell'incubo si era palesato, perché, in fondo, prima che entrasse in scena Aurora Visconti, le cose tutto sommato erano andate abbastanza bene.
Roberto era stato un bambino felice e un bravo ragazzo prima di conoscere l'ereditiera della stirpe Visconti-Ordelaffi.

Quindi, sostanzialmente, possiamo dire che l'incubo iniziò nel 1992, nell'Anno della Falsa Primavera e della Folle Estate, e da quel momento non c'era stato più un attimo di tregua.

"Annus horribilis", lo aveva definito la regina Elisabetta, dopo che tre dei suoi figli si erano separati uno dietro l'altro e persino un'ala del Castello di Windsor era andata a fuoco.
L'Inghilterra, sempre l'Inghilterra!
E Londra, perché sotto l'epidermide della storia, pulsano le vene di Londra...
In un certo senso, Londra aveva ereditato ciò che un tempo era stato peculiare di tre città molto diverse tra loro: Atene, Roma e Gerusalemme, fondendo insieme queste tradizioni in un impasto nuovo, originale, e carico di storia.

Se c'era un'origine del male, per Roberto Monterovere e la sua famiglia, andava ricercata proprio lì, in quella specie di viaggio di nozze intrapreso con una diciassettenne bellissima, ma fuori di testa, con l'insolenza spudorata di chi si sente in diritto di fare ciò che gli pare e far pagare il conto agli altri, per poi infine avere anche il coraggio di lamentarsi e atteggiarsi a vittima!
Avremmo voluto dire a Roberto tutte queste cose, mentre lui a ruota libera raccontava gli eventi di quell'estate con un'intollerabile dose di vittimismo.
Ma il narratore non deve lasciarsi coinvolgere troppo nelle emozioni dei suoi personaggi, e deve limitarsi ad essere testimone trasparente e cronista fedele.

La prima parte del viaggio la fecero in auto, fino a Milano Linate. 
C'erano ben due automobili: una era la BMW guidata da Battista, con dentro Aurora e Roberto, mentre l'altra era un'Audi Station Wagon, completamente piena di valige, tutte di lei, ovviamente.
Roberto stava per compiere il primo viaggio in aereo, ma non diede particolare importanza a questo fatto: ormai era completamente preso da Aurora, era "ebbro di lei", se ci consentite questa metafora.

Naturalmente, la tenuta da viaggio della giovane Visconti era accuratamente studiata e ormai il suo "fidanzatino" poteva leggere, nel look da lei scelto, tutta una serie di sottintesi, messaggi, programmi, e addirittura proclami.
Era agosto, per cui ci si sarebbe aspettati un look totalmente estivo, e invece no.
<<Ci sarà l'aria condizionata sia in macchina che in aereo, per cui non è necessario vestirsi come se si andasse in spiaggia>> aveva ammonito severamente Aurora, dalle rosee dita.
Inoltre c'erano stati dei temporali, per cui l'aria era più fresca anche fuori, e bisognava anche tener conto che sarebbero arrivati in aeroporto alla mattina abbastanza presto.
Questa era dunque la premessa, ma per quanto riguardava il resto Aurora voleva, come al solito, creare un effetto sorpresa, perché lei amava stupire, specchiare se stessa negli occhi degli altri, perché, come si suol dire, la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Ma prima descriviamo l'outfit, cioè l'abbinamento complessivo dei vari capi e accessori.
Non ci è dato conoscere la biancheria, per cui partiamo dalla camicia bianca di cotone con colletto grande, ampio, lungo e appuntito, stile Anni Settanta, e polsini lunghi e slacciati. 
Ma la vera sorpresa, l'ultima cosa che ci si sarebbe potuti immaginare, era la scelta di una salopette azzurra di jeans, che racchiudeva il suo corpo dalle spalle ai piedi.
Aurora non amava particolarmente il denim, però, considerando che ogni altro tipo di tessuto si sarebbe spiegazzato durante un viaggio così lungo, la scelta del jeans aveva un senso razionale, più che estetico.

Ciò che invece, agli occhi di qualcuno che non conoscesse Aurora, sarebbe sembrato totalmente privo di senso era proprio la scelta della salopette e anche della sua conformazione.
Si tratta di un pezzo unico, un po' come la tuta da sci, di cui condivide sia i vantaggi che gli svantaggi.
Ovviamente d'agosto i suoi vantaggi sono uguali a zero, mentre gli svantaggi sono facilmente intuibili, e infatti, normalmente, per ovviare a questi svantaggi si cerca di creare una cerniera a zip sul davanti che arrivi fino al bacino, per facilitare il momento in cui si rendeva necessario fuoriuscire, almeno in parte, dalla salopette.
Ma come ci si poteva aspettare, conoscendo la mente contorta di lei, la zip mancava del tutto nel capo scelto da Aurora, sia davanti che dietro.
Anzi, quella salopette sembrava creata apposta per non essere facile da togliere: anzi, sembrava che a progettarla fosse stato il Grande Houdinì redivivo.
Non aveva cerniera, come abbiamo detto, né davanti, né di dietro: era concepita quasi come un'armatura che le avvolgeva i seni, il busto, il bacino e le gambe, dove il jeans si allargava progressivamente dai polpacci alla caviglia, anche qui con un chiaro stile Anni Settanta. Le bretelle erano strette ma resistentissime e molto corte, in modo da avere una maggiore forza traente.. 
Per sottolineare il punto vita c'era una cintura, sempre in denim, che si allacciava dietro, con un nodo complicatissimo che avrebbe fatto sembrare un'inezia quello gordiano.
Nel retro tutta la chiusura sulla schiena era a bottoni manuali (non a clip, ovviamente, perché tutto doveva essere il più complicato possibile, per cui, per liberarsi da quella corazza ci sarebbe voluta almeno un'ora.




Le scarpe a stivaletto nero con tacchi erano poi masochismo puro e semplice.
A parziale discolpa di Aurora, dobbiamo dire che però questa sorta di armatura azzurra, esteticamente aveva un suo fascino: le attribuiva, per via indiretta, e considerando il suo fisico, l'aspetto di una Valchiria, il che era insospettabilmente erotico.

Ma Roberto sapeva che la sua Valchiria personale aveva indossato quell'armatura come protezione dalla "sporcizia del mondo intero".
Era anche un modo per ribadire fermamente la sua fobia dei bagni pubblici. Ormai il suo corpo e le sue funzioni erano stati come programmati fin dall'inizio in un certo modo e lei sembrava essere sempre perfettamente a suo agio, come del resto era sempre successo anche nelle gite scolastiche.

In quelle gite, Aurora aveva sempre evitato come la peste gli autogrill: Roberto lo sapeva, perché quello era un momento in cui tutti i suoi compagni facevano a turno a corteggiarla.
Era una scena quasi comica, perché l'occasione di starle a fianco in pullman era rarissima e durava al massimo il tempo della fermata, prima che la sua amica tornasse, per cui quegli idioti di corteggiatori non sapevano se andare in autogrill prima di "intortarsela", come si diceva all'epoca, oppure dopo.
Roberto aveva sempre deriso, anche se non apertamente, quei rozzi personaggi, che alla fine battevano tutti in ritirata quando si capiva che se non si spicciavano il pullman sarebbe ripartito e loro sarebbero rimasti cornuti e mazziati, senza aver ottenuto niente da lei, e senza aver visitato il bagno.

Però poi c'era stato, in una di quelle gite, da parte di Aurora, un comportamento paradossale, che Roberto aveva completamente frainteso e che capì solo ex post.
Si trattava di una cosa che lei gli aveva detto, e che, nelle intenzioni di lei, doveva essere una grande manifestazione di fiducia e di intimità, mentre a lui sembrò una mancanza di rispetto, come se lei lo stimasse talmente poco da parlare di cose che, anche a nostro parere, non si dovrebbero mai dire a una persona con cui si vuol creare un contesto romantico.
Eravamo quindi incerti se riferire o meno quell'episodio, perché, come già successo in altri analoghi casi, ci troviamo in difficoltà a dover, anche solo di sfuggita, accennare a certi particolari che consideriamo un po' degradanti e che quasi sempre preferiamo omettere, ma purtroppo ci sono alcuni casi in cui siamo costretti, obtorto collo, ad essere più specifici, perché altrimenti non sapremmo come spiegare uno dei motivi più importanti che condussero, tre anni dopo, a un senso di crescente e logorante disagio ed esasperazione da parte di Roberto riguardo agli elementi malsani e destabilizzanti della personalità di Aurora, che lui non sapeva proprio come gestire.
Abbiamo giurato di essere testimoni trasparenti e cronisti fedeli delle vicissitudini di questi personaggi, e dunque ecco cosa accadde.

Era successo un anno prima, in una gita a Lucca, mentre lui sedeva nei pressi delle splendide mura della città, integralmente conservate, lei gli si sedette accanto, cosa che ovviamente gli fece piacere, visto che era quello che tutti desideravano, però poi lei invece di dirgli qualcosa di gentile, si peritò di fargli sapere, con aria soddisfatta, divertita e complice, che, testuali parole, "Mi scappa una pipì pazzesca". 
Lui c'era rimasto male: aveva sorriso, per cortesia, come se lei avesse fatto una battuta autoironica, però aveva pensato "e con tutte le cose carine che potevi dirmi, non hai trovato niente di meglio?" e si sentì preso in giro. Per ironia della sorte, in quel momento lui si trovava nella stessa situazione di lei, perché i bar del centro in cui si erano fermati erano piccoli e il bagno era riservato al personale.
Questo fatto rafforzò la sua irritazione e l'idea che lei avesse in qualche modo spiato e studiato i suoi movimenti per poi poterlo deridere con cognizione di causa.
Alla fine si limitò a dirle, seccamente, "anche a me", e lei per un attimo lo guardò come se avesse deto una cosa straordinariamente romantica, quasi una dichiarazione d'amore, e lui si convinse che era sicuramente uno scherzo di cattivo gusto, poi in quel momento la prof. richiamò tutti verso il pullman per iniziare il viaggio di ritorno e l'argomento fu chiuso.





Roberto si era così irritato e offeso che alla fine aveva rimosso completamente quel ricordo, che gli riaffiorò alla coscienza proprio quando, a distanza di un anno dalla gita in questione, erano diretti a Milano per poi volare a Londra.
E il recupero del ricordo, almeno stando alla teoria freudiana dei meccanismi di difesa dell'Io, era riemerso quando il suo Io non si sentiva più minacciato: ora che conosceva i veri sentimenti di lei nei suoi confronti, e che aveva appreso tutte le sue fobie e l'effetto paradossale che col tempo avevano provocato, ossia un capovolgimento masochistico del dolore in piacere, capì che quel giorno a Lucca lei aveva scelto di condividere con lui un suo momento di vera e propria eccitazione erotica.
Certo, era stata una cosa totalmente irrazionale da parte sua, ma forse, nel suo immaginario distorto, era stato un tentativo di sondare il terreno, di valutare il tipo di reazione, e di capire poi come avrebbe dovuto correggere il tiro. 
E adesso che Aurora gli aveva confessato tutto, compresa la sua abitudine di spiare i suoi movimenti, cosa facile, perché lui era abitudinario e con la testa tra le nuvole, tutto divenne chiaro: nella sua ottica di masochismo conclamato c'era anche una piccola vena di sadismo, ma non per umiliare, cosa deplorevole che Roberto non le avrebbe mai perdonato, ma per coinvolgere, per partecipare a un gioco, per quanto totalmente assurdo e potenzialmente dannoso.
Fino a quel momento l'unica persona che lei aveva potuto coinvolgere era quel pervertito di suo cugino.
Insomma, per dirla tutta, Aurora era stanca di dover condividere i suoi rituali erotici con Felix Porcu, aggiungendo alla parafilia una coloritura vagamente incestuosa.
Finalmente ogni tassello del mosaico era andato al suo posto e Roberto aveva capito ciò che lei, quella famosa sera del cinema, non aveva avuto il coraggio di dire fino in fondo, per paura che si ripetesse ciò che era successo a Lucca.
E il rischio c'era, per quanto ormai, già allora, lui fosse così innamorato che si sarebbe messo a camminare a quattro zampe per tutto il Corso della Repubblica, se lei glielo avesse chiesto.
Ed ora che tutto questo gli era divenuto chiaro, Roberto provò uno strano senso di tenerezza nei confronti di dei, della sua ingenuità. della sua solitudine, della sua ricerca di comprensione e condivisione e si sentì come in dovere di proteggere quella ragazza che dietro alla sua bellezza nascondeva tanta fragilità e tanti paradossi.
Questa sorta di illuminazione, dovuta alla riflessione sulla salopette e sul fatto che la BMW sfrecciava sull'A1 senza fermarsi mai, si tradusse subito in una volontà di manifestarle il proprio affetto.
Le mise un braccio sulle spalle, stringendola a sé, e lei, sorridendo dolcemente, appoggiò il proprio capo sul petto di lui, che per la prima volta manifestava un forte istinto protettivo, come se avesse tra le mani un gattino abbandonato, che aveva bisogno di essere accudito con affetto.
Roberto è sempre stato molto chiaro su questo discorso, nei suoi resoconti: certo, in quel momento c'era una grande attrazione fisica e un'esaltazione dei sensi, come era naturale, ma l'elemento che lui ricordava con più nostalgia era la tenerezza, unita al senso di responsabilità che lui sentiva di avere nei confronti di lei, ossia di non approfittare mai della sua fragilità, ma farle sentire che lui era partecipe, e che in quel momento sentiva che loro due erano diventati una cosa sola, e condividevano tutto, in un abbraccio che avrebbe voluto essere eterno.

Se mai al mondo esiste qualcosa di simile alla felicità, allora era quella, in quel preciso istante. 
Sì era quella, la Felicità, era quello il Momento, il loro momento di gioia allo stato puro, e non sarebbe tornato mai più così puro e dolce e meraviglioso.

In fondo Roberto aveva sempre cercato la tenerezza, prima di ogni altra cosa, e più di ogni altra cosa, nelle donne amava e che lo avevano amato. 
Quando ripensava a questo, i suoi occhi sembravano guardare lontano nel tempo, all'indietro, regredendo sempre più nei ricordi, e osservando i volti, prima che il tempo li segnasse per sempre.
Ricordava com'era sua madre quando lui aveva al massimo due anni, ed ecco che gli appariva il volto di Silvia, così solare e dolce e spontanea negli Anni Settanta, così diversa dalla donna severa che era diventata in seguito, a causa dei colpi del destino, e naturalmente il volto di Diana, che aveva riversato sul nipote più giovane tutto l'amore che non stata in grado di trasmettere prima al marito o alle figlie, o ai nipoti più grandi, quando la vita era ancora troppo dura per abbassare la guardia e concedersi il lusso della tenerezza.
E poi veniva il volto di Aurora, così incantevole da fargli mancare il respiro, al solo ricordo.
Ci furono poi altre donne e altre storie, molto importanti, ma non vogliamo precorrere gli eventi.
"Sono stato molto amato" ci disse Roberto, quando parlammo di quel viaggio a Londra e dei pensieri che lo avevano lambito, anche in riferimento a come erano cambiati i rapporti interni alla sua famiglia.
Quel giorno seppe con sicurezza che Aurora, pur nella sua maniera stravagante, lo amava davvero, ed era ingiusto da parte sua continuare a dubitarne. Non era da lei che sarebbe venuto il pericolo. Lei ne fu vittima prima di lui e più di lui, lasciando nella mia vita di Roberto, per alcuni anni, un grande vuoto. 
Forse è il prezzo che si deve pagare, quando si è ricevuto troppo, e l'eccesso deve essere restituito.

E dopo averci reso partecipi della bellezza e dell'amore di Aurora, la Valchiria in salopette, Roberto, come tutti coloro che hanno superato una certa età senza aver salvato quasi niente di tutto ciò che gli era stato concesso, si lasciava andare al suo delirio pseudoreligioso, riguardante la rovina del mondo causata dall'i-Phone e l'imminente inizio del Regno Millenario.
Inizialmente la cosa ci divertiva, anche se non riuscivamo proprio a cogliere il nesso, ma poi lui un giorno chiarì:
"Se Aurora avesse avuto, trent'anni fa, a disposizione la potenza dei social network, avrebbe dato lezione di stile a tutti! Ah, che splendida influencer sarebbe stata! 
E invece questo ruolo è andato a donne dai gusti pacchiani, macchine da soldi totalmente prive di stile, che per una serie di combinazioni casuali si sono trovate al posto giusto, nel momento giusto, ma per fare la cosa sbagliata, e cioè imporre a quegli innocenti nati dopo il 2000 l'abominio della moda skinny, i leggins, i risvoltini... 
Le maggiori influencer e i loro lacchè, non hanno forse reso il mondo un posto più brutto?
I loro capi skinny, i leggins e risvoltini, non sono forse il segno dei tempi? 
Non sono una prova evidente del fatto che il Giorno del Giudizio si sta avvicinando?"
Forse scherzava, ma nei suoi occhi c'era la lucida follia del predicatore che grida nel deserto.

Noi, imbarazzati, non sapevamo cosa dire, cosa fare, dove guardare.
C'era davanti a noi il relitto di un uomo che aveva vissuto troppo intensamente e si era consumato fino alla pazzia, ma a volte riuscivamo a scorgere nei suoi occhi la visione di qualcosa che andava oltre l'umano.
Sapevamo che gli erano accadute molte cose, negli anni più recenti, tali da giustificare questo nostro sospetto.
Poi però lui si riscuoteva e tornava a raccontarci con dovizia di particolari le tappe del suo viaggio.

Arrivarono a Milano all'alba, Battista indicò loro il Palazzo dell'Eni, a San Donato, che si stagliava alto come la Torre di Babele, e Roberto sentì un brivido, perché prevedeva che avrebbe rivisto quella sagoma imponente per molti anni e molti viaggi, innumerevoli, di andata e ritorno in treno a Milano, quando studiò e soggiornò per cinque anni in quella città.
L'aveva promesso prima ad Ettore e poi al Visconte, e sapeva mantenere la parola data.

E poi si erano immessi nei gangli della tangenziale.
La Tangenziale di Milano era la Madre del Caos, non c'era alcun senso in quel dedalo di corsie, in quella sovrapposizione di ponti e di strade, ma sullo sfondo, all'orizzonte, c'erano le Alpi.
Non gli rimase alcun ricordo preciso di Linate, soltanto una gran fretta per arrivare in tempo, sbrigare tutte le pratiche, che erano comunque niente in confronto ad adesso, e correre tutti a prender posto sull'aereo in prima classe, quando ancora l'Alitalia aveva qualcosa che potesse essere degno di tale nome.
Per sistemare i bagagli di Aurora ci volle la forza di una decina di energumeni, ma alla fine tutto fu caricato, compresa la misera valigia di Roberto, e il suo zaino stracolmo.
Quando infine presero posto nelle otto poltrone ufficialmente prenotate, per non avere vicini nel mezzo, ebbero solo il tempo di vedere Milano e la Lombardia e poi l'Italia farsi sempre più piccole e insignificanti, e poi scomparire sotto la foschia e le nubi.
Poi il sonno e l'oblio ebbero la meglio, e si addormentarono l'uno nelle braccia dell'altra, perché questa volta era lei che aveva fatto appoggiare il capo di lui sul proprio petto, e per un momento a Roberto parve di essere tornato ancora più indietro nel tempo, e il volto di Aurora si confondeva con quello di Silvia e di Diana e di tutte le donne a cui lui aveva affidato senza riserve la propria vita.
Quando si risvegliarono, due ore dopo, la voce della cabina di pilotaggio annunciava di indossare le cinture di sicurezza, perché l'aereo stava per sbarcare ad Heatrow, l'aeroporto di Londra.







martedì 6 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 122. Non è poi così lontana Samarcanda

 

Molti segreti, in quella cena, erano stati svelati senza bisogno di parlarne apertamente.
Dietro agli aneddoti, alle battute o alle dissertazioni pedanti su questioni marginali, c'erano stati sottintesi, allusioni e mezze verità, colte al volo dagli interlocutori.
Le questioni erano rimaste in sospeso, ma erano comunque state affrontate, seppure in maniera indiretta.
Si era arrivati ad un punto di non ritorno, si era superato un confine non territoriale  che creava un'alleanza tra i tre clan presenti: i Ricci-Orsini-Monterove, i Visconti-Ordelaffi, e gli Albedo, rappresentanti di Sua Grazia il consigliere don Fernando Albedo, Duca di Alcazar de las Altas Torres.
C'erano però molte opposizioni interne, molte incertezze e molte omissioni.
Silvia era fermamente contraria, Francesco era incerto e Roberto favorevolissimo, anche se non sapeva quasi nulla, tranne ciò che il Visconte gli aveva richiesto nell'incontro privato a casa del notaio Papisca: quello era stato il primo passo. 
Roberto era stato zelante nell'eseguire le istruzioni di Bartolomeo Visconti: aveva ripreso i contatti con lo zio Lorenzo, il quale ormai lo chiamava tutte le settimane e discettava col nipote di argomenti filosofici, teologici, storici, evitando, per il momento, le questioni esoteriche,
Non gli aveva mai chiesto quali interessi il consigliere Albedo potesse avere riguardo ai Monterovere.
Diana fingeva di non sapere nulla, ma si vedeva che era preoccupata e contrariata.
Non poteva sapere, Roberto, che persino la questione dei preservativi era stata dibattuta con la sua dama di compagnia e alla fine Consuelo aveva convinto la Contessa che era necessario prevenire eventuali mosse azzardate, specialmente tenendo conto che su tutta la faccenda non era stata "sciolta la riserva".
Aurora sembrava più innamorata che mai, eppure Roberto continuava a non fidarsi del tutto, perché si domandava se a lei interessasse di più lui come persona, o sempre lui, ma come "principe ereditario" di una serie di famiglie, persone e aziende importanti.
Lei mi sorride, ma "io non so l'amore vero che sorriso ha".
Incredibile come un verso tanto delicato, in una canzone tanto femminile come Minuettoche negli Anni Settanta era valsa la vittoria del Festivalbar a Mia Martini, già vittoriosa l'anno prima con Piccolo uomo , fosse stato scritto da un cantautore rude come Califano, che andò a letto con migliaia di donne ma non ne amò nessuna. Il suo sodalizio artistico con Mia Martini toccò il vertice ne "La nevicata del '56", un testo molto raffinato, che ricordava in chiave magica un evento della loro infanzia.
E sempre Mia Martini, proprio in quel 1992, era arrivata seconda a Sanremo con "Gli uomini", un ritratto impietoso, ma purtroppo non del tutto infondato su certi comportamenti maschili, e qui qualcuno ci vide qualche riferimento a Ivano Fossati, il suo ex, con cui le cose finirono piuttosto male.
Roberto, grazie alle "lezioni private" di Aurora, aveva incominciato a conoscere i testi delle canzoni "storiche" della musica leggera italiana, e alcune di quella straniera, ed era rimasto sorpreso dal fatto che, pur essendo concepiti per un pubblico non colto, e pur scivolando spesso nei luoghi comuni, ogni tanto contenessero frasi ben formulate, ritmi efficaci, figure retoriche originali e significati non banali.

Molti anni dopo, Roberto ne parlò ampiamente con i suoi interlocutori, ed è anche per questo che la nostra narrazione presenta numerosi riferimenti al riguardo. 
Una volta ci raccontò che lui e Aurora, prima che comparisse qualche crepa nel loro rapporto, avevano scelto, come "loro canzone", una appena uscita nell'autunno del 1992, e cioè "Non abbiam bisogno di parole" di Ron.
La ricorderete tutti: "...e ti solleverò tutte le volte che cadrai, e raccoglierò i tuoi fiori che per strada perderai..."
Le radio la davano in continuazione, ovunque, la si assorbiva nell'aria, penetrava nella memoria come un messaggio subliminale, con quello slancio improvviso in cui la musica, inizialmente sottotono, prendeva il volo all'improvviso, toccando l'acuto massimo in "fiori" per poi digradare lievemente  fino a "e seguirò il tuo volo senza interferire mai", e il cuore di tutti si stringeva, perché ognuno avrebbe voluto sentirsi dire allo stesso modo quelle parole, perché come abbiamo già detto, l'amore non è mai abbastanza.
Va detto, però, che all'epoca, non essendoci internet a disposizione, era più difficile trovare i testi delle canzoni, e Roberto proprio non sapeva come procurarseli, e si vergognava a chiederlo persino ad Aurora, e su questo punto si creò un siparietto comico, quell'estate, ma racconteremo ogni cosa a suo tempo.
Soltanto quando lo incontrammo, due o tre anni fa, prima di intraprendere la nostra narrazione, gli facemmo notare che bastava comprare TV Sorrisi e Canzoni, e lui rimase di sasso: "Non ci avevo mai pensato", fu il suo commento. 
Sul momento fu imbarazzante vedere quell'uomo di grande cultura così sprovveduto nelle cose banali della quotidianità, ma aveva le sue ragioni.
Era da comprendere, il suo essere "fuori dal mondo": certi giornaletti non erano ammessi nel Salotto Intellettuale dei Monterovere, e non interessavano neppure a quello mondano di Villa Orsini. 
Tranne la cronaca rosa di Oggi e Gente, la contessa vedova Emilia, leggeva solo i romanzi di Liala Negretti Odescalchi, e non si interessava di canzoni, per quanto ammettesse di aver ammirato, a suo tempo, Wanda Osiris che gettava le rose scendendo le scale, mentre cantava Ti parlerò d'amor, e di aver riconosciuto che Nilla Pizzi, dopo la sua interpretazione di "Grazie dei fior", poteva considerarsi una giovane promessa. 
Persino la contessa Diana aveva gusti insospettabili, che preferiva non divulgare, ma che Roberto ricordava alla perfezione, come se i suoi ricordi di bambino di tre anni fossero un film indelebile.
Immaginatevi la scena: Diana nel suo salottino privato, a cui era ammessa soltanto Consuelo, mentre guardava con lei le trasmissioni musicali alla tv, e fuori dalla porta socchiusa, il nipotino ficcanaso, sconvolto nel vedere che la nobile nonna piangeva a dirotto ascoltando Anima Mia, col biondino che cantava in falsetto; si struggeva di nostalgia alle note di Champagne, si esaltava per gli acuti di Albano in Nel Sole, fremeva di desiderio quando il prestante Julio Iglesias si lanciava in Se mi lasci non vale, sospirava per Massimo Ranieri disperato in Perdere l'amore, che a suo parere era insuperabile, per quanto estremamente depressiva. Da notare il fatto che le interessavano solo i cantanti maschi, mentre considerava le cantanti alla stregua di sgualdrine. 
Ufficialmente, però, la Contessa non ascoltava musica leggera, sarebbe stato inappropriato: nel Salone da Ballo di Villa Orsini, erano ammessi solo dischi di vinile di musica classica.
Ah, come dimenticare i valzer del Ballo di Mezza Estate, quando tutta la crème dell'aristocrazia romagnola rendeva omaggio alla famiglia Ricci-Orsini, prima che i processi ad Ettore Ricci spazzassero via tutto, rendendo quella sala un guscio vuoto.
Ma negli occhi di Roberto, il bambino della campagna, sarebbe rimasta per sempre viva l'immagine di Diana che, danzando, faceva volteggiare i suoi abiti lunghi, ma leggeri e vaporosi, bellissima e regale come una dea.




Al contrario, Silvia, negli anni scatenati della sua gioventù, si era identificata in Mina, aveva cambiato pettinatura ogni volta che la cambiava lei, seguito le sue vicende amorose meglio delle proprie, imparando i testi delle sue canzoni a memoria, declamando "Ancora ancora ancora" persino durante gli amplessi e infine indossando il lutto quando la Tigre di Cremona se ne fuggì a Lugano a nascondere i chili di troppo. 
Per alcuni anni Silvia ebbe una passione folle per Dalidà, imitandone l'aspetto, le movenze, la presenza scenica, il piglio regale, l'alternanza tra euforia e disperazione, ma purtroppo in quel caso il lutto fu reale e drammatico. Dopo di che, ma senza troppa convinzione, Silvia ripiegò sui cavalli di battaglia di Milva ("Rapsodie gitane" e "Alexander Platz") e dell'intramontabile ed eterna Vanoni,  specie in "Una ragione di più", di cui, non vista, cantava e continua ancora a cantare, dopo una vita intera di battaglie, "oggi e poi domani e poi domani ancora, finché il mio cuore ce la fa"
E quella "ragione di più" per vivere derivava dal senso del dovere nei confronti di una famiglia scombinata, le cui traversie l'avevano paradossalmente resa forte, tenacemente legata alla vita, e sempre lucidissima, laddove invece le sorelle, alla fine, avevano ceduto ai colpi bassi dell'età.
Mina, Dalidà, Milva e Vanoni: tutte donne con i capelli rossi, come Silvia che li aveva ereditati da suo padre, unica tra le tre considerevoli sorelle Ricci-Orsini, e per questo prediletta da Ettore Ricci.





E poi era arrivata Aurora, scandalizzata perché Roberto non aveva mai sentito nominare La canzone del Sole di Battisti, (e non si sarebbe perso niente), o Buonanotte fiorellino di De Gregori, che per giustificare ai radical-chic tale scivolone nel campo "melodico dell'amore", lasciò circolare la leggenda metropolitana secondo cui il testo fosse stato ispirato da una sua presunta fidanzata morta nella Strage di Ustica, con tanto di sottolineature nei punti chiave: "il mio biglietto scaduto" e "l'anello resterà sulla spiaggia". 
E allora diventava una canzone impegnata, una denuncia coraggiosa, e persino i comunisti più accaniti non riuscivano a trattenere le lacrime ogni volta che constatavano che "il granturco nei campi è maturo ed ho tanto bisogno di te", ma lei non c'era perché era morta a giugno nella Strage, e allora "la coperta è gelata e l'estate e finita", "gli uccellini nel vento non si fanno mai male", chiarissimo riferimento all'aereo silurato dagli americani che volevano colpire invece Gheddafi.
Tutto molto commovente, peccato che canzone fosse uscita nell' album "Rimmel" del 1975, e cioè cinque anni prima dell'abbattimento del DC-9, in quel fatale 1980 in cui le stragi si succedettero una dietro l'altra. (Come, del resto, anche nel 1992).
Questo inciso canoro, troppo lungo ma comunque poco esauriente, ci servirà nel prosieguo di questo capitolo, perché Aurora amava comunicare i suoi concetti chiave e le sue dichiarazioni solenni tramite l'esegesi di testi di canzoni d'autore, e fu proprio quello che avvenne alla fine di quella serata del memorabile 1 luglio 1992.




Ormai la cena volgeva al termine.
Quando finalmente si arrivò al dessert, i commensali erano tutti in uno stato semi-confusionale, non per il cibo e l'alcol, che erano stati comunque consumati in abbondanza o almeno più del solito, specie da parte delle convitate del gentil sesso, ma per tutte le informazioni che erano emerse da un dialogo in apparenza innocente.
Naturalmente, dai Monterovere, anche i dessert erano più di uno.
Erano i tempi in cui Francesco godeva di ottima salute e Roberto era magro come un chiodo o snello come i paggi del Duca di Norfolk, almeno stando alle memorie di Falstaff, ma entrambi, molti anni dopo, avrebbero pagato a caro prezzo la loro ingordigia.
Sam Albedo portò una ciotola di meringa per tutti, sua zia Consuelo portò una coppa di gelato ai gusti di stracciatella, pistacchio e zuppa inglese e infine la madre di Sam, Dolores, servì il Sorbetto al Limone.
E qui Silvia si sentì in dovere di riprendere il discorso antropologico sul rituale della "magneada" nella Romagna Centrale, o Romagna Celtica. 
<<Il sorbetto, di tradizione meridionale, fu introdotto relativamente tardi come momento di separazione tra la "mangiata" vera e propria, e il "dopo mangiata", che comunque comprendeva rituali altrettanto sacri e presenti dal Cinquecento in avanti in molte tradizioni italiane: il caffè, l'ammazzacaffè con gli amari, e anche il sigaro, per quanto la pipa fosse molto preferibile, perché l'aroma di tabacco da pipa è dolce, mentre quello del sigaro è pestilenziale>>
Il Visconte, gran fumatore di sigari, non era d'accordo e mentre ancora divorava la meringa, brandì il cucchiaino come un'arma e dichiarò:
<<Non tutti i sigari lo sono! Per esempio gli Avana...>> e stava per lanciarsi in un'arringa degna di Cicerone, quando la moglie lo fermò:
<<No, guarda, caro mio, fanno tutti schifo, oltre a far male alla salute>>
Al che lui batté in ritirata, annegando la sua frustrazione nel frizzante vino rosé da dessert.
Tutti fecero onore al sorbetto, e tutti bevvero il caffè, e anzi Aurora ne chiese un'altra tazza, forse per scongiurare i rischi di un abbiocco, dopo quello che per lei era stato un delirio calorico che le sarebbe costato un mese di massacrante esercizio fisico.
Soltanto i due capifamiglia (che in realtà erano sudditi delle rispettive mogli), si avventurarono nella degustazione dell'infuocato Fernet Branca, dopo il quale, con la gola ustionata e lo stomaco in fiamme, decisero unanimemente che i vari Averna, Cynar, Giuliani, Lucano, Montenegro, Rabarbaro Zucca, Ramazzotti e Strega potevano tornare nelle cantine.





A quel punto la "mangiata" celtico-romanza poteva dirsi conclusa e i commensali uscirono in veranda per prendere una boccata d'aria.
Il Visconte, fumando un sigaro Avana, e il Professore, costretto a inalarne gli effluvi, parlarono di politica: e stranamente si trovarono d'accordo, perché proprio nel 1992 era incominciata la virata verso destra di Francesco Monterovere, che in seguito lo portò alla condanna suprema per un intellettuale, ossia l'essere Radiato dall'Albo dei Radical-chic, con conseguenze devastanti per il Salotto Culturale della Signora e altre questioni più significative.
Racconteremo più avanti tutto questo, perché fu comunque l'atto finale di un cambiamento avvenuto con estrema gradualità e sempre in seguito ad eventi storici o ragionamenti ben precisi.

La Viscontessa e la suddetta Signora, si sedettero sotto la pergola e incominciarono a ricordare "il bel tempo andato", perdendosi nell'eterno topos del "quelli sì che erano tempi!", e forse non avevano tutti i torti, perché accanto al progresso c'è sempre la decadenza: sono come due gemelli, che procedono fianco a fianco, così come, in ogni estate al culmine, c'è sempre un po' di morte, e ogni fotografia dell'alba è indistinguibile da quella di un tramonto, così come si assomigliano il crepuscolo e l'aurora.

Aurora, come era suo costume, afferrò con la salda presa della tennista allenata o della ginnasta ritmica, la mano di Roberto, e lo condusse nuovamente sul gazebo in pietra, in cima alla collina.
Aveva un'espressione solenne e la famosa "faccia delle grandi occasioni", per cui quindi il suo ragazzo le lasciò il controllo della situazione, come poi del resto faceva sempre.




<<Roberto, io avrò anche scolato vino rosso a volontà, ma tutto quello che sto per dirti e per donarti viene dal profondo del mio cuore. 
Io credo nel Destino e sento io e te siamo destinati a stare insieme per tutta la vita>>
Lui cercò una riposta più vicina alla propria visione del mondo:
<<Io credo nell'amore che provo per te ed è un sentimento che prevale su tutto il resto.
Ma non credo nel destino e nemmeno nel Libero Arbitrio. 
Io penso che, al di là di tutto ciò che l'umanità racconta a se stessa per non aver paura della morte e sentirsi ancora al centro di un grande disegno e non ai margini di una galassia in un universo con milioni di galassie, e al di là di tutti i suoi sforzi per considerarsi artefice del proprio destino, gli unici principi fondamentali che dominano l'universo rimangano pur sempre l'Errore e il Caso>>
Aurora conosceva la Weltanschauung del suo ragazzo e non se ne stupì, ma per l'ennesima volta volle fare un esempio tratto da una canzone famosa:
<<Hai presente Samarcanda di Vecchioni ? Questa dovresti conoscerla, perché lui sarebbe perfetto per il Salotto Intellettuale di tua madre>>
Roberto ne ricordava vagamente il ritornello un po' assurdo che riguardava un cavallo:
<<E cosa c'entra con ciò di cui stiamo parlando?>>
Lei sorrise, come un'insegnante indulgente verso il suo allievo preferito che non si è applicato abbastanza:
<<Segui il mio discorso e capirai. E' una splendida ballata, con una prosodia straordinaria e una sapiente armonizzazione di metrica e retorica che solo un classicista come lui poteva utilizzare al meglio>>
Roberto, che si sentiva troppo stanco per una lezione, cercò di deviare il discorso:
<<Ma non ti interessavano solo i cantautori di centro-destra?>>
Aurora gli tirò un orecchio come a un monello e poi continuò, serissima:
<<Questa canzone è un capolavoro, sia per i contenuti che per le scelte stilistiche e musicali.
Parla del fatto che non si può sfuggire al proprio destino e che anzi, più uno cerca di fuggire, più va incontro a quel destino, come succede al protagonista della canzone.
Un soldato, scampato ai mille pericoli di una guerra imprecisata, sta festeggiando la vittoria, nella Capitale altrettanto imprecisata di un ignoto impero, dove sono in corso spettacoli e grandi libagioni.
L'inizio ci dà subito il ritmo, con un la tecnica usata da Carducci nelle Odi barbare, cioè un adattamento italiano della metrica classica: qui abbiamo tre dattili e un anapesto alternati a tre dattili e un giambo: "Ridere, ridere, ridere, ancora / ora la guerra paura non fa"
Nota l'insistenza di anafora e allitterazione, che rendono più efficace il ritmo>>
Roberto incominciava ad essere interessato:
<<Ma come fai a conoscere la metrica classica? Noi allo Scientifico non la facciamo>>
Lei, con affettata modestia, si limitò a dire:
<<Mia madre ha fatto Lettere Classiche come la tua, anche se non ha la cattedra di latino e greco come Silvia, e non fa lezioni private se non a me. Ha voluto insegnarmi qualcosina in più.
Io avrei voluto fare il Classico, sai, e anche se il motivo ufficiale per cui scelsi lo scientifico era perché poi avrei dovuto fare economia e quindi era meglio fare più matematica, la vera ragione è perché volevo stare in classe con te: il preside assicurò a mio padre che sarei stata assegnata nella tua stessa sezione. Mio padre assecondò questo mio desiderio solo perché era l'unico modo per evitare che facessi il classico. Ma io ti amavo moltissimo, già dalle scuole medie...>>
Roberto era incredulo:
<<Mi amavi già così tanto? E hai continuato per tutto questo tempo?>>
Lei annuì, serissima:
<<Sempre. Noi siamo destinati a stare insieme. 




Ma torniamo al povero soldato, che "vide tra la folla quella Nera Signora / vide che cercava lui e si spaventò". Dunque vede la morte e pensa che lei sia lì per falciare la sua vita.
Per questo implora il sovrano di dargli "la bestia più veloce che c'è", riferendosi al cavallo, e qui inizia la parte che ci interessa per quel riguarda il Destino.
"Corri cavallo, corri ti prego / fino a Samarcanda io ti guiderò / non ti fermare, vola ti prego / corri come il vento che mi salverò".
Perché Samarcanda? Non è solo per il valore ritmico ed eufonico del nome della città, ma anche per la sua collocazione che, nel mondo classico, era considera alla fine dell'oikoumene, il mondo conosciuto: solo Alessandro Magno aveva messo piede a Samarcanda, prima di fondare Alessandria Eschate, "la Lontanissima", "l'Estrema").





Ma Samarcanda ha anche un significato cupo e pericoloso: è stata la capitale dell'impero del feroce Tamerlano, Timùr El-Lang, lo Zoppo,  personaggio mitizzato, dopo aver sconfitto gli Ottomani nella Battaglia di Angora (l'odierna Ankara).





Il soldato finalmente vede in lontananza la sua meta, ma la sua gioia dura poco:
 "Fiumi poi campi poi l'alba era viola / bianche le torri che infine toccò / ma c'era sulla porta quella nera signora / stanco di fuggire la sua testa chinò".
Eccolo quindi di fronte al Destino che aveva cercato di evitare con tutte le sue forze, e la Morte arriva persino a deriderlo, quando lui le dice di averla vista guardarlo con malignità tra la gente nella capitale e la Nera Signora risponde, prendendosi gioco di lui: "Ti sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato / io non ti guardavo con malignità / era solamente uno sguardo stupito / cosa ci facevi l'altro ieri là / ti aspettavo qui per oggi a Samarcanda / eri lontanissimo due giorni fa / ho temuto che per ascoltar la banda / non facessi in tempo ad arrivare qua".
Il soldato, per fuggire la morte, il Destino, paradossalmente gli era andato incontro>>
Roberto capì fin troppo bene il messaggio, ma non conosceva il finale della canzone:
<<E la morte del soldato viene descritta?>>
Aurora sorrise:
<<NoIl soldato ripensa al suo viaggio e capisce che non è stato inutile, anzi, forse è stata la più bella avventura della sua vita, e ne valeva la pena. 
Samarcanda è la Morte, ma il viaggio per raggiungerla è un'esperienza straordinaria, che alla fine ci sembra breve:
"Non è poi così lontana Samarcanda / corri cavallo corri di là / ho cantato insieme a te tutta la notte / corri come il vento che ci arriverò">>














Fu allora che l'atteggiamento sdegnoso di Roberto nei confronti della cosiddetta "musica leggera" cambiò. Un bravo cantautore poteva veicolare, anche con una canzone orecchiabile, concetti profondi, in una forma esteticamente rigorosa.
In effetti il commento di Aurora, per quanto "di parte" nei confronti del tema del destino, aveva un senso, perché quel viaggio incontro al Fato, "tra i grilli e le cicale", era stato comunque un bel viaggio, e a Roberto venne da pensare che il suo viaggio insieme ad Aurora sarebbe stato così, pericoloso, folle, esiziale, ma sicuramente bellissimo e memorabile, forse l'esperienza più appagante di tutta la sua vita, che avrebbe fatto apparire tutta la sua esistenza successiva, dopo i 40 anni, come "uno scialo di triti fatti", una "opaca trafila delle cose", un "interminabile sopravvivere a se stesso", una specie di film muto, in bianco e nero, un lungo piano sequenza di giorni aggiunti a giorni senza alcuna ragione, se non il tirare avanti a tutti costi, fino a diventare, come tutti i sopravvissuti a grandi esperienze di vita, un vecchio che vive di ricordi, ripensando a un passato trascorso con persone morte da tempo, disprezzando il presente e facendo pochissimo affidamento sul futuro, come Leuconoe "quam minimun credula postero".

Nel frattempo Aurora prese dalla sua borsetta un minuscolo pacchettino quadrato e disse:
<<Questo è per te>>
Roberto, che come tutti i tipi in stile Asperger, temeva le novità, lo prese con un certo timore e poi guardò lei:
<<Non dovevi, non era necessario un regalo...>>
Lei gli intimò:
<<Aprilo>>
Lui obbedì e quando vide il contenuto, per poco non svenne.
Era un anello da uomo con un rubino incastonato.
Sapeva distinguere gli anelli da uomo da quelli da donna perché i Conti di Casemurate si tramandavano il loro anello d'investitura (in pietra di ametista) da innumerevoli generazioni.
<<E' meraviglioso, ma... che significato devo attribuirgli?>>
Aurora sorrise:
<<Mi piace pensare che questo sia l'inizio del nostro fidanzamento>>
Lui rimase di stucco:
<<Ma è l'uomo che deve regalare l'anello!>>
Lei rise:
<<Tra i miei sogni proibiti c'era anche questo. Essere io a fare la proposta, alla quale non è necessario che tu risponda, perché so già che ci sposeremo>>
Roberto la guardò e vide davanti a sé una creatura sovrumana, una dea che lo aveva scelto per ragioni oscure, che andavano oltre l'amore, oltre le tradizioni, oltre alla normalità...
<<Sì, anch'io ti voglio sposare, e sono certo che lo farò. Ma non subito...>>
Lei tornò ad avere un'espressione solenne:
<<Metti al dito questo anello, perché le tue fatiche saranno gravi, e in tutte esso ti sosterrà, preservandoti dalla stanchezza, perché questo è l'Anello del Fuoco, e chissà che non riesca ad accendere il tuo coraggio e la tua speranza, quando un giorno tutto sembrerà spegnersi.
Quanto a me, il mio cuore ti appartiene, e rimarrà in attesa che tu sia pronto, fino all'ultimo dei suoi battiti. Fino a quel giorno, io ti aspetterò>>




Roberto era commosso, e anche se la notte impediva di vedere il suo viso, le sue lacrime solcavano il volto fino alle labbra.
Quelle parole erano la riformulazione di un brano che lui stesso le aveva letto, nell' Appendice B del "Signore degli Anelli", all'inizio della cronologia della Terza Era, dove il sovrano degli elfi sindar, Cirdan il Timoniere, decide di donare uno degli anelli del potere, Narya, l'Anello del Fuoco, uno dei tre concessi ai Re degli Elfi ( gli altri due erano Vilya, l'anello di zaffiro, ereditato da Elrond, signore degli elfi noldor, e Nenya, l'anello di diamante, donato direttamente a Galadriel, regina degli elfi dorati di Lothlorien) a Mithrandir, meglio conosciuto come Gandalf, ma che in origine aveva nome Olorin, quando era un Maiar, uno degli spiriti primordiali al servizio dei Valar, le Potenze di Arda, insignite di questo compito dal supremo Iluvatar. Lo mandavano i Valar, per sostenere i popoli della Terra di Mezzo, perché l'ora dello scontro finale si stava avvicinando.





Il re Cirdan, signore dei Sindar, gli Elfi Grigi, nella sua saggezza, lo riconobbe, e lo accolse con gioia, e dopo aver parlato a lungo con lui, prese una decisione.
Gli donò il proprio anello e la propria promessa di attenderlo, fino a che l'ultima nave degli elfi non fosse partita per l'ovest.
Cirdan fece tutto questo per Gandalf, "poiché sapeva donde egli venisse, e dove infine sarebbe tornato".