domenica 7 marzo 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 113. Lorenzo Monterovere, l'Iniziato agli Arcani Supremi

 



E' giunto il momento di parlare più dettagliatamente del misterioso Lorenzo Monterovere, il figlio minore di Romano Monterovere e di Giulia Lanni.
Era molto diverso dai fratelli Francesco ed Enrichetta, con i quali ebbe poco a che fare essendo molto più giovane di loro ed avendo scelto, per vocazione, di entrare in seminario il prima possibile.
Per molto tempo la sua vocazione al sacerdozio rimase solida e profonda, eppure, poco dopo la laurea in Teologia, decise, con grande sconcerto di tutti, decise di non proseguire il cammino verso l'ordinazione presbiteriale.
Poco tempo dopo vinse una borsa di studio per un dottorato in Storia delle Religioni all'Università di Jena, in Germania, sotto la guida dell'illustre professor Franz Kranz, il grande filosofo metafisico, che a sua volta era stato un allievo del germanista Erich von Tomaten, l'autore del celeberrimo saggio "Das tausendjaehrige Reich". Successivamente, Lorenzo divenne assistente del professor Raffaele Pettazzoni alla Sapienza di Roma e infine vinse il concorso per l'incarico ricercatore confermato all'Università di Bologna, diventando poi Associato e infine Professore Ordinario di Storia delle Religioni.
Fin dall'inizio decise di specializzare il proprio ambito di ricerca nello studio delle religioni esoteriche e misteriche, di cui divenne uno dei massimi esperti a livello mondiale.

Fisicamente aveva una certa somiglianza con Mario Monti, ma si vestiva in maniera molto più eccentrica, prediligendo il colore viola in tutte le sue possibili tonalità (dal lilla al prugna) e con tutti gli abbinamenti immaginabili riguardo ai capi del guardaroba.


I genitori di Lorenzo, pur contenti del suo successo e della sua carriera, trovavano tuttavia strano il fatto che non si fosse sposato.
Alcuni sussurravano che fosse gay, ma non vi fu mai una prova certa al riguardo.
Le insinuazioni derivavano, oltre che dalle "50 sfumature di viola" con cui si vestiva, anche da certi aspetti personali come una voce un po' stridula, una risatina querula, un atteggiamento lezioso, a tratti un po' petulante, un viso oppure anche dal fatto che, a semestri alterni, partiva per un "viaggio di ricerca" di qualche mese in Grecia o in Egitto, portandosi dietro alcuni giovani allievi, molto prestanti, che poi vincevano cospicue borse di studio o importanti concorsi .
Ma mettendo da parte le solite dicerie delle malelingue, va invece detto che i viaggi all'estero derivavano anche dal fatto che le più stimate università gli conferivano lauree ad honorem, lo imploravano di tenere almeno una lectio magistralis, e gli proponevano contratti molto vantaggiosi e incarichi di massimo prestigio, che lui accettava soltanto se non distavano molto dalla sua residenza bolognese.
Non volle mai lasciare Bologna, dove aveva stretto amicizia con Umberto Eco, il quale ammetteva che buona parte della sua erudizione derivava dai consigli di lettura dell' "amico Lorenzo".
Come Eco, anche Monterovere aveva pubblicato testi fondamentali, di grande valore accademico e di grande successo editoriale.
E non possiamo non menzionare almeno i titoli più noti e le opere imprescindibili: 
 1) La tomba di Zeus (1969);
 2) L'auto-evirazione di Attis nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli (1971);
 3) I Coribanti e la Patera di Parabiago (1973);
 4) Dies Sanguinis (1976) [vincitore del Premio Strega];
 5) In difesa di Agave (1978);
 6) La versione di Lucifero (1981) [vincitore del Premio Bancarella];
 7) Abraxas e Yaldabaoth (1985);
 8)Rex Mundi (1988);
 9) L'Oro di Tolosa: dai Celti ai Templari (1992);
10) Et in Arcadia Ego (1994); 
11) Dal Mabinogion al Santo Graal (1996);
12)Artorius Rex : Glastonbury, Modena e Otranto (1997);
13) In insula Avalonia : la spada, la lancia e il calderone (1998);
14) Il culto di Belenos, la discendenza messianica e la linea di San Michele (1999), 
15) Il Regno Millenario (2000).




Si può notare un progressivo avvicinarsi dell'indagine esoterica dall'età arcaica fino al pieno Medioevo e al tema del pellegrinaggio mistico nei Luoghi Sacri.
Tratteremo in un capitolo successivo delle opere che il Professore scrisse nel nuovo Millennio.
In tutto questo tempo, la residenza ufficiale rimase a Bologna in quanto vicina alle "terre d'origine degli antenati".
E tuttavia i suoi parenti in vita sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri.
Non era così: Lorenzo li teneva d'occhio da lontano, tramite sua zia Anita, che sapeva sempre tutto di tutti, per quanto non fosse mai imparziale nelle sue ricostruzioni.
Ma il Professore sapeva depurate un racconto dalla sua faziosità, era quasi un'abitudine spontanea per un filologo classico come lui, abituato a lavorare su testi greci e latini, diffidando sempre dalla pretesa neutralità dell'autore (cosa impossibile, anche con le migliori intenzioni, perché "la verità dei fatti raramente è pura e quasi mai semplice", e la realtà percepita da un punto di vista non è mai la Realtà vera, il Noumeno kantiano, "Das Ding an sich").
Per depurare la versione della zia Anita, Lorenzo telefonava ogni tanto ai "fratelli Monterovere" superstiti: Edoardo, l'eterno assessore alle infrastrutture dell'Emilia-Romagna, e, molto raramente, a Romano, suo padre.
Ad Anita aveva rivelato un suo progetto di ricerca genealogica riguardante i Monterovere e il loro eventuale legame con i Montecuccoli di Querciagrossa, presso Pavullo nel Frignano modenese.
Questa iniziativa, che poteva sembrare vana e inconsistente, si fondava però sui racconti dell'antico trisavolo Ferdinando, quello che, nel primo capitolo di questo romanzo, morì cadendo da cavallo presso il sito detto "L'Orma del Diavolo", dove un tempo aveva sede la secolare Quercia Sacra dove i celto-liguri Friniati e i Galli Boi (respinti sulle colline dai Romani) adoravano Belenos, l'equivalente celtico dell'Apollo romano, e poi abbattuta per ordine dell'imperatore Teodosio e dell'arcivescovo Ambrogio.




Si pensò all'inizio che l'interesse di Lorenzo fosse puramente accademico, ma il testo sul culto di Belenos presso la Quercia Sacra, il cui ricordo era rimasto nei secoli tanto a lungo da dare il nome al borgo di Querciagrossa, ai piedi del castello di Montecuccolo, era scritto in maniera tale da far pensare che tutti quei miti e quelle religioni scomparse da tempo lo riguardassero personalmente.
In effetti c'erano alcuni elementi, riscontrabili solo da lettori molto attenti, nelle note a piè e di pagina e nei riferimenti bibliografici, che sembravano collegare due località sacre ai Galli Cisalpini e alla religione druidica, ossia Querciagrossa, di cui si è già detto, e ovviamente Casemurate, nostra antica conoscenza, in particolare riguardo a un culto pagano-celtico nel Bosco Sacro delle farnie, dei cerri e delle roveri che al tempo dei Romani assunse il nome di Confluentia.
Riguardo a questo luogo e a questo nome, i lettori più accorti si sono soffermati sulle note personali dell'autore, in cui il Professore fornisce una descrizione meticolosa di tale luogo, anche nei giorni nostri, in particolare la sua collocazione, presso la confluenza del grande fosso Torricchia nel torrente Bevano, dove i proprietari del terreno circostante, gli Orsini, avevano autorizzato la creazione di una Colonia Felina gestita da anziane sorelle.
Qualcuno fece notare che tale luogo si trovava nella proprietà della suocera di Francesco Monterovere, fratello maggiore di Lorenzo.
Il Professore si spinse anche, in una Lectio Magistralis sulla Vallis Padusa, a sostenere l'ipotesi che il cosiddetto culto misterico delle Signore della Palude fosse anticamente collegato a tutti gli insediamenti pre-appenninici, lambiti dalla Palude Padusa stessa, specialmente nella sua parte navigabile, il "piscosus Amnis Padusae" di cui ci parla Virgilio nell'Eneide (11, 457-458).




Tale perizia nel ricostruire il rapporto tra i culti celto-pagani e l'enorme estensione della Padusa Palus, derivava a Lorenzo non solo dalla conoscenza delle opere di bonifica su cui l'Azienda Monterovere si era specializzata, ma anche, e forse soprattutto, sugli insegnamenti di suo nonno, l'ingegner Lanni, il Profeta delle Acque, il visionario che per primo aveva avuto l'intuizione da cui poi nacque il Canale Emiliano Romagnolo.
Ma anche la possibilità di verificare di persona il corso del Bevano, la Confluentia, la Valle Standiana, l'Ortazzo e l'Ortazzino, gli furono di grande aiuto.
A Casemurate molti avevano intuito chi lui fosse e soprattutto chi lo avesse mandato.
Tutti sapevano che l'Iniziato aveva intenzione di compiere ulteriori ricerche.
Non destò dunque stupore il fatto che nei decenni che seguirono gli eventi del 1992, l'Anno della Falsa Primavera, si ebbe un riavvicinamento tra i due fratelli, e un sempre maggiore coinvolgimento, da parte di Lorenzo, del nipote Roberto, specialmente quando, dopo il "periodo milanese" (1994-1999), risiedette a Bologna per lungo tempo, dal 2001 al 2017.
I lettori ci perdoneranno per questa anticipazione, ma va detto che nella prima parte di tale periodo lo zio Lorenzo venne nominato direttore artistico del restauro del Castello di Montecuccolo, e poi ne mantenne l'usufrutto per conto dell'Ordine degli Iniziati agli Arcani Supremi, una società segreta di cui non si sapeva nulla tranne il nome altisonante, ma non esplicativo, e il fatto che potesse contare su potenti affiliati in tutti i gangli dell'alta società.
Ma nel 1992 quell'Ordine era solo un nome e quelle località erano soltanto punti cerchiati su una mappa in riferimento alle colline sovrastanti, ai boschi e alle vallate "d'elfi e funghi" da dove i Monterovere avevano avuto origine.
All'epoca non c'era Google Maps e anche le cartine topografiche non erano del tutto chiare ed esaurienti. Oggi ci sembrerebbero più simili alle antiche mappe su pergamena che alle nostre.
Roberto comunque, consultando ciò che aveva a disposizione, vide che la foresta di Querciagrossa si ritrovava a sud dell'aeroporto di Pavullo, che i maligni sostenevano fosse stato creato come scalo personale dei pezzi grossi dell'Ordine degli Iniziati, diretti al castello di Montecuccolo.







































Nella parte bassa del paese c'era una vecchia trattoria, divenuta un moderno ristorante, con ricette tipiche della zona, di cui Roberto aveva sentito parlare da bambino, quando la bisnonna Eleonora Bonaccorsi Monterovere cucinava i cosiddetti "ciacini", molto simili alle tigelle, ma più buoni.
Per raggiungere le antiche proprietà dei Monterovere c'erano due modi: se da Querciagrossa si prendeva la provinciale 29 si arrivava all'ex tenuta principale della famiglia, venduta da tempo. 
Se invece si saliva lungo la statale 12, verso il monte Cimone, si raggiungevano le località di Sestola e Fanano, dove i Monterovere avevano conservato, per mancanza di acquirenti, delle terre in pendenza, ricoperte di boscaglia e vicine ai ruscelli che confluivano nel Panaro. 
In quelle zone si trovavano baite molto rudimentali, tra cui un "rustico" abitabile che risultò essere, guarda caso, di proprietà di Lorenzo.


Roberto fece molte domande sia al nonno Romano che alla prozia Anita, ricavandone però informazioni generiche e quasi reticenti, come se ci fosse una sorta di "peccato originale" da nascondere, o una "maledizione" da dimenticare.
Molto probabilmente era qualcosa di legato alla morte del trisavolo Ferdinando presso l'Orma del Diavolo e di sicuro Lorenzo sapeva tutto anche riguardo a questo.
Ma come fare a mettersi in contatto con lui?
Teniamo presente che nel 1992 i telefoni cellulari erano quasi sconosciuti (bei tempi, verrebbe da dire!), per cui rintracciare qualcuno che non voleva farsi rintracciare era molto difficile.
E all'epoca Lorenzo non voleva farsi rintracciare facilmente, per motivi che conosceremo in seguito.
Aveva mantenuto privato il numero di telefono della propria residenza, di cui non si conosceva l'ubicazione. 
Non aveva fornito altri recapiti se non quello del suo ufficio all'Università, dove rispondevano gli assistenti e prendevano nota di chi aveva chiamato. Solo in seguito ad attente verifiche era possibile programmare un appuntamento.
Dopo aver seguito scrupolosamente tutta la procedura, finalmente Roberto riuscì a parlare con il Grand'Uomo.
La voce dello zio Lorenzo era ancora più stridula del solito:
<<Roberto! Che sorpresa! A cosa devo l'onore?>>
Forse sapeva già tutto, ma Roberto preferì essere diplomatico:
<<Be', so che sei molto impegnato, ma mi farebbe piacere incontrarti, conoscerti meglio. Ci sono tante cose sul castello di Montecuccolo e sulla foresta di Querciagrossa che vorrei chiederti, visto che Anita e Romano tengono le bocche cucite...>>
Lorenzo rise allegramente, toccando acuti degni una soprano o di un cantore evirato:
<<Ah, ah, hai trovato proprio l'espressione giusta! Bocche cucite. Romano, mio padre, è sempre stato di poche parole. Per la zia Nita è diverso: lei con me parla molto, ma purtroppo da quando Francesco si è sposato...>>
Il nipote conosceva fin troppo bene la questione:
<<Lo so. Ma se lei con te ha parlato, allora ci sono dati che possiamo esaminare>>
Dall'altra parte del telefono si sentì che lo zio stava consultando l'agenda:
<<Ti vedrò molto volentieri. Per il momento ho troppi impegni che non posso rimandare, ma presto ti farò sapere qualcosa e potremo metterci d'accordo>>
La telefonata si concluse con i soliti convenevoli del tipo "salutami i tuoi", "senz'altro" e altre promesse destinate a non essere mantenute, ma necessarie per concludere una telefonata in maniera cortese.
In ogni caso, l'obiettivo era stato raggiunto: presto Roberto avrebbe potuto parlare a tu per tu con lo zio paterno, e gli avrebbe potuto porre quelle domande che al telefono è sempre meglio evitare.
Ebbe la percezione che gli ingranaggi del suo destino si stessero movendo, come quelli di un orologio a pendolo, in cui i due poli di oscillazione erano Casemurate (il feudo materno) e Querciagrossa (la terra dei padri, circondata dai boschi),
C'è un legame tra questi due luoghi: entrambi sono stati insediamenti celtici, entrambi hanno conservato per lungo tempo sopravvivenze di druidismo e culti pagani, entrambi nascondono molti segreti. Potrebbe essere un caso, ma il mio istinto mi dice di no.







venerdì 19 febbraio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 110. Compagni di merende (immangiabili)


A fine maggio, Felice Porcu entrò in azione. La prima parte del suo piano consisteva nel fingersi amico di Roberto Monterovere al fine di fargli abbassare la guardia e conoscerne i punti deboli.
E così. con grande stupore di tutti, il giovane Porcu in persona invitò a casa sua Roberto "per una merenda".
 All'epoca non era stata ancora coniata l'espressione "compagni di merende", ma in effetti il giovane Porcu aveva una vaga somiglianza con Piero Pacciani.
<<Senti, Roberto>> esordì Felice mettendogli una mano sulla spalla <<Se in passato c'è stata qualche... incomprensione, forse è venuto il momento di metterci una pietra sopra. Hai già conosciuto la mia famiglia in più occasioni, di recente, e i miei genitori avrebbero piacere se uno di questi giorni facessi un salto da noi, per una merenda, che ne dici?>>
Il tono era incredibilmente gentile, fin troppo.
Ma quella era, per dirla con il Padrino "un'offerta che non si può rifiutare". Letteralmente.
<<Ma certo, molto volentieri>>
<<Molto bene, ti farò sapere>>
E così qualche giorno dopo, alle quattro del pomeriggio, Roberto si recò nella Tana del Lupo.
La residenza dei Porcu era una villetta moderna e ben tenuta, senza alcun elemento sinistro che potesse indicare pericoli di qualsiasi sorta.
Quando suonò il campanello, rispose la signora Maria Carolina:
<<Ah, Roberto, sei in perfetto orario, hai proprio "la puntualità dei re">>
Lui non aveva mai saputo che i re fossero puntuali, ma apprezzò la similitudine.
La voce della signora era molto cordiale, e quando venne ad aprire la porta era il ritratto della gentilezza: tutto il contrario di ciò che era stata due mesi prima al compleanno di Aurora.
Col senno di poi, Roberto avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa sotto, e ricordare le parole di Laocoonte nell'Eneide: "Timeo Danaos et dona ferentis", con tanto di arcaismo in -is e lettura in metrica. 
<<Vieni, vieni, seguimi in salotto: c'è mio marito che vuole conoscerti>>
Salirono le scale ed entrarono in un soggiorno molto accogliente.
Taddeo Porcu si alzò subito in piedi, con grande sorriso, e tese subito la mano all'ospite, con un entusiasmo che appariva incredibilmente genuino:
<<Ah, carissimo, vieni vieni, accomodati, sono davvero contento che tu sia qui!>>
La sua voce non aveva accento sardo, come Roberto si sarebbe aspettato, ma anzi schiettamente romagnolo.
Il signor Porcu era un uomo di media altezza, calvo, con una pancia considerevole e con un volto dall'espressione apparentemente allegra e cordiale, con gli occhi neri vigili e attenti. 
Sembrava una persona normale, socievole, anzi, persino una brava persona, uno di cui ci si poteva fidare.
E infatti Roberto, nella sua totale ingenuità, si fidò sin dal primo momento di quell'ometto così rassicurante e gioviale, a metà strada tra Francesco Amadori, quello dei polli, e Giovanni Rana, quello dei tortellini.
Al giorno d'oggi, mentre scriviamo, potremmo aggiungere anche una certa somiglianza con l'illustre epidemiologo Massimo Galli.
Il signor Taddeo fece accomodare Roberto nella poltrona degli ospiti di riguardo e annunciò che Felix stava per arrivare: era andato a casa dei nonni materni, che si erano trasferiti da poco in città.
<<Mio padre era sardo, ma io sono nato a Forlì, e mi sento in tutto e per tutto un romagnolo. 
A Forlì conosco quasi tutti e ho sentito tanto parlare di te e della tua famiglia. E finalmente eccoti qui! Mi piacerebbe proprio che tu e Felix diventaste amici, così magari potreste studiare insieme e sono convinto che farebbe bene a entrambi: tu gli fai da guida negli studi e lui ti fa da guida nelle pubbliche relazioni, ti può presentare tanta gente, tante ragazze...>> e gli fece un occhiolino complice.
Roberto non aveva la minima voglia di studiare col giovane Porcu, ma non poteva neanche dire un no secco, per cui si mostrò possibilista:
<<Se Felice è d'accordo, possiamo senz'altro, ogni tanto, ripassare insieme qualche lezione. 
Per quanto riguarda le pubbliche relazioni, però, io sono già impegnato con una ragazza>>
Era curioso di vedere la reazione del signor Porcu di fronte al vero motivo che stava dietro tutte queste grandi manovre.
Taddeo non si scompose.
<<Oh, ma certo! Ma sai come si dice: l'amore è eterno finché dura!  E voi ragazzi siete così giovani che, prima di impegnarsi in qualcosa di serio, magari potreste divertirvi un po'. Potessi avere io ancora diciassette anni!
Mi ricordo, trent'anni fa...>>
E poi incominciò a raccontare uno dei suoi cavalli di battaglia, cioè la Storia della Cilecca, quando durante una serata in un bordello, a causa dell'emozione, "fece cilecca" e per la prima e unica volta nella sua vita la sua virilità non fu all'altezza della situazione, se così si può dire.
Stava ancora descrivendo i particolari, ma si fermò immediatamente quando arrivò la moglie, con un vassoio pieno di frutta:
<<Allora, qui hai un'ampia scelta: c'è il mango, l'avocado, il kiwi, la papaya, la banana... Serviti pure, non fare complimenti, mi raccomando, mangia pure quanto vuoi!>>
Roberto fu colto dal panico.
Era noto a tutti che lui detestava i frutti esotici!
<<Ehm, signora, io sono desolato, ma purtroppo... non so come dirlo, ma il fatto è che io non amo molto i frutti esotici. Anzi, ad essere sinceri, non li mangio proprio>>
Lei lo osservò con aria contrariata:
<<Ah, che strano... neanche la banana?>>
A Roberto venivano i conati di vomito anche solo a sentir nominare le banane.
<<Ehm, temo di no... i miei hanno tentato in tutti i modi di farmi mangiare questo tipo di frutta, ma hanno solo peggiorato la situazione>>
Maria Carolina continuò a fissarlo con i suoi occhi verdi sbarrati, come se avesse davanti un serial killer.
<<Ah, capisco, forse sei abituato alle merende di Villa Orsini, nel Salotto Liberty dove si mangiano bignè, fette di torta e litri di vino. Non so come abbia fatto la tua povera bisnonna Emilia ad arrivare fino a novantotto anni...>>
Prima che Roberto avesse modo di rispondere, intervenne il signor Porcu, con i suoi modi concilianti e paciosi:
<<Ma insomma, Carolina, se ti dice che non gli piacciono, vuol dire che non gli piacciono! Portargli una merenda come si deve, con un tè e dei biscotti, una cosa all'inglese, così si va sul sicuro, dico bene Roberto?>>
Lui annuì:
<<Sì, grazie, signor Porcu... lei è davvero gentilissimo>>
<<Ah, chiamami Taddeo e dammi del tu... qui devi sentirti come a casa tua! Devi perdonare mia moglie, ha un caratterino un po' spigoloso, ma non voleva metterti in imbarazzo. E' stato Felix a suggerire i frutti esotici, forse perché a lui piacciono molto,  vedrai che quando arriva fa fuori tutto in due minuti!>>
E come se fosse stato evocato da una seduta spiritica, ecco che Felice Porcu, detto Felix, fece il suo ingresso nel salotto:
<<Scusate il ritardo, ma il nonno Paride aveva alcune cose da dirmi. Sai che conosceva tuo nonno Ettore?>>
Roberto avrebbe tanto voluto dire cosa pensava realmente Ettore Ricci di quel fanfarone di Paride Tartaglia, ma ovviamente dovette far buon viso a cattivo gioco:
<<Ma certo! Paride e Onofrio erano come dei fratelli per lui!>>
Omise di dire che Ettore detestava i suoi fratelli.
Intervenne nuovamente il signor Taddeo, sfoderando un sorriso a cinquanta denti:
<<Eh, quelli sì che erano tempi! Nelle campagne tutti si conoscevano tra di loro, c'era ospitalità, si beveva il vino a fiumi ed era come se fossero tutti un'unica grande famiglia. Dovremmo prendere esempio da loro. C'era un clima molto fraterno. Mi ricordo, una volta, trent'anni fa...>>
Felice intervenne subito:
<<Babbo non incominciare con i tuoi aneddoti di trent'anni fa se no non ne usciamo vivi. Piuttosto, portami un piatto e delle posate, non vorrai mica che mangi con le mani, come una bestia?>>
Taddeo scattò in piedi, annuì, corse in cucina e poi apparecchio la tavola che stava in mezzo al salotto.
<<Ecco fatto, servitevi pure, ragazzi. Io purtroppo devo stare a dieta, ecco un altro inconveniente dell'età. Perché insomma, parliamoci chiaro, dopo i cinquanta le cose incominciano ad andare a ramengo: si fa cilecca sempre più spesso a letto, e non ci si può nemmeno consolare con una bella mangiata a tavola. Detto tra noi, mi resta solo la speculazione...>>
Pronunciò la parola con una forte cadenza dialettale che la fece suonare come "speculazioune", con un esteso prolungamento della "u" che in teoria non ci sarebbe dovuta essere.
Inoltre, non si capiva che cosa il signor Porcu intendesse esattamente con quel termine, e lui, infatti continuò il discorso.
<<...sì, la speculazione, la filosofia, il ragionare sulle grandi questioni. Perché io non sono mica un semplice ragioniere! Ah, no, ragazzi. Io, trent'anni fa, ho studiato Sociologia a Trento!>>
Allitterazioni a parte, lo disse con lo stesso tono con cui Totò dichiarava di essere uomo di mondo, avendo fatto il militare a Cuneo
Maria Carolina, arrivando con il tè e i biscotti, non era affatto contenta di quel discorso:
<<Dai, Taddeo, non c'è mica tanto da vantarsi di aver studiato in quel covo di comunisti e brigatisti>>
Il signor Porcu non si lasciò abbattere minimamente:
<<Dovete capire, ragazzi miei, che da giovani si fanno tante cazzate, ed è giusto così. All'epoca io avevo ancora tutti i capelli e li portavo lunghi più dei tuoi, Roberto. Eh, chi l'avrebbe mai detto! Ed ero più magro di voi. Mi ricordo, per esempio, trent'anni fa...>>
E partì a razzo con una storia riguardante le sue avventure universitarie, specialmente le feste con le studentesse, l'elogio del libero amore, l'importanza del sesso come "rapporto umano".
Indubbiamente, il signor Taddeo Porcu era buffo, con le sue idee strampalate e soprattutto con i suoi continui riferimenti a cose successe trent'anni prima e divenute semi-leggendarie solo ed esclusivamente in virtù del passare del tempo.
Non sapeva, il nostro Roberto, che un giorno anche lui, trent'anni dopo, sarebbe diventato ancor più ridicolo, nel ricordare eventi come quel pomeriggio bislacco a casa Porcu, cercando di ricostruire l'assurdità del dialogo e l'odore nauseante del mango e della papaya, mentre Felix le divorava avidamente, sbrodolando dappertutto.
In ogni caso, per quanto demenziale potesse apparire quella situazione, Roberto avrebbe dovuto essere più cauto nel parlare, e invece non poté fare a meno di commentare:
<<Lei ha idee molto progressiste, signor Porcu. Pensi che invece Aurora mi aveva detto che lei votava il Movimento Sociale...>>
Taddeo sorrise ancora di più:
<<E tu credi a tutto quello che ti dice lei?>>
Calò il silenzio.
<<Perché non dovrei crederle?>>
I tre membri della famiglia Porcu si guardarono in faccia e sorrisero, con l'aria di chi la sa lunga e conosce segreti imbarazzanti.
Alla fine fu il buon Taddeo a rispondere, col suo eloquio da affabulatore:
<<Ma no, io dicevo così per dire... nel senso che Aurora vive un po' tra le nuvole... non c'è mica niente di male, intendiamoci, anzi, è una brava ragazza... solo che vive in un mondo tutto suo, come se fosse sotto una campana di vetro... 
E' cresciuta come una principessa ed è abituata a un tenore di vita elevato, a un lusso notevole, e quand'è fuori dal suo palazzo prova un misto di paura e ribrezzo per il resto del mondo.
Per fortuna che c'è Felix che la aiuta a tenere i piedi per terra e le fa da guida nella vita reale. 
Io sono molto fiero di quel che Felix ha sempre fatto per lei, e credo che il loro legame sia così forte proprio per questo.
Felix è un ragazzo molto generoso, e Aurora lo sa bene, per questo sono inseparabili, e la forza del loro legame non cambierà mai, per cui se uno vuol far parte della vita di lei, deve necessariamente far parte anche della vita di Felix. 
Ed è una bella cosa, anche per te Roberto: potete diventare una comitiva, se la aiutate a conoscere un  po' di gente per bene, in qualche club per giovani, tipo il Rotaract, il Lions, o cose del genere... chissà che lì non troviate anche voi qualche bella ragazza, eh... ma sempre per un rapporto umano... come è successo a me trent'anni fa quando...>>
A quel punto intervenne Felice:
<<Sì, certo, babbo, abbiamo capito. Be', dai, Roberto, si può fare... perché no? 
Io conosco tanta gente, ti potrei introdurre in molti circoli esclusivi, dove ci sono i figli della gente che conta. Non devi pensare che abbiano dei pregiudizi se uno è figlio di insegnanti e nipote di contadini, non è certo colpa tua, voglio dire. E poi anche mia madre è insegnante, certo mio padre lavora nell'azienda di famiglia, la Tartaglia Idrocarburi, ma questo non significa che loro accettino solo gli imprenditori o i manager o i professionisti, insomma il mondo produttivo...>>


Roberto, che aveva capito fin troppo bene i messaggi impliciti che gli erano stati comunicati e rispose per le rime:
<<Be', io potrei ricambiare introducendoti nei salotti intellettuali, come quello dei miei genitori, i quali non hanno pregiudizi verso le persone non laureate o non colte>>
Ci fu un interminabile attimo di gelo.
Taddeo Porcu, ripresosi dallo sgomento, intervenne subito:
<<Io e mia moglie saremmo felicissimi di poter partecipare ai famosi sabati presso il salotto di Silvia Monterovere>>
Roberto sorrise:
<<Anche i miei ne saranno molto felici. Ma ora devo andare: vi ringrazio per l'ospitalità. Mi avete fatto sentire come uno di famiglia. Ed è una cosa bellissima, considerando che sono sentimentalmente impegnato con Aurora>>
Taddeo Porcu sorrise:
<<E come l'ha presa mio cognato?>>
Roberto si sentì gelare le vene:
<<Non lo so, non credo che lei gliel'abbia ancora detto>>
Taddeo rise:
<<E' sempre la stessa storia! Vedi, Roberto, io ti ho suggerito di conoscere anche altre ragazze, perché devi capire che le infatuazioni di Aurora durano poco. Noi siamo solo preoccupati per te: devi credermi se ti dico che lei non è quella che sembra. Ti parlo con il cuore in mano, come se tu fossi mio figlio: noi vorremmo evitarti una delusione. Ci sono tante altre belle ragazze meno problematiche che farebbero i salti di gioia se tu volessi corteggiarle. Per esempio le ragazze del Rotaract...>>
Roberto inarcò le sopracciglia:
<<Strano, mi pareva di aver capito, dalle parole di Felix, che le professioni dei miei non fossero poi così tanto valutate in quell'ambiente. Ma questo non ha importanza: come ho già detto, sono impegnato e non credo proprio che Aurora sia il tipo di persona che...>>
La signora Maria Carolina intervenne per sviare il discorso:
<<Ma guarda che al Rotaract ti vorranno senz'altro! Ti troverai benissimo se vorrai aderire. 
Anche Aurora è iscritta, per cui avrai molte occasioni in più per conoscerla meglio e per conoscere anche tutti i suoi corteggiatori... e non sono pochi!>>
I suoi occhi verdi erano diventati quasi gialli, come quelli di una tigre.
Roberto si rese conto che non gli stavano offrendo una via d'uscita:
<<Ne parlerò con Aurora>>
Taddeo Porcu, felicissimo, si alzò e lo abbraccio con un slancio tale da apparire un lottatore di sumo.
<<Benissimo! E poi dovremo organizzare una vacanza insieme, per te, Felix, Aurora e altre belle ragazze che sicuramente faranno la fila per correre dietro a uno come te!>>
A Roberto venne da ridere:
<<Non credo proprio, ma parlerò con Aurora anche riguardo alle vacanze estive>>
Poi si affrettò ad uscire da quella gabbia di matti, che avevano comunque ottenuto il loro scopo, e cioè fargli capire che Felix sarebbe sempre stato nel mezzo e che Aurora...
Vogliono farmi credere che Aurora sia diversa da ciò che appare, che non mi ami, che io sia solo uno dei tanti corteggiatori, e nemmeno dei più degni di considerazione. 
Lui non ci voleva credere, ma il dubbio lo tormentava, perché quando lui le aveva detto "ti amo", lei non aveva fatto altrettanto. E poi c'erano delle stranezze, dei segreti, qualcosa che soltanto lei e Felix sapevano. 
Non credo che siano amanti, ma c'è qualcosa che li unisce, qualcosa che forse potrebbe essere peggio ancora dell'incesto. Ma cosa? Triangoli, feticismi, parafilie? In fondo il sadismo è presente nella loro famiglia... ma Aurora è una ragazza gentile e dolce, non farebbe del male neanche a una mosca.
Devo fidarmi di lei. Amarla senza riserve. Solo così sarò degno di essere preso seriamente in considerazione.




giovedì 11 febbraio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 109. E cos'è tanto raro quanto un giorno di maggio?


Nel memorabile incipit del più famoso passo di "The Vision of Sir Launfal", il poeta romantico americano James Russell Lowell si pone, in maniera retorica e quasi paradossale, un  quesito sorprendente: "And what is so rare as a day in June?" .
L'interpretazione letterale ci rimanda ad un topos poetico. Il poeta si riferisce al fatto che in giugno si trovano le giornate più lunghe dell'anno (intese come ore solari) e la natura raggiunge il suo massimo rigoglio, così come per metafora durante la giovinezza la vita delle persone è al suo apice, e la felicità sembra essere a portata di mano. Questa la spiegazione, di per sé, è limitata, perché consiste in un luogo comune  a cui si ricorre fin troppo spesso in poesia. 
A nostro parere Lowell ci dice molto di più : nel senso che, se il poeta insiste tanto nell'associare la felicità a questa fase dell'anno e al momento culminante della giovinezza, allora la probabilità di essere felici viene circoscritta ad un periodo breve, e di conseguenza raro, e quindi  la domanda che Lowell si pone è molto più generale e inquietante, ossia: "Che cosa c'è di più raro della felicità?"
E' questo il senso : è la felicità ad essere rara, non i giorni di giugno.

In maggio, però, è tutto un altro discorso, almeno secondo Roberto Monterovere.
In quel famoso Anno della Falsa Primavera, la felicità lo raggiunse di sorpresa, in un sabato di maggio, e poi lo riempì e lo travolse a tal punto da fargli credere che fosse possibile riuscire a sapere e a capire davvero i sentimenti e i pensieri della persona amata. Ma non è così. Certe cose, anche importanti, non le sapremo mai e non le capiremo mai.
Noi non amiamo la persona, ma l'idea che ci siamo fatti di quella persona: solo se si è consapevoli di questo, si può dare solidità ad un rapporto, senza restare delusi quando l'idealizzazione viene meno e coloro che abbiamo messo su un piedistallo ci si mostrano in tutte le loro infinite sfaccettature.

"Era de maggio...", dunque, come recita una meravigliosa canzone napoletana che vorrei facesse da introduzione sonora a quanto stiamo per raccontare.
Quel giorno era destinato a rimanere impresso nella mente di Roberto, in ogni singolo dettaglio, per tutta una serie di circostanze che fece coincidere una fase felice della sua vita con un evento tragico della storia nazionale italiana, ossia la strage di Capaci, nella quale persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Era, per la precisione, il 23 maggio 1992, e la vita politica italiana si trovava in una fase di sconvolgimento, per tutta una serie di eventi ben noti che provocarono la crisi dei partiti tradizionali e l'emergere di nuove forze politiche
Normalmente Roberto seguiva la politica, anche se non aveva in merito le idee molto chiare.
In quel periodo, il suo innamoramento per Aurora gli aveva fatto perdere di vista tutto il resto (tranne i suoi doveri di studente), e in quei giorni, in particolare, vedeva tutto con gli occhiali rosa dell'amore, 
Era un sabato, e approfittando del fatto che il resto della famiglia era nella villa di collina, Aurora aveva invitato Roberto a casa sua, per un pomeriggio rilassante di musica e di confidenze.
Certo era strano che i Visconti-Ordelaffi lasciassero la loro unica figlia da sola nel grande palazzo, ma in fondo era presente il personale domestico, per cui non erano davvero soli.
Quando Roberto arrivò, Aurora era ancor più bella del solito, e volle fargli vedere le varie stanze del piano nobile, per poi arrivare, inevitabilmente, alla sua camera.
Intendiamoci, nessuno dei due aveva in mente nulla di erotico: si trattava semplicemente di trascorrere il tempo ascoltando canzoni romantiche e condividendo le proprie emozioni.
La stanza di Aurora era molto ampia, ma diversa da come Roberto se l'era immaginata.


Era in stile contemporaneo, geometrico e minimalista. Le pareti erano rosa, mentre i mobili erano in parte color fucsia e in parte color lavanda.
Da un lato c'era un ampio guardaroba, in un armadio a muro che occupava quasi due pareti (angolo compreso). Dall'altro c'era una finestra, un mobile di frassino che poteva essere adibito sia a libreria che a vano portaoggetti. Poi, sempre di frassino, c'era una scrivania con computer, cancelleria e cassetti fucsia e lavanda con maniglie a forma di cuore.
Addossati alla parete di fondo c'erano un comodino, un comò a cassettoni (sempre fuscia e lavanda con maniglie a cuore) sopra il quale troneggiava una specchiera con vari oggetti di cosmetica.
In mezzo a tutto questo, si trovava un tappeto enorme, pulito, molto spesso e morbido, con alcuni peluches sparsi e poi, naturalmente, accostato al muro, un letto a una piazza e mezzo, con lenzuola floreali e vari cuscinetti colorati. Subito dietro c'era un rivestimento in pelle bianca, foderato e sormontato da un pannello rosa su cui erano inserite alcune cartoline, foto di famiglia e di amici, più gli idoli di Aurora, in particolare Claudio Baglioni (il suo preferito) e Lucio Battisti (il numero due).
Quelle immagini erano gli unici indizi che potevano far pensare che la camera fosse abitata da una diciassettenne.
Per il resto sembrava più la camera di una bambina di prima media molto diligente e rispettosa delle regole.
Roberto ebbe la vaga impressione che ci fosse qualcosa di strano.
E' davvero questa la stanza della Principessa dei miei sogni? O c'è anche un'altra stanza, segreta, dove lei nasconde le prove di una personalità diversa da quella che la famiglia ha tentato di plasmare?
Per il momento preferì non pensarci: in fondo quel giorno era il loro primo vero incontro in cui potessero parlare liberamente per molte ore.
Aurora esordì dicendo:
<<Ma ti ricordi che una volta mi chiamavi per cognome?>>
Lui non se lo ricordava, ma cercò di giustificarsi:
<<Era solo per scherzare>>
Lei non ci credette:
<<No, no, all'epoca proprio non ti interessavo per niente. Per punizione adesso, come avevamo già preventivato, ti farò ascoltare tutte le mie canzoni preferite, partendo ovviamente da quelle di Baglioni, che tra l'altro ti assomiglia un po'>>
Per lui non c'era alcuna somiglianza:
<<Abbiamo in comune solo il naso>>
Lei rise:
<<Che scemo! Io mi riferivo agli occhi, al sorriso, ai capelli lunghi, soprattutto nelle foto di lui da ragazzo, in cui aveva poco più della nostra età. E lo sguardo, vedi, ha l'aria di un sognatore con la testa tra le nuvole>>
Roberto osservò i poster, risalenti agli Anni '70 :
<<Sì, forse qualcosa... vagamente... ma solo se preso dal profilo giusto. Comunque mi sono fatto crescere i capelli solo perché me l'hai chiesto tu. I miei familiari disapprovano, tranne Diana, naturalmente>>




Aurora sorrise:
<<Spero che tu me la faccia conoscere. Mia madre mi ha parlato tanto di lei>>
Lui annuì:
<<D'accordo, organizzerò un incontro, anche se temo che tuo padre e la tua bisnonna non ne saranno felici, per non parlare della famiglia Porcu>>
Lei scrollò le spalle, come se si trattasse di una questione trascurabile:
<<E' mia madre che conta, e lei stravede per te>>
Poi tornò alla carica su Baglioni:
<<Era un figlio dei fiori, un hippy, ma non si è mai schierato politicamente con la sinistra>>
Roberto sorrise:
<<Le cose stanno cambiando. Dagli tempo. Prima o poi approderà anche lui al lido dei radical-chic. E tu, politicamente, a chi ti senti vicina?>>
La risposta fu più che eloquente:
<<Io e i miei genitori siamo liberali conservatori, i miei votano il PLI. I miei nonni e i miei zii sono di destra, votano il MSI. La bisnonna Clotilde è monarchica e ogni volta deve cercare di capire in che partito sono finiti i monarchici>> rise <<E tu?>>
Lui, come sempre, non aveva le idee chiare:
<<Io non ho certezze, forse perché i miei genitori hanno idee diverse tra loro, anche in ambito politico, così come le loro famiglie. I Monterovere sono progressisti e i Ricci-Orsini sono conservatori.
Io potrei definirmi come un laico di centro, a metà strada tra i liberaldemocratici e i socialdemocratici... qualcosa del genere>>
Lei annuì:
<<Può andar bene, sia a me che ai miei. E il resto della famiglia dovrà farsene una ragione.
Ma adesso passiamo alla musica. 
Ho qui una compilation del meglio di Baglioni. Prima però vorrei fare una premessa, contro quelli che dicono che fa venire il latte alle ginocchia. Lo dicono perché non lo conoscono bene: le sue canzoni, oltre che essere musicalmente molto valide e cantate con grande perizia, non sono affatto banali, nemmeno quelle che sembrano dei tormentoni dal titolo ammiccante. Questo piccolo grande amore, per fare l'esempio più noto, affronta un tema che secondo me è profondo: a volte noi non sappiamo riconoscere ciò che stiamo cercando, nemmeno quando ce l'abbiamo davanti, e quando alla fine ce ne rendiamo conto, ormai è troppo tardi: abbiamo allontanato la nostra fortuna, e abbiamo provocato solo dolore, prima agli altri, e poi a noi stessi.  
Lei lo ama sul serio, ma lui ha paura di mettersi in gioco, di prendere un impegno>>
E questo era proprio ciò che Roberto realmente pensava:
<<Forse credeva che lei meritasse di meglio>>
Aurora scosse il capo:
<<Ma lei lo amava davvero, e lui continuava a svicolare, a non capire che lei era la sua anima gemella. La canzone è molto chiara su questo punto: "Ed io, io non ho mai capito niente, visto che oramai non me lo levo dalla mente, che lei...". Perché voi uomini non riuscite a sintonizzarvi con i messaggi che le donne vi mandano? 
Non riuscite nemmeno ad accorgervi delle cause del vostro stesso dolore: il non aver capito in tempo, il non avere avuto il coraggio di essere chiari e sinceri, il non aver trovato mai le parole appropriate e i comportamenti coerenti.
Perché la presa di coscienza di tutto questo arriva sempre, inesorabilmente, in ritardo?
E qui si arriva al finale della canzone, al momento in cui lui si rende conto dell'errore e del dolore causato a lei e a se stesso, e del fatto che, per molto tempo, tutto questo è stato come rimosso dalla coscienza: "E io, io non lo so quant'è che ho pianto / Solamente adesso me ne sto rendendo conto"... e a quel punto mi commuovo sempre... forse perché ho paura che succeda anche a me, e ho bisogno di avere al mio fianco qualcuno che sia capace di rassicurarmi e di infondermi coraggio. 
Del resto, non è forse quello che desideriamo tutti?>>


Roberto, che non era sicuro di nulla, neppure della propria esistenza, si sentì inadeguato nel ruolo di colui che rassicura e protegge. Lui era il filosofo eretico, destinato a problematizzare l'ovvio e ad abolire l'idolatria del fatto compiuto. Come poteva infondere sicurezza?
Se fosse stato veramente onesto, avrebbe dovuto dire tutto questo.
Ma l'amore ci fa credere di poter diventare ciò di cui la persona che amiamo ha bisogno.
Decise di nascondere la propria insicurezza e di manifestare i propri sentimenti.
Ma occorreva farlo con estrema delicatezza e tenerezza.
Erano seduti sul morbido tappeto. Prima le sfiorò dolcemente la mano, mentre con l'altra le accarezzò una ciocca di capelli, dorata e preziosa come seta.
Lei era bellissima. Era la persona più bella che avesse mai visto in vita sua, ed ora lui, che non si sentiva degno di lucidarle le scarpe, le si era proposto come compagno. 
Aspettò trepidante la reazione di lei.
Aurora gli strinse la mano e con l'altra gli spettinò i capelli, sorridendo, e poi entrambi si avvicinarono e si scambiarono un bacio molto casto, e rimasero abbracciati per un po'.
Lui era al settimo cielo, lei gli si stringeva forte al petto, proprio come nella canzone.
Roberto sentì il cuore di lei palpitare forte, all'unisono col suo.
Aurora gli sorrise e gli disse:
<<Ho bisogno di te, Roberto. Promettimi che starai al mio fianco, e che non mi abbandonerai>>
Lui, tornando a guardarla in viso e asciugandole le lacrime di commozione, rispose:
<<Aurora, io ti amo. Per quale motivo dovrei abbandonarti?>>
Lei gli sussurrò:
<<Ci sono cose che non sai, ma che presto io ti rivelerò. Non oggi... oggi è solo per noi>>
Lo abbracciò di nuovo, e poi si baciarono, e quella volta fu un vero bacio, appassionato.
Con una mano lei riaccese il mangianastri e rincominciò la musica.
Il tempo trascorreva senza che loro se ne rendessero conto. 
Rimasero abbracciati, a baciarsi e ad accarezzarsi con dolcezza e grande rispetto reciproco, senza permettere che gli istinti prevalessero sul loro bisogno di romanticismo e di affetto.
Per lui era vero amore, ma per lei? Forse neppure lei avrebbe saputo rispondere.
Nel frattempo le canzoni si susseguivano ("E tu..." "Strada facendo", "Tu come stai?", "Porta portese", "Viva l'Inghilterra", "Avrai", "Io me ne andrei"), ma una su tutte rimase impressa nella mente di Roberto, e cioè Mille giorni di te e di me. 
Non potevano immaginare che sarebbe stata quella la "loro canzone".
Era bellissima, certo, ma non era una canzone felice, anzi, era la rappresentazione della fine di un grande amore, terminato per una scelta ben precisa: lui lascia lei per evitare che un dolore più grande la colpisca.
"Ti ho fatto male per non farlo alla tua vita".
Quella frase straordinaria e terribile, in quel momento sembrava solo un modo per dire che a volte amare significa anche lasciar andare chi si ama.
Nessuno di loro due poteva immaginare che, dopo meno di mille giorni, quella frase sarebbe stata l'epitaffio della loro storia. 
Gli amori felici non sono letterariamente interessanti : la letteratura ha sempre privilegiato gli amori contrastati, se non addirittura impossibili. Non occorre citare gli esempi, li conosciamo tutti a memoria. 
A volte gli ostacoli sono di tipo familiare, sociale, ambientale, situazionale; altre volte sono di tipo psicologico, personale, individuale. 
A distanza di trent'anni dagli eventi narrati, risulta ancora difficile capire quali di quegli ostacoli furono più rilevanti nel rovinare il rapporto tra Aurora e Roberto, anche perché nessuno dei due, in tutto quel tempo, disse o fece mai nulla per chiarire la natura stessa di questo rapporto.
L'unica cosa che sappiamo è che, in quel sabato pomeriggio, sia lei che lui erano stati semplicemente due adolescenti sensibili, pieni di sogni e di paure, due anime che si erano confortate a vicenda, e avevano condiviso un sogno romantico e una innocente tenerezza.
Niente di più, quel giorno, ma anche niente di meno.



venerdì 5 febbraio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 108. Omni parte vitae detestabilis


Per descrivere Felice Porcu sarebbe sufficiente prendere come modello il personaggio di Ramsay Bolton in Game of Thrones e dire che Porcu era simile, ma molto più brutto e molto più cattivo.
Due righe. E la narrazione potrebbe andare oltre, un po' come fece, da par suo, l'effervescente ed esilarante Svetonio, che liquidò Gneo Domizio Enobarbo, (padre biologico di Nerone), con sole quattro parole: "Omni parte vitae detestabilis".
Saremmo tentati di imitare lo stile icastico e le descrizioni volutamente esagerate dell'autore del De vita Caesarum, ma non possiamo, perché il personaggio in questione ebbe un ruolo troppo devastante nelle vite dei nostri protagonisti per poter essere ridotto a una mera macchietta.
Felice Porcu nasce nel 1975 come figlio di Maria Carolina Tartaglia e di Taddeo Porcu, ragioniere di origine sarda e capo-contabile presso la Visconti & Tartaglia Idrocarburi.
Dalla madre ereditò una forte miopia, che lo costrinse a portare fin da piccolo le lenti a contatto, le quali tuttavia non riuscirono del tutto a cancellare una certa vacuità e fissità dello sguardo.
Questo particolare, unito al naso a becco di gufo, uguale a quello dalla madre e della nonna materna, gli conferivano un'espressione da barbagianni, o meglio ancora da allocco


Dal padre, invece, ereditò il fisico massiccio, tarchiato, tendente alla pinguedine e mostruosamente peloso a causa di un eccesso di testosterone che gli provocò una smodata e precoce libido sessuale.
Dal punto di vista delle capacità mentali, gli vanno riconosciute una predisposizione per le materie tecnico-scientifiche, una qualche praticità in campo sportivo e una una notevole astuzia che gli permise di schivare molti pericoli, derivanti dai guai in cui finiva a causa della sua indole sadica.
Al tutto si può aggiungere una grossolana comicità, a volte involontaria.

Questa era la base genetica, ma di per sé certi elementi disfunzionali sarebbero stati contenibili, se lui non fosse cresciuto in un ambiente che esercitò su di lui un imprinting molto negativo, dovuto in particolare dalla nefasta influenza che ebbe su di lui il nonno materno, Paride Tartaglia, un altro "omni parte vitae detestabilis".
Paride era sempre stato un uomo sadico e violento e aveva trovato la sua prima occupazione come capo-squadrista ai tempi in cui Mussolini reclutava giovani volenterosi per i nascenti Fasci di Combattimento.
Avrebbe potuto fare una buona carriera politica, ma non gli interessava: a lui piaceva solo prendere a manganellate chi non gli stava simpatico, poi legarlo, fargli bere litri di olio di ricino, e infine assistere alle disgustose conseguenze digestive che tutto ciò comportava sulle vittime.
Ed era talmente assiduo in questa attività che lui stesso, alla fine, per dirla tutta, puzzava di merda.
Divenne il capo della Milizia per le zone di Pievequinta e Casemurate ed ebbe sempre la copertura, ogni volta che si spingeva troppo in là con le sevizie, di suo fratello, l'ispettore Onofrio Tartaglia, una nostra vecchia conoscenza.
Gli agricoltori locali, in particolare le grandi proprietà, si rivolgevano a lui, qualora dovessero sorgere controversie di tipo sindacale con i braccianti o i mezzadri.
Ettore Ricci diceva di loro: <<Paride o Onofrio? Sono due figli di puttana, ma, attenzione, sono i nostri figli di puttana>>
Li disprezzava, ma allo stesso tempo aveva bisogno di loro e li ricompensava lautamente.
Dopo la guerra, tra il 1945 e il 1946, i due fratelli Tartaglia si diedero alla macchia, fino a quando non furono certi che ci sarebbe stata un'amnistia.
A quel punto Onofrio venne reintegrato nel suo incarico di ispettore.
Paride capì che era venuto il momento di mettere la testa a posto, ossia cercarsi una moglie con una buona dote che gli permettesse una rendita "decorosa".
A dispetto del nome, il nostro Paride non era bello come il principe troiano suo omonimo, ed era anche, naturalmente, molto più rozzo e volgare, per cui non fu gli fu facile trovare una moglie adatta.
Tra le vergini ricche, finite tutte le Ricci a disposizione (tranne Adriana, che però era troppo brutta persino per un Tartaglia), rimaneva soltanto una certa Paolina Vaccarelli, una biondina tisica e anemica, molto miope, leggermente strabica, con un naso a becco, un accenno di baffi dorati, un inizio di gobba e una gamba più corta dell'altra a causa di una poliomielite infantile.
Il padre di lei era il proprietario di un distributore di benzina, nei pressi di Pievequinta.
L'attività rendeva bene e c'erano già due dipendenti che facevano quasi tutto.
Paride sposò Paolina, e fece finta di lavorare al distributore, lasciando tutto il lavoro sporco ai dipendenti. Ma non era soddisfatto.
Si annoiava, gli mancavano i bei tempi in cui poteva randellare chi gli pareva senza alcuna conseguenza spiacevole, anzi, con il plauso e il contributo pecuniario dei pesci grossi.
Andò in giro a trovare i grandi proprietari, ma la maggior parte gli sbatté la porta in faccia.
Si rivolse allora a Michele Braghiri, amministratore del Feudo Orsini, che gli promise di mettere una buona parola per lui con Ettore Ricci.
In un primo momento Ettore reagì negativamente: <<Paride non è come suo fratello. Onofrio capisce quando è il punto di fermarsi, Paride no, anzi, è proprio in quel momento che inizia a divertirsi, e io non ho bisogno di ulteriori scandali>>
Michele Braghiri aveva annuito, ma aveva replicato:
<<Però noi abbiamo bisogno di Onofrio e non possiamo liquidare suo fratello senza offrirgli qualcosa, anche solo un prestito per ampliare il distributore...>>
Ettore si accigliò, valutando un progetto che aveva in mente da tempo, e poi disse:
<<Senti Michele... se, per ipotesi, avessimo a disposizione del denaro in contanti, messo da parte per le emergenze, non necessariamente dichiarato, ma io non so niente di queste cose, sei tu l'esperto. Comunque, se Paride volesse un prestito e fosse disposto a reinvestirli, un po' per volta, in qualcosa di redditizio, magari un altro distributore di benzina... Potrebbe rendere parecchio, sai. 
Io vorrei mettere uno zampino in quel settore, mantenendo però un profilo basso, perché se mi muovo apertamente, tutti i pezzi grossi si coalizzano per farmi fuori,  e questo è un rischio che non voglio correre.
Io ufficialmente non comparirei da nessuna parte, se non, al limite, come obbligazionista. 
A Paride non chiedo altro che farmi avere, a titolo di interessi, una piccola percentuale annua dei suoi guadagni.  Mi sembra un buon accomodamento.
E anche tu avrai la tua parte, naturalmente. Sai già quel che devi fare...>>
Michele annuì, col suo sguardo da faina, ed eseguì gli ordini.
Paride accettò con entusiasmo, perché ricevere soldi dal nulla era una cosa che lo esaltava decisamente, e chi potrebbe dargli torto?
Suo suocero gli diede validi consigli su come procedere nell'investire quei soldi e i risultati furono molto incoraggianti.
Nel giro di una decina d'anni la società Vaccarelli & Tartaglia divenne una delle principali fornitrici di idrocarburi della provincia e anche oltre.
Quando il vecchio Vaccarelli morì e Paride divenne l'unico padrone, si sentì sufficientemente forte da sfidare Ettore Ricci.
Gli restituì il prestito e si rifiutò di continuare a versargli la percentuale.
Formalmente la cosa era ineccepibile, ma come si può immaginare, Ettore fece il diavolo a quattro, lo chiamò "miserabile traditore", minacciò ritorsioni di ogni genere, disse che gli avrebbe mandato qualche suo amico pugile a insegnargli "come si sta al mondo", ma poi alla fine prevalse la prudenza, perché, come sempre, bisognava mantenere buoni rapporti con l'ispettore Onofrio e non sollevare altri polveroni.

E fu così che la società dei Tartaglia divenne una macchina da soldi molto più redditizia di tutte le aziende di Ettore Ricci messe insieme.
Ettore si mangiava le mani per la rabbia e sarebbe dato delle botte in testa per essersi fidato di Paride, ma ormai era troppo tardi. 
Tartaglia era diventato il più ricco di tutti, ma anche lui non era riuscito ad avere un figlio maschio e questo alleviava in parte le sofferenze di Ettore.

Le sue due figlie, Maria Antonietta e Maria Carolina, erano diversissime tra loro: la prima era bella e molto raffinata, la seconda era un mostro, sia nell'aspetto fisico che nel carattere.
Era come se i difetti di Paride e Paolina si fossero concentrati tutti sulla secondogenita, la quale, naturalmente, ne risentì moltissimo, alimentando quella componente sadica del suo carattere che era già presente nei geni paterni.
Il resto è storia nota: Maria Antonietta ricevette la proposta di matrimonio del visconte Bartolomeo II, il quale però richiese come dote il conferimento alla futura viscontessa della quota maggioranza dell'azienda di famiglia, mentre Maria Carolina avrebbe avuto, a suo tempo, tutto il resto: case, terre, depositi bancari e così via.
All'epoca parve una richiesta ragionevole e la famiglia Tartaglia acconsentì, con atti di donazione, testamento e rinunce, ma ben presto divenne chiaro che la famiglia Porcu era stata imbrogliata.
L'azienda era destinata a crescere di valore in maniera diecimila volte più grande dell'eredità che la secondogenita aveva accettato, rinunciando ad ogni pretesa riguardante la società di famiglia.
Questo acuì enormemente l'acredine di Maria Carolina contro il mondo intero, e alimentò anche il senso di frustrazione di Taddeo Porcu, che già nutriva un certo rancore nei confronti di tutti coloro che avevano avuto più fortuna di lui, in primis il cognato e datore di lavoro, il Visconte.
Evitarono però una causa legale e preferirono far parte della corte dei visconti di Bertinoro con ruoli di primo piano.
Anche questo però fu un errore e a pagarne le spese fu principalmente loro figlio, Felice Porcu.

Fin dalla più tenera età, il giovane Porcu divenne una specie di "guardia del corpo" della cugina Aurora Visconti. Ovunque lei andasse, c'era sempre anche lui: all'asilo, alle elementari, alle mede, alle superiori e naturalmente in tutti gli eventi sociali e mondani.
C'era qualcosa di malsano nell'atteggiamento iperprotettivo e possessivo che egli mostrava nei confronti della cugina.
Ma la cosa più strana di tutte era il fatto che Aurora tollerasse senza protestare l'ingombrante presenza di Porcu.
I Visconti permettevano tutto questo, perché in fondo Felice dissuadeva da ogni approccio tutti coloro che volevano avvicinarsi a sua cugina, preservandone così la virtù.
Questo suo ruolo favorì anche l'integrazione dei Porcu come parte integrante del clan Visconti-Ordelaffi.
Felice, però, a dispetto del suo nome, non era per nulla contento del fatto che i Porcu fossero subordinati ai Visconti: in fondo i soldi dei visconti di Bertinoro provenivano per lo più dalla Visconti & Tartaglia Idrocarburi, che era stata fondata da suo nonno Paride, a cui lui tanto assomigliava.
Paride, per placare l'invidia del nipote, gli promise che avrebbe fatto in modo di fargli avere una quota dell'azienda, in un modo o nell'altro: in cambio però Felice doveva trascorrere molto tempo con lui, apprendendo la "nobile" arte della tortura.
Non fu difficile: Porcu aveva già, dentro di sé, tutto il sadismo del nonno, con in più alcuni elementi che preferiva tenere nascosti e che sarebbero emersi solo in seguito.

In un primo momento, fino alla prima media, Felice sfogò la sua violenza innata su oggetti, piante e persino sugli animali, ma con gli esseri umani manteneva un atteggiamento neutrale.
 Avendo frequentato, con la cugina, scuole materne ed elementari private, aveva ricevuto un'educazione morale ispirata ai valori cristiani e questo lo aveva preservato, per qualche anno, da certi aspetti che, in un altro contesto, sarebbero emersi prima. Per esempio: fino agli 11 anni, non era volgare, limitava l'uso delle "parolacce", non aveva quasi alcuna cognizione riguardante la sessualità e non aveva ancora manifestato tendenze al bullismo.
La sua unica anomalia evidente era il rapporto strettissimo ed esclusivo con Aurora, con la quale, tutti ne erano convinti, condivideva alcune reazioni all'ambiente troppo rigido e severo nel quale entrambi erano cresciuti.

Alle medie, lui e Aurora entrarono in una scuola pubblica, per una decisione delle loro madri, che insegnavano entrambe in quella scuola, e tra i colleghi c'erano le loro cugine Maria Giovanna e Maria Amelia Tartaglia, figlie dell'ispettore Onofrio Tartaglia e di Maria Teresa Ricci, la Prozia.
Per non parlare poi di altre personalità notevoli: Anna De Gubernatis coniugata Trombatore (il Sommo Poeta) e sorella di Elisabetta Braghiri, e alcune frequentatrici del salotto Visconti, tra cui Alessandra Parronchi Troiani, moglie di un importante generale della Finanza Ursula Zebedei Gordini, consorte di un viceprefetto. In più c'erano le Grandi Zitelle e Vedove del Club del Pettegolezzo, ospiti fisse alle famose partite di canasta di Ginevra Orsini, detta "La Sorella".

Ma c'era anche un altro motivo, segreto e inconfessabile per la sua incomprensibilità, per il quale Maria Antonietta Tartaglia Visconti-Ordelaffi aveva iscritto la figlia in una scuola media pubblica, ed era il desiderio che conoscesse Roberto Monterovere, che infatti fu assegnato alla stessa classe di Aurora e quindi anche di Felice.
Si ricordava di quando, da ragazza, andava a lezione privata di latino dalla Signorina De Toschi, e vedeva le sorelle Ricci-Orsini trattate con tutti i riguardi, come se fossero tre principesse, mentre lei e sua sorella erano solo figlie di un benzinaio arricchito.
Maria Antonietta però non ce l'aveva con le tre sorelle, anzi, le ammirava, e voleva diventare loro amica e magari loro parente, mentre sua sorella Maria Carolina provava solo una rancorosa invidia.
Dopo il matrimonio di Antonietta col visconte Bartolomeo le cose cambiarono e i rapporti di forza si invertirono, ma ci fu un evento che risveglio nella viscontessa l'interesse per i Ricci-Orsini, e cioè la scoperta, nelle cantine, del ritratto di Emilia Paolucci de' Calboli, madre di Diana Orsini, nella stessa posa e con la stessa acconciatura che si può osservare nel ritratto di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio.



Questo ritrovamento era stato considerato dalla giovane viscontessa come un segno del destino, un invito a proseguire nella direzione di avvicinamento al clan Ricci-Orsini, anche nel momento in cui quest'ultimo veniva travolto dagli scandali.
<<In fondo>> diceva Maria Antonietta alla sorella << gli scandali non sono necessariamente un male. Guarda la famiglia reale inglese: cosa sarebbero senza gli scandali? Mummie noiosissime. 
E invece sono diventati delle star in grado di oscurare i divi di Hollywood. Al giorno d'oggi solo uno scandalo ti rende una very important person>>
Maria Carolina scuoteva la testa:
<<Tu vorresti essere la Diana Spencer della situazione, ma i Ricci-Orsini-Monterovere non sono certo i Windsor>>

Felice Porcu ascoltava queste conversazioni fingendo di non capire.  In realtà aveva ben chiara la predilezione di sua zia nei confronti del figlio di Silvia Ricci-Orsini, quell'odioso secchione, ma non aveva dato troppa importanza alla cosa, in fondo era certo che sua cugina non avrebbe mai mostrato il minimo interesse nei confronti di quel rammollito di Monterovere.
E invece, all'inizio, si era verificato l'esatto contrario: Aurora teneva d'occhio ogni movimento di Roberto, arrivando persino a pedinarlo durante la ricreazione, ma lui non se ne accorgeva nemmeno.
E lei ne soffriva.
Un giorno Felice decise di affrontare l'argomento:
<<Ma insomma, si può sapere perché ti interessa tanto quel topo di fogna? Io dico che è frocio, sicuro come la merda, te lo dico io>>
Aveva fatto presto, Porcu, a imparare le parolacce e a comportarsi da bullo.
I neofiti sono spesso i più fanatici.
Aurora sembrava distante, assente, ma poi aveva risposto in maniera molto lucida:
<<Io dico di no. Forse è solo timido, inesperto e troppo concentrato nello studio. Non dovresti offenderlo, anche perché credo che abbia qualcosa in comune con noi, anche se forse non lo sa ancora. Dovremmo cooptarlo... se capisci cosa intendo dire>>
Porcu divenne paonazzo per la gelosia:
<<Capisco benissimo, e te lo dico adesso : non te lo permetterò mai. Ricordatelo bene: mai e poi mai>>
Aurora sapeva che il cugino non stava bluffando, ma cercò comunque di blandirlo:
<<Non hai nulla da temere, Felix, tu sei insostituibile. Io dico solo che sbagli a disprezzare Roberto. Se tu lo trattassi un po' meglio, lui potrebbe diventare per noi un amico leale, e magari disponibile... capisci?>>
Porcu capiva fin troppo bene, ma non avrebbe mai potuto accettare un compromesso su quell'argomento.
<<E' un cacciatore di dote, come suo padre e suo nonno>>
Omise di aggiungere alla schiera anche il proprio padre e il proprio nonno.
<<Se lo fosse mi sbaverebbe dietro come tutti gli altri, e invece no. Per lui è come se fossi trasparente>>
Porcu ne aveva abbastanza:
<< Lui fa finta di non vederti perché sa di non avere speranze con te! E' un perdente, e lo sa benissimo, per cui ha imparato a stare al suo posto. Questo è l'unico motivo per cui fino ad ora non l'ho riempito di botte. Non c'è gusto, con uno così. Ma se dovesse alzare la cresta, allora sarebbe tutto un altro discorso>>

Il tempo passava e l'aggressività di Felice Porcu cresceva. Con grande imparzialità picchiava un po' tutti, perché sapeva che nessuno avrebbe avuto il coraggio di fare la spia.
Il "non fare la spia" è la regola numero uno a scuola, nei collegi, nelle carceri e in altre situazioni dove chi avrebbe dovuto far rispettare le regole faceva finta di non vedere, di non sentire...
Porcu sapeva bene che Monterovere non era il tipo da fare la spia, ma sapeva anche che era meglio evitare un conflitto aperto con il suo clan, che aveva anche un qualche legame di parentela con il proprio.
Suo nonno Paride era stato chiaro:
<<Felix, tu puoi picchiare chi ti pare, tranne Monterovere. Con lui bisogna usare altri metodi, ma fintanto che non ronza attorno ad Aurora, è meglio lasciarlo perdere>>
Porcu eseguiva senza discutere gli ordini del nonno, ma voleva spiegazioni:
<<Ma si può sapere perché avete tutti tanta paura della sua famiglia? Cosa sono, dei boss della mafia?>>
Paride Tartaglia fece una smorfia:
<<Magari. Sarebbe tutto più facile se fosse così. No, adesso che Ettore è morto, loro sono puliti. Integerrimi, e non c'è nulla di più spaventoso, a questo mondo, di un uomo integerrimo>>
Felix non capiva:
<<Ma allora da dove viene la loro forza?>>
Il vecchio sospirò:
<<Ci sono molti motivi. Il primo è evidente: sono nelle grazie di tua zia Maria Antonietta, ed è lei che tiene i cordoni della borsa. E' stato un mio errore cederle il controllo, ma all'epoca eravamo solo dei benzinai arricchiti. Non immaginavo che l'azienda potesse crescere così tanto.
Ma il secondo motivo è quello più importante.
 Edoardo Monterovere, il prozio di Roberto, è un politico che conta molto in Emilia-Romagna, e potrebbe crearci molti problemi, se volesse. Potrebbe persino farci revocare la concessione. 
I suoi fratelli poi hanno un'azienda che è tra i nostri clienti più importanti.
E infine c'è Lorenzo... >>
Porcu non conosceva nessuno con quel nome:
<<E chi sarebbe?>>
Paride fissò il nipote con uno sguardo che non ammetteva repliche:
<<E' lo zio di Roberto. Il fratello minore di suo padre. Persino Ida Braghiri ha paura di Lorenzo. Lei e le sue sorelle lo chiamano "l'Iniziato". Fa parte di una confraternita di cui si sa ben poco, ma una cosa è certa: chi si li sfida apertamente fa una brutta fine. E non chiedermi altro: ci sono cose, a questo mondo, che è meglio non sapere>>
E così, per alcuni anni, Porcu lasciò stare Monterovere.
Ma quando venne a sapere che Roberto aveva pranzato con Aurora a Palazzo Visconti-Ordelaffi, la sua rabbia divenne incontenibile.
Tutto ciò che in tanti anni aveva represso, riemerse sotto forma di odio allo stato puro e di sadismo oltre ogni immaginazione.
Tornò da suo nonno e gli spiego la situazione, concludendo:
<<Questa volta Monterovere ha fatto il passo più lungo della gamba. Non può passarla liscia>>
Paride Tartaglia valutò la situazione e infine disse:
<<Il clan Braghiri-De Gubernatis ha un piano. Il problema è che vogliono usare noi come strumento, e questo non mi piace. Dovremo mostrare di essere astuti anche noi: l'unica strada è fare il doppio gioco, magari anche il triplo. 
Mostrati neutrale, in apparenza, in modo da far abbassare la guardia a Monterovere. 
Dobbiamo incastrarlo in modo che la colpa ricada tutta su di lui e che risulti indifendibile persino dai suoi parenti. E ho una mezza idea su come riuscirci...>>
Porcu sorrise, e fu qualcosa di terribile a vedersi:
<<Dimmi che cos'hai in mente e io farò la mia parte>>