Molti erano i pensieri che agitavano la mente del ricercatore
Luca Bosco, ex assistente del Professor Lorenzo Monterovere, mentre si trovava nel retro di un taxi che lo stava conducendo nel luogo concordato per l'incontro.
Avrei dovuto rifiutare. Non ho più niente a che spartire lui, i suoi "discepoli" e la sua famiglia.
Eppure la curiosità aveva prevalso.
La convocazione era giunta del tutto inaspettata, tanto che lui, inizialmente, aveva pensato che si trattasse di uno scherzo.
Erano passati sei anni dai tempi in cui aveva frequentato la cosiddetta "Confraternita dei Monteroveriani", ufficialmente nota come Turris Eburnea, e ormai non era più in contatto con nessuna delle persone che aveva conosciuto in quel contesto esclusivo ed influente.
Era stato lui stesso a interrompere i rapporti con il gruppo, e lo aveva fatto in modo drastico, sbattendo la porta, senza lasciare alcuno spiraglio ai ripensamenti.
Quando ho intuito chi erano veramente, e cosa c'era dietro, ho capito che l'unica soluzione era fuggire bruciando i ponti alle spalle.
Ed
erano volate parole grosse, quelle da cui non si torna più indietro.
Parole eccessive e troppo ben cucite, come un vestito nuovo, sui loro destinatari, per poter essere dimenticate
e men che meno perdonate.
"Hoc erat in votis"
Questo era nelle sue intenzioni.
Non voleva rientrare nella Confraternita, e non sentiva la mancanza di nessuno di loro, tranne che di
una giovane studentessa statunitense di origini rumene, Virginia Dracu, di cui lui era stato vanamente innamorato. Lei amava un altro, un rampollo mezzo inglese e mezzo tedesco di nome Roman Waldemar.
Ma quello era un capitolo a parte. E comunque la verità era un'altra.
Io non ero degno di lei, e per questo l'ho allontanata.
"Ti ho fatto male per non farlo alla tua vita..."
Anche in quel caso erano state pronunciate parole imperdonabili.
Parole che non riflettevano i suoi sentimenti, ma che dovevano essere senza possibilità di perdono.
A volte è necessario compiere qualcosa di imperdonabile per poter continuare a vivere.
Quando ripensava a quel periodo della sua vita, non poteva fare a meno di provare un forte
senso di estraneità rispetto al se stesso di allora.
Gli avevano fatto il lavaggio del cervello, all'Università di Bologna e poi a quella di Pisa.
Ero il classico radical-chic, infarcito di luoghi comuni e verità preconfezionate da chi deteneva l'egemonia culturale.
Ma era stata solo una fase:
a un certo punto si era reso conto di cosa c'era dietro ai dogmi e alle formule di quell'elite autoreferenziale e aveva rifiutato il potere che l'appartenenza alla
Confraternita gli avrebbe garantito.
Forse la maggior parte di loro è in buona fede, ma resta il fatto che il fanatismo porta ai vertici le persone sbagliate. I migliori leader sono quelli che hanno ricevuto il comando senza cercarlo, mentre indirizzavano le loro energie nel realizzare qualcosa di più importante, e di più sano.
Il potere non trasforma le persone: mette soltanto in evidenza ciò che sono.
Ed io avevo troppa paura di sapere chi fossi veramente.
Era anche per questo che aveva preferito ritirarsi prima di fare carriera.
Avevo paura di poter diventare come la parte peggiore di quelli a cui mi opponevo.
I suoi talenti sembravano essere andati sprecati.
Aveva dovuto ripiegare verso un impiego molto più modesto e una vita quasi ascetica.
Ma siamo sicuri che scegliere una vita contemplativa sia uno spreco? Non è forse questa la vita autentica?
Persino
gli Eburnei, dall'alto della loro
simbolica Torre d'Avorio, avrebbero dovuto capirlo.
In fondo
c'era qualcosa di mistico nelle loro riunioni nel castello medievale di Monterovere Boica, di proprietà del nobile Lorenzo Monterovere, Professore Ordinario di Storia delle Religioni all'Università di Bologna e Presidente della Confraternita della Turris Eburnea.
Il professor Monterovere era un uomo carismatico, che sapeva dosare sapientemente ascesi e mondanità.
Questo valeva per tutti i membri della Confraternita.
Ma inevitabilmente,
in quell'ascesi, si era insinuata la convinzione di essere degli Eletti, superiori alla massa, al gregge.
Migliori lo erano in alcuni punti, ma peggiori in tantissimi altri. Non si rendevano conto che il male che dicevano di voler combattere nel mondo esterno era anche dentro di loro, ed era proprio lì che per prima cosa avrebbero dovuto combatterlo.
Lui l'aveva fatto.
Era stata una guerra molto dolorosa, perché lo aveva portato ad un conflitto col Professeore.
Lorenzo Monterovere aveva amato Luca come un figlio, e lui di questo era stato felice, soprattutto considerando che era cresciuto senza un padre, figlio delle colpa di una donna che non si era mai sposata.
Ma a volte le ragioni del cuore e quelle della mente collidevano.
I Monterovere erano una famiglia contraddittoria, che nascondeva i propri segreti dietro una cortina fumogena piuttosto fitta.
L'enigma maggiore resta suo nipote Riccardo... sembra gentile, ma tiene le persone a distanza... lo fa per salvare se stesso o per salvare gli altri? Dietro alla sua immagine di rampollo viziato si nascondono forse dolori di cui io non so nulla.
E questo valeva per tutti.
"Quisque suos patimur manes..." : ognuno di noi sopporta i suoi fantasmi.
Come liberarsene? A volte era necessario un bagno di umiltà che poteva nascere solo da una sconfitta.
Il fallimento è il più grande maestro.
Le esperienze di vita in contesti degradati avevano estirpato in Luca, almeno in parte, quel tipo di
mentalità snob che, come troppo spesso accade agli uomini di cultura, si era impadronita di lui facendogli temporaneamente disprezzare le persone comuni.
Ma alla fine la schiettezza di Luca Bosco aveva prevalso e le sue prese di posizione erano state giudicate "politicamente scorrette" dal professor Monterovere.
L'impeccabile accademico gli aveva fatto capire
che, se solo lui fosse stato più "accomodante" su certi temi, lo avrebbe introdotto nei giusti ambienti per fare carriera.
Ma lui non c'era riuscito:
la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata una critica all' "imperatrice" tedesca Angela Merkel (nata Dorothea Kasner, ma questo non bisognava dirlo, così come era d'obbligo tacere sui lati oscuri della classe dirigente europea).
A tale riguardo, il professore lo aveva ammonito:
<<
Le attribuivo più finezza, dottor Bosco>>
<<Solo perché ho osato dire quello che tutti pensano? Lei sa che nutro una venerazione per la Germania e la sua cultura, la sua storia, la sua efficienza, ma purtroppo i Tedeschi hanno ancora quel vizietto di voler comandare anche a casa degli altri... Le lezioni del passato non sono servite gran che: non imparano mai! E allora tanto valeva tenersi il Kaiser Guglielmo! Meglio gli eserciti di Prussia che i ricatti della Bundesbank!>>
Monterovere lo aveva guardato con aria solenne:
<<Lei è un giovane colto, e la conoscenza è uno dei requisiti necessari del potere, ma non è sufficiente, se manca la diplomazia>>
Luca era rimasto sorpreso da quell'accostamento così diretto tra il sacro e il profano:
<<
Io perseguo la conoscenza per fini contemplativi, non per usarla come strumento di potere.
E credevo che fosse così anche per lei, ma a quanto pare, anch'io le attribuivo più finezza, Professore>>
Monterovere aveva accennato un sorriso ironico:
<<
Lei si atteggia a veggente e profeta, mio caro dottor Bosco, ma come faceva notare Machiavelli, i profeti disarmati fanno una brutta fine. La rende forse felice la conoscenza fine a se stessa?>>
<<
La conoscenza non rende mai felici, al contrario. Ci sono cose di cui sarebbe meglio ignorare persino l'esistenza, per poterne evitare la paura. Perdere la felicità è uno dei prezzo della conoscenza. Non è forse questo il vero significato del Peccato Originale? Chi si ciba del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, perde il paradiso terrestre, ossia l'innocenza degli ingenui>>
Il Professore aveva annuito:
<<Ha il dono della parola efficace, oltre che quello della conoscenza. E anche questa è un'arma importante. Ma non basta avere le armi, bisogna anche saperle usare. E avere la saggezza di scegliere il momento opportuno per farlo, o per astenersi dal farlo. E anche il buon senso di non usarle contro di sé>>
Era un avvertimento.
Luca Bosco mancava di quel tipo di buon senso che serviva per avere successo nella vita.
<<
Se l'ipocrisia e il conformismo sono i prezzi da pagare per far carriera, allora io non sono assolutamente disposto a pagarli>>
Lorenzo Monterovere aveva assunto un'espressione dispiaciuta:
<<
Lei mi giudica un ipocrita, ma la situazione è un po' più complessa.
Il fatto è che la verità è così preziosa da dover essere protetta da una coltre di bugie.
Mio nipote Riccardo l'ha imparato presto: è cresciuto in una famiglia sempre al centro di ogni scandalo. Per lui mentire equivale a sopravvivere, ma non per questo è un ipocrita, anzi. Speravo un giorno di farvi incontrare: sareste divenuti amici e avreste potuto realizzare grandi cose.
E' un grande spreco, dottor Bosco. Molte speranze erano state riposte in lei... malriposte, per meglio dire! C'è un'aristocrazia dello spirito, in lei, ma a quanto pare le sue origini campagnole hanno prevalso>>
Luca aveva sorriso:
<<
Origini campagnole di cui io vado fiero e di cui parlo volentieri, al contrario di quanto fa lei. I Monterovere facevano la fame, fino a qualche decennio fa. Sarei molto curioso di sapere come siete riusciti a ricomprare il castello!>>
Erano parole dure, ma sincere.
Lorenzo Monterovere era nato in povertà e i suoi genitori erano cresciuti in montagna, in una valle di elfi e boschi, in un mondo che non esisteva più.
Ed era passato molto tempo.
Il Professore era diventato qualcun altro, in un altro luogo, per vie oscure.
<<
Sì, sono nato povero, ma quell'infanzia... ahh, quella vita, quanto mi mancano: guardare la luce del sole sull'erba calpestata e genti vigorose che svolgevano con amore le antiche attività della loro esistenza quotidiana di agricoltori o boscaioli. Ci sono montagne verdi, o praterie, o mari azzurri, nell'infanzia di ognuno di noi. Dov'è andato tutto quel vigore?
Passato come il vento sui prati, come la pioggia sugli alberi: i lunghi giorni sono tramontati dietro le colline, nell'ombra.
Tutto perduto... perduto per sempre... un'intera civiltà si è dissolta nel giro di pochi decenni.
Svanito insieme a quel che restava dell'antica tradizione.
I Galli Boi adoravano le querce, e lì, nell'appennino ce n'erano in abbondanza.
Ma la Quercia Sacra non c'è più. Fu abbattuta e da allora i bigotti chiamano quel luogo l'Orma del Diavolo. Ecco, io sono l'erede di quella tradizione, e ho dedicato la mia vita a farla rinascere!>>
Dunque era questo il suo segreto? Una rinascita neopagana? Un culto esoterico?
Era da lì che veniva la sua fortuna?
Qualunque fosse la verità, Lorenzo non aveva tutti i torti: il sacro era stato degradato a mero folklore.
Si era persa la dimensione metafisica, l'aspirazione al trascendente, la cognizione del soprannaturale.
Luca lo sapeva bene. Per quanto fosse stato solo un infante, all'epoca, aveva ancora dei ricordi di quel periodo.
Da bambino,
Luca Bosco aveva visto con gli occhi gli Anni Settanta.
Ne ricordava l'ardore velleitario.
Gli piaceva la moda di quegli anni.
Che differenza tra le donne di allora e le ragazzette di oggi, sprofondate negli smartphone, fissate con i leggins e gli skinny e bollano come "vintage" tutto il resto.
Sono crudele a liquidarle così? Devo essere crudele per essere buono, diceva Amleto.
Ma qui c'era qualcos'altro.
C'era la sua difficoltà a rapportarsi con le donne e a far durare le relazioni sentimentali.
Per anni ho creduto, sbagliando, che in amore non potessero esistere vie di mezzo: o si è ricambiati, o non si è ricambiati, e siccome la seconda opzione si era rivelata la più frequente, era meglio metterci una pietra sopra... solo adesso mi rendo conto che le donne della mia vita mi hanno ricambiato come potevano, e non era colpa loro se io esigevo qualcosa di più... ma come sempre queste cose si capiscono solo dopo aver perso le migliori occasioni per creare qualcosa di importante...
Virginia aveva quindici anni meno di lui e parlava degli anni settanta come si trattasse della preistoria.
Ma lui li aveva visti con i suoi occhi di bambino, gli Anni Settanta.
Quante cose aveva visto con questi suoi occhi!
Troppe cose...
Sapeva di avere la mente ingombra per i troppi pensieri e i troppi ricordi.
Eppure quei ricordi sono parte di me. Essi "sono" me...
E dunque doveva conviverci, anche se la conoscenza veicolata da quei ricordi era una fonte di malinconica nostalgia e di perenne rammarico.
Ho visto troppe cose che sarebbe stato meglio non vedere.
Questa era la condanna dei veggenti.
Pietà per il veggente e chi non vede. Pietà per chi conosce già il futuro. Pietà per chi lo sa, per chi lo dice: pietà per chi lo ignora, e brancola nel buio...