domenica 25 marzo 2018

Albero genealogico degli Orchi della Terra di Mezzo

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Gli Orchi[1] sono una razza di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien.

Origine

Si tratta di creature di forma umanoide, una progenie elfica corrotta nella mente e nel corpo da Melkor storpiando e torturando gli Elfi da lui imprigionati in Utumno durante la Prima Era, come spiegato ne Il Silmarillion[2]: l'ainu decaduto infatti non li ha creati, non è in grado di creare alcun essere vivente «a causa della sua ribellione nello Ainulindalë prima dell'Inizio»[3], ma la progenie degli Orchi si riproduce perpetuando l'originaria corruzione e Melkor li ha resi suoi schiavi sebbene queste creature in cuor loro lo detestino.

Fisionomia e comportamento


Un gruppo di orchi nell'adattamento cinematografico di Peter Jackson.
Gli Orchi[4] sono creature grottesche e deformi, dalla pelle verde scuro fino a rosa chiaro e dalle braccia particolarmente lunghe. Il volto è schiacciato, la bocca ampia dotata di zanne, gli occhi rossi particolarmente adatti a vedere al buio dato che trascorrono gran parte della loro vita in caverne e gallerie: odiano infatti e mal sopportano, fatta eccezione per gli Uruk-hai di Saruman, la luce del sole, la quale gli "rende molli le gambe e fa girar loro la testa." Per tale motivo, durante la battaglia dei Campi del PelennorSauron oscura il cielo con i fumi del Monte Fato favorendo l'avanzata del suo esercito. La loro altezza varia, da quella paragonabile a quella di un uomo (seppur molto basso) a quella di uno Hobbit.
Intimamente crudeli, cannibali all'occorrenza e antropofagi, sono tuttavia molto ingegnosi e valenti[5] sia nelle opere minerarie che nella lavorazione dei metalli, in particolar modo quando si tratta di produrre armi e strumenti di tortura.
Sia Melkor che, dopo di lui, Sauron non si curano della loro incolumità sia per malvagità sia perché, più semplicemente, gli Orchi si riproducono rapidamente rimpiazzando le perdite. Per questo motivo, per esempio, Sauron non si cura che gli Orchi di stanza presso il passo di Cirith Ungol siano l'unica fonte di cibo per Shelob:
« [Gli Orchi] erano certo utili schiavi, ma ne aveva in abbondanza. Se di tanto in tanto Shelob li utilizzava per appagare la propria fame, tanto meglio: Sauron poteva farne a meno »
(Il Signore degli Anelli, op. cit., p. 873.)

Tipologie di Orchi

Gli Orchi furono "generati" da Melkor nella Prima Era; da allora si diversificarono in un gran numero di razze, sparse qua e là per le Grandi Terre; la razza più antica è quella degli Orchi del Nord, i servitori di Morgoth; essi vivevano in Angband o sparsi per il Beleriand, tuttavia non erano una razza uniforme, poiché anch'essi erano piuttosto diversificati, infatti esistono:
  • gli Orchi comuni, di piccola statura, i primi ad essere generati;
  • gli Orchi "di una razza feroce, crudeli e astuti", che nei Racconti incompiuti assalgono il Brethil, venendo poi sgominati dagli Uomini dei Boschi guidati da Túrin;
  • Gong, presenti nei Racconti perduti e definiti come " esseri maligni oscuramente apparentati con gli Orchi", ma elencati assieme agli Orchi come un razza a sé stante. Essi saccheggiarono il Nargothrond dopo la caduta di questo ad opera di Glaurung; tuttavia non è certo se poi Tolkien li abbia cancellati dalle leggende o essi siano parte degli Orchi in generale che servono Morgoth;
  • Goblin, Orchi leggermente più bassi dei normali orchi. Vivono sottoterra e vengono incontrati da Thorin Scudodiquercia nelle Montagne Nebbiose. Questa distinzione è presente soltanto nella trasposizione cinematografica realizzata da Peter Jackson, in cui nella prima trilogia sono degli Orchi dalla pelle verde ed equipaggiati con rudimentali equipaggiamenti di ferro, mentre nella seconda come esseri deformi a causa di malattie. Nell'opera originale di Tolkien, "Goblin" non è altro che un sinonimo di Orco, utilizzato quasi esclusivamente ne Lo Hobbit. "Orc" non è una parola inglese, e Goblin sarebbe, quindi, soltanto la sua traduzione: ne Le due torri, il termine Goblin viene utilizzato riferendosi agli Uruk-hai di Saruman, mostrando fuor di dubbio la sua natura di sinonimo.
  • infine ci sono i Sarqindi, Orchi cannibali citati sempre nei Racconti perduti e incontrati da Eärendil nei suoi viaggi.[6]
A seguito del crollo del Thangorodrim e della disfatta di Morgoth, gli Orchi fuggirono dal settentrione e si rifugiarono nella Terra di Mezzo orientale; qui probabilmente cominciarono a creare problemi ai Nani e agli Uomini. Gran parte di loro si riversò nelle Montagne Nebbiose, ove si diversificarono ulteriormente in una gran numero di tribù con dialetti e costumi differenti.
Nella guerra di Sauron contro l'Eriador, gli Orchi fecero parte del suo esercito; in seguito, allorché egli fu sconfitto, si rifugiarono a Mordor con lui, ma solo una piccola percentuale, che però Sauron nutrì facendola incrementare di numero. Da essi ricavò i cosiddetti Occhirossi, gli Orchi soldati che fino al termine della Terza Era furono la maggior componente delle sue legioni.
Negli ultimi due secoli della Terza Era ad opera dei malvagi Maiar dimoranti nella Terra di Mezzo si ebbe un'ulteriore, terribile modifica degli Orchi. Sauron, infatti, cercò di rendere queste infami creature più robuste, riuscendovi; ed ottenne gli Uruk, Orchi neri molto grossi e forzuti, che causarono gravi danni a Gondor. Oltre a servire come potente legione a Mordor, alcuni Uruk furono inviati nelle miniere delle Montagne Nebbiose, dove divennero dei veri e propri signori, e fornendo a Sauron degli utili servi in un luogo così distante.
Infine, nell'ultimo mezzo secolo della Terza Era, lo stregone traditore Saruman modificò questi Uruk, rendendoli ancor più robusti, tanto da coprire in viaggio lunghe distanze e di sopportare la luce del sole. Solitamente questi Orchi chiamavano se stessi Uruk-hai, mentre le altre razze venivano da loro dispregiativamente definite snaga, schiavi. Come se non bastasse, il perfido Saruman infuse ad alcuni Uomini sangue di Orco, ottenendo l'orribile generazione dei mezzi-orchi, alti come Uomini ma con il viso crudelmente simile a quello orchesco. Mentre è probabile che almeno gli Uruk-hai di Saruman si estinsero a seguito della sconfitta della battaglia del Trombatorrione, i mezzi-orchi furono invece rilasciati dagli Hobbit dopo la battaglia di Lungacque, e quindi si mescolarono alle genti dell'Eriador.
All'inizio della Quarta Era, con la sconfitta di Sauron gli orchi fuggirono e ormai allo sbando, senza più una guida, molto probabilmente vennero tutti sterminati dagli uomini dei Regni Uniti mentre i goblin che abitavano nelle montagne nebbiose vennero uccisi dai nani della stirpe di Durin. Durante quest'era l'unico luogo in tutta la Terra di Mezzo dove si potevano incontrare Orchi erano solo le Montagne Grigie a nord che durante la Terza Era erano infestate ancora da alcuni draghi.

Etimologia, edizione inglese e traduzione italiana

Tolkien riprende il nome orc e ork[7] direttamente dal vocabolo in antico inglese che compare nel poema epico medioevale Beowulf e che si riferisce ad alcune creature mostruose della schiatta di Grendel.
Dal termine in antico inglese, lo scrittore conia[8] il vocabolo sindarin «orch» (con il plurale «yrch»)[9] e «uruk» nel linguaggio nero utilizzati, assieme a «orc», in gran parte della sua produzione, anche se ne Lo Hobbit utilizza quasi esclusivamente il termine «goblin».
Questa discrepanza dipende dal fatto che l'ambientazione de Lo Hobbit, pur attingendo per molti aspetti (nomi, personaggi, creature e luoghi) a quell'insieme di scritti sulla Terra di Mezzo che costituiranno Il Silmarillion, non era stata concepita inizialmente da Tolkien come coincidente con la Terra di Mezzo, e il romanzo manteneva un impianto favolistico di varia ispirazione[10].
Nello specifico, un'importante fonte[11] per l'ideazione degli Orchi era stata, oltre al Beowulf, la favola La principessa e l'orco (The Princess and the Goblin1872) dello scrittore scozzese George MacDonald. Gli Orchi di Tolkien mostrano, tuttavia, alcune differenze rispetto agli originali: amano cantare ritmate e feroci liriche[12] e hanno i piedi robusti e resistenti dove invece quelli degli Orchi di MacDonald sono delicati[13].
Nell'originale inglese de Lo Hobbit (che viene pubblicato nel 1937) il termine «orc» non viene, quindi, utilizzato se non in due casi: quando Gandalf cerca di spaventare Bilbo menzionando le creature delle Terre Selvagge e nel nome della spada elfica Orcrist rinvenuta tra gli oggetti del tesoro dei Troll Berto, Maso e Guglielmo. Tutte le altre occorrenze del romanzo riportano, in assonanza con l'opera di MacDonald, il termine «goblin», anche se si tratta comunque di creature già simili a quelle delle successive opere tolkeniane.
Una versione iniziale degli Orchi, molto diversa come fisionomia da quelle successive, compare nella poesia di Tolkien Goblin Feet (Piedi d'orco) che venne pubblicata nell'annuario Oxford Poetry del 1915 e, successivamente, in Book of Fairy Poetry (Libro della poesia fiabesca1920) di Dora Owen. In Goblin Feet, gli Orchi sono descritti come «minuscole creature elfiche e i suoni del loro canto e della loro danza [sono] magici»[14].
Nelle edizioni in italiano del Signore degli Anelli per l'editore Rusconi, dal 1970 fino all'acquisizione di Bompiani e alla revisione della Società Tolkieniana Italiana nel 2003, la parola inglese «orc» viene tradotta come «orchetto».
La scelta stilistica, che l'ha differenziata per lungo tempo dall'edizione italiana Adelphi de Lo Hobbit, dove veniva utilizzato il termine «orco» (per quanto, come già detto, nell'originale inglese di quest'opera fosse utilizzato «goblin»), rientra in una più ampia e complessa vicenda editoriale relativa alla pubblicazione italiana del romanzo.
Si può dire che Goblin sia un termine arcaico[15].

Note

  1. ^ Orchetti nelle edizioni italiane de Il Signore degli Anelli antecedenti al 2003.
  2. ^ Il Silmarillion, op. cit., p. 55, vedi anche citazione iniziale.
  3. ^ Ibidem. Tuttavia Christopher Tolkien (Racconti perduti, p. 267) fa notare che questa concezione dell'incapacità creativa di Melkor è posteriore. Nei primi manoscritti del racconto de La caduta di Gondolin viene spiegato dall'elfo Cuorpiccino — che sta narrando il racconto agli ospiti della dimora di Mar Vanwa Tyaliéva — che «tutta questa razza fu generata da Melko dalle calure e dalle melme del sottosuolo» (p. 196) lasciando intendere una creazione originale di Melkor, anche se Cuorpiccino aggiunge, dubbioso, che forse al contrario alcuni Noldor sono stati corrotti e trasformati in Orchi esprimendo in nuce il concetto del Silmarillion.
  4. ^ Nelle opere di Tolkien compaiono separatamente molti elementi della loro descrizione e costumi, ma la descrizione qui presentata, oltre che sul Signore degli Anelli e Lo Hobbit, si basa sulla sintesi che ne ha fatto David Day ne Il bestiario di Tolkien, op. cit., pp. 206-212.
  5. ^ Lo Hobbit, op. cit., pp. 80-81.
  6. ^ Parma Eldalamberon n. 14
  7. ^ Questa forma compare in scritti più tardi come Le avventure di Tom Bombadil e frequentemente in The Peoples of Middle-earth, uno dei volumi di The History of Middle-earth.
  8. ^ La realtà in trasparenza, op. cit., lettera 144.
  9. ^ I termini nelle varie lingue vengono sinteticamente riportati nell'Appendice F (Note etnografiche e linguistiche) de Il Signore degli Anelli; ma le prime versioni del racconto La caduta di Gondolin (Racconti perduti, p. 267) riportano anche un plurale «orqui».
  10. ^ Vedi per approfondire: Lo Hobbit annotato, op. cit., pp. 19-21.
  11. ^ Come spiegato da Tolkien stesso nella lettera 144 e da Douglas Anderson ne Lo Hobbit annotato, op. cit., p. 120.
  12. ^ Vedi le canzoni orchesche Afferra e spezza! Voragine nera! e Già quindici uccelli su abeti posati (Lo Hobbit, op. cit., pp. 79 e 125).
  13. ^ «Cosa alla quale non ho mai creduto» afferma Tolkien nella lettera 144.
  14. ^ Douglas Anderson ne riassume così la descrizione ne Lo Hobbit annotato (pp. 128-129) che riporta la traduzione in italiano della poesia.
  15. ^ Un articolo in cui si spiega la differenza fra goblin e orchi storiadelfantasy.blogspot.com
  16. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 73-74, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  17. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 75, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  18. ^ a b J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 204-205, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  19. ^ a b J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 209, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  20. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 71, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  21. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 72, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  22. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 211-212, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  23. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 233, cap. 2 (libro sesto) - "La Terra dell'Ombra". ISBN 88-452-3227-1
  24. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 192, cap. 10 (libro quinto) - "Il Cancello Nero si apre". ISBN 88-452-3227-1
  25. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 214, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  26. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 414, cap. 10 (libro quarto) - "Messer Samvise e le sue decisioni". ISBN 88-452-3226-3
  27. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 62-63, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  28. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 78, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  29. ^ Il nome di Lurtz non viene mai menzionato nel film, venendo indicato solo nei crediti finali.
  30. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 59-60, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3

Bibliografia

  • David Day, Il Bestiario di Tolkien, Bompiani, Milano 1990 ISBN 88-452-0597-5
  • J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Rusconi Libri, ventesima edizione, Milano 1989 ISBN 88-18-12369-6
  • J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, Rusconi Libri, Milano 1989 ISBN 88-18-12049-2
  • J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, traduzione italiana di Cristina De Grandis, Bompiani, Milano 2001 ISBN 88-452-9130-8
  • J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit, Adelphi Edizioni, Milano 1989 ISBN 88-459-0688-4
  • J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit annotato, note al testo di Douglas A. Anderson, Rusconi Editore, Milano 1991 ISBN 88-18-12100-6
  • J.R.R. Tolkien, Racconti perduti, Rusconi Libri, Milano 1994
  • J.R.R. Tolkien, The Peoples of Middle-earth, a cura di Christopher Tolkien, Houghton Mifflin, 1996 ISBN 0-395-82760-4

Voci correlate

sabato 24 marzo 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 109. L'anno della Falsa Primavera

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Nella primavera del 2012, per la terza e, a Dio piacendo, ultima volta, Riccardo Monterovere si laureò. Questa volta di trattava nientemeno che della Laurea Magistrale in Linguistica e Letteratura italiana.
C'era stata una sorta di anti-climax nella successione delle sue tre lauree: da una bocconiana Economia si era passati ad una bolognese Storia Contemporanea per finire con una specializzazione letteraria difficilmente spendibile al di fuori dell'insegnamento.
Lo stesso Riccardo ebbe a dire in quei giorni: <<Tre lauree, una più inutile dell'altra>>
Ma i discorsi occupazionali, almeno per un mese, furono banditi.
Amici e parenti organizzarono una festa in stile goliardico a cui presero parte anche gli anziani genitori e l'illustre zio Lorenzo, che quel giorno brillò di luce così intensa da meritare l'epiteto del suo mediceo predecessore: "il Magnifico".
In quella sessione primaverile si laurearono molti altri amici e compagni di corso di Riccardo, per cui i festeggiamenti si protrassero a lungo, e anche il clima sembrava favorire quell'atmosfera di festa: le temperature erano alte, le giornate luminose.
Per qualche giorno, la speranza parve ritornare.
Sembrava che quella fosse l'occasione per un nuovo inizio, una Nuova Primavera.
Riccardo conservava ancora, nonostante tutto, la convinzione di poter rientrare in carreggiata, di sistemarsi, quanto meno a livello lavorativo.
Nelle settimane seguenti, dunque, passata la sbornia dei festeggiamenti, si trovò ad affrontare la sua condizione ufficiale di disoccupato nell'Italia di Monti, commissariata dalla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) e nuovamente vassalla della Germania di Angela Merkel.
Ancora non si era reso conto dei disegni dell'elite globalista, che tesseva in segreto la sua trama, al fine di far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche, gestite in maniera sciagurata (come aveva potuto constatare di persona nei giorni, ormai lontani, in cui aveva lavorato presso un noto istituto di credito) da quei dirigenti che poi avevano concluso il loro mandato incassando premi di produzione e cospicue liquidazioni.
Ancora non aveva compreso che il liberalismo stava tradendo i piccoli proprietari, specie quelli immobiliari, oltre che i piccoli imprenditori e risparmiatori, così come la socialdemocrazia, convertendosi ad un neoliberismo in salsa buonista, immigrazionista e "progressista" in tema di diritti civili, aveva abbandonato la tutela del welfare state, dei diritti sociali e dei cittadini meno abbienti.
La democrazia dell'alternanza stava per essere sostituita dalle "grandi coalizioni", volte a tutelare un'unica elite tecnocratica globalista, che avrebbe legittimato se stessa tramite un buonismo stucchevole e ingannevole, fatto di immigrazionismo (utile per abbassare i salari), femminismo rancoroso e acido (destinato a favorire l'atomizzazione della società, disincentivando il matrimonio, ostacolo alla "flessibilità"), distruzione della piccola proprietà immobiliare (altro ostacolo della mobilità del lavoro) e degli stati nazionali (ultimo baluardo contro il dominio incontrastato della finanza mondiale).
Tutto questo sarebbe diventato ovvio in seguito, nella legislatura successiva, ma all'epoca era ancora una nebulosa indefinita, che confondeva anche gli osservatori più attenti e sagaci.
Ogni speranza di risanamento e di rilancio sorta in quella stagione era destinata ad infrangersi di fronte ad una successione di eventi drammatici, nel quinquennio successivo, di modo che quella primavera sarebbe stata ricordata in seguito e per sempre come una Falsa Primavera.
E questo valeva sia per il macrocosmo che per il microcosmo e dunque, nel suo piccolo, tale disillusione e disincanto riguardò anche Riccardo Monterovere e i suoi progetti per il futuro.
All'epoca, per lui, le alternative erano due: o preparare il concorso per essere ammesso al famigerato TFA, ossia il Tirocinio Formativo Attivo, al fine di ottenere l'abilitazione all'insegnamento delle materie letterarie nelle scuole, oppure accettare l'offerta di suo zio Lorenzo per un Dottorato di Ricerca o qualche Borsa di Studio.
Da tempo ci stava riflettendo e l'ipotesi del TFA, incredibilmente, gli sembrava meno onerosa di quella del Dottorato.
Riccardo era stanco di dare esami e di "scendere e salir per l'altrui scale" delle varie università e dei loro infiniti e labirintici dipartimenti, con annesse anticamere dalle travature antiche, con vene di salnitro alle pareti e panche traballanti, segnate da generazioni di questuanti in attesa del nulla, con in mano libri sconvolti da ore perdute nei solai.
Erano vent'anni che Riccardo faceva quella vita e non ne poteva più.
Lo zio Lorenzo, però, era di tutt'altro avviso, e in un assolato giorno di maggio, mentre il profumo delle rose, in cortile, si stava facendo eccessivo e stomachevole, il campanello squillò e l'eminente zio fece il suo ingresso.
Finse di non vedere il disordine in cui versava quello che un tempo era stato il glorioso "Mascarel Palace".
Come sempre il suo abbigliamento tendeva ad una inquietante prevalenza del colore viola e lilla.
<<Voglio che tu mi venga a trovare nel castello di Monterovere Boica>> esordì lo zio senza troppi preamboli <<perché ti devo far conoscere alcune persone importanti>>
Era la classica "offerta che non si può rifiutare".
<<Di chi si tratta?>>
Lorenzo si concesse un sorriso compiaciuto, mentre i suoi occhi azzurri brillavano con particolare splendore, e i suoi capelli argentei risplendevano sotto i raggi di quel sole di maggio.
Solo la pelle, rosea e glabra, sembrava risentire di quelle radiazioni luminose.
<<Miei ex studenti, che si sono fatti strada nell'alta società e che comunque sono rimasti, se mi concedi il termine, miei discepoli>>
Riccardo sentiva insinuarsi, nel mezzo di quello svenevole roseto, una sorta di fetore di marcio, quasi fosse un ammonimento a non dare corda all'ambiguo parente.
<<E quale sarebbe lo scopo di questo incontro?>>
Lorenzo si accigliò:
<<Tu fai troppe domande, e in generale tendi a parlare troppo. Dovrai imparare ad essere più discreto, se vorrai farti strada nella vita adulta, come ormai è tempo. Posso dirti soltanto che da questi incontri potrebbero nascere grandi opportunità per il tuo futuro>>
Questa reticenza, non priva di velate minacce, accentuò il senso di nausea che l'eccessivo odore di rose aveva creato nello stomaco del nipote:
<<Non so se sia una buona idea. Come hai detto tu stesso, io non sono il tipo adatto per quel genere di contesto sociale>>
A quel punto lo zio scattò in piedi, furibondo:
<<Ora basta con queste scuse patetiche! Non hai più l'età per fare lo schizzinoso! 
Tu sei l'erede di due stirpi importanti, per quanto decadute, e non immagini nemmeno quanto sia prezioso il tuo corredo genetico. L'Ordine a cui appartengo, e di cui ti parlerò, è molto interessato a te, e ritiene che sia giunto il momento della tua Iniziazione>>
A sentire quelle parole Riccardo fu percorso da un brivido:
<<Iniziazione? Non vorrai mica farmi entrare nella Massoneria? No, perché, te lo dico subito, io non ho nessuna intenzione di...>>
Lorenzo rise:
<<Ah ah, no, assolutamente! Non si tratta della Massoneria, stai tranquillo. E' qualcosa di molto più vicino ai tuoi interessi storici e culturali.
Di più non posso dirti. Posso solo esortarti ad assumere un atteggiamento più adulto.
Metti da parte il ragazzo e diventa ciò per cui sei nato!>>


venerdì 23 marzo 2018

Quadri, paesaggi e fantasy art

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K.D. Friedrich, "The Stages of Life"
1835
Oil on canvas (72.5 x 94 cm)
Museum der bildenden Künste, Leipzig, Germany

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Then Celegorm arose amid the throng, and drawing his sword he cried: 'Be he friend or foe, whether demon of Morgoth, of Elf, or child of Men, or any other living thing in Arda, neither law, nor love, nor league of hell, nor might of the Valar, nor any power of wizardry, shall defend him from the pursuing hate of Fëanor's sons, if he take or find a Silmaril and keep it. For the Silmarils we alone claim, until the world ends.' ~ The Silmarillion, Chapter 19 

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giovedì 22 marzo 2018

Neopaganesimo baltico e mitologia antica

neopaganesimo baltico è il complesso dei culti neopagani sorti tra i popoli baltici, ispirati alle antiche religioni pagane baltiche precedenti la cristianizzazione.
L'iniziatore del Neopaganesimo baltico fu il lituano Wilhelm Storosta, soprannominato Vydunas; nato nel 1868 fu un mistico, un drammaturgo e un filosofo; fu il primo a celebrare nuovamente una festa pagana alla fine del XIX secolo. Il suo pseudonimo, Vydunas, significa letteralmente "colui che vede", e si trattava di un nome in armonia con la vecchia tradizione panteistica della Lituania precristiana. Le feste crebbero di popolarità e furono portate avanti dai suoi discepoli; tuttavia con l'invasione sovietica del Paese la tradizione fu nuovamente sradicata. Dopo un lungo periodo, i primi segni di rinascita fecero la loro nuova apparizione negli anni sessanta; in particolare ebbero come cardine le attività di un vecchio tempio situato in Prussia.
Il termine prussiano che traduce letteralmente la parola tempio è romove, termine da cui trasse spunto, nel 1967 un'associazione di carattere culturale per la difesa delle tradizioni autoctone, chiamata Ramuva, la quale fu però repressa nel 1971 a causa degli elementi religiosi che tendeva ad esplicitare sempre di più. Successivamente, nel 1988, la Ramuva restituì le sue attività, fondando anche un'organizzazione totalmente religiosa, la Chiesa di Romuva; oggi ha aperto centri e gruppi di preghiera in cinque città lituane e detiene rapporti saldi con le associazioni ambientaliste per il rispetto della natura in quanto divina: uno dei principali obiettivi della Romuva, in attinenza all'etica pagana. La Chiesa di Romuva organizza rituali e festività delle antiche religioni pagane baltiche, organizza seminari, convegni e registra un numero sempre crescente di nuovi fedeli. I membri della Romuva organizzano frequentemente dei campi estivi a cui partecipano anche pagani residenti in altri Paesi.

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Un ruolo importante nella preservazione della religione tradizionale baltica negli Stati Uniti, durante il periodo di dominazione sovietica nei Paesi Baltici, è stato esercitato soprattutto dagli immigrati, con la fondazione di organizzazioni come la "Romuva USA" o il "Sacro Serpente". Dopo la caduta dell'Unione Sovietica i centri del neopaganesimo baltico si sono tuttavia ritrasferiti nei Paesi d'origine. Oggi la Romuva è fortemente radicata in Lituania; si è organizzata infatti utilizzando un sistema simile a quello della Chiesa cattolica, istituendo una serie di centri minori (una sorta di diocesi) in un buon numero di distretti municipali del Paese. In Lettonia, la religione pagana è stata riportata alla luce da un'organizzazione chiamata Dievturiba (anche Chiesa di Dievturiba), che in lingua lituana significa letteralmente "ciò che Dio detiene".
Colui che negli anni Venti fondò il gruppo fu Ernest Brastins, che trasse parecchie informazioni sulla vecchia religione dalle antiche canzoni folkloriche (come per esempio i dainas), dalla letteratura e dai simboli tradizionali intrisi di spiritualità pagana. Durante la dominazione sovietica, la Chiesa di Dievturiba fu repressa perché considerata una minaccia per il potere. Ernest Brastins fu perseguitato negli anni Quaranta ad Astrakhan, mentre molti fedeli del neopaganesimo baltico furono esiliati. In Lettonia sono stati pubblicati una moltitudine libri di carattere pagano, in molti vengono ritratte le gesta eroiche degli antenati che si opposero all'invasione cristiana.

Adamo da Brema, intorno al 1075, nel raccontare la morte del vescovo di Praga Adalberto (sospettato di essere una spia del duca di Polonia Boleslao) avvenuta nel 997, riporta:
« I Prussiani sono per la maggior parte delle persone non crudeli [homines humanissimi]). Escono per aiutare coloro che sono in pericolo in mare o che sono attaccati dai pirati. Molte cose lodevoli si potrebbero dire questi popoli rispetto alla loro morale, se solo avessero fede in Cristo, di cui i missionari hanno crudelmente perseguitato. Per loro mano Adalberto, il vescovo illustre dei Boemi, fu incoronato con il martirio. Anche se condividono tutto il resto con il nostro popolo, essi ci vietano solo l'accesso ai loro boschetti e sorgenti che loro asseriscono essere contaminati dall'ingresso dei cristiani. Questi uomini sono di colore blu, rubicondi in viso, e dai capelli lunghi. Vivono, inoltre, nelle paludi inaccessibili, non sopportano un padrone tra di loro. »
Nel 1249 il Trattato di Christburg riporta che i pruzzi adoravano Curche, durante le cerimonie per il raccolto. Tuttora è discussa l'etimologia, il genere e le funzioni. Alcuni, come Simon Grunau, suppongono che si ricolleghi allo slavo Svarog, il dio-fabbro, nonché al greco Efesto, oltre ad essere un dio creatore (per via della radice lituana kurti – creare), dio del raccolto e del grano, ma anche dio malefico e dio del fuoco. Altri studiosi addirittura mettono in dubbio che il trattato si riferisse ad un dio, ma piuttosto ad una corn dolly, una bambola di beneaugurio, come era uso presso alcuni popoli indoeuropei, in Russia anche per diverso tempo dopo la cristianizzazione[17].
Un'altra fonte affidabile è un memorandum del 1418, il Collato Episcopi Varmiensis, scritto dal vescovo di Warmia. In esso si elencano i successi ottenuti dai Cavalieri teutonici nella cristianizzazione dei prussiani, i quali non adoravano più Patollu e Natrimpe. Sebbene siano spesso intesi come due divinità differenti, patollu può essere anche un aggettivo (demoniaco, malefico) per descrivere Natrimpe[5]. In base ai più recenti sudi, Patollu è normalmente identificato con Peckols, l'iroso dio del sottosuolo, mentre Natrimpe come Potrimpo, dio dei mari o del grano.
In aggiunta a PeckolsPotrimpo e Perkūnas, Grunau menziona tre divinità minori: Wurschayto o Borszkayto e Szwaybrotto quali personificazioni di Widewuto e Bruteno, nonché, citando il trattato di Christburg, Curcho quale dio del cibo.
Col secolo successivo abbiamo la Constitutiones Synodales, del 1530, che elenca le divinità fornendo l'equivalente romano. Da notare che sono tutte maschili e che manca Curche. Tale lista può essere confrontata con quelle nel Libro Sudoviano, scritto tra il 1520 e il 1530.
Constitutiones Synodales[18]Libro dei Sudoviani[19]Funzione[19]Equivalente romano[18]
OccopirmusOckopirmusDio del Cielo e Padre degli deiSaturno
SuaixtixSwayxtixDio della luceElios
AusschautsAuschautsDio delle malattie e sella saluteEsculapio
AutrympusAutrimpusDio del mareCastore
PotrympusPotrympusDio dei laghi e dei fiumiPolluce
BardoyasBardoaytsdio delle naviNettuno
PergrubriusDio delle piante
PiluuytusPilnitisDio dell'abbondanzaCerere
ParcunsParkunsDio del tuonoGiove
Pecols e PocolsPeckols e PockolsDivinità infernaliPlutoneFurie
PuschkaytsDea della terra
Barstucke e MarkopoleServi di Puschkayts
Simon Grunau (morto nel 1530 circa) è stato criticato per usare fonti di dubbia origine e per aver spesso contrapposto fatti con altri di sua immaginazione. Alcuni studiosi moderni lo tendono ad escludere completamente, mentre altri, come Gintaras Beresnevičius, tendono ad essere più cauti, sperando che possa aver avuto accesso a fonti, anche solo folkloristiche, ormai non più esistenti.
Alla sua opera si deve l'introduzione e la diffusione di diverse tra le maggiori leggende popolari: re Widewuto, un re cimbro del VII secolo, il tempio di Romuva, la triade pagana PeckolsPotrimpo e Perkūnas, il gran sacerdote (krivė krivaitis), presentato come una sorta di papa pagano, nonché le waidelinns, simile alle vestali romane.

Lituania


Ricostruzione di un altare sulla montagna sacra Rambynas, Samogitia.

Samogitian Alka, ricostruzione di un osservatorio paleoastronomico.

Testimonianze

Le più antiche testimonianze sulla religione praticata in Lituania e in Galizia sono due fonti russe del XIII secolo: un'interpolazione di un compilatore russo della Cronaca bizantina di Giovanni Malalas e la cronaca galiziano-volinica. Del XIV secolo è la cronaca di Wigand di Marburgo che descrisse le campagne dell'ordine Teutonico dal 1293 al 1393: nella cronaca sono contenute informazioni relative al culto e ai riti funebri dei lituani. Il papa Pio II nel trattato De Europa riporta il resoconto del missionario Girolamo attivo in Lituania nel XV secolo[20]. Le relazioni dei gesuiti costituiscono un'altra fonte importante seppur tarda. I lituani rimasero attaccati alle loro tradizioni pagane ancora per lungo tempo dopo la cristianizzazione ufficiale del paese. Lo storico polacco Jan Łasicki adattò in un opuscolo le note di Jakob Laskowski il quale aveva compiuto intorno al 1560 un viaggio in Samogizia e aveva trovato una religione essenzialmente pagana. La cronaca galiziano-volinica descrive la conversione del sovrano Mindaugas come di facciata in quanto in realtà egli continuava a sacrificare ai suoi dei (NunadejTeljavelDiveriks)[21].

Culto

In linea di massima gli dei lituani hanno un ambito familiare e locale essenzialmente incentrato sul culto dei defunti e gli spiriti del luogo. Esistono diversi dei specifici per vari aspetti dell'esperienza umana. Vasta è la gamma delle divinità attinenti alla natura; alcuni dei loro nomi sono pervenuti fino a noi: Bangputis (che soffia sulle onde), dio del mare agitato; Medeina (da medis, albero, bosco), dea del bosco; i Laukasargai (da Laukas, campo e sargas, guardiano), divinità protettrici dei campi; Vejopatis (da vejas, vento), signore del vento[21].
Particolare importanza riveste il culto del fuoco, considerato tramite tra la vita terrena e il mondo soprannaturale. Nella zona di Vilnius venivano alimentati fuochi perpetui. In una relazione dei gesuiti del 1583 si narra delle proteste della popolazione verso missionari che volevano spegnere i fuochi: Perkūnas il dio del tuono si sarebbe gelato e altri dei si sarebbero indeboliti[22].
Era diffuso anche il culto delle pietre. In una relazione del 1601 si annotava che nei fienili, ricoperte di paglia, venivano conservate delle pietre dalla superficie piatta chiamate deyve, considerate protettrici del grano e del bestiame. A nessuno era concesso di toccarle se non ad una sacerdotessa che poteva offrire loro sacrifici[23].
I boschi sacri erano il luogo di culto per eccellenza da essi non era permesso tagliare legna o asportare quella caduta. Dopo il raccolto, all'inizio di ottobre, nei boschi sacri venivano sacrificati buoi, vitelli ed arieti in onore dei morti. Seguivano tre giorni di allegria e scambio di offerte. Inoltre alcuni alberi, fonti, colline e specchi d'acqua venivano considerati dimora degli dei.

Curi

I culti della parte della parte più occidentale della Lituania, la Curlandia, si differenziavano dalle regioni circostanti. Era abitata dai Curi, popolo con una fiera tradizione guerriera e profondamente pagano, tuttavia furono il primo popolo baltico ad essere sottomesso dall'Ordine Livoniano, dopo Letgalli, i quali però posero poca resistenza ad essere cristianizzati.
La loro religione era legata al loro animale sacro, il cavallo.
Nel 1075 Adamo di Brema descrive i Curi nel Gesta Hammaburgensis[24]:
« L'oro è molto abbondante la, i cavalli sono i migliori. Tutte le case sono pieni di veggenti, indovini e negromanti, i quali hanno persino costumi propri di un ordine monastico. A tutto il mondo si rivolgono per i responsi oracolari, in particolare ai spagnoli e ai greci »
Altri importanti testi sui Curi sono la Cronaca di Enrico di Livonia, la Vita Ansgari di Remberto di Brema, la Livländische Reimchronik (la "Cronaca Livoniana in rima"), la Saga di Egil e le Gesta Danorum.
Sconfitti, i Curi si mescolarono alle altre tribù, accettando il Cristianesimo, sebbene la tradizione pagana continuasse ad avere proseliti perfino nel XIX secolo.

Osiliani

Gli Osiliani, o Oeseliani, o antichi Estoni, stanziati perlopiù nell'isola di Saaremaa, combattero a fianco dei Curi contro i crociati del nord. La loro divinità principale viene indicata col nome Tharapita nella Cronaca di Enrico di Livonia, la quale racconta anche che tale dio nacque su una montagna boscosa a Virumaa, nell'entroterra estone, per poi recarsi ad Oesel, nell'isola di Saaremaa[25]. Il nome Taarapita è stato interpretato come un'invocazione, "Taara, aiuto!" (Taara a(v)ita in estone) o "custode di "Taara keeper" (Taara pidaja). Taaraè associato allo scandinavo Thor e a sua volta a Perkūnas. Il viaggio di Tharapita/Taara da Vironia a Saaremaa è stato associato all'antica caduta dei meteoriti di Kaali.

Estoni

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Mitologia estone.
Sebbene la popolazione estone condivida la dominazione dei cavalieri teutonici con resto delle popolazioni baltiche, come la maggior parte della storia successiva (a parte la dominazione danese), la mitologia estone presenta diverse differenze in quanto di derivazione ugro-finnica, come le popolazioni finlandesiungheresisami e mari. Tra le divinità più antiche si ricorda Jumal o Taevataat, dalle funzioni riconducibili a Diẽvas quale vecchio uomo dio del Cielo e demiurgo, figura che lentamente assunse i caratteri propri di Perkūnas fino a mutare in Ukko, di cui uno dei suoi nomi conosciuti era appunto Perkele. A differenza delle altre popolazioni baltiche, quelle estoni elaborarono una cosmogonia significativa.

Basso Medioevo

Le pressioni per la cristianizzazione forzata, anche per i popoli baltici, aumentarono notevolmente con Papa Innocenzo III il quale dichiarò la prima crociata del nord nel 1198 contro la Livonia. Seguono le campagne contro la Letgallia e la Selonia regioni storiche della Lettonia (1208–1224), contro l'Estonia (1208–1224), contro la Saaremaa (1206–61) e contro i Curi e Semigalli (1201–90). In Prussia i cavalieri dell'Ordine Teutonico iniziarono le crociate nel 1219[2]. La conquista della Prussia fu completata attorno al 1280 e le terre decimate furono ripopolate con coloni tedeschi (Ostsiedlung). Attorno al 1400 i pruzzi costituivano la metà della popolazione della Prussia.
Soggiogata la Prussia, l'ordine teutonico si concentrò sulla Lituania, ma incontrò maggiori resistenze. Il Granducato di Lituania continuò a professare gli antichi culti finché si unì Regno di Polonia nel 1386 accettando l'Unione di Krewo.
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: crociate del Nord.
Anche dopo l'adozione ufficiale del cristianesimo, i popoli baltici continuarono a seguire la propria religione tradizionale, in una secolare coesistenza e sovrapposizione, almeno fino al XVII secolo, durante la quale vennero adattati alcuni santi (es. Sant'Elia divenne il Tonante e assunse alcuni attributi di Perkūnas) e accettate alcune festività per favorire l'assimilazione, come il Vėlinės, corrispondente al celtico Halloween, diventato il giorno dei morti, l'Užgavėnės, festa della fine dell'inverno e della primavera, poi diventata la festa di San Giuseppe o il Martedì grasso, e il Rasos, festa dell'estate, poi diventata Joninės, la festa di San Giovanni Battista[26].

Età moderna


La dea Milda, di Kazimierz Alchimowicz (1910), Museo Nazionale di Varsavia.
L'epoca del Romanticismo, iniziata col XIX secolo, portò i lituani e i lettoni a guardare il loro passato con ispirazione sia intellettuale che spirituale.
Il folklore locale comprendeva ancora tradizioni che racchiudevano elementi degli antichi riti pagani e tramandava svariati miti e storie, considerate non necessariamente come vere, ma come esperienze codificate del passato. Si ci concentrava più sui problemi morali e sulle visoni eroiche piuttosto che sui singoli eroi, i quali molto spesso mancavano pure del nome, venendo indicati tramite perifrasi o altre forme indirette, come "il duca", "il signore del castello".
Il folklore e il paganesimo tradizionale furono idealizzati anche in chiave nazionalistica. In Lituania uno dei più famosi studiosi a capo di questo movimento fu lo storico Theodor Narbutt che creò anche nuovi miti lituani partendo da quelli greci[27], mentre in Lettonia e in Prussia vi fu lo scrittore Andrejs Pumpurs. Un'attività di recupero simile la fece anche lo scrittore e filologo Juris Alunāns, nonché il poeta Miķelis Krogzemis.
Il recupero dell'antica cultura e delle tradizioni sfociò nella ripresa di culti pagani. In Lettonia ebbe successo il movimento neopagano dei Dievturi (letteralmente "i custodi di Diẽvas") alla fine degli anni '20 del novecento, il quale reinterpretò in chiave panteistica alcuni aspetti cristiani per fonderli elementi recuperati dall'antica mitologia[28], mentre in Lituania e in Prussia il poeta, umanista e mistico Wilhelm Storosta (noto con lo pseudonimo Vydūnas) diede vita al movimento teosofico Mažoji Lietuva ("Lituania minore"). Con la costituzione dell'Unione Sovietica furono soppresse tutte le organizzazioni a caratterizzazione nazionalistica e molti praticanti furono giustiziati o deportati nei gulag in Siberia. Il clima si distese dopo il 1960, permettendo la ripresa di celebrazioni pubbliche delle festività religiose tradizionali baltiche. In Lituania Jonas Trinkunas fondò il movimento neopagano Romuva nel 1967, la quale però fu represso dal governo nel 1971. Con la dissoluzione dell'Unione Sovietica i movimenti Dievturiba e Romuva poterono praticare liberamente e professarsi come religioni tradizionali.

Note

  1. ^ ossia i Pruzzi, i Galindi e i Sudoviani nell'odierna Lituania, i Semigalli e i Selonici nella regione centrale meridionale dell'odierna Lettonia, i Curi nella regione occidentale, i Letgalli nella regione orientale, i Latgolici nella regione settentrionale, gli Osiliani nell'isola di Saaremaa e i Livoni tra la Lettonia e l'Estonia
  2. ^ a b Christiansen, 1997, p.287
  3. ^ Puhvel, 1999, pp.222-229
  4. ^ a b A titolo di esempio, gli indoeuropei Gemelli Divini sono particolarmente ben rappresentati dai Dieva déli (i lettoni "figli di dio") e Dievo súneliai o "Ašvieniai" (i lituani "figli di dio"), che corrispondono agli Ashvin vedici, ai Nara-Narayana hindi, ai Dioscuri greci, agli Alcis germani, i Palici siculi, i Romolo e Remo romani, i Hengist e Horsa anglosassoni. Secondo il folklore baltico, erano figli di Dievas (dal protoindouropeo *Dyeus, "dio", "cielo"). Da notare come il Ašvieniai lettone e il Ashvins vedico abbiano stessa radice protoindoeuropea *ek'w-, ossia "cavallo", radice che si ritrova anche in ašvache in lettone significa cavallo, come anche nel sanscrito ashva. Associati ai fratelli e al padre, ci sono due divinità femminili, la personificazione del sole Saule (in lettone "sole") e Saules meita (in lettone "figlia del sole") (cfr. Malloryv & Adams, 1999, p.163).
  5. ^ a b Bojtár, 1999, p. 308.
  6. ^ Facendo un parallelismo con la mitologia romana, si ricorda che Gioveaveva un centinaio di epiteti
  7. ^ (EN) Gintaras Beresnevičius, Lithuanian Religion and Mythology, su lnkc.lt, 2000. URL consultato il 30 settembre 2017.
  8. ^ a b c d (EN) Encicplopedia Britannica, Baltic religion, su britannica.com, 10 maggio 2000.
  9. ^ a b Gimbutas, 2001, p.198
  10. ^ (LT) Ignas Narbutas, Senieji lietuvių tikėjimai - Darbai ir dienos, 5–7, Vytauto Didžiojo Universitetas, 1997.
  11. ^ Gimbutas, 2001, p.201
  12. ^ Gimbutas 2001, p.205
  13. ^ (EN) Encicplopedia Britannica, Velnias, su britannica.com, 20 settembre 2009.
  14. ^ (EN) Encicplopedia Britannica, Saule, su britannica.com, 20 luglio 1988.
  15. ^ (EN) Encicplopedia Britannica, Mēness, su britannica.com, 20 luglio 1988.
  16. ^ (EN) Encicplopedia Britannica, Auseklis, su britannica.com, 20 luglio 1988.
  17. ^ Brückner, 1923, pp. 128, 139
  18. ^ a b Bojtár, 1999, p.315
  19. ^ a b Schmalstieg, 2003, pp.364-365
  20. ^ F.Vyncke in H.C. Puech, 1988,  pp.38
  21. ^ a b F.Vyncke in H.C. Puech, 1988,  pp.40
  22. ^ F.Vyncke in H.C. Puech, 1988,  pp.41
  23. ^ F.Vyncke in H.C. Puech, 1988,  pp.42
  24. ^ (LAAdamo di BremaGesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, 1075.
    «...aurum ibi plurimum, equi optimi. Divinis, auguribus atque nigromanticis omnes domus plenae sunt, qui etiam vestitu monachico induti sunt. A toto orbe ibi responsa petuntur, maxime ab Hispanis et Graecis».
  25. ^ (EN) Henricus Lettus, The Chronicle of Henry of Livonia, =Columbia University Press, 2003, p. 193, ISBN 978-0-231-12889-6.
  26. ^ Dundzila & Strmiska, 2005, pp.246-270
  27. ^ Baár, 2010, p.179
  28. ^ Muktupāvels, 2005, pp.762–767

Bibliografia

Voci correlate