domenica 18 marzo 2018

I Turchi prendono e saccheggiano Afrin, il capoluogo curdo nel nord della Siria. Mappe e aggiornamenti.





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I militari turchi, assieme ai ribelli siriani alleati, sono entrati questa mattina nel centro di Afrin, il capoluogo del cantone curdo nel Nord-Ovest della Siria, sotto attacco dal 20 gennaio. I miliziani di Jaysh al-Khor, l’Esercito siriano libero, hanno diffuso foto di una rotonda all’ingresso del centro-città, con le bandiere dei guerriglieri curdi dello Ypg ammainate e stracciate. In base alle foto diffuse si presume che circa metà della città, dove all’inizio delle battaglia c’erano dai 200 ai 300 mila civili, sia stata conquistata.

I combattenti curdi dello Ypg hanno opposto una forte resistenza sul fronte a Nord, ma le truppe turche e gli alleati sono penetrati da Ovest e da Est. Gli uffici governativi sono stati abbandonati. Lo Ypg sembra in ritirata, forse per evitare un massacro di civili. Sabato i bombardamenti hanno colpito anche l’unico ospedale di Afrin, con nove morti. L’esercito turco però nega di averlo preso di mira. Foto diffuse da abitanti della città invece confermerebbero. Le vittime civili, sabato, sono state in tutto 47.

Turchia e miliziani hanno lasciato aperto un corridoio a Sud-Est. Tra venerdì e questa mattina un fiume di persone, in tutto circa 200 mila, sono fuggite sulla strada che porta ai territori controllati dal governo siriano, verso Aleppo, dove c’è una importante comunità curda nel quartiere di Sheikh Massoud. Molti abitanti di Afrin hanno parenti ad Aleppo e cercano di raggiungerli. Lo Ypg ha accusato la Turchia di aver colpito con i raid anche persone in fuga. Non ci sono conferme indipendenti.

La Turchia considera lo Ypg un’organizzazione terroristica legata al Pkk. Il cantone di Afrin è stato amministrato dallo Ypg a partire dalla fine del 2012, quando, di fronte all’avanzata dei ribelli dell’Esercito siriano libero, i governativi erano stati costretti a ritirarsi e avevano ceduto il controllo del Nord della Siria ai guerriglieri curdi. Damasco ha chiesto, all’inizio dell’offensiva turca, che lo Ypg consegnasse le armi all’esercito e gli restituisse il controllo di Afrin per evitare l’occupazione da parte della Turchia. Lo Ypg ha rifiutato e ora la bandiera turca sventola sul centro dell'ex capoluogo curdo-siriano.

Overview Of Battle For Afrin On March 15, 2018 (Map, Photos)

Le forze siriane alleate della Turchia hanno preso il controllo del centro dell’enclave curda di Afrin dove l’assedio, che va avanti da circa due mesi, ha costretto almeno 150mila civili alla fuga. “Le unità dell’Esercito Siriano Libero, che sono sostenute dalle forze armate turche, hanno preso il controllo del centro di Afrinquesta mattina alle 8:30″, ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, aggiungendo che “sono in corso le operazioni di ricerca per localizzare mine e altri esplosivi”. Anche per gli attivisti dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani, i turchi hanno conquistato metà della città e sono in corso pesanti combattimenti. Inoltre, prosegue l’Osservatorio, i turchi avrebbero colpito il principale ospedale della città, uccidendo almeno dieci persone tra cui due donne incinte. Fatti che Ankara, però, nega di avere commesso
Ma a smentire la conquista del centro della città da parte delle forze turche è un alto funzionario curdo-siriano, Hadia Yousef. All’Associated Press ha riferito che combattimentisono ancora in corso e che i curdi stanno aiutando i civili a fuggire dai “massacri” perpetrati dalle forze turche e dai loro alleati nell’enclave.
(da Il Fatto Quotidiano del 18 marzo 2018)

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Recep Tayyip Erdogan l’aveva annunciato ed è avvenuto. Dopo un lungo assedio, con migliaia di vittime fra i curdi e con circa 150mila civili in fuga, Afrin è caduta nelle mani dell’esercito turco. “La città è stata conquistata alle 8:30”, ha annunciato trionfante il Sultano da Ankara, dove si celebra l’anniversario della vittoria di Canakkale del 1915, quando l’Impero ottomano respinse l’offensivo anglo-francese. 

Il presidente turco ha voluto ribadire che non si tratta di una guerra offensiva, ma di protezione. Protezione contro i terroristi, come lui definisce le milizie curde, le Ypg. Secondo quanto annunciato dallo stato maggiore turco, le forze armate di Ankara sono entrate nella città insieme agli alleate dell’Esercito libero siriano. Per Rami Abdel Rahman, direttore dell’ormai noto Osservatorio siriano per i diritti umani, “le forze turche e i loro ausiliari siriani hanno preso il controllo di diversi quartieri e i combattimenti continuano“. La difesa, comunque, ha ceduto.

La Turchia ha avviato l’operazione Ramoscello d’ulivo il 20 gennaio scorso per creare una zona cuscinetto al di fuori dei confini turchi, nel nord della Siria. L’avanzata di Ankara non si è mai fermata. L’assedio di Afrin è durato parecchi giorni. All’inizio di questa settimana, il presidente turco aveva detto che la città sarebbe caduta in poche ore. Ci hanno impiegato più tempo, ma alla fine, il risultato l’hanno ottenuto. Lo sfondamento delle linee difensive è avvenuto nell’area sudorientale, nonostante il supporto delle milizie siriane filo governative.

Con l’ingresso ad Afrin, Erdogan vince una battaglia. Ma la guerra probabilmente continuerà. Adesso le truppe turche, una volta presa la città, punteranno a stabilizzarla (il presidente turco ha già annunciato di non volerla riconsegnare alla Siria qualora fosse rimasto Bashar al Assad) e adesso si punta a Manbij. Sarebbe questo il patto siglato con Rex Tillerson dal ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu. Per la Turchia è importante che le milizie curde, che considerano alleate del Pkk, siano oltre il corso del fiume Eufrate.

Secondo le stime turche, sono morti oltre 1.500 combattenti curdi dall’inizio dell’operazione “Ramoscello d’ulivo”. La maggior parte sono morti in seguito ai raid aerei e ai colpi di artiglieria. Ma adesso bisognerà comprendere la reazione delle altre potenze coinvolte in Siria. e infatti gli Usa e le potenze occidentali hanno tacitamente acconsentito all’invasione del cantone di Afrin, Russia ed Iran sono su altre posizioni.

I rappresentanti di Iran, Russia e Turchia si incontreranno il prossimo 4 aprile ad Ankara. Il vertice rientra nella cornice degli accordi Astana, proseguiti a novembre a Sochi, in Russia. I tre Paesi hanno garantito alcune aree di de-escalation ,in particolare a Idlib. Il ministro degli Esteri kazako, Kayrat Abdrahmanov, ha lanciato un appello “al dialogo tra Russia e Stati Uniti”. Secondo Abrahmanov c’è in programma l’istituzione di un comitato per una costituente che stili la nuova legge fondamentale per il futuro della Siria.

Ma la situazione sembra molto meno semplice del previsto. Erdogan, con la caduta di Afrin, ha una posizione di vantaggio. Vladimir Putin, distratto dalle elezioni, non si è potuto concentrare sul fronte siriano e Assad si ritrova con le forze turche all’interno del proprio territorio dopo che Erdogan ha tramato per rovesciare il governo di Damasco. 

(da Il Giornale del 18 marzo 2018)

Le varie branche del pensiero anarchico

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L'anarchismo è definito come la filosofia politica applicata[1], il metodo di lotta alla base dei movimenti libertari volti fattualmente già dal XIX secolo al raggiungimento dell'anarchia come organizzazione societaria, teorizzante che lo Stato sia indesiderabile, non necessario o dannoso[2][3][4][5][6][7][8], o, in alternativa, come la filosofia politica che si oppone all'autorità o all'organizzazione gerarchica nello svolgimento delle relazioni umane[9][10][11][12][13][14].
I fautori dell'anarchismo, noti come anarchici, propongono società senza Stato basate sulle associazioni volontarie[15][16] e non gerarchiche[9][17][18]. Il termine inteso in senso politico venne inizialmente utilizzato dal girondinoJacques Pierre Brissot nel 1793 definendo, negativamente, la corrente politica degli enragés o arrabbiati, gruppo rivoluzionario radicale critico di ogni forma d'autorità. Nel 1840, con Proudhon, ed il suo saggio "Qu'est-ce que la propriété ?" i termini anarchia e anarchismo assumeranno una connotazione positiva.
Ci sono alcune tradizioni di anarchismo e, sulla base della storia del movimento transitata attraverso il dibattito fine-ottocentesco dell'anarchismo senza aggettivi, alla fine del quale Errico Malatesta sintetizzò il concetto[19] con la frase:"Per conto mio non vi è differenza sostanziale, differenza di principi", non tutte si escludono vicendevolmente[20]. Le scuole di pensiero anarchico possono differire tra loro anche in modo sostanziale, spaziando dall'individualismo estremo al totale collettivismo[8]. Le tipologie di anarchismo sono state suddivise in due categorie: anarco-socialismo e anarco-individualismo; compaiono anche altre suddivisioni basate comunque su classificazioni dualiste simili[21][22][23].
L'anarchismo in quanto movimento sociale ha registrato regolarmente fluttuazioni di popolarità. La tendenza centrale dell'anarchismo a coniugarsi come movimento sociale di massa si è avuta con l'anarco-comunismo e con l'anarco-sindacalismo, mentre l'anarco-individualismo è principalmente un fenomeno letterario[24], che tuttavia ha avuto un impatto sulle correnti più grandi[25]. La maggior parte degli anarchici si oppone a tutte le forme di aggressione, sostenendo invece l'autodifesa o la nonviolenza (anarco-pacifismo)[26][27], mentre altri hanno approvato l'uso di alcune misure coercitive, tra le quali la rivoluzione violenta e il terrorismo, per ottenere la società anarchica[28]

Bandiere nere e rosso-nere sono fin dal XIX secolo parte della simbologia del comunismo anarchico
Un emblema degli anarco-comunisti francesi
L'anarco-comunismo, chiamato anche comunismo anarchicoanarchismo comunista o comunismo libertario, è una corrente dell'anarchismo, che promuove tra gli individui l'associazione volontaria ed egualitaria in una società senza Stato, grazie alla socializzazione dei mezzi di produzione e dei beni e servizi da essi derivati, distribuiti poi ad ogni persona grazie ad una gestione democratica e "orizzontale" dell'economia da parte della comunità.

L'anarco-sindacalismo è una delle espressioni dell'anarchismo con forti interazioni con le componenti contadine ed operaie dei lavoratori, massicciamente presente a livello sociale a partire dalla fine dell'Ottocento. Il suo obiettivo finale è il comunismo libertario, ovvero la riorganizzazione della società secondo i principi del federalismo e della democrazia diretta, dove siano gli stessi lavoratori a gestire le strutture politiche, economiche e sociali in modo egualitario e non-gerarchico.

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sabato 17 marzo 2018

La bandiera dei Vichinghi: lo Stendardo del Corvo "Raven Banner"

Stendardo del corvo

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Lo stendardo del corvo (in lingua norrenaHrafnsmerki; in antico ingleseHravenlandeye) fu un vessillo utilizzato da diversi capitani vichinghi tra il IX, X e XI secolo. Lo stendardo, disegnato in arte vichinga, era triangolare, con una serie di ciglia, con all'interno un corvo.
Gli studiosi ritengono che il corvo rappresenti Odino, spesso rappresentato accompagnato da due corvi chiamati Huginn e Muninn. L'intento era di spaventare i nemici invocando il potere di Odino.

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L'uso da parte dei figli di Ragnarr Loðbrók

Lo stendardo del corvo fu usato da alcuni capi vichinghi ricordati dalle saghe norrene come i figli di Ragnarr Loðbrók. La prima menzione di una forza vichinga che portava questo simbolo è nella Cronaca anglosassone. Nell'anno 878, la cronaca riporta:
« E nell'inverno dello stesso anno il fratello di Ívarr e Halfdan sbarcò in Wessex, nel Devonshire, con 23 navi, e là venne ucciso, assieme ad 800 uomini, e 40 della sua armata. Venne anche preso lo stendardo da battaglia (guðfani), che chiamavano "Corvo" »
Gli Annali di San Neot confermano la presenza dello stendardo del corvo nella Grande armata danese e ne aggiungono il suo valore magico (seiðr), di natura totemica ed oracolare:
« È stato detto che tre sorelle di Hingwar e Habba [Ivar e Ubbe], figlie di Ragnarr Loðbrok, tesserono lo stendardo e lo resero pronto in solo una mezza giornata. Inoltre è detto che se vincono una battaglia nella quale portano questo stendardo, è stato visto, che nel centro dello stendardo, un corvo spiega le sue ali. Ma se vengono sconfitti, il corvo le chiude senza muoversi. E ciò è sempre stato provato vero. »
(Lukman 141)
Questo racconto è ripetuto anche dal vescovo Asser nella Vita di Re Alfredo:
(LA)
« [V]exillum quod reafan vocant. Dicunt enim quod tres sorores Hungari et Habbae, filiae videlicet Lodebrochi illud vexillum texuerunt, et totum paraverunt illud uno meridiano tempore. Dicunt etiam quod in omni bello, ubi praecederet idem signum, si victoriam adepturi essent, appareret in medio signi quasi corvus vivus volitans; sin vero vincendi in futuro fuissent, penderet directe nihil movens: et hoc saepe probatum est. »
(IT)
« Vessillo che chiamano reafan. Si racconta che le tre sorelle di Hungarus e Habba, figlie di Loðbrók tesserono quel vessillo, e lo resero pronto nel tempo di una mezza giornata. Dicono anche che in tutte le battaglie, dove sono preceduti da quel segno, se si giunge a vittoria, appare al centro dello stendardo un corvo, quasi vivo, con ali spiegate; se invece non si ha vittoria esso per nulla si muove: e ciò è sempre stato provato »
(Grimm ch. 35)
Nella Estorie des Engles Geffrei Gaimar (scritta attorno al 1140) si menziona l'Hrafnsmerki portata dall'armata di Ubbe nella Battaglia di Cynuit (878):
o era lo stendardo di Ubbe. Lui era fratello di; venne sepolto dai danesi in un enorme tumulo nel Devonshire, chiamato Ubbelawe. »
(Lukman, 141-142.)

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Bibliografia

  • The Anglo-Saxon Chronicle. (English translation). Everymans Library, 1991.
  • Barraclough, Captain E.M.C. "The Raven Flag". Flag Bulletin. Vol. X, No. 2-3. Winchester, MA: The Flag Research Center (FRC), 1969.
  • Cappelen, Hans. "Litt heraldikk hos Snorre." Heraldisk tidsskrift No. 51, 1985.
  • Dumville, David and Michael Lapidge, eds. The Anglo-Saxon Chronicle, Vol 17: The Annals of St. Neots with Vita Prima Sancti Neoti. Woodbridge: D.S. Brewer. 1985.
  • Engene, Jan Oskar. "The Raven Banner and America." NAVA News, Vol. XXIX, No. 5, 1996, pp. 1–2.
  • Forte, Angelo, Richard Oram and Frederik Pedersen. Viking Empires. Cambridge: Cambridge University Press, 2005.
  • Grimm, JakobTeutonic Mythology. 4 vols. Trans. James Steven Stallybras. New York: Dover, 2004.
  • Hjelmquist, Theodor. "Naturskildringarna i den norröna diktningen". In Hildebrand, Hans (ed). Antikvarisk tidskrift för Sverige, Vol 12. Ivar Hæggströms boktryckeri, Stockholm. 1891., su runeberg.org.
  • Hrafnhildur Bodvarsdottir. The Function of the Beasts of Battle in Old English Poetry. PhD Dissertation, 1976, University of New York at Stony Brook. Ann Arbor: University Microfilms International. 1989.
  • Lukman, N. "The Raven Banner and the Changing Ravens: A Viking Miracle from Carolingian Court Poetry to Saga and Arthurian Romance." Classica et Medievalia 19 (1958): p. 133-151.
  • Njal's Saga. Trans. George DaSent. London, 1861.
  • Orkneyinga Saga: The History of the Earls of Orkney. Trans. Pálsson, Hermann and Edwards, Paul (1978). London: Hogarth Press. ISBN 0-7012-0431-1. Republished 1981, Harmondsworth: Penguin. ISBN 0-14-044383-5.
  • Poole, R. G. Viking Poems on War and Peace: A Study in Skaldic Narrative. Toronto: University of Toronto Press. 1991.
  • Snorri Sturluson "King Harald's Saga." Heimskringla. Penguin Classics, 2005.
  • Trætteberg, Hallvard. "Merke og Fløy". Kulturhistorisk leksikon for nordisk middelalder, Vol. XI, Oslo, 1966, columns 549-555.
  • Woolf, Rosemary. "The Ideal of Men Dying with their Lord in the Germania and in The Battle of Maldon." Anglo-Saxon England Vol. 5, 1976.

Norse Vinland Standard Flag


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Voci correlate

Vite quasi parallele. Capitolo 108. Niente è indistruttibile

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L'ultima ancora di salvezza, nel disastroso naufragio della vita di Riccardo Monterovere, sembrava essere la relazione con Ilaria, ma a ennesima riprova del fatto che a questo mondo, in fin dei conti, niente è indistruttibile, anche da quel versante incominciarono ad arrivare preoccupanti segnali di allarme.
Nelle fotografie che Ilaria postava sui social network dalla Grecia, compariva sempre più di frequente un ragazzo atletico e abbronzato che sembrava essere troppo in confidenza con lei.
C'erano poi altri elementi che avevano messo Riccardo in apprensione.
Dalle email che Ilaria gli scriveva dalle varie località elleniche e anatoliche, traspariva un tono diverso, una nuova "narrazione", così lontana rispetto a quella di un tempo da far pensare che fosse dettata dall'influsso di qualcun altro. E non era difficile immaginare di chi si trattasse.
L'impressione era che Ilaria si esprimesse con il senso di superiorità morale di chi ritiene di aver vissuto esperienze fondamentali e conosciuto verità indiscutibili e inaccessibili ai comuni mortali.
C'era un certo snobismo, unito ad una fin troppo riconoscibile retorica da "Generazione Erasmus", con le sue inevitabili code di comicità involontaria, come se aver trascorso un semestre in Grecia l'avesse resa una "donna di mondo" al pari di Totò quando si vantava di aver fatto il "militare a Cuneo".
Riccardo conosceva bene quel tipo di linguaggio e di atteggiamento: c'era passato anche lui, molti anni prima. Era come una specie di morbillo che una volta superato rendeva immuni e vaccinati da ogni suggestione radical-chic, a meno che il "virus" non diventasse resistente e la sindrome cronica. 
In genere questo poteva accadere se il "contagio" fosse provenuto da una persona dotata di grande fascino.
Non ci voleva l'intuito di un detective per capire che l'onnipresente ragazzo greco, Niko, fosse la causa di tutto.
Riccardo cercò di tenere a freno la propria gelosia, facendo finta di niente, tanto ormai il semestre era finito e Ilaria stava per tornare.
Per una beffarda circostanza del caso, il suo rientro coincise col giorno di San Valentino.
Subito dopo il suo arrivo a Bologna, lei lo preavvisò di un'imminente visita con un messaggio preoccupante in cui preannunciava: "Dobbiamo parlare".
Come è universalmente noto, queste parole sono quasi sempre il preludio della catastrofe.
Quando alla fine si ritrovarono faccia a faccia, Riccardo si rese conto che Ilaria non era più lei.
Era molto dimagrita e suo il viso aveva assunto tratti più marcati, più duri, e questo accentuava il suo cambiamento interiore: era diventata, nello sguardo e nei modi una persona spigolosa: e così anche i gesti e i toni avevano acquisito una supponenza che prima non c'era.
Lo abbracciò freddamente e si rifiutò di baciarlo.
Portava ampi occhiali da sole e se li tenne anche in casa.
Sembrava che ogni raggio di luce la indispettisse.
Forse anche lei odia il giorno, forse odia tutti i giorni
Dopo i convenevoli di rito, lei esordì passando subito all'attacco:
<<Voglio essere sincera con te. In questi mesi ho avuto modo di pensare, di riflettere su di noi, sulla nostra relazione e ho capito una cosa>>
Pausa ad effetto.
<<Cos'hai capito?>>
Lei tirò fuori una sigaretta dalla borsa, poi la rimise subito dentro, sapendo che Riccardo non approvava il fatto che in Grecia avesse incominciato a fumare.
Un altro dei "doni" del prode Niko...
Alla fine si tolse gli occhiali e lo fissò con occhi implacabili:
<<Ho capito che sono stanca dell'ipocrisia che rappresenta il tuo genere di mondo>>
Riccardo si sentì preso di contropiede:
<<Ma di cosa stai parlando?>>
Lei era spazientita:
<<Non far finta di non capire. La tua famiglia è troppo all'antica, piena di pregiudizi, aggrappata ai suoi blasoni come se fosse una dinastia imperiale! Non cercare di negarlo, tu stesso ti senti un aristocratico e ti compiaci di farti chiamare Lord Richard e altre simili fesserie! E non dire che è uno scherzo, perché io so che in fondo tu sei un convinto reazionario!>>
Riccardo capì che la situazione era molto più grave di quanto avesse temuto:
<<Balle! E credo di sapere chi te le ha messe in testa. Quel tipo che si atteggia a poeta maledetto e che crede che basti mettersi la maglietta di Che Guevara e fumarsi due canne per diventare automaticamente un rivoluzionario! Chi è il vero ipocrita?>>
Ilaria si sentì punta sul vivo:
<<Ma io parlavo di sentimenti, non di politica!>>
Lui sorrise, amaramente:
<<Mi era parso il contrario, comunque, in parte, la politica è come l' amore, è un sentimento irrazionale. Non è detto che ci si innamori sempre delle brave persone>>
Era una trappola e Ilaria ci cascò in pieno:
<<Niko è una bravissima persona>>
Riccardo sentì una voragine nel posto dove un tempo c'era stato il suo cuore:
<<Dunque ammetti di esserti innamorata di lui!>> 
Lei abbassò lo sguardo, per la prima volta e annuì.
<<Sì, lo amo>>
Riccardo sospirò:
<<E da quant'è che va avanti questa storia?>>
Ilaria rialzò lo sguardo, ritrovando il suo olimpico equilibrio:
<<Da quattro mesi. Ma ho preferito aspettare, prima di dirtelo, considerando che stavi passando già un brutto momento>>
Lui reagi con una risata amara.
Un brutto momento! 
Per lei si riduceva tutto a un eufemismo. Era tutto facile, tutto superabile, quando capitava agli altri.
Lui fu assalito ad un senso di vertigine, come se stesse per precipitare in un abisso senza fine:
<<Credevo che il nostro amore potesse resistere alla lontananza. Il mio per te ha resistito, ma ora mi accorgo che sei cambiata, e non esattamente per il meglio>>
Ilaria, improvvisamente, senza particolare motivo se non un'amara constatazione, si infuriò:
<<Ma come ti permetti? Tu non hai il diritto di giudicarmi. Sei solo un bambino viziato! Devi crescere! Cresci una buona volta! Cresci!>>
Quel tipo di esortazione la faceva sembrare una petulante maestrina d'asilo, di quelle che vengono filmate dalle telecamere mentre infieriscono sui pargoli piangenti.
Riccardo valutò l'accusa e sentì che, per quanto non priva di fondamento, era eccessiva e fuorviante:
<<Chiedere la fedeltà è infantile, secondo te?>>
Lei ormai era fuori controllo:
<<La tua non è gelosia, è invidia! Tu sei invidioso di Niko, perché è più giovane e brillante di te, e se vuoi saperlo è anche più bravo a letto!>>
Riccardo si trovava ormai nella condizione in cui la rabbia aveva ceduto il posto al disincanto:
<<Il tuo romanticismo è secondo solo alla tua finezza>>
Ilaria, nuovamente punta sul vivo, cercò di ricomporsi:
<<Non te la caverai con qualche battuta del cavolo, stavolta. Io mi sono innamorata di lui, hai capito? Oppure ti sei dimenticato cosa sono i sentimenti?>>
Lui ormai sentiva di averla persa per sempre:
<<Mi pare che sia tu quella che misura i sentimenti in centimetri>>
Sentendosi messa all'angolo, Ilaria passò al contrattacco:
<<Ma smettila! Sai benissimo che non sto parlando solo di sessualità. Niko ha gli attributi anche in senso caratteriale. Lui non ha paura di niente, tu invece hai paura anche della tua ombra. Credi di essere l'unico ad aver incontrato difficoltà nella vita? Ma quello che conta è il modo con cui si reagisce alle avversità. Ti ho osservato in questi anni e ho visto che tu preferisci evadere, svicolare, fuggire nei tuoi mondi inventati, pur di non guardare in faccia alla realtà>>
Riccardo, che era in grado di fare autocritica, sapeva che c'era del vero in quelle accuse:
<<E' così per tutti gli intellettuali. Era così anche per te. Credevo che ci fosse intesa, tra noi, su questo punto>>
Ilaria arrossì, come se qualcuno avesse rivelato un suo segreto indicibile:
<<Ero una ragazzina ingenua, quando ci siamo conosciuti. Ora sono una donna consapevole. Tu invece sei rimasto fermo all'adolescenza. Sei invecchiato senza crescere, perché non sai amare: sei un narcisista che ama solo se stesso>>
Peggiore accusa non poteva essergli rivolta:
<<Non nego di avere un carattere difficile, e una personalità problematica, ma se il tuo obiettivo è dare a me la colpa del tuo tradimento, allora sei fuori strada. 
Puoi criticarmi, ma dopo avermi tradito non hai nessuna autorevolezza morale per insegnare a me cos'è l'amore>>
Lei assunse un'aria di sfida:
<<Adesso so cos'è! Finalmente ho incontrato qualcuno che me l'ha insegnato. E io, al contrario di te, sono in grado di imparare dall'esperienza>>
Riccardo era dispiaciuto per il profondo livore insito nelle parole di quella che ormai era la sua ex:
<<No, tu non impari, al massimo dimentichi... Hai dimenticato quello che c'è stato tra noi. Hai voluto farlo e ci sei riuscita, ma io non potrò mai dimenticare. Forse non te ne sei nemmeno accorta, ma io ti ho amata davvero. O meglio, ho amato l'idea che mi ero fatto di te>>
Intravide una patina di lucidità negli occhi di Ilaria:
<<E adesso mi disprezzi, di' la verità!>>
Lui scosse il capo:
<<No no, questo mai! Più che altro ti compiango. 
E compiango un po' anche il tuo amante. Ancora non sa cosa lo aspetta>>
Lei apparve profondamente scossa, ma cercò di non darlo a vedere:
<<Riserva la tua pietà per te stesso. Ne avrai bisogno>>
Riccardo capì che era meglio lasciarle l'ultima parola e si limitò ad accettare la realtà, e cioè che la loro relazione era finita:
<<Ora è meglio che tu te ne vada>>
Discutere ulteriormente non avrebbe avuto senso.
Lasciare andare qualcuno fa soffrire, ma a volte si soffre di più nel cercare di farlo rimanere nella nostra vita.
Ilaria era diventata un'altra persona. Una persona ostile.
Un nemico. E oltretutto un nemico più malvagio che intelligente.
 Questo la rendeva nel contempo più vulnerabile e più pericolosa, perché la sua volontà di distruggere era superiore a qualsiasi altra considerazione.
Se Ilaria sperava che lui si mettesse a implorarla di restare, in stile "I can't live if living is without you" si era sbagliata di grosso.
Non era più il tempo dei turbamenti adolescenziali, almeno per Riccardo.
Aveva ormai trentasette anni, i quarant'anni incombevano, e quando si entra negli "-anta" le prospettive cambiano in peggio.
A chi gli diceva "la vita comincia a quarant'anni", lui rispondeva: "coraggio, il meglio è passato!"
Ma quei sei mesi in Grecia avevano invecchiato anche Ilaria.
Ci sono due modi di invecchiare: la via grassa e la via magra.
Riccardo temeva, conoscendo la stazza dei Monterovere, che a lui sarebbe toccata la via grassa, o quantomeno quella robusta.
In Ilaria invece si stava già manifestando la via magra.
E' una strada più sana, dicono, ma rende anche più duri e spigolosi.
Chi sceglie la via magra si rinsecchisce e si mummifica, fino a diventare uno scheletro col sorriso terrificante della morte.
Oppure no.
In fondo, si potrebbe anche morire felici, se si morisse davvero.
Ma a quel punto noi saremo già partiti. Navigheremo verso l'Ultima Thule.
Così un giorno aveva detto ad Ilaria, quando ancora il loro amore era vivo e grande... e sembrava eterno. Chi l'avrebbe detto che sarebbe finita così?
Ma in verità Riccardo aveva sempre saputo che, ogni volta che ci si innamora, si deve mettere in conto l'eventualità del fallimento. Non bisogna mai dare nulla per certo: anche gli amori più saldi possono incrinarsi, perché in fondo, niente è indistruttibile.
Sì, niente è indistruttibile.
Ora Ilaria si aggirava per la stanza osservando le proprie fotografie ancora incorniciate:
<<Immagino che ora faranno una brutta fine>>
Riccardo scosse il capo:
<<No, le metterò in qualche cassetto, ma rimarranno comunque parte di me>>
Lei rimase a fissare quelle immagini, forse notando per la prima volta di essere cambiata:
<<Ero troppo giovane. Una collegiale. E guarda che capelli!>>
<<Adoravo quella tua aria da collegiale, così come i tuoi capelli>>
<<Era solo una fase!>>
<<Forse, ma era una bella fase!>>
Ilaria ebbe quasi un cedimento:
<<Non farmi ridere. Tutto questo mi fa male solo quando rido>>
Si avvicinò alla porta, ma sì fermo: non riusciva ad andarsene.
Riccardo le strinse la mano:
<<Credo che sia il momento di dirci addio>>
<<Se vuoi possiamo rimanere amici>>
<<No, io ho bisogno di dimenticare, almeno per un po'>>
Poteva fingere che fosse un altro lutto. Forse così sarebbe stato più facile da accettare.
 There is no grave, no memory, nothing.
Ilaria parve offesa:
<<Se è questo quello che vuoi, Riccardo, allora farò così anch'io. Le tue parole spariranno. La tua casa sparirà. Ogni ricordo di te sparirà>>
Riccardo annuì:
<<Sparirò io, sparirà il mio nome, la mia casa, tutto quello che vuoi, ma non le mie parole. Io ritengo di essere, nella mia non modesta opinione, "un sacerdote della parola">>
Lei non diede peso a quell'affermazione, che invece conteneva l'unica verità che Riccardo Monterovere avesse mai appreso su se stesso e sul suo destino.
Tutto di me passerà, ma le mie parole non passeranno.
Resteranno a fluttuare nel grande mare, fino a quando una rete a strascico, o anche solo il retino di un fanciullo, le riporteranno a galla.
Si dissero addio, e Riccardo pensava già al giorno in cui avrebbe raccontato quel momento, e allora ne ebbe la certezza: "tutto di me passerà, ma le mie parole non passeranno".

lunedì 12 marzo 2018

Albero genealogico e parentele tra le Famiglie reali d'Europa

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La Famiglia Reale Inglese (o per meglio dire, Britannica), discende per linea materna dagli Hannover, che a loro volta discendevano, sempre a livello matrilineare, dagli Stuart di Scozia (successivamente sovrani d'Inghilterra e Irlanda), dai Tudor e dai Plantageneti. Seguendo invece le linee patrilineari, possiamo vedere come il principe Carlo, erede al trono del Regno Unito, discenda, tramite il padre Filippo, dagli Oldenburg (e nello specifico dal ramo Schleswig-Holstein) di Danimarca e Grecia e tramite gli antenati maschili della madre, dai Wettin di Sassonia-Coburgo (questo sarebbe il vero nome della casa di Windsor, in seguito al matrimonio della regina Vittoria, ultima degli Hannover, con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) e dai Welf di Brunswick-Luneburg tramite la casata di Hannover. Ci sono altri antenati interessanti, tra cui persino il principe Vlad III di Valacchia, detto Dracula (cosa su cui il Principe di Galles ama scherzare), in quanto la nonna di Elisabetta II, la regina Mary di Teck, discendeva da una principessa ungherese che a sua volta era una discendente del principe Vlad.

domenica 11 marzo 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 107. Se ti piace, fa male

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Secondo alcune profezie, il mondo sarebbe dovuto finire nel 2012: non fu così, ma per quel che riguardava Riccardo Monterovere, il mondo era già finito l'anno precedente.
La malattia dei genitori, la morte dell'adorata nonna Diana, la rovina finanziaria e l'avvento al potere di Monti e dei tecnocrati di Bruxelles, con le loro tasse sugli immobili e la conseguente necessità di mettere in vendita la Villa Orsini, avevano distrutto tutto il suo mondo e tutte le sue certezze.
Aveva cercato di tornare alla normalità, o di fingerla, il che è lo stesso.
Ma come fai a rimettere insieme le fila di una vecchia vita, se non c'è più nemmeno un telaio a fare da base? 
Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che ci sono ferite che neppure il tempo può risanare, piaghe talmente profonde che minacciano di avvelenare tutto il corpo, cancrene da amputare, lasciandoti menomato a tal punto da condizionare ogni aspetto del tuo futuro, per sempre?
Riccardo cercava di farsi forza, per i suoi genitori, più che per se stesso. Si imponeva di portare una maschera che nascondesse i suoi reali sentimenti, ma gli occhi lo tradivano.
Quello che si leggeva nei suoi occhi era il ricordo del dolore, un dolore che non sarebbe mai riuscito a dimenticare.
Per lui la felicità passata non era più felicità, ma il dolore passato era ancora dolore.
Era questa la sua condanna, ricordare tutto, soprattutto il male, perché nella vita il male è preponderante.
Questa era la verità scomoda che nessuno voleva sentirsi dire, ma che quasi tutti, in cuor loro, prima o poi, erano destinati ad ammettere a se stessi, salvo pochi fortunati e moltissimi stupidi.
E Riccardo non apparteneva né ai primi, né ai secondi.
Apparteneva a quella categoria di persone, nel contempo speciali e tragiche, che erano fatte per la semina, ma non per il raccolto.
Aveva detto no all'opaca trafila delle cose, vana più che crudele, per dedicarsi alla conoscenza, pur sapendo che dalla conoscenza non può che derivare un dolore più grande, perché il modo migliore di difendersi dall'ingiustizia è non accorgersi della sua esistenza.
Stupidità ed ignoranza sono il principale scudo con cui ci si salva dalla cognizione del dolore.
Ma questo non poteva dirlo, perché in troppi si sarebbero offesi, specialmente le "anime belle" che consideravano il dolore come una giusta punizione e il lamento come una colpa vergognosa.
Persino Ilaria, a volte, lo accusava di questo:
<<Ostenti il tuo dolore come se fosse un trofeo>>
La verità era meno edificante: in fondo per lui la sofferenza era anche un alibi, una specie di giustificazione, come quando sotto sotto si è contenti di avere la febbre perché così si può marinare la scuola.
Ma questo non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, men che meno con Ilaria:
<<E' un trofeo, in effetti, poiché niente ci rende più grandi, davanti a noi stessi, della capacità di sopportare una grande sofferenza>>
Forse fu proprio la divergenza di opinioni su questo punto la prima crepa del rapporto tra Riccardo e Ilaria.
In fondo lei era uno spirito classico, amava le statue antiche degli atleti olimpionici, agognava ben altri trofei e si rendeva conto che Riccardo era troppo diverso dall'ideale di "mens sana in corpore sano". Anzi, ormai ne era l'opposto.
In lui i tormenti dell'anima si erano sommati a quelli del corpo:  erano come una seconda emicrania, ancora più lancinante di quella che lo affliggeva da sempre.
E non era il peso dei segreti riguardanti la sua disastrata famiglia.
<<Tu non mi dici tutto, riguardo al tuo passato e ai tuoi parenti. Hai dei segreti e per me i segreti sono bugie>>
Era una stupidaggine, ma in fondo Ilaria aveva solo vent'anni, e a quell'età siamo tutti un po' stupidi.
Riccardo cercava di essere comprensivo, ma sentiva anche il bisogno di mettere in chiaro un concetto che gli stava molto a cuore:
<<Se anche ti raccontassi la mia storia e quella della mia famiglia, non sarebbe certo la verità. E questo non per disonestà o per motivi di riservatezza, ma perché ho la vocazione del romanziere, e come tale dico che la vita passata non è quella che abbiamo vissuto e nemmeno quella che ci ricordiamo, ma quella che immaginiamo, e come ce la immaginiamo per raccontarla, e renderla più interessante sia ai nostri occhi che a quelli di uno spettatore distratto>>
Ilaria era stata sul punto di capire, ma poi il concetto le era sfuggito:
<<E tu credi che il dolore sia interessante?>>
<<E' sicuramente più interessante della felicità. Non c'è niente di più noioso di una storia in cui tutto va bene. Forse è per questo che Dio, o chi per lui, ha creato il mondo in questo modo. Un mondo felice sarebbe stato troppo noioso, almeno per chi lo guarda>>
Era un paradosso, ma conteneva un'accusa ben precisa di sadismo rivolta al Demiurgo, che nell'ìpotesi cattolica arrivava, secondo Riccardo, al sado-masochismo.
Si trattava di una tesi eretica e blasfema, ma si basava comunque sull'esperienza.
La preponderanza del male nella vita era un'evidenza empirica: la maggior parte delle cose che ci piacciono fanno male alla salute o all'immagine, oppure sono inaccessibili per motivi legali, morali o economici.
Chi aveva concepito un mondo simile o era il Demiurgo malvagio dello Gnosticismo, oppure era un Dio che voleva che questo pianeta, in questo universo, fosse il vero Inferno dove noi, anime dannate per i crimini di una vita precedente (la vera vita), eravamo destinati a scontarne la punizione.
Certo, come dice Sam Gamgee: "C'è del buono in questo mondo, Padron Frodo ed è per questo che dobbiamo combattere". E, come aveva scritto Italo Calvino,“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Eppure in quel momento, per Riccardo, era difficile trovare qualcosa che non fosse inferno.
Gli mancavano Ettore e Diana, gli mancavano i suoi genitori com'erano prima che la malattia li rendesse l'ombra di ciò che erano stati e gli mancava Ilaria che era in un paese caldo, per quel maledettissimo Erasmus, quella specie di nuova naja che il globalismo tecnocratico imponeva ai giovani studenti.
Lei era al sole, mentre una gran neve aveva sepolto le città italiane nel febbraio del 2012, e Bologna, in particolare, tanto che ancora oggi gli "umarell", in dialetto, ricordarono con nostalgia " e gran nvò de dods".
Ma dov'era Ilaria non c'era neve né pioggia.
C'era una specie di "estate indiana", come quelle ultime giornate di ottobre, quando ancora sembra di essere in estate e che quell'estate debba durare in eterno, e invece è l'ultima luce e l'ultimo calore prima del grande freddo.
Dicono che Socrate, dopo aver bevuto la cicuta, abbia asserito che il freddo della morte incomincia a sentirsi dai piedi, per poi risalire.
Io non ho bevuto la cicuta, pensava Riccardo, eppure il gelo mi arriva fino al cuore.



Albero genealogico dei Mountbatten, gli antenati materni del Principe Filippo di Edimburgo

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Il principe Filippo, duca di Edimburgo, marito della regina Elisabetta II del Regno Unito, rinunciò al cognome paterno Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glucksburg, della dinastia reale Oldenburg di Grecia e Danimarca, perché suonava troppo "tedesco", specie durante la Seconda Guerra Mondiale e nell'immediato dopoguerra. Preferì adottare il cognome Mountbatten, che era la versione inglese del cognome di sua madre, Alice di Battenberg, la quale discendeva per via materna dalla stessa regina Vittoria (il che rendeva Filippo un lontano cugino di sua moglie Elisabetta) e per via paterna dalla famiglia reale di Assia-Darmstadt.
I Mountbatten erano dunque la versione inglese dei Battenberg, che a loro volta erano un ramo cadetto degli Assia-Darmstadt.
Il nonno materno di Filippo, l'ammiraglio Luigi di Battenberg, era infatti figlio del principe Alessandro di Assia-Darmstadt e di Julia Theresa von Hauke, la quale, essendo considerata di rango sociale inferiore al marito, fu creata Contessa di Battenberg, titolo che trasmise ai suoi figli, esclusi tuttavia dalla successione al granducato di Assia-Darmstadt, in quanto nati da un matrimonio morganatico.




Stemma dei Mountbatten

File:Arms of Battenberg-Mountbatten.svg

Albero genealogico di Filippo di Edimburgo

Filippo di EdimburgoPadre:
Andrea di Grecia
Nonno paterno:
Giorgio I di Grecia
Bisnonno paterno:
Cristiano IX di Danimarca
Trisnonno paterno:
Federico di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg
Trisnonna paterna:
Luisa Carolina d'Assia-Kassel
Bisnonna paterna:
Luisa d'Assia-Kassel
Trisnonno paterno:
Guglielmo d'Assia-Kassel
Trisnonna paterna:
Luisa Carlotta di Danimarca
Nonna paterna:
Olga Konstantinovna di Russia
Bisnonno paterno:
Konstantin Nikolaevič Romanov
Trisnonno paterno:
Nicola I di Russia
Trisnonna paterna:
Carlotta di Prussia
Bisnonna paterna:
Alessandra di Sassonia-Altenburg
Trisnonno paterno:
Giuseppe di Sassonia-Altenburg
Trisnonna paterna:
Amalia di Württemberg
Madre:
Alice di Battenberg
Nonno materno:
Luigi di Battenberg
Bisnonno materno:
Alessandro d'Assia
Trisnonno materno:
Luigi II d'Assia
Trisnonna materna:
Guglielmina di Baden
Bisnonna materna:
Julia von Hauke
Trisnonno materno:
Conte Hans Moritz von Hauke
Trisnonna materna:
Sophie La Fontaine
Nonna materna:
Vittoria d'Assia e del Reno
Bisnonno materno:
Luigi IV d'Assia
Trisnonno materno:
Carlo d'Assia
Trisnonna materna:
Elisabetta di Prussia
Bisnonna materna:
Alice di Gran Bretagna
Trisnonno materno:
Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha
Trisnonna materna:
Vittoria del Regno Unito

sabato 10 marzo 2018

Albero genealogico degli Oldenburg Schleswig-Holstein Glucksburg, gli antenati paterni del principe Filippo di Edimburgo

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Il Casato degli Oldenburg è una famiglia nobile tedesca settentrionale e una delle più influenti e longeve case reali europee.
Gli Oldenburg sono entrati nel novero delle famiglie reali quando il Conte Cristiano I di Oldenburg fu scelto come Re di Danimarca nel 1448; da allora in avanti gli Oldenburg sono la famiglia reale danese. Nel 1450 Cristiano I ascese anche al trono del Regno di Norvegia. Allo stesso casato appartengono anche gli zar russi a partire da Paolo I.
L'oculata politica dinastica dei conti medievali Oldenburg ha permesso a molti dei loro discendenti di salire sul trono di vari regni scandinavi. Nel XIV secolo, attraverso il matrimonio con un discendente del re Valdemaro I di Svezia e del re Eric IV di Danimarca, gli Oldenburg reclamarono i troni di Svezia e Danimarca dal 1350.
Al tempo, i competitori erano i successori di Margherita I di Danimarca. Nel XV secolo, l'erede Oldenburg sposò Edvige di Holstein, discendente di Eufemia di Svezia e Norvegia e discendente di Eric V di Danimarca. Dato che i discendenti situati più in alto negli alberi genealogici erano morti, il figlio Cristiano I divenne re di tutti e tre i regni dell'Unione di Kalmar. Il Casato di Meclemburgo era il principale avversario nella successione ai troni settentrionali. Vari rami della dinastia Oldenburg hanno regnato in diversi Paesi, come mostra l'elenco.
Per la lista esatta dei reggenti dello stato di Oldenburg, vedasi alla voce Oldenburg (stato).

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Linea principale

Rami

Note

Voci correlate