sabato 17 marzo 2018

La bandiera dei Vichinghi: lo Stendardo del Corvo "Raven Banner"

Stendardo del corvo

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Lo stendardo del corvo (in lingua norrenaHrafnsmerki; in antico ingleseHravenlandeye) fu un vessillo utilizzato da diversi capitani vichinghi tra il IX, X e XI secolo. Lo stendardo, disegnato in arte vichinga, era triangolare, con una serie di ciglia, con all'interno un corvo.
Gli studiosi ritengono che il corvo rappresenti Odino, spesso rappresentato accompagnato da due corvi chiamati Huginn e Muninn. L'intento era di spaventare i nemici invocando il potere di Odino.

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L'uso da parte dei figli di Ragnarr Loðbrók

Lo stendardo del corvo fu usato da alcuni capi vichinghi ricordati dalle saghe norrene come i figli di Ragnarr Loðbrók. La prima menzione di una forza vichinga che portava questo simbolo è nella Cronaca anglosassone. Nell'anno 878, la cronaca riporta:
« E nell'inverno dello stesso anno il fratello di Ívarr e Halfdan sbarcò in Wessex, nel Devonshire, con 23 navi, e là venne ucciso, assieme ad 800 uomini, e 40 della sua armata. Venne anche preso lo stendardo da battaglia (guðfani), che chiamavano "Corvo" »
Gli Annali di San Neot confermano la presenza dello stendardo del corvo nella Grande armata danese e ne aggiungono il suo valore magico (seiðr), di natura totemica ed oracolare:
« È stato detto che tre sorelle di Hingwar e Habba [Ivar e Ubbe], figlie di Ragnarr Loðbrok, tesserono lo stendardo e lo resero pronto in solo una mezza giornata. Inoltre è detto che se vincono una battaglia nella quale portano questo stendardo, è stato visto, che nel centro dello stendardo, un corvo spiega le sue ali. Ma se vengono sconfitti, il corvo le chiude senza muoversi. E ciò è sempre stato provato vero. »
(Lukman 141)
Questo racconto è ripetuto anche dal vescovo Asser nella Vita di Re Alfredo:
(LA)
« [V]exillum quod reafan vocant. Dicunt enim quod tres sorores Hungari et Habbae, filiae videlicet Lodebrochi illud vexillum texuerunt, et totum paraverunt illud uno meridiano tempore. Dicunt etiam quod in omni bello, ubi praecederet idem signum, si victoriam adepturi essent, appareret in medio signi quasi corvus vivus volitans; sin vero vincendi in futuro fuissent, penderet directe nihil movens: et hoc saepe probatum est. »
(IT)
« Vessillo che chiamano reafan. Si racconta che le tre sorelle di Hungarus e Habba, figlie di Loðbrók tesserono quel vessillo, e lo resero pronto nel tempo di una mezza giornata. Dicono anche che in tutte le battaglie, dove sono preceduti da quel segno, se si giunge a vittoria, appare al centro dello stendardo un corvo, quasi vivo, con ali spiegate; se invece non si ha vittoria esso per nulla si muove: e ciò è sempre stato provato »
(Grimm ch. 35)
Nella Estorie des Engles Geffrei Gaimar (scritta attorno al 1140) si menziona l'Hrafnsmerki portata dall'armata di Ubbe nella Battaglia di Cynuit (878):
o era lo stendardo di Ubbe. Lui era fratello di; venne sepolto dai danesi in un enorme tumulo nel Devonshire, chiamato Ubbelawe. »
(Lukman, 141-142.)

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Bibliografia

  • The Anglo-Saxon Chronicle. (English translation). Everymans Library, 1991.
  • Barraclough, Captain E.M.C. "The Raven Flag". Flag Bulletin. Vol. X, No. 2-3. Winchester, MA: The Flag Research Center (FRC), 1969.
  • Cappelen, Hans. "Litt heraldikk hos Snorre." Heraldisk tidsskrift No. 51, 1985.
  • Dumville, David and Michael Lapidge, eds. The Anglo-Saxon Chronicle, Vol 17: The Annals of St. Neots with Vita Prima Sancti Neoti. Woodbridge: D.S. Brewer. 1985.
  • Engene, Jan Oskar. "The Raven Banner and America." NAVA News, Vol. XXIX, No. 5, 1996, pp. 1–2.
  • Forte, Angelo, Richard Oram and Frederik Pedersen. Viking Empires. Cambridge: Cambridge University Press, 2005.
  • Grimm, JakobTeutonic Mythology. 4 vols. Trans. James Steven Stallybras. New York: Dover, 2004.
  • Hjelmquist, Theodor. "Naturskildringarna i den norröna diktningen". In Hildebrand, Hans (ed). Antikvarisk tidskrift för Sverige, Vol 12. Ivar Hæggströms boktryckeri, Stockholm. 1891., su runeberg.org.
  • Hrafnhildur Bodvarsdottir. The Function of the Beasts of Battle in Old English Poetry. PhD Dissertation, 1976, University of New York at Stony Brook. Ann Arbor: University Microfilms International. 1989.
  • Lukman, N. "The Raven Banner and the Changing Ravens: A Viking Miracle from Carolingian Court Poetry to Saga and Arthurian Romance." Classica et Medievalia 19 (1958): p. 133-151.
  • Njal's Saga. Trans. George DaSent. London, 1861.
  • Orkneyinga Saga: The History of the Earls of Orkney. Trans. Pálsson, Hermann and Edwards, Paul (1978). London: Hogarth Press. ISBN 0-7012-0431-1. Republished 1981, Harmondsworth: Penguin. ISBN 0-14-044383-5.
  • Poole, R. G. Viking Poems on War and Peace: A Study in Skaldic Narrative. Toronto: University of Toronto Press. 1991.
  • Snorri Sturluson "King Harald's Saga." Heimskringla. Penguin Classics, 2005.
  • Trætteberg, Hallvard. "Merke og Fløy". Kulturhistorisk leksikon for nordisk middelalder, Vol. XI, Oslo, 1966, columns 549-555.
  • Woolf, Rosemary. "The Ideal of Men Dying with their Lord in the Germania and in The Battle of Maldon." Anglo-Saxon England Vol. 5, 1976.

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Voci correlate

Vite quasi parallele. Capitolo 108. Niente è indistruttibile

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L'ultima ancora di salvezza, nel disastroso naufragio della vita di Riccardo Monterovere, sembrava essere la relazione con Ilaria, ma a ennesima riprova del fatto che a questo mondo, in fin dei conti, niente è indistruttibile, anche da quel versante incominciarono ad arrivare preoccupanti segnali di allarme.
Nelle fotografie che Ilaria postava sui social network dalla Grecia, compariva sempre più di frequente un ragazzo atletico e abbronzato che sembrava essere troppo in confidenza con lei.
C'erano poi altri elementi che avevano messo Riccardo in apprensione.
Dalle email che Ilaria gli scriveva dalle varie località elleniche e anatoliche, traspariva un tono diverso, una nuova "narrazione", così lontana rispetto a quella di un tempo da far pensare che fosse dettata dall'influsso di qualcun altro. E non era difficile immaginare di chi si trattasse.
L'impressione era che Ilaria si esprimesse con il senso di superiorità morale di chi ritiene di aver vissuto esperienze fondamentali e conosciuto verità indiscutibili e inaccessibili ai comuni mortali.
C'era un certo snobismo, unito ad una fin troppo riconoscibile retorica da "Generazione Erasmus", con le sue inevitabili code di comicità involontaria, come se aver trascorso un semestre in Grecia l'avesse resa una "donna di mondo" al pari di Totò quando si vantava di aver fatto il "militare a Cuneo".
Riccardo conosceva bene quel tipo di linguaggio e di atteggiamento: c'era passato anche lui, molti anni prima. Era come una specie di morbillo che una volta superato rendeva immuni e vaccinati da ogni suggestione radical-chic, a meno che il "virus" non diventasse resistente e la sindrome cronica. 
In genere questo poteva accadere se il "contagio" fosse provenuto da una persona dotata di grande fascino.
Non ci voleva l'intuito di un detective per capire che l'onnipresente ragazzo greco, Niko, fosse la causa di tutto.
Riccardo cercò di tenere a freno la propria gelosia, facendo finta di niente, tanto ormai il semestre era finito e Ilaria stava per tornare.
Per una beffarda circostanza del caso, il suo rientro coincise col giorno di San Valentino.
Subito dopo il suo arrivo a Bologna, lei lo preavvisò di un'imminente visita con un messaggio preoccupante in cui preannunciava: "Dobbiamo parlare".
Come è universalmente noto, queste parole sono quasi sempre il preludio della catastrofe.
Quando alla fine si ritrovarono faccia a faccia, Riccardo si rese conto che Ilaria non era più lei.
Era molto dimagrita e suo il viso aveva assunto tratti più marcati, più duri, e questo accentuava il suo cambiamento interiore: era diventata, nello sguardo e nei modi una persona spigolosa: e così anche i gesti e i toni avevano acquisito una supponenza che prima non c'era.
Lo abbracciò freddamente e si rifiutò di baciarlo.
Portava ampi occhiali da sole e se li tenne anche in casa.
Sembrava che ogni raggio di luce la indispettisse.
Forse anche lei odia il giorno, forse odia tutti i giorni
Dopo i convenevoli di rito, lei esordì passando subito all'attacco:
<<Voglio essere sincera con te. In questi mesi ho avuto modo di pensare, di riflettere su di noi, sulla nostra relazione e ho capito una cosa>>
Pausa ad effetto.
<<Cos'hai capito?>>
Lei tirò fuori una sigaretta dalla borsa, poi la rimise subito dentro, sapendo che Riccardo non approvava il fatto che in Grecia avesse incominciato a fumare.
Un altro dei "doni" del prode Niko...
Alla fine si tolse gli occhiali e lo fissò con occhi implacabili:
<<Ho capito che sono stanca dell'ipocrisia che rappresenta il tuo genere di mondo>>
Riccardo si sentì preso di contropiede:
<<Ma di cosa stai parlando?>>
Lei era spazientita:
<<Non far finta di non capire. La tua famiglia è troppo all'antica, piena di pregiudizi, aggrappata ai suoi blasoni come se fosse una dinastia imperiale! Non cercare di negarlo, tu stesso ti senti un aristocratico e ti compiaci di farti chiamare Lord Richard e altre simili fesserie! E non dire che è uno scherzo, perché io so che in fondo tu sei un convinto reazionario!>>
Riccardo capì che la situazione era molto più grave di quanto avesse temuto:
<<Balle! E credo di sapere chi te le ha messe in testa. Quel tipo che si atteggia a poeta maledetto e che crede che basti mettersi la maglietta di Che Guevara e fumarsi due canne per diventare automaticamente un rivoluzionario! Chi è il vero ipocrita?>>
Ilaria si sentì punta sul vivo:
<<Ma io parlavo di sentimenti, non di politica!>>
Lui sorrise, amaramente:
<<Mi era parso il contrario, comunque, in parte, la politica è come l' amore, è un sentimento irrazionale. Non è detto che ci si innamori sempre delle brave persone>>
Era una trappola e Ilaria ci cascò in pieno:
<<Niko è una bravissima persona>>
Riccardo sentì una voragine nel posto dove un tempo c'era stato il suo cuore:
<<Dunque ammetti di esserti innamorata di lui!>> 
Lei abbassò lo sguardo, per la prima volta e annuì.
<<Sì, lo amo>>
Riccardo sospirò:
<<E da quant'è che va avanti questa storia?>>
Ilaria rialzò lo sguardo, ritrovando il suo olimpico equilibrio:
<<Da quattro mesi. Ma ho preferito aspettare, prima di dirtelo, considerando che stavi passando già un brutto momento>>
Lui reagi con una risata amara.
Un brutto momento! 
Per lei si riduceva tutto a un eufemismo. Era tutto facile, tutto superabile, quando capitava agli altri.
Lui fu assalito ad un senso di vertigine, come se stesse per precipitare in un abisso senza fine:
<<Credevo che il nostro amore potesse resistere alla lontananza. Il mio per te ha resistito, ma ora mi accorgo che sei cambiata, e non esattamente per il meglio>>
Ilaria, improvvisamente, senza particolare motivo se non un'amara constatazione, si infuriò:
<<Ma come ti permetti? Tu non hai il diritto di giudicarmi. Sei solo un bambino viziato! Devi crescere! Cresci una buona volta! Cresci!>>
Quel tipo di esortazione la faceva sembrare una petulante maestrina d'asilo, di quelle che vengono filmate dalle telecamere mentre infieriscono sui pargoli piangenti.
Riccardo valutò l'accusa e sentì che, per quanto non priva di fondamento, era eccessiva e fuorviante:
<<Chiedere la fedeltà è infantile, secondo te?>>
Lei ormai era fuori controllo:
<<La tua non è gelosia, è invidia! Tu sei invidioso di Niko, perché è più giovane e brillante di te, e se vuoi saperlo è anche più bravo a letto!>>
Riccardo si trovava ormai nella condizione in cui la rabbia aveva ceduto il posto al disincanto:
<<Il tuo romanticismo è secondo solo alla tua finezza>>
Ilaria, nuovamente punta sul vivo, cercò di ricomporsi:
<<Non te la caverai con qualche battuta del cavolo, stavolta. Io mi sono innamorata di lui, hai capito? Oppure ti sei dimenticato cosa sono i sentimenti?>>
Lui ormai sentiva di averla persa per sempre:
<<Mi pare che sia tu quella che misura i sentimenti in centimetri>>
Sentendosi messa all'angolo, Ilaria passò al contrattacco:
<<Ma smettila! Sai benissimo che non sto parlando solo di sessualità. Niko ha gli attributi anche in senso caratteriale. Lui non ha paura di niente, tu invece hai paura anche della tua ombra. Credi di essere l'unico ad aver incontrato difficoltà nella vita? Ma quello che conta è il modo con cui si reagisce alle avversità. Ti ho osservato in questi anni e ho visto che tu preferisci evadere, svicolare, fuggire nei tuoi mondi inventati, pur di non guardare in faccia alla realtà>>
Riccardo, che era in grado di fare autocritica, sapeva che c'era del vero in quelle accuse:
<<E' così per tutti gli intellettuali. Era così anche per te. Credevo che ci fosse intesa, tra noi, su questo punto>>
Ilaria arrossì, come se qualcuno avesse rivelato un suo segreto indicibile:
<<Ero una ragazzina ingenua, quando ci siamo conosciuti. Ora sono una donna consapevole. Tu invece sei rimasto fermo all'adolescenza. Sei invecchiato senza crescere, perché non sai amare: sei un narcisista che ama solo se stesso>>
Peggiore accusa non poteva essergli rivolta:
<<Non nego di avere un carattere difficile, e una personalità problematica, ma se il tuo obiettivo è dare a me la colpa del tuo tradimento, allora sei fuori strada. 
Puoi criticarmi, ma dopo avermi tradito non hai nessuna autorevolezza morale per insegnare a me cos'è l'amore>>
Lei assunse un'aria di sfida:
<<Adesso so cos'è! Finalmente ho incontrato qualcuno che me l'ha insegnato. E io, al contrario di te, sono in grado di imparare dall'esperienza>>
Riccardo era dispiaciuto per il profondo livore insito nelle parole di quella che ormai era la sua ex:
<<No, tu non impari, al massimo dimentichi... Hai dimenticato quello che c'è stato tra noi. Hai voluto farlo e ci sei riuscita, ma io non potrò mai dimenticare. Forse non te ne sei nemmeno accorta, ma io ti ho amata davvero. O meglio, ho amato l'idea che mi ero fatto di te>>
Intravide una patina di lucidità negli occhi di Ilaria:
<<E adesso mi disprezzi, di' la verità!>>
Lui scosse il capo:
<<No no, questo mai! Più che altro ti compiango. 
E compiango un po' anche il tuo amante. Ancora non sa cosa lo aspetta>>
Lei apparve profondamente scossa, ma cercò di non darlo a vedere:
<<Riserva la tua pietà per te stesso. Ne avrai bisogno>>
Riccardo capì che era meglio lasciarle l'ultima parola e si limitò ad accettare la realtà, e cioè che la loro relazione era finita:
<<Ora è meglio che tu te ne vada>>
Discutere ulteriormente non avrebbe avuto senso.
Lasciare andare qualcuno fa soffrire, ma a volte si soffre di più nel cercare di farlo rimanere nella nostra vita.
Ilaria era diventata un'altra persona. Una persona ostile.
Un nemico. E oltretutto un nemico più malvagio che intelligente.
 Questo la rendeva nel contempo più vulnerabile e più pericolosa, perché la sua volontà di distruggere era superiore a qualsiasi altra considerazione.
Se Ilaria sperava che lui si mettesse a implorarla di restare, in stile "I can't live if living is without you" si era sbagliata di grosso.
Non era più il tempo dei turbamenti adolescenziali, almeno per Riccardo.
Aveva ormai trentasette anni, i quarant'anni incombevano, e quando si entra negli "-anta" le prospettive cambiano in peggio.
A chi gli diceva "la vita comincia a quarant'anni", lui rispondeva: "coraggio, il meglio è passato!"
Ma quei sei mesi in Grecia avevano invecchiato anche Ilaria.
Ci sono due modi di invecchiare: la via grassa e la via magra.
Riccardo temeva, conoscendo la stazza dei Monterovere, che a lui sarebbe toccata la via grassa, o quantomeno quella robusta.
In Ilaria invece si stava già manifestando la via magra.
E' una strada più sana, dicono, ma rende anche più duri e spigolosi.
Chi sceglie la via magra si rinsecchisce e si mummifica, fino a diventare uno scheletro col sorriso terrificante della morte.
Oppure no.
In fondo, si potrebbe anche morire felici, se si morisse davvero.
Ma a quel punto noi saremo già partiti. Navigheremo verso l'Ultima Thule.
Così un giorno aveva detto ad Ilaria, quando ancora il loro amore era vivo e grande... e sembrava eterno. Chi l'avrebbe detto che sarebbe finita così?
Ma in verità Riccardo aveva sempre saputo che, ogni volta che ci si innamora, si deve mettere in conto l'eventualità del fallimento. Non bisogna mai dare nulla per certo: anche gli amori più saldi possono incrinarsi, perché in fondo, niente è indistruttibile.
Sì, niente è indistruttibile.
Ora Ilaria si aggirava per la stanza osservando le proprie fotografie ancora incorniciate:
<<Immagino che ora faranno una brutta fine>>
Riccardo scosse il capo:
<<No, le metterò in qualche cassetto, ma rimarranno comunque parte di me>>
Lei rimase a fissare quelle immagini, forse notando per la prima volta di essere cambiata:
<<Ero troppo giovane. Una collegiale. E guarda che capelli!>>
<<Adoravo quella tua aria da collegiale, così come i tuoi capelli>>
<<Era solo una fase!>>
<<Forse, ma era una bella fase!>>
Ilaria ebbe quasi un cedimento:
<<Non farmi ridere. Tutto questo mi fa male solo quando rido>>
Si avvicinò alla porta, ma sì fermo: non riusciva ad andarsene.
Riccardo le strinse la mano:
<<Credo che sia il momento di dirci addio>>
<<Se vuoi possiamo rimanere amici>>
<<No, io ho bisogno di dimenticare, almeno per un po'>>
Poteva fingere che fosse un altro lutto. Forse così sarebbe stato più facile da accettare.
 There is no grave, no memory, nothing.
Ilaria parve offesa:
<<Se è questo quello che vuoi, Riccardo, allora farò così anch'io. Le tue parole spariranno. La tua casa sparirà. Ogni ricordo di te sparirà>>
Riccardo annuì:
<<Sparirò io, sparirà il mio nome, la mia casa, tutto quello che vuoi, ma non le mie parole. Io ritengo di essere, nella mia non modesta opinione, "un sacerdote della parola">>
Lei non diede peso a quell'affermazione, che invece conteneva l'unica verità che Riccardo Monterovere avesse mai appreso su se stesso e sul suo destino.
Tutto di me passerà, ma le mie parole non passeranno.
Resteranno a fluttuare nel grande mare, fino a quando una rete a strascico, o anche solo il retino di un fanciullo, le riporteranno a galla.
Si dissero addio, e Riccardo pensava già al giorno in cui avrebbe raccontato quel momento, e allora ne ebbe la certezza: "tutto di me passerà, ma le mie parole non passeranno".

lunedì 12 marzo 2018

Albero genealogico e parentele tra le Famiglie reali d'Europa

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La Famiglia Reale Inglese (o per meglio dire, Britannica), discende per linea materna dagli Hannover, che a loro volta discendevano, sempre a livello matrilineare, dagli Stuart di Scozia (successivamente sovrani d'Inghilterra e Irlanda), dai Tudor e dai Plantageneti. Seguendo invece le linee patrilineari, possiamo vedere come il principe Carlo, erede al trono del Regno Unito, discenda, tramite il padre Filippo, dagli Oldenburg (e nello specifico dal ramo Schleswig-Holstein) di Danimarca e Grecia e tramite gli antenati maschili della madre, dai Wettin di Sassonia-Coburgo (questo sarebbe il vero nome della casa di Windsor, in seguito al matrimonio della regina Vittoria, ultima degli Hannover, con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) e dai Welf di Brunswick-Luneburg tramite la casata di Hannover. Ci sono altri antenati interessanti, tra cui persino il principe Vlad III di Valacchia, detto Dracula (cosa su cui il Principe di Galles ama scherzare), in quanto la nonna di Elisabetta II, la regina Mary di Teck, discendeva da una principessa ungherese che a sua volta era una discendente del principe Vlad.

domenica 11 marzo 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 107. Se ti piace, fa male

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Secondo alcune profezie, il mondo sarebbe dovuto finire nel 2012: non fu così, ma per quel che riguardava Riccardo Monterovere, il mondo era già finito l'anno precedente.
La malattia dei genitori, la morte dell'adorata nonna Diana, la rovina finanziaria e l'avvento al potere di Monti e dei tecnocrati di Bruxelles, con le loro tasse sugli immobili e la conseguente necessità di mettere in vendita la Villa Orsini, avevano distrutto tutto il suo mondo e tutte le sue certezze.
Aveva cercato di tornare alla normalità, o di fingerla, il che è lo stesso.
Ma come fai a rimettere insieme le fila di una vecchia vita, se non c'è più nemmeno un telaio a fare da base? 
Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che ci sono ferite che neppure il tempo può risanare, piaghe talmente profonde che minacciano di avvelenare tutto il corpo, cancrene da amputare, lasciandoti menomato a tal punto da condizionare ogni aspetto del tuo futuro, per sempre?
Riccardo cercava di farsi forza, per i suoi genitori, più che per se stesso. Si imponeva di portare una maschera che nascondesse i suoi reali sentimenti, ma gli occhi lo tradivano.
Quello che si leggeva nei suoi occhi era il ricordo del dolore, un dolore che non sarebbe mai riuscito a dimenticare.
Per lui la felicità passata non era più felicità, ma il dolore passato era ancora dolore.
Era questa la sua condanna, ricordare tutto, soprattutto il male, perché nella vita il male è preponderante.
Questa era la verità scomoda che nessuno voleva sentirsi dire, ma che quasi tutti, in cuor loro, prima o poi, erano destinati ad ammettere a se stessi, salvo pochi fortunati e moltissimi stupidi.
E Riccardo non apparteneva né ai primi, né ai secondi.
Apparteneva a quella categoria di persone, nel contempo speciali e tragiche, che erano fatte per la semina, ma non per il raccolto.
Aveva detto no all'opaca trafila delle cose, vana più che crudele, per dedicarsi alla conoscenza, pur sapendo che dalla conoscenza non può che derivare un dolore più grande, perché il modo migliore di difendersi dall'ingiustizia è non accorgersi della sua esistenza.
Stupidità ed ignoranza sono il principale scudo con cui ci si salva dalla cognizione del dolore.
Ma questo non poteva dirlo, perché in troppi si sarebbero offesi, specialmente le "anime belle" che consideravano il dolore come una giusta punizione e il lamento come una colpa vergognosa.
Persino Ilaria, a volte, lo accusava di questo:
<<Ostenti il tuo dolore come se fosse un trofeo>>
La verità era meno edificante: in fondo per lui la sofferenza era anche un alibi, una specie di giustificazione, come quando sotto sotto si è contenti di avere la febbre perché così si può marinare la scuola.
Ma questo non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, men che meno con Ilaria:
<<E' un trofeo, in effetti, poiché niente ci rende più grandi, davanti a noi stessi, della capacità di sopportare una grande sofferenza>>
Forse fu proprio la divergenza di opinioni su questo punto la prima crepa del rapporto tra Riccardo e Ilaria.
In fondo lei era uno spirito classico, amava le statue antiche degli atleti olimpionici, agognava ben altri trofei e si rendeva conto che Riccardo era troppo diverso dall'ideale di "mens sana in corpore sano". Anzi, ormai ne era l'opposto.
In lui i tormenti dell'anima si erano sommati a quelli del corpo:  erano come una seconda emicrania, ancora più lancinante di quella che lo affliggeva da sempre.
E non era il peso dei segreti riguardanti la sua disastrata famiglia.
<<Tu non mi dici tutto, riguardo al tuo passato e ai tuoi parenti. Hai dei segreti e per me i segreti sono bugie>>
Era una stupidaggine, ma in fondo Ilaria aveva solo vent'anni, e a quell'età siamo tutti un po' stupidi.
Riccardo cercava di essere comprensivo, ma sentiva anche il bisogno di mettere in chiaro un concetto che gli stava molto a cuore:
<<Se anche ti raccontassi la mia storia e quella della mia famiglia, non sarebbe certo la verità. E questo non per disonestà o per motivi di riservatezza, ma perché ho la vocazione del romanziere, e come tale dico che la vita passata non è quella che abbiamo vissuto e nemmeno quella che ci ricordiamo, ma quella che immaginiamo, e come ce la immaginiamo per raccontarla, e renderla più interessante sia ai nostri occhi che a quelli di uno spettatore distratto>>
Ilaria era stata sul punto di capire, ma poi il concetto le era sfuggito:
<<E tu credi che il dolore sia interessante?>>
<<E' sicuramente più interessante della felicità. Non c'è niente di più noioso di una storia in cui tutto va bene. Forse è per questo che Dio, o chi per lui, ha creato il mondo in questo modo. Un mondo felice sarebbe stato troppo noioso, almeno per chi lo guarda>>
Era un paradosso, ma conteneva un'accusa ben precisa di sadismo rivolta al Demiurgo, che nell'ìpotesi cattolica arrivava, secondo Riccardo, al sado-masochismo.
Si trattava di una tesi eretica e blasfema, ma si basava comunque sull'esperienza.
La preponderanza del male nella vita era un'evidenza empirica: la maggior parte delle cose che ci piacciono fanno male alla salute o all'immagine, oppure sono inaccessibili per motivi legali, morali o economici.
Chi aveva concepito un mondo simile o era il Demiurgo malvagio dello Gnosticismo, oppure era un Dio che voleva che questo pianeta, in questo universo, fosse il vero Inferno dove noi, anime dannate per i crimini di una vita precedente (la vera vita), eravamo destinati a scontarne la punizione.
Certo, come dice Sam Gamgee: "C'è del buono in questo mondo, Padron Frodo ed è per questo che dobbiamo combattere". E, come aveva scritto Italo Calvino,“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Eppure in quel momento, per Riccardo, era difficile trovare qualcosa che non fosse inferno.
Gli mancavano Ettore e Diana, gli mancavano i suoi genitori com'erano prima che la malattia li rendesse l'ombra di ciò che erano stati e gli mancava Ilaria che era in un paese caldo, per quel maledettissimo Erasmus, quella specie di nuova naja che il globalismo tecnocratico imponeva ai giovani studenti.
Lei era al sole, mentre una gran neve aveva sepolto le città italiane nel febbraio del 2012, e Bologna, in particolare, tanto che ancora oggi gli "umarell", in dialetto, ricordarono con nostalgia " e gran nvò de dods".
Ma dov'era Ilaria non c'era neve né pioggia.
C'era una specie di "estate indiana", come quelle ultime giornate di ottobre, quando ancora sembra di essere in estate e che quell'estate debba durare in eterno, e invece è l'ultima luce e l'ultimo calore prima del grande freddo.
Dicono che Socrate, dopo aver bevuto la cicuta, abbia asserito che il freddo della morte incomincia a sentirsi dai piedi, per poi risalire.
Io non ho bevuto la cicuta, pensava Riccardo, eppure il gelo mi arriva fino al cuore.



Albero genealogico dei Mountbatten, gli antenati materni del Principe Filippo di Edimburgo

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Il principe Filippo, duca di Edimburgo, marito della regina Elisabetta II del Regno Unito, rinunciò al cognome paterno Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glucksburg, della dinastia reale Oldenburg di Grecia e Danimarca, perché suonava troppo "tedesco", specie durante la Seconda Guerra Mondiale e nell'immediato dopoguerra. Preferì adottare il cognome Mountbatten, che era la versione inglese del cognome di sua madre, Alice di Battenberg, la quale discendeva per via materna dalla stessa regina Vittoria (il che rendeva Filippo un lontano cugino di sua moglie Elisabetta) e per via paterna dalla famiglia reale di Assia-Darmstadt.
I Mountbatten erano dunque la versione inglese dei Battenberg, che a loro volta erano un ramo cadetto degli Assia-Darmstadt.
Il nonno materno di Filippo, l'ammiraglio Luigi di Battenberg, era infatti figlio del principe Alessandro di Assia-Darmstadt e di Julia Theresa von Hauke, la quale, essendo considerata di rango sociale inferiore al marito, fu creata Contessa di Battenberg, titolo che trasmise ai suoi figli, esclusi tuttavia dalla successione al granducato di Assia-Darmstadt, in quanto nati da un matrimonio morganatico.




Stemma dei Mountbatten

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Albero genealogico di Filippo di Edimburgo

Filippo di EdimburgoPadre:
Andrea di Grecia
Nonno paterno:
Giorgio I di Grecia
Bisnonno paterno:
Cristiano IX di Danimarca
Trisnonno paterno:
Federico di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg
Trisnonna paterna:
Luisa Carolina d'Assia-Kassel
Bisnonna paterna:
Luisa d'Assia-Kassel
Trisnonno paterno:
Guglielmo d'Assia-Kassel
Trisnonna paterna:
Luisa Carlotta di Danimarca
Nonna paterna:
Olga Konstantinovna di Russia
Bisnonno paterno:
Konstantin Nikolaevič Romanov
Trisnonno paterno:
Nicola I di Russia
Trisnonna paterna:
Carlotta di Prussia
Bisnonna paterna:
Alessandra di Sassonia-Altenburg
Trisnonno paterno:
Giuseppe di Sassonia-Altenburg
Trisnonna paterna:
Amalia di Württemberg
Madre:
Alice di Battenberg
Nonno materno:
Luigi di Battenberg
Bisnonno materno:
Alessandro d'Assia
Trisnonno materno:
Luigi II d'Assia
Trisnonna materna:
Guglielmina di Baden
Bisnonna materna:
Julia von Hauke
Trisnonno materno:
Conte Hans Moritz von Hauke
Trisnonna materna:
Sophie La Fontaine
Nonna materna:
Vittoria d'Assia e del Reno
Bisnonno materno:
Luigi IV d'Assia
Trisnonno materno:
Carlo d'Assia
Trisnonna materna:
Elisabetta di Prussia
Bisnonna materna:
Alice di Gran Bretagna
Trisnonno materno:
Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha
Trisnonna materna:
Vittoria del Regno Unito

sabato 10 marzo 2018

Albero genealogico degli Oldenburg Schleswig-Holstein Glucksburg, gli antenati paterni del principe Filippo di Edimburgo

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Il Casato degli Oldenburg è una famiglia nobile tedesca settentrionale e una delle più influenti e longeve case reali europee.
Gli Oldenburg sono entrati nel novero delle famiglie reali quando il Conte Cristiano I di Oldenburg fu scelto come Re di Danimarca nel 1448; da allora in avanti gli Oldenburg sono la famiglia reale danese. Nel 1450 Cristiano I ascese anche al trono del Regno di Norvegia. Allo stesso casato appartengono anche gli zar russi a partire da Paolo I.
L'oculata politica dinastica dei conti medievali Oldenburg ha permesso a molti dei loro discendenti di salire sul trono di vari regni scandinavi. Nel XIV secolo, attraverso il matrimonio con un discendente del re Valdemaro I di Svezia e del re Eric IV di Danimarca, gli Oldenburg reclamarono i troni di Svezia e Danimarca dal 1350.
Al tempo, i competitori erano i successori di Margherita I di Danimarca. Nel XV secolo, l'erede Oldenburg sposò Edvige di Holstein, discendente di Eufemia di Svezia e Norvegia e discendente di Eric V di Danimarca. Dato che i discendenti situati più in alto negli alberi genealogici erano morti, il figlio Cristiano I divenne re di tutti e tre i regni dell'Unione di Kalmar. Il Casato di Meclemburgo era il principale avversario nella successione ai troni settentrionali. Vari rami della dinastia Oldenburg hanno regnato in diversi Paesi, come mostra l'elenco.
Per la lista esatta dei reggenti dello stato di Oldenburg, vedasi alla voce Oldenburg (stato).

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venerdì 9 marzo 2018

La Cospirazione dei Coburgo e il loro legame con la Massoneria

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All'alba del XIX secolo, il Ducato di Coburgo, retto dalla dinastia Wettin di Sassonia-Coburgo-Gotha, era un piccolo e povero feudo tedesco sperduto nelle selve di Turingia, del tutto privo di influenza politica.
Meno di cinquant'anni dopo, i Sassonia-Coburgo avevano non soltanto arricchito enormemente la propria casata, ma avevano di fatto conquistato il trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, quello del Belgio e si erano imparentati con tutte le Case Reali d'Europa, trasformandole in una sorta di unica grande famiglia.
Com'era stato possibile?
Ce lo spiega in maniera estremamente chiara, efficace ed avvincente lo scrittore Richard Sotnick nel suo testo "La Cospirazione dei Coburgo", in cui non si limita ad analizzare l'influenza del principe Alberto di Sassonia-Coburgo sulla sua regale consorte, Vittoria di Hannover, sovrana del Regno Unito e dell'Impero Britannico, ma concentra la sua attenzione sul vero stratega e regista di quel matrimonio e cioè Leopoldo di Sassonia-Coburgo e Gotha, zio paterno (e forse persino padre naturale) di Alberto e nel contempo zio materno di Vittoria.



Sì, perché quello che i libri di storia non dicono è che Leopoldo di Sassonia-Coburgo, prima di diventare Re dei Belgi (carica tutt'ora detenuta dai suoi discendenti legittimi), era stato ad un passo dal diventare lui stesso Principe Consorte e forse persino Re del Regno Unito.
Era infatti riuscito, attraverso una serie di avventure degne di un romanzo, più che di una biografia,
a sposare la principessa Carlotta di Hannover, unica figlia del Principe di Galles, il futuro re Giorgio IV di Gran Bretagna.

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 La domanda è dunque: com'era riuscito l'oscuro figlio cadetto di un insignificante duca tedesco a sposare l'erede presuntiva di una delle più importanti monarchie d'Europa?

Leopoldo era l'ultimogenito del duca Francesco Federico di Sassonia-Coburgo-Saalfeld e della sua seconda moglie, la principessa Augusta di Reuss-Ebersdorf.

Francesco Federico
*1750 †1806
Ernesto I
*1784 †1844
LEOPOLDO I
Ferdinando
*1785 †1851
Ernesto II
*1818 †1893
Alberto
Sovrani del Belgio
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Re del Portogallo
Principi, poi zar di Bulgaria

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Sovrani del Regno Unito e duchi di
Sassonia-Coburgo-Gotha
Nel 1795, ancora bambino, si trasferì in Russia sotto la protezione della sorella Giuliana, promessa in sposa e poi moglie del granduca Konstantin Pavlovič Romanov, fratello dello zar Alessandro I.
n quello stesso anno Leopoldo venne nominato colonnello del Reggimento della guardia imperiale russa Izmajlovskij e, sette anni più tardi, fu promosso al grado di maggiore generale.

Nel 1806, dopo la conquista del Regno di Sassonia e del ducato di Sassonia-Coburgo-Saalfeld da parte delle truppe napoleoniche, soggiornò brevemente a Parigi alla corte di Napoleone.

Leopoldo rifiutò il grado di aiutante che gli venne offerto dall'Imperatore dei francesi, per unirsi alla Russia di Alessandro I, partecipando con lo zar all'incontro di Erfurt del 1808 con Napoleone.

In qualità di colonnello di cavalleria, pur non avendo esperienze pratiche di comando, prese parte alla campagna del 1813, partecipando alle battaglie di Lützen, Bautzen e di Lipsia, contro le truppe del Bonaparte. Queste battaglie gli valsero, nel 1815 al termine delle guerre napoleoniche, il titolo di generale di divisione e poi Maresciallo di Russia e l'anno successivo quello di maresciallo di campo del Regno Unito.

Ma tutto questo non sarebbe bastato a realizzare i propositi dell'ambizioso Leopold e della sua ancor più ambiziosa madre.

La vera mossa vincente di Leopold fu, nell'ottobre del 1813, l'iniziazione alla Massoneria, per mano di Rodolphe-Abraham Schiferli, cavaliere Rosacroce del capitolo della loggia Zur Hoffnung di Berna, in Svizzera, allora appartenente al Grande Oriente di Francia ed oggi parte della Gran Loggia svizzera Alpina. Venne elevato al grado di maestro il 9 dicembre di quello stesso anno e reso membro onorario della loggia svizzera.

E da quel momento divenne parte di un Grande Disegno che mirava a collocare sul trono di tutti i regni d'Europa una dinastia di sovrani liberali e, cosa più importante, ferventi seguaci della Massoneria.

A differenza dei massoni francesi e statunitensi, quelli inglesi e tedeschi erano contrari alla caduta della monarchia e preferivano averla come alleata.
Per questo, in Gran Bretagna, l'evento decisivo era stato, nel 1782, la nomina del principe Enrico, duca di Cumberland, fratello minore di re Giorgio III, a Gran Maestro della Loggia d'Inghilerra.
Da quel momento la Massoneria britannica fu sempre guidata da un membro della Famiglia Reale (attualmente il Gran Maestro è il Duca di Kent, cugino della sovrana).

Nel 1792, il principe Giorgio di Galles, futuro re Giorgio IV, succedette allo zio nella carica di Gran Maestro.

Fu dunque in seno alla Massoneria che si decise di creare l'alleanza tra gli Hannover di Gran Bretagna, discendenti della potentissima famiglia tedesca dei Welfen, con i Sassonia-Coburgo, discendenti dell'antica dinastia Wettin, al fine di consolidare i legami tra il Regno Unito e la Germania, nell'ottica di una futura unificazione tedesca ed europea sotto le insegne del liberalismo massonico.

L'altro pretendente alla mano della principessa Carlotta era Guglielmo d'Orange-Nassau, futuro re dei Paesi Bassi, anch'egli liberale e massone. La principessa preferì Leopoldo di Coburgo e secondo quanto ci descrivono i contemporanei, pare che questo fidanzamento fosse considerato preferibile e particolarmente felice, sia per l'aspetto sentimentale che per le prerogative dinastiche, dal momento che gli Hannover intendevano recuperare il controllo del loro regno originario nella Germania settentrionale.

Fu così che Carlotta sposò, il 2 maggio del 1816 a Londra, il principe Leopoldo di Sassonia Coburgo-Gotha (1790-1865). 

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Ma un evento infausto pose fine alla felicità dei giovani sposi e nel contempo alle ambizioni dei loro parenti e protettori, in particolare nell'ambiente massonico.

Il 6 novembre 1817 la principessa Carlotta morì di parto, per emorragia, poco dopo la morte dello stesso neonato.

Questo tragico evento, di cui la Storia ufficiale non parla, ebbe invece delle conseguenze determinanti non solo per la Gran Bretagna, ma per tutta l'Europa e, di conseguenza, per tutta la storia mondiale.

La corona del Regno Unito rimase senza eredi diretti e il progetto liberale massonico di egemonia anglo-germanica pareva essere sfumato.

Allo scopo di ovviare a questa circostanza, Giorgio IV costrinse suo fratello Edoardo, Duca di Kent, a sposare, suo malgrado, Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld, sorella dello stesso Leopoldo. 

Dalla loro unione nacque Vittoria, che ereditò la corona del Regno Unito nel 1837 e la detenne fino alla morte, nel 1901, quando tutti i suoi discendenti si erano insediati in ogni casa reale d'Europa.


Leopoldo, che non dimenticò mai l'amatissima moglie, a seguito della Rivoluzione belga del 1830 che provocò lo smembramento del Regno Unito dei Paesi Bassi e alla nascita degli attuali Belgio e Paesi Bassi, fu scelto dalla diplomazia britannica (e imposto sia ai belgi che a Luigi Filippo di Francia) per governare il nuovo Paese. Nel 1831 diventò così il primo Re del Belgio, fondando una nuova dinastia tuttora regnante.

Ma il suo vero capolavoro diplomatico fu quello di convincere sua nipote Vittoria a sposare il cugino Alberto di Sassonia-Coburgo, rinsaldando in maniera determinante l'alleanza degli Hannover con i Wettin.

Il passo successivo fu quello di fidanzare i dieci figli di Vittoria e Alberto con i principi reali delle più importanti dinastie che, nel disegno della Massoneria inglese e germanica, avrebbero dovuto creare una sorta di Unione Europea ante litteram.

E ci andarono molto vicino, in particolare quando la principessa Vicky sposò l'erede al trono di Prussia, Federico di Hohenzollern, e il principe Bertie sposò Alessandra di Danimarca, appartenente alla prestigiosissima dinastia degli Schleswig-Holstein, ramo dell'ancor più antica casata degli Oldenburg.

Ancora una volta, però, il "Grande Disegno" fu spezzato da una morte prematura: Federico III di Prussia, che in qualità di Imperatore Tedesco avrebbe impresso una svolta liberale, massonica e filo-britannica alla Germania, regnò per soli tre mesi, a causa dell'interminabile longevità del padre e dell'implacabile cancro alla gola che lo portò a seguire nella tomba l'imperiale genitore.

A succedergli fu il bellicoso figlio Guglielmo II, il Kaiser per eccellenza, che non aveva nessuna intenzione di diventare un burattino della diplomazia britannica o della Massoneria, preferendo di gran lunga la tradizione militare prussiana, il nazionalismo tedesco e l'eterno sogno della supremazia pangermanica sul continente eurasiatico.

Se la storiografia attribuisce parte della responsabilità delle guerre mondiali del XX secolo alla megalomania di Guglielmo II e dei suoi seguaci, non deve però dimenticare che il Kaiser fu, in fin dei conti, una creazione delle trame dei Coburgo e dei loro alleati massoni.

Albero genealogico dei Wettin di Sassonia Coburgo e Gotha, antenati dei Windsor e della regina Elisabetta II

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La Casata di Wettin, dal nome Witzel modificatosi nel tempo, fu una dinastia tedesca di conti, duchi, principi elettori (Kurfürsten) e re che governarono l'area corrispondente allo stato della Sassonia per più di ottocento anni, riuscendo anche ad occupare per alcuni periodi il trono di Polonia. Esponenti della Casata di Wettin, in varie epoche, ascesero ai troni di Gran BretagnaPortogalloBulgariaPoloniaSassonia e Belgio; di questi, solo la linea britannica (Windsor) e quella belga (Sassonia-Coburgo-Gotha) regnano ancora.

Le origini: i Wettin di Sassonia

Il più antico personaggio della Casata di Wettin è Tiederico (m. 982), quasi certamente figlio del duca Burcardo III di Svevia, che aveva stabilito probabilmente la propria sede a Liesgau. Attorno al 1000 la famiglia acquistò, come parte dei territori tedeschi conquistati nelle terre degli Slavi, quello che sarebbe divenuto il Castello di Wettin, da cui presero il nome. Il castello si trova a Wettin nell'Hosgau presso il fiume Saale. Attorno al 1030, la famiglia dei Wettin ricevette la Marca Orientale come ricompensa per i servigi prestati all'impero.
La permanenza dei Wettin nei territori degli Slavi spinse l'Imperatore Enrico IV a investirli anche della Marca di Meissen, come ricompensa, nel 1089. La famiglia divenne sempre più potente durante il Medioevo, ereditando il Langraviato di Turingia nel 1263, e venne investita del Ducato di Sassonia nel 1423 con la dignità di principi elettori del Sacro Romano Impero.
La famiglia si divise in due linee nel 1485 quando i figli di Federico II di Sassonia conclusero che venti anni di governo comune avevano avuto poco successo. Il figlio maggiore, Ernesto di Sassonia, ricevette la carica di principe elettore e stabilì la sua sede a Wittenberg, mentre il fratello più giovane, Alberto di Sassonia, governò le proprie terre da Dresda. La Sassonia venne quindi divisa in Sassonia Elettorale (che comprendeva sostanzialmente la Turingia), retta dalla "linea Ernestina", e la Sassonia Ducale (che comprendeva sostanzialmente la moderna Sassonia), governata dalla "linea Albertina".

La linea Ernestina e la linea Albertina dei Wettin

L'eredità delle due linee assunse caratteristiche differenti.
La linea Albertina si concentrò nel mantenere l'unità della Sassonia, preservandola come simbolo del potere della famiglia nella regione ed assegnando solo piccole porzioni di territorio ai rami cadetti della famiglia come appannaggio.
La linea Ernestina divise fin dall'inizio i propri territori, creando un piccolo insieme di Stati definiti "Ducati Ernestini" in Turingia. Inoltre, negli anni quaranta del XVI secolo, quasi metà delle terre della linea Ernestina passarono alla linea Albertina per intervento di Carlo V d'Asburgo, contro la crescita del protestantesimo. Alla fine della disputa la linea Albertina possedeva quasi i tre quarti delle terre della casata di Wettin.
La linea Albertina governò la Sassonia (15471806), la Polonia (16971763) e nuovamente la Sassonia (18061918), detenendo inoltre il Ducato di Varsavia (18071814) dopo che l'invasione russa aveva reso la Polonia un protettorato russo. Durante le guerre napoleoniche la linea Albertina perse circa il 40% delle proprie terre a favore della Prussia.

La Casata di Sassonia-Coburgo-Gotha

La linea Ernestina maggiore perse l'elettorato in favore dell'Albertina nel 1547, ma mantenne i propri possedimenti in Turingia, dividendo l'area in numerosi stati. Uno di questi fu il Ducato di Sassonia-Coburgo-Gotha, la cui famiglia regnante fornì le case reali di paesi come il Belgio (dal 1831) e la Bulgaria (dal 1887 al 1946) nonché i principi consorti di Portogallo e Regno Unito (Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, marito della Regina Vittoria d'Inghilterra) e l'imperatrice consorte del Messico (Carlotta del Belgio).

Lista di famiglie, sub-casate e rami della Casa di Wettin attraverso le loro discendenze