mercoledì 14 giugno 2017

L'Ayurveda: la medicina tradizionale indiana

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L'ayurveda (in sanscrito: आयुर्वेद) è la medicina tradizionale utilizzata in India fin dall'antichità, diffusa ancora oggi nel sub-continente più della medicina occidentale.
L'Ayurveda è, al 2015, ben integrata nel sistema sanitario nazionale indiano con diversi ospedali ayurvedici presenti in tutto il paese.[1] Negli Stati Uniti la pratica dell'ayurveda è consentita nell'ambito dell'esercizio delle terapie complementari.[2]
Non c'è alcuna prova scientifica che l'ayurveda sia efficace per il trattamento di una qualsiasi malattia.[3] Preoccupazione è stata espressa in relazione ai prodotti ayurvedici: diversi studi negli USA mostrano come circa il 20% dei rimedi farmaceutici ayurvedici prodotti in USA e in India contengano metalli pesanti come piombomercurio e arsenico ad un livello tossico per l'uomo.[4][5]

Definizione

Ayurveda è una parola composta da ayur, durata della vita o longevità, e veda conoscenza rivelata. Molti traducono erroneamente l'ayurveda come scienza della vita. In realtà è un sistema medico molto vasto e complesso comprendente aspetti di prevenzione, oltre che di cura, che permetterebbero, se applicati rigorosamente, di vivere più a lungo e di migliorare la propria salute e rispettare il proprio corpo.
Viene citata per la prima volta nel Caraka Samhita, un trattato di 500 principi medicinali compilato durante il regno dell'imperatore Kanishka. È attualmente annoverata dall'Unione europea e dalla maggior parte degli Stati membri tra le medicine non convenzionali la cui erogazione è consentita soltanto da parte di medici qualificati. Antico e complesso sistema, si è sviluppato nella sua forma attuale attraverso millenni di ricerche e sforzi innovativi.
L'ayurveda si occupa sotto tutti i punti di vista del benessere delle persone, nel loro aspetto fisico, psichico e spirituale e si occupa delle patologie tanto quanto dello stato di salute normale. Lo scopo è quello di aiutare le persone malate a curarsi e le persone sane a mantenere il proprio benessere e prevenire le malattie. In generale i principi medicinali utilizzati sono mineralimetalli purificati e combinati con acidi fulvici ed erbe, in forma di polveri, pastiglie, infusi, ecc. La maggior parte è di natura fitoterapica, come l'Amalaki (Emblica officinalis), il Trikatu, un composto di tre erbe, zenzeropepe e pippali (Piper longum), Haridra (Curcuma sp.), Brahmi (Bacopa monnieri), Tulasi (Ocimum sanctum), Erand (Ricinus communis), Guduchi (Tinospora cordifolia), Kumari (Aloe sp.), Gokshur (Tribulus terrestris). Ogni medicinale ha una specifica modalità di utilizzo, perché agisca alla sua massima efficacia.

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Origini

Origini mitologiche

Le origini dell'ayurveda sono intrise della ricca mitologia indiana. Si ritiene infatti che l'ayurveda, la "scienza della durata della vita", risalga a Brahma, creatore dell'universo. Costui fece dono del sistema ayurvedico a Daksa Prajapati e da questi agli Asvin, ed infine da loro ad Indra, signore degli dei vedici. Da Indra infine l'ultimo passaggio ai suoi 4 discepoli, Bharadvaja, Atreya, Kasyapa e Dhanvantari. Nei primi capitoli della Caraka Samhita è narrata la storia dell'origine mitica dell'ayurveda.

Origini storiche

Le origini storiche dell'ayurveda si perdono indietro nei millenni, a un'epoca precedente al ritrovamento di documenti scritti che certifichino la sua esistenza. È opinione condivisa che, come per molte altre tradizione ed opere, anche per l'ayurveda e per i Veda in generale ci sia stata una capillare diffusione orale prima della sistemizzazione in forma scritta che cominciò ad avvenire con una serie di trattati a partire dal 450 a.C. circa. La testimonianza di Faxian, un pellegrino buddhista arrivato nel V secolo d.C. nella città di Pataliputra, è una delle più antiche descrizioni al mondo di un sistema ospedaliero civico e fa pensare che l'India possa essere stato il primo paese al mondo a sviluppare un sistema metropolitano organizzato di assistenza medica su base istituzionale[6].

I dosha

Secondo l'Ayurveda il corpo fisico è pervaso da tre dosha (energie vitali) in proporzioni diverse. Questi determinano tramite il loro stato di equilibrio o squilibrio rispetto alla costituzione individuale (prakriti) lo stato di benessere o malattia dell'individuo. Ogni dosha è composto da due elementi (panca-mahabhutani) ed ha determinate qualità (guna) che li caratterizzano.
I tre dosha sono:
Vata
composto da spazio (akasha) e aria (vāyu), è il principio del movimento, legato a tutto ciò che è movimento nel corpo (sistema nervoso, respirazione, circolazione sanguigna, ...). Le sue qualità sono: freddezza, secchezza, leggerezza, sottigliezza, mobilità, nitidezza, durezza, ruvidezza e fluidità. La sua sede principale è il colon ed i suoi 5 sub-dosha sono: Prana, Udana, Samana, Apana e Vyana.
Pitta
composto da fuoco (tejas) e acqua (jala), è il dosha legato alla trasformazione, alla digestione intesa sia a livello fisico (stomaco, fuoco digestivo detto anche agni) sia a livello mentale (elaborazione delle emozioni). Le sue qualità sono: caldo, untuoso, leggerezza, sottigliezza, mobilità, nitidezza, morbidezza, levigatezza, chiarezza e fluidità. La sua sede principale è l'intestino tenue ed i suoi 5 sub-dosha sono: Pacaka, Ranjaka, Sadhaka, Alochaka e Bhrajaka.
Kapha
composto da acqua (jala) e terra (prithvi), è il dosha legato alla coesione, al tener unito, è proprio dei fluidi corporei, lubrifica e mantiene il corpo solido ed uniforme. Le sue qualità sono: freddezza, umidità, pesantezza, grossolanità, stabilità, opacità, morbidezza, levigatezza e densità. I suoi cinque sub-dosha sono: Kledaka, Avalambaka, Bodhaka, Tarpaka e Slesaka.
I dosha consentono di classificare le tendenze psicofisiche presenti nel corpo e le disfunzioni che ne possono derivare. Secondo l'ayurveda le patologie nascono quando si vengono a creare degli squilibri nei dosha (vikriti); l'individuazione degli squilibri in un dosha, corrispondente alla diagnosi, conducono a trovare i rimedi per ristabilirne lo stato di equilibrio individuale (prakriti) e quindi la guarigione. Le principali cause di squilibrio dei dosha sono tre:
  • il prajna-aparadha, ovvero l'errore dell'intelletto che si concretizza nel ripetere azioni e mantenere atteggiamenti che, pur sapendo intrinsecamente sbagliati, vengono perpetuati in nome di desideri o pulsioni materiali;
  • il kala-parinama, ovvero le oscillazioni dei dosha all'interno del giorno, delle stagioni e della vita;
  • l'asatmyendriyartha-samyoga, ovvero l'errato uso dei sensi, intendendo con questo un uso improprio in eccesso o difetto dei sensi.

Terapie ayurvediche

L'Ayurveda prevede la propria terapia attraverso 5 azioni differenti volte a riequilibrare i dosha, quando necessario, o rafforzarli lavorando sullo stato di vikriti (malattia, squilibrio) al fine di ripristinare la prakriti (salute, equilibrio) della persona. Queste azioni comuni, che differiscono in tipo da una persona ad un'altra anche quando hanno la stessa patologia, secondo i propri Dosha sono:
  • Trattamenti da eseguire con olii medicati o polveri d'erbe presso un Terapista qualificato, alcuni dopo essere stati visitati da un Vaidya (Medico Ayurvedico).
  • Sostanze erboristiche naturali da assumere sotto forma di pastiglie o tisane secondo prescrizione.
  • Consigli alimentari corretti a seconda del proprio Dosha ('Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo' - Ippocrate).
  • Piccole abitudini di vita che possono davvero fare la differenza.
  • Esercizio fisico appropriato solitamente yoga e tecniche di rilassamento e respirazione profonda.

Utilizzo di metalli tossici

Nella medicina ayurvedica è presente la pratica di aggiungere metalli (cosiddetta Rasa shastra) ai composti farmaceutici. Tuttavia questi possono avere natura tossica per l'uomo, come è il caso per esempio di piombo, arsenico e mercurio.[5] Nei testi tradizionali ayurvedici sono riportati eventi avversi causati dai prodotti, tuttavia i praticanti sono piuttosto restii ad ammettere la possibile tossicità dei rimedi ayurvedici[7].
Uno studio del 1990 sulla medicina ayurvedica in India mostrava che il 41% dei prodotti testati conteneva arsenico e il 64% conteneva piombo e mercurio[8]. Uno studio del 2004 riportava la presenza di metalli pesanti nel 20% delle preparazioni ayurvediche realizzate nel sud dell'Asia e vendute nella città di Boston; questo studio conclude che i rimedi ayurvedici possono essere rischiosi per la salute e che dovrebbero essere sempre testati per verificare la presenza di metalli tossici per l'uomo[9]. Uno studio del 2008 confermava la presenza di metalli tossici in circa il 20% dei rimedi analizzati.[5][10][11] Nel 2012 il Centers for Disease Control and Prevention statunitense segnalò i rimedi ayurvedici come fonte di avvelenamento di alcune donne incinte.[10][12][13]
Chi crede nella medicina ayurvedica ritiene che la tossicità di questi metalli sia ridotta attraverso i processi di purificazione come il samskaras o lo shodhanas.
In seguito alle preoccupazioni emerse in relazione a questi rimedi, l'India ha statuito che i prodotti ayurvedici debbano indicare in etichetta la quantità di metalli contenuta;[4] tuttavia una pubblicazione dell'Indian Academy of Sciences nota come l'assenza di controlli post produzione e la scarsa validità dei test di laboratorio effettuati rendono la norma di difficile applicazione e di scarsa affidabilità.[4]

Note[

  1. ^ "Legal Status of Traditional Medicine and Complementary/Alternative Medicine: A Worldwide Review". World Health Organization (WHO) Source: [1] (accessed: Tuesday June 24, 2014), c.8.5
  2. ^ Ayurvedic Medicine: An Introduction | NCCIH
  3. ^ Ayurvedic medicineCancer Research UKURL consultato il agosto 2013.
  4. ^ a b c MS Valiathan, Ayurveda: putting the house in order (PDF), in Current Science, vol. 90, nº 1, Indian Academy of Sciences, 2006, pp. 5–6.
  5. ^ a b c Saper RB, Phillips RS, Sehgal A, N Khouri, RB Davis, J Paquin, V Thuppil e SN Kales, Lead, mercury, and arsenic in US- and Indian-manufactured medicines sold via the internet, in JAMA, vol. 300, nº 8, 2008, pp. 915–923, DOI:10.1001/jama.300.8.915PMC 2755247PMID 18728265.
  6. ^ Fonte: Massaggio Ayurvedico MassaggiOnLine.it.
  7. ^ Urmila T e Supriya B, Pharmacovigilance of ayurvedic medicines in India, in Indian Journal of Pharmacology, vol. 40, S1, 2008, pp. 10–12.
  8. ^ Paul I. Dargan, et al., Heavy metal poisoning from Ayurvedic traditional medicines: an emerging problem? (PDF), in Int. J. Environment and Health, vol. 2, 3/4, Inderscience Enterprises Ltd., 2008, pp. 463–74, DOI:10.1504/IJENVH.2008.020935URL consultato il 5 ottobre 2011.
  9. ^ R. B. Saper, Kales SN, J Paquin, MJ Burns, DM Eisenberg, RB Davis e RS Phillips, Heavy metal content of ayurveda herbal medicine products, in Journal of the American Medical Association, vol. 292, nº 23, 2004, pp. 2868–2673, DOI:10.1001/jama.292.23.2868PMID 15598918.
  10. ^ a b Abby Ellin, Skin deep: ancient, but how safe?, in New York Times, 17 settembre 2008. URL consultato il 19 settembre 2008 (archiviato il 18 settembre 2008).
    «A report in the August 27 [2008] issue of The Journal of the American Medical Association found that nearly 21 percent of 193 ayurvedic herbal supplements bought online, produced in both India and the United States, contained lead, mercury or arsenic.».
  11. ^ Liz Szabo, Study finds toxins in some herbal medicines, in USA Today, 26 agosto 2008.
  12. ^ Ayurveda linked to lead poisoning in US womenThe Financial Express, Washington edition (24 August 2012) (accessed on 25 Sep 2012)
  13. ^ Saper RB, Phillips RS e Sehgal A, Lead, mercury, and arsenic in US- and Indian-manufactured ayurvedic medicines sold via the internet, in JAMA, vol. 300, nº 8, agosto 2008, pp. 915–923, DOI:10.1001/jama.300.8.915PMC 2755247PMID 18728265.

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martedì 13 giugno 2017

Lo Hatha Yoga

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Lo Hatha Yoga, inteso come disciplina dell'equilibrio tra mente e corpo, è una forma di Yoga basato su una serie di esercizi psicofisici di rapida efficacia , originati nelle scuole iniziatiche dell'India e del Tibet. Benché sviluppatosi in tempi antichissimi all'interno del subcontinente indiano, dove la religione predominante era quella induista, la pratica dello yoga non è una pratica religiosa, né parte della religione induista, per questo ad oggi è molto praticato anche in occidente e in varie altre aree del mondo da persone di diverse religioni e provenienze sociali ed etniche.[1]

Caratteristiche

Lo Hatha Yoga insegna a dominare l'energia cosmica presente nell'uomo, manifesta come respiro, e in seguito a conseguire un sicuro controllo della componente più instabile e mobile della persona, ossia la mente, sempre irrequieta, sempre pronta a distrarsi e a divagare.
In tal maniera lo yoga, influendo insieme sulla vita psichica e su quella fisica dell'individuo, che del resto pensa strettamente congiunte, si propone di compiere un salto di qualità sul piano dell'esperienza quotidiana, elevando la propria condizione umana e terrena verso un cammino che può condurre all'estasi, come forma della più alta beatitudine. Ecco perché lo Hatha Yoga è anche chiamato "la via celere".
Chi ne segue le regole non è più un uomo comune ma diventa un Siddha, cioè un uomo perfetto. Uno dei segni ch'egli è un uomo perfetto è appunto lo straordinario dominio sugli elementi, quale si mostra con la pratica del tummò, in virtù della quale l'asceta mostra di poter cambiare per suo volere le condizioni stesse della vita.

Le principali pratiche


Un'altra postura dello Hatha Yoga: Sarvangasana, la posizione "della candela".
Questa breve descrizione della fisiologia indiana è utile per comprendere il significato delle principali tecniche "esteriori" dello Yoga.

Asana

Gli Asana sono posture del corpo con le quali il praticante amplifica le caratteristiche e le attitudini mentali. Ogni postura fa confluire maggiore prana verso specifiche parti del corpo, irradiando le relative nadi ed i chakra interessati. Le posture, quindi, non sono soltanto complessi esercizi ginnici, bensì strumenti per incanalare l'energia nelle diverse parti del corpo. Perché la pratica di Asana venga eseguita correttamente è necessaria una giusta attitudine del praticante conforme alle otto membra descritte da Patañjali nello Yoga Sūtra.[1]

Pranayama

Il Pranayama è un insieme di tecniche di respirazione che consente l'accumulo e l'utilizzo del prana. Attraverso il controllo del respiro il praticante è in grado di purificare il corpo e la mente.

Rilassamento

Le tecniche di rilassamento costituiscono una parte importante dell'Hatha Yoga. Il rilassamento secondo questo tipo di yoga consiste in una pausa rigeneratrice tra un'attività e l'altra ed è una cosa ben diversa dalla pigrizia e dall'ozio, basati invece sul rifiuto del lavoro. Gli esercizi di rilassamento agiscono sia a livello fisico che mentale; seguono generalmente il lavoro effettuato con le posture e gli esercizi di respirazione e costituiscono una premessa alle tecniche di meditazione[2]

Meditazione

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Dhyana.
La meditazione è il settimo degli otto passi descritti dal saggio Patañjali per raggiungere l'unione con Dio. La meditazione è il passo immediatamente precedente al Samadhi, ovvero l'unione del meditante con l'oggetto meditato, l'unione dell'anima individuale con l'Anima universale.

Note

  1. ^ a b c L'Albero dello yoga, p. 14.
  2. ^ Hatha yoga.

Bibliografia


Altri progetti

    « "Ha" significa sole, che è il sole del nostro corpo, cioè l'anima, e "tha" significa luna, che è la nostra coscienza.
    L'energia del sole non si attenua mai, mentre la luna svanisce ogni mese e poi di nuovo da luna nuova ridiviene piena. »
    (B.K.S. Iyenger [1].)


    Saggezza induista e benefici dello yoga

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    lunedì 12 giugno 2017

    L'albero dello yoga

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    Il Raja Yoga

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    Il Raja Yoga, adattamento di Rāja Yoga (devanagariराजयोग; lett.: "Yoga Regale"[1]), è il nome con cui è nota la dottrina dello Yoga classico, originariamente esposta negli Yoga Sūtra, opera attribuita al filsosofo indiano Patañjali (I - V sec. e.v.).[2][3]

    Gli Yoga Sūtra sono attribuiti al filosofo Patañjali, personaggio tradizionalmente collocato nel II sec. a.e.v. ma più probabilmente vissuto fra il II e il V secolo della nostra era. Oltre tale indeterminazione, ciò che appare invece certo è che lo Yoga esposto in quest'opera è la codifica di pratiche ben anteriori:[2] il termine yoga compare infatti già nelle Upaniṣad col suo significato qui specifico: "unione"[4].[5] A Patañjali va però senz'altro il merito di aver dato un suo posto certo nell'ambito della filosofia indiana a quella che era una tradizione di carattere mistico.[6] Fra le darśana ortodosse dell'induismo, cioè quelle dottrine teologico-filsofiche che sono ufficialmente riconosciute come significativamente rappresentative del mondo hindu, lo Yoga classico, o Yoga Darśana, è il "punto di vista"[7] del Rāja Yoga di Patañjali insieme ai suoi numerosi commentari.
    Gli Yoga Sūtra consistono di 196 sūtra, concise e significative frasi concepite per essere memorizzate con facilità, come era costume nelle tradizioni hindu, essendo quello orale il mezzo principale per condividere e tramandare il sapere. L'opera è divisa in quattro sezioni denominate pādaSamādhi Pāda (la "congiunzione"); Sādhana Pāda (la "realizzazione"); Vibhūti Pāda (i "poteri"); Kaivalya Pāda (la "separazione"):
    Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Yoga Sūtra.
    Dopo aver definito lo Yoga e discusso del samādhi, ultimo stadio del percorso yogico, nel secondo pāda Patañjali presenta l'aspetto pratico della disciplina introducendo il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'azione") e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga delle otto membra"). Nel terzo pāda egli prosegue con la descrizione dell'Aṣṭāṅga Yoga, elencando i cosiddetti "poteri extra-normali" che è possibile conseguire con la pratica dello Yoga. Tali poteri, egli chiarisce, non devono però distogliere lo yogin dalla realizzazione, dalla meta finale, che resta sempre quella della liberazione (il mokṣa) dal ciclo delle rinascite (il saṃsāra). Tale meta è possibile soltanto col samādhi, quello stadio in cui la coscienza (citta) è pacificata, in uno stato sovrarazionale, dove essenza e conoscenza si trovano in uno stato di "congiunzione". Nell'ultimo pāda Patañjali dà una veste filosofica alla pratica finora presentata coniugandola con la dottrina del Sāṃkhya: il samādhi consente finalmente di riconoscere la "separazione" fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).[8][9]

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    Il Kriyā Yoga di Patañjali

    Patañjali definisce il Kriyā Yoga come quell'aspetto dello Yoga che favorisce la via verso il samādhi,[10] cioè verso il cammino[11] descritto negli otto stadi dello Aṣṭāṅga Yoga. Così nel primo sūtra del secondo pāda:
    (SA)
    « tapaḥ svādhyāya Īśvarapraṇidhānāni kriyāyogaḥ »
    (IT)
    « Il desiderio ardente nella pratica, lo studio di se stessi e delle sacre scritture, l'arrendersi a Dio sono le azioni dello Yoga. »
    (Yoga Sūtra, II.1; citato in Iyengar 2010, pp. 147-148)
    Dunque, per il filosofo il Kriyā Yoga non è una disciplina a sé, una branca dello Yoga come in seguito sarà inteso da altre scuole e filosofi: egli elenca semplicemente quegli atti (kriyā, lett.: "azione"), quelle condizioni cioè necessarie alla via dello Yoga: la pratica, la conoscenza, la devozione. Sebbene egli non usi i termini karma (l'azione e i suoi effetti), bhakti (la devozione), jñāna (la conoscenza spirituale), questi tre aspetti in seguito, presso altri pensatori [12], daranno luogo, così come per il Kriyā Yoga, a tre branche dello Yoga: Karma YogaBhakti YogaJñāna Yoga.[13]
    Īśvara è generalmente reso con "Signore"[14], volendo così indicare la rappresentazione personale del divino: è questo il termine che Patañjali adopera, e non fa così riferimento a nessun deva in particolare. D'altronde, come egli stesso esplicitamente chiarisce nel primo pāda, Īśvara è da intendersi, più che un dio, come un sommo spirito (puruṣa), un maestro ideale,[15] insomma un modello dello yogin la cui figura può essere di ausilio nel cammino verso la realizzazione. Si tratta quindi di un ruolo non centrale, che Patañjali non riprenderà più nel corso dell'opera.[16]

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    Aṣṭāṅga Yoga: gli otto stadi

    Gli stadi (āṅga, lett.: membra[17]) in cui Patañjali architetta la via dello Yoga sono elencati nel ventinovesimo sūtra del secondo pāda:
    (SA)
    « yama niyama āsana prāṇāyāma pratyāhāra dhāraṇā dhyāna samādhayaḥ aṣṭāu aṅgāni »
    (IT)
    « Le regole morali (yama), le osservanze (niyama), le posizioni (āsana), il controllo del respiro (prāṇāyāma), il ritirare i sensi verso la loro origine (pratyāhāra), la concentrazione (dhāraṇā), la meditazione (dhyāna), e l'assorbimento della coscienza nel sé (samādhi) sono gli otto elementi che costituiscono lo yoga. »
    (Yoga Sūtra, II.29; citato in Iyengar 2010, pp. 147-148)
    Riassumendo, il filosofo così prosegue elencando via via i vari stadi e i relativi elementi:
    1. Yama: astinenze; astensioni; freni; proibizioni; regole di comportamento. Queste sono:
    La violenza cui qui si fa riferimento non è soltanto quella fisica ma anche quella verbale. Patañjali aggiunge (in II.35) che la non-violenza induce anche gli altri a essere altrettanto;[9]
    • Satya: sincerità; genuinità;
    • Asteya: non rubare; temperanza;
    • Brahmacarya: continenza; castità;
    Il termine è generalmente reso con "castità", letteralmente vuol invece significare "seguace del Brahman" con riferimento al primo degli stadi della vita di un hindu che segue il percorso canonico di realizzazione spirituale. Tale stadio prevede, tra altre cose, la castità e lo studio dei Veda. Patañjali sostiene in II.38 che tale astinenza dona vigore;
    • Aparigraha: non avidità; moderazione; rinuncia;
    In II.37 l'autore commenta affermando che la rinuncia a impossessarci di ciò che non è nostro fa sì che ci giungano ben altre ricchezze;[9]
    2. Niyama: osservanze; discipline. Queste sono:
    • Śauca: pulizia; purezza;
    L'autore fa esplicito riferimento alla pulizia del corpo;[18]
    • Saṅtoṣa: appagamento; contentezza; soddisfazione;
    Saṅtoṣa è da intendesi come "sapersi accontentare";[9]
    • Tapas: autodisciplina; fervore mistico; ardore; ascetismo;
    Il significato etimologico del termine tapas è "calore", e in senso figurato sta a indicare l'austerità religiosa;[19] Questo concetto risale già al vedismo, dove tapas era inteso come quel "calore" sviluppato internamente nell'impegno ascetico, un "calore magico" in grado di creare e dare la vita.[20] Nelle successive Upaniṣad il tapas è invece interpretato come il "fuoco interiore" che corrisponde e sostituisce il fuoco reale del sacrificio vedico (lo yajña): col tapas si compie adesso un sacrificio tutto intimo, è una interiorizzazione del rituale vedico nel quale a essere offerte sono le funzioni fisiologiche anziché le libagioni, prime fra tutte la respirazione.[21] Si intravede qui il quarto stadio dello Yoga di Patañjali, il prāṇāyāma, il controllo della respirazione, respirazione intesa come funzione corporea densa di significati cosmici.[22]
    • Svādhyāya: studio; applicazione;
    Studio è qui da intendersi quello delle scritture sacre, la recitazione dei Veda;[9][23]
    • Īśvara praṇidhāna: abbandono al Signore;
    Īśvara, il Signore, non è né un Dio creatore né un Dio che intervenga a giudicare o sostenere lo yogin nel suo percorso, sarà soltanto successivamente, con il diffondersi delle correnti devozionali, che la figura di Dio nello Yoga classico assumerà un ruolo più decisivo, all'insega dell devozione emotiva, la bhakti;[24]
    3. Āsana: posizione fisica; postura;
    Mentre yama e niyama sono norme da osservare quotidianamente e possono essere intese come necessario corollario al percorso yogico propriamente inteso, quest'ultimo comincia invece con l'āsana. Patañjali menziona il termine soltanto in II.46, parlando genericamente di una qualsiasi posizione che risulti stabile e dia soddisfazione, comodità. Lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade mette in evidenza che l'importanza dell'āsana sta nell'immobilità del corpo: si tratta di una "concentrazione" del corpo in un'unica postura, con similitudine a quanto poi si farà con la dhāraṇā, concentrazione del pensiero su un unico oggetto;[24]
    4. Prāṇāyāma: controllo della respirazione e del flusso vitale;
    Il termine è composto da prāṇa e āyāma, che sta per "allungamento", "espansione", mentre il primo è generalmene reso con "respiro vitale".[25] Patañjali prosegue distinguendo un prāṇāyāma che segue i tre movimenti del respiro (inspirazione, sospensione, espirazione, prolungati e delicati), e uno che li trascende, senza sforzo, non consapevole.[9] Il Prāṇāyāma sta alla respirazione come l'āsana sta al corpo: si "immobilizza" la respirazione nel senso di renderla regolare e controllata, cioè non instabile come è nell'ordinarietà.[24] È sottinteso in questo stadio il nesso fra respirazione e vita, fra respirazione e coscienza. Così Mircea Eliade:
    « Ritmando la propria respirazione e rallentandola, lo yogin può "penetrare", cioè provare sperimentalmente e in piena lucidità, determinati stati di coscienza. [...] Il prāṇāyāma è, potremmo dire, una attenzione diretta sulla vita organica, una coscienza mediante l'azione, un ingresso calmo e lucido nell'essenza stessa della vita. »
    (Eliade 2010, p. 65 e p. 66)
    Il significato di prāṇāyāma va dunque oltre il semplice ritmare la respirazione. Patañjali usa infatti un termine specifico, prāṇa[26], generalmente tradotto con "forza, energia vitale",[27] "respiro vitale", uno dei componenti del "corpo yogico" (o "corpo sottile"), quel corpo non fisico che lo yogin delle tradizioni tantriche immagina e ritiene quindi di avere coesistente col corpo grossolano. Nel corpo yogico il prāṇa svolge la funzione corrispondente a quella del respiro nel corpo fisico. Nella cultura vedica il prāṇa era il respiro dell'Uomo Cosmico, il Puruṣa.[27] Dunque il prāṇāyāma non è soltanto la regolazione della respirazione, quanto piuttosto la gestione del prāṇa.[28]
    5. Pratyāhāra: ritrazione dei sensi dagli oggetti; astrazione dal mondo; isolamento sensoriale;
    Pratyāhāra è il ritirarsi in sé stessi nel senso di distaccarsi dalla realtà esterna.[9] Tale ritrazione non deve essere intesa come isolamento nel senso di porre una barriera fra sé e il mondo, ma come un cambiamento di stato nella percezione: si passa da uno stadio in cui le funzioni sensoriali sono dominate dai rispettivi oggetti dei sensi, a uno stadio in cui i sensi ne sono affrancati per permettere una conoscenza altra, quella che deriva dalla propria coscienza (citta);[29]
    6. Dhāraṇā: concentrazione;
    La "concentrazione" è definita come «fissare la coscienza (citta) su qualcosa».[30] Il termine deriva dalla radice dhr-: "tener stretto".[24] Patañjali non specifica su cosa convenga fissare l'attenzione, egli usa il termine deśa: "punto", "regione", "posto, "parte";[31]
    7. Dhyāna: meditazione; contemplazione profonda;
    Il passo successivo è quello della "contemplazione", o "meditazione": quietata la coscienza con l'esercizio della concentrazione, si giunge a uno stadio nel quale pur essendo vigile la consapevolezza, quest'ultima è ininterrota, stabile e profonda.[9] Il termine è spesso tradotto con "meditazione", ma non si tratta qui della meditazione comunemente intesa, né di una forma di rimuginazione interiore: il dhyāna è contraddistinto da uno stato di coerente lucidità;[24]
    8. Samādhi: congiunzione con l'oggetto della meditazione; assorbimento della coscienza nel sé; enstasi;
    Patañjali così definisce il samādhi:
    « Quando l'oggetto della meditazione assorbe chi medita, e appare come soggetto, si perde la consapevolezza di se stessi. È il samādhi. »
    (Yoga Sūtra, III.3; citato in Iyengar 2010, p. 181)
    Dunque nel samādhi la distinzione fra soggetto e oggetto si dissolve del tutto.[9] Lo yogin recupera così uno stato primordiale della coscienza, antecedente alla differenziazione fra soggetto e oggetti della conoscenza, sperimentando una beatitudine e una libertà assolutamente piene, quali è possibile attribuire soltanto all'Essere Supremo.[24]
    Il filosofo distingue due momenti prima del compimento del percorso esposto:
    • Samprajñāta samādhisamādhi con sostegno; samādhi consapevole;
    Il termine, samprajñāta vuol letteralmente significare "con oggetto della consapevolezza".[2] Tale samādhi è caratterizzato da quattro componenti:[32] assorbimento nel pensiero analitico (vitarka), assorbimento nel pensiero sintetico (vicāra), sperimentazione della beatitudine (ānanda), coscienza dell'unità con sé stesso (asmitā);[9]
    • Asamprajñāta samādhisamādhi senza sostegno; samādhi non cosciente.
    Il termine non è invero usato da Patañjali[33] ma dai suoi commentatori: il filosofo lo definisce soltanto come un "andare verso la quiete" (virāma paratyaya), nel senso che le funzioni mentali, ancora attive nel samprajñāta samādhi, adesso sono in via di dissoluzione.[9]
    Quando anche queste funzioni hanno terminato di esercitare del tutto la loro influenza, si è nel:
    • Nirbīja samādhisamādhi senza seme;
    Tale stadio è quello finale, il samādhi propriamente inteso, nel quale è abbandonata anche quella forma di percezione differente che lo yogin ha sperimentato precedentemente, iniziata col pratyāhāra e proseguita fino alle forme compiute di samādhi consapevoli, dette sabīja samādhi, cioè samādhi "con seme".[34] Nel percorso verso il samādhi la coscienza (il citta) si è prima liberata dall'influsso degli oggetti dei sensi, quindi ha sperimentato una percezione via via più profonda e pura, ma comunque influenzata dalle funzioni mentali, sia consapevoli[35] sia inconsapevoli[36], infine ha abbandonato anche questo influsso per sperimentare una nuova conoscenza[37]; dissolta[38] anche questa, la coscienza si è completamente liberata da tutto ciò che la rendeva preda di agitazioni[39].

    Raja Yoga e Haṭha Yoga

    Spesso il Raja Yoga è contrapposto allo Haṭha Yoga, yoga descritto in testi molto più recenti[40] e basato principalmente su prāṇāyāma (il controllo della respirazione) e āsana (l'esercizio delle posture). Se dunque quest'ultimo può considerarsi una disciplina fisica basata su un approccio dinamico, il Raja Yoga è allora una disciplina mentale, all'insegna della staticità. Nello stesso Haṭhayoga Pradīpikā l'autore, Svātmārāma, afferma che lo Haṭha Yoga è disciplina preparatoria a forme spirituali più elevate.[3]

    Note

    1. ^ Lo storico delle religioni britannico Gavin Flood rende rāja con "migliore"; tuttavia il significato letterale del termine è "sovrano": cfr.: rAjaspokensanskrit.de.
    2. ^ a b c Flood 2006, pp. 131-132.
    3. ^ a b Feuerstein 2001, p. 291.
    4. ^ Dalla radice yuj-: "legare", "aggiogare", "unire".
    5. ^ Feuerstein 2001, pp. 415-416.
    6. ^ Eliade 2010, p. 23.
    7. ^ Darśana vuol letteralmente significare "punto di vista", "visione"; in senso lato quindi "dottrina", "modello".
    8. ^ Eliade 2010.
    9. ^ a b c d e f g h i j k Iyengar 2010.
    10. ^ Yoga Sūtra, II.2.
    11. ^ Sādhana è appunto traducibile con "mezzo", "strumento", "realizzazione", "cammino".
    12. ^ Nonché moderni divulgatori, non si sa con quanta competenza.
    13. ^ Iyengar 2010, pp. 118-119.
    14. ^ Vedi Izvaraspokensanskrit.de: "Dio", "Signore", "Essere supremo", eccetera.
    15. ^ Yoga Sūtra, I.23-26.
    16. ^ Fatta eccezione dei sūtra II.32 e II.45 ove però l'autore ribadisce il medesimo concetto già in I.23: l'abbandono al Signore (Īśvara praṇidhāna).
    17. ^ Vedi aGgaspokensanskrit.de.
    18. ^ Vedi II.40.
    19. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary: T.
    20. ^ Gli inni della Ṛgveda Saṃhitā, stante al testo, furono visti dai veggenti (i ṛṣi) perché prodotti dal loro stesso fervore mentre erano in contemplazione. Cfr. Roberto CalassoL'ardore, Adelphi, 2010, p. 134.
    21. ^
      « Ecco ora la regola dell'autocontrollo come enunciata da Pratardana, il sacrificio del fuoco interiore, come è stato chiamato. Finché una persona parla, non può respirare. Perciò sacrifica il respiro alla parola. Inoltre, finché una persona respira, non può parlare. Perciò sacrifica la parola al respiro. Questi sono i due sacrifici infiniti, immortali: che si sia svegli o dormienti, si sacrifica in continuazione. Ora gli altri sacrifici hanno una fine, poiché essi sono fatti di opere. Conoscendo ciò, gli antichi non offrirono il sacrificio al fuoco. »
      (Kauṣitakī Upaniṣad, II.5; citato in Raimon PanikkarI Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001)
    22. ^ Eliade 2010, p. 113 e segg.
    23. ^ Vedi anche Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary: Srepeating the Veda aloud: "ripetere gli inni dei Veda ad alta voce".
    24. ^ a b c d e f Eliade 2008, p. 67 e segg.
    25. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary: P.
    26. ^ "Respiro" corrisponde al termine śvāsa.
    27. ^ a b Feuerstein 2001, p. 274.
    28. ^ Così si esprime il mistico indiano Swami Vivekananda, esponente dell'Advaita Vedānta: «Il prāṇāyāma non è, come molti pensano, qualcosa che ha che fare con la respirazione, La respirazione è soltanto uno dei tanti metodi coi quali familiarizziamo col vero prāṇāyāmaPrāṇāyāma significa "controllo del prāṇa
      « Prânâyâma is not, as many think, something about breath; breath indeed has very little to do with it, if anything. Breathing is only one of the many exercises through which we get to the real Pranayama. Pranayama means the control of Prâna. »
      (VivekanandaVedanta Philosophy: Lectures on Raja Yoga, 1897, ristampa Health Research, California, 1972, p. 29)
    29. ^ Eliade 2010, pp. 76-77.
    30. ^ Vedi III.1.
    31. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary: D.
    32. ^ Yoga Sūtra, I.17.
    33. ^ Iyengar 2010, p. 84 e p.85.
    34. ^ Patañjali descrive vari aspetti o momenti del samādhi: i sabīja samādhi comprendono i samprajñāta samādhi più altri per i quali egli non adopera esplicitamente il termine samādhi.
    35. ^ Vitarka e vicāra, "pensiero analitico" e "pensiero sintetico".
    36. ^ Saṃskāra, "ricordi", cfr.: I.50.
    37. ^ Prajñābhyam, "conoscenza intuitiva": cfr. I.49.
    38. ^ Nirodhe, "sopprimere", cfr. I.51.
    39. ^ Vṛtti, "vortici", cfr.: I.2.
    40. ^ XV-XVII sec. circa.

    Bibliografia

    • Mircea EliadeLo Yoga. Immortalità e libertà, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro, BUR, 2010.
    • Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Vol. II, traduzione di Maria Anna Massimello e Giulio Schiavoni, BUR, 2008.
    • Georg FeuersteinThe Encyclopedia of Yoga and Tantra, Shambhala, 2001.
    • Gavin FloodL'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
    • B. K. S. IyengarCommento agli Yoga Sūtra di Patañjali, a cura di Gabriella Giubilaro, Giovanni Corbo, Agrippina Pakharukova, Edizioni Mediterranee, 2010.

    Voci correlate