Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
venerdì 12 maggio 2017
I tipi psicologici secondo Jung
I tipi psicologici
Un altro concetto fondamentale, il tipo, viene introdotto da Jung nel libro Tipi psicologici (1921) Oggetto dell'opera è una classificazione degli individui secondo "tipologie psicologiche", che prendono le mosse dal carattere del loro adattamento. Essi si articolano attorno alla basilare polarità "Introverso/Estroverso", e alla conseguente distinzione di due individui tipici fondamentali. Individuati dall'opposto orientamento generale della loro libido primaria (intro-versa o estro-versa) riprendono, in individui diversi, il ritmo sistole/diastole tematizzato da Goethe.
Per spiegare le rilevanti differenze individuali all'interno dei gruppi, Jung incrocia l'iniziale modello bipolare con una ulteriore quadripartizione in "funzioni" psichiche: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione.
L'appartenenza a uno dei quattro sottogruppi è determinata dalla funzione privilegiata nel corso dell'adattamento, funzione a cui l'individuo, a partire dall'infanzia, affida le sue principali speranze di riuscita. La combinazione tra i due "assi" (quello Introversione/Estroversione e le quattro funzioni) dà luogo a otto tipi psicologici individuali. Non preme a Jung presentare l'ennesima classificazione delle personalità, ma relativizzarne l'esperienza fenomenologica. È l'orientamento della coscienza dunque, il suo intenzionarsi, che viene classificato, non un banale coacervo di caratteristiche individuali.
Questa teoria assume rilievo nel processo di individuazione, nel quale è necessario che l'Io sia consapevole dell'atteggiamento psicologico che si è reso dominante o esclusivo. Solo superando la propria unilaterale adesione a un modo di rappresentare la realtà e aprendosi agli altri modi, l'individuo può affermare la sua autonomia da modelli collettivi accettati inconsapevolmente (che siano gli archetipi dell'inconscio collettivo o le "modalità di funzionamento" della facoltà di rappresentare, considerata nella sua formalità).
La "scelta" del tipo psicologico a cui l'individuo appartiene corrisponde, infatti, più a esigenze collettive che individuali. Mostrare il valore delle opzioni trascurate dallo sviluppo è il compito dell'individuazione, allo studio e alla pratica della quale d'ora in poi la psicologia analitica si consacrerà. Diventa così possibile il confronto con le funzioni arrestatesi a uno stadio arcaico dello sviluppo, integrandole in un'individualità dinamicamente matura.
Tipi psicologici ed archetipi
Tipi psicologici ed archetipi
Jung, le religioni orientali, il paranormale e la teoria della sincronicità
Jung scrisse quattro saggi sui Mandala, i disegni rituali buddisti e induisti, dopo averli studiati per oltre venti anni. Secondo Jung, durante i periodi di tensione psichica, figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore. Il simbolo del mandala, quindi, non è solo un'affascinante forma espressiva ma, agendo a ritroso, esercita anche un'azione sull'autore del disegno perché in questo simbolo si nasconde un effetto magico molto antico: l'immagine ha lo scopo di tracciare un magico solco intorno al centro, un recinto sacro della personalità più intima, un cerchio protettivo che evita la "dispersione" e tiene lontane le preoccupazioni provocate dall'esterno; oltre a operare al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore, un mandala persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualcosa che tuttora non esiste, a qualcosa di nuovo e di unico. Come afferma Marie-Louise Von Franz (allieva di Jung), il secondo aspetto è ancora più importante del primo, ma non lo contraddice poiché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo.
Un viaggio nell'aldilà: Jung e il paranormale
Lo stesso argomento in dettaglio: Sincronicità e Libro Rosso (Jung). |
Tra gli interessi di Jung vi era anche il paranormale, un tipo di ricerca sviluppato già in gioventù, analizzando i fenomeni della sua cugina medium. Egli stesso condusse analisi ed esperimenti parapsicologici. Era convinto di essere un sensitivo. Era convinto di aver avuto diverse premonizioni e una sorta di visione nel 1913 che annunciava la rovina dell'Europa (la prima guerra mondiale). Sosteneva che i fenomeni paranormali fossero segnali dell'inconscio collettivo, come i sogni sono spie dell'inconscio individuale. Cominciò un lavoro analitico su sé stesso, a base di tutta la sua opera, annotando sogni, fantasie e disegnandole anche, in quello che sarebbe diventato il Libro Rosso: non lo pubblicò mai; gli eredi autorizzarono la visione dell'opera solo nel 2001 e la pubblicazione del saggio, di intonazione profetica e ispirato allo stile di Nietzsche, solo nel 2008. Le illustrazioni riprendono la tecnica visionaria di William Blake.
Nel 1920 disse di avere assistito alle manifestazioni di un fantasma mentre si trovava in una villa in Inghilterra, una notte mentre era a letto apri gli occhi e vide accanto a sé una vecchia che lo fissava. Saltato giù dal letto accese una candela e la visione era sparita.[20] Jung tendeva a spiegare i fenomeni, più che come manifestazioni di spiritismo, come manifestazioni di inconsci turbati e particolarmente sensibili; tuttavia sostenne che certi fenomeni erano, a suo parere, inspiegabili, avvicinandosi a una posizione possibilista[21]. Egli organizzava regolari sedute spiritiche e durante una di esse un pesante tavolo di noce si rovesciò e subito dopo un coltello per tagliare il pane, custodito in un cassetto, si spezzò in quattro parti con un rumore simile a un colpo di pistola.[22]
Studiò anche la credenza nella reincarnazione, che interpretava originata dai ricordi dell'inconscio collettivo. Tra le sue altre esperienze, percezioni insolite, allucinazioni senza patologia psicotica, interpretate come segnali dell'inconscio personale e collettivo: tra di esse una forte connessione agli eventi passati, come durante la visita nel 1913 al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Jung tornò con un'amica a Ravenna dieci anni dopo. Nel battistero Neoniano entrambi videro un mosaico, raffigurante Cristo che salva san Pietro dalle acque del lago di Tiberiade, che Jung interpretava come un simbolo inconscio di rinascita psicologica. In realtà tale mosaico non esisteva (è presente invece il battesimo di Cristo nel fiume Giordano), se non nelle intenzioni originali dei costruttori, ed era quindi frutto dell'immaginazione di Jung e della sua accompagnatrice.[23]
Nel 1944 ebbe un incidente domestico e si fratturò una gamba, e, poco dopo, un successivo infarto miocardico, che gli causò una perdita di coscienza. Quando si riprese sostenne di aver avuto, in coma, un'esperienza di pre-morte, comprendente un'esperienza extra-corporea in cui disse di aver visto la Terra dallo spazio (descrivendo una situazione simile a quella che vivranno i primi astronauti e cosmonauti), visioni di un luogo luminoso e viaggi "extradimensionali"[24][25], e descriverà così l'inizio dell'esperienza:
« In stato di incoscienza ebbi deliri e visioni che dovettero cominciare quando ero in pericolo di vita e mi curavano con ossigeno e iniezioni di canfora... Mi pareva di essere sospeso nello spazio, sotto di me, lontano vedevo il globo terrestre avvolto in una splendida luce azzurrina e distinguevo i continenti e l'azzurro scuro del mare. Proprio ai miei piedi c'era Ceylon e dinanzi a me, a distanza, l'India. La mia visuale comprendeva tutta la terra; la sua forma sferica era chiaramente visibile e i suoi contorni splendevano di un bagliore argenteo, in quella meravigliosa luce azzurra. In molti punti il globo sembrava colorato o macchiato di verde scuro, come argento ossidato. Sulla sinistra, in fondo, c'era una vasta distesa, il deserto giallo rossastro dell'Arabia; come se l'argento della terra in quel punto avesse preso una sfumatura di oro massiccio. Poi seguiva il Mar Rosso e lontano — come a sinistra in alto su una carta — potevo scorgere anche un lembo del Mediterraneo, oggetto particolare della mia attenzione. Tutto il resto appariva indistinto. Vedevo anche i nevai dell'Himalaya coperti di neve, ma a quella distanza c'era nebbia e nuvole. Non guardai per nulla verso destra. Sapevo di essere sul punto di lasciare la terra. Più tardi mi informai dell'altezza a cui si dovrebbe stare nello spazio per avere una vista così ampia: circa 1500 chilometri. La vista della terra a tale altezza è la cosa più meravigliosa che avessi mai visto » |
Nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni, commentò anche:
« Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente... Prima o poi, i morti diventeranno un tutt'uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d'essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell'eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo » |
(Intervista a Jung) |
Fanno parte di queste credenze nel paranormale gli scritti che Jung pubblicò nel 1952 sulla sincronicità: secondo questa spiegazione alcuni fenomeni avvengono in modo sincrono senza che vi siano correlazioni di causa-effetto, poiché hanno un'origine comune, un fine comune e una comunanza evidente di significato, e sono parte di uno stesso meccanismo del destino.
Per questi interessi, Jung è stato criticato dagli psicoanalisti classici di scuola freudiana e dai materialisti, per aver dato, a loro avviso, troppo credito al paranormale nel mondo moderno, mescolando indebitamente psicologia, pseudoscienza e religione.[26]
La collaborazione con Pauli
Lo stesso argomento in dettaglio: Sincronicità § Fisica e psicoanalisi. |
Il fisico teorico e sperimentale Premio Nobel Wolfgang Pauli, inizialmente suo paziente, collaborò con Jung agli studi sulla sincronicità.[30] Il confronto intellettuale generò quella ricerca nota come "il quarto escluso", individuato in fisica classica nel modello di triade e in alchimia nel modello sviluppato da Jung negli studi sull'alchimia, perché questo processo simbolicamente rappresentato completava una triade fino ad allora in attesa di un quarto elemento che sciogliesse i dubbi ancora presenti sulla validità di ciò che era stato compreso, verificato e accettato dalla scienza fino a quel momento. La sincronicità si rivelava così essere il modello ideale per sciogliere molti dei dubbi innescati anche nel modello di triade in fisica classica: 1) tempo 2) spazio 3) causalità; al "quarto escluso" è stato appunto dato il nome di sincronicità.[30]
In analogia alla causalità che agisce in direzione della progressione del tempo e mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso spazio ma in istanti diversi, come per esempio l'entanglement, viene ipotizzata l'esistenza di un principio che mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso tempo ma in spazi diversi. Viene cioè ipotizzato che oltre lo svolgimento di un atto conforme al principio in cui in tempi diversi accadono avvenimenti provocati da una medesima causa, ne esista un altro in cui accadono avvenimenti nello stesso tempo ma in due spazi differenti perché, essendo casuali, non sono direttamente provocati da un effetto, risultando così aderenti a un principio di a-temporalità.[30]
Nel 1952 Jung e Pauli pubblicarono due saggi nel volume Naturerklärung und Psyche. Nel proprio saggio Pauli applicava il concetto di archetipo alla costruzione delle teorie scientifiche di Keplero, mentre Jung intitolava il proprio Sincronicità come Principio di Nessi Acausali. Dopo più di venti anni di dubbi e ripensamenti di carattere etico-intellettuale, l'analista si decise a definire il concetto per cui riteneva "d'essere scientificamente impreparato" a enunciare. Jung, rigoroso e pragmatico scienziato, è infatti imbarazzato verso la comunità scientifica per l'evidente orientamento dei suoi studi in cui evidenze empiriche divengono fenomenologie su cui lavorare con metodo scientifico.[30]
Nella prefazione del saggio scrive che: «la sincronicità è un tentativo di porre i termini del problema in modo che, se non tutti, almeno molti dei suoi aspetti e rapporti diventino visibili e, almeno spero, si apra una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo».[30]
La progressione tematica in Aion: L’archetipo di Cristo: simbolo speculare per il Sé
di Diego Pignatelli Spinazzola presso il sito:
La progressione tematica in Aion: L’archetipo di Cristo
Simbolo speculare per il Sé
Dallo gnosticismo, al cabalismo, all'alchimia, all'esegesi pre-cristiana e talmudica, le immagini di Jung precorrono l'emblematico caleidoscopio della psiche oggettiva, attraverso una progressione di mitemi collegati ancestralmente al retroterra mitologico e simbolico che costellava il mundus archetypus dell'antico medio oriente e del medioevo antico fino ad accendere quella divina scintilla dell'anima mundi che risollevò transitoriamente il lumen naturae della ricerca. Portatore di questo domicilium Jovis o costellazione planetaria, C.G. Jung si erse a spiritus rector della complessità archetipica che intanto fondava il "mundus" delle origini sull'archetipo di Cristo, vero perno centrale e vero cosmogramma mundi dell'istanza archetipica del Sè. Jung non mise tanto l'accento sul pittogramma o mandala Tetramorfo di Cristo quanto sul dominum che questi investiva nella posizione di Re troneggiante alias Sol invictus. La planetaria costellazione che andava dalla Palestina all'Egitto copto e la Siria precostituiva quell'antico domicilium che ebbe poi aurea incidenza nello gnosticismo. L'antico culto siriaco svoltosi in onore alla Dea Madre Derceto Atargatis preconfigurò al suo interno l'archetipo prototipico di Cristo: l'Ichthys. Da queste varianti sorsero poi simboli che si allinearono alla descrizione talmudica, cioè il Leviatano offerto in sacrificio come pasto eletto, sanctior cibus per i pisciculi, così venivano chiamati i primi cristiani. Da questi proto-simboli si sviluppa nella letteratura junghiana il concetto di archetipo del Sè. A dire il vero Jung corroborò questo concetto con una letteratura alchemica che già da Alberto Magno e Pietro Bono aveva "cristificato" il simbolo del Sè nel lapis philosophorum, cardine angolare del concetto alchemico equiparato a Cristo.
Snodando l'immaginale elaborazione che si tematizza in Aion (1951), Jung prende successivamente a prestito da Dorneus termini quali "Caelum" e "Centrum" per indicare quell'indicibile istanza pre-modellatasi sulla fugura archetipica del redentore. Pietra o lapis è un sinonimo alchemico per dire Cristo, immagine speculare del Sè. Il tipo di speculazione infatti che va di pari passo con una progressione simbolica, recupera in Aion (1951), immagini come fossero opere di scavo nell'arabesco paleolitico che Jung ci propone, in quell'Aquarium sapientiae dove i due emisferi, lato nord e lato sud sono governati dai pesci, Cristo e l'Anticristo, a formare un doppio o una croce. Il conflitto morale e la lacerazione degli opposti psichici veniva rappresentato da quella crocifissione dell'ego che anteponeva Cristo all'Anticristo. Questa bipolarità (2 X 2) del extra mundum del Sè e dell'intra mundum evidenziato da Edinger (L'archetipo Cristo. Commentario junghiano sulla vita di Cristo, Zephyro 2000), è un processo che raffigura quella sintesi in un unico archetipo (Cristo) tra l'io ed il Sè, tra il Cristo terreno, Adam secundus e la sua controparte transpersonale, il filius macrocosmi o Redemptor degli alchimisti.
La croce si snoda nella bipolarità stessa tra l'interno e l'esterno, tra l'intimo conflitto tra il Cristo corporeo ed il Cristo transpersonale (corpo/spirito) tra quest'interiore liaison che pone la coscienza difronte alla croce ed alla drammatica antinomia morale degli opposti. La croce come elemento primordiale coagulante dell'esperienza psichica si situa essa stessa quale funzione trascendente al centro di una presupposta bipolarità del Sè. I Dioscuri, Castore e Polluce, il mortale e l'immortale si muovono al centro di un unità complessuale che si divide tra extra mundum e intra mundum. Ci riferiremo a questi come estroversivo ed introversivo nella classica definizione che Jung ne dà nei Tipi psicologici (1921). Se uno è epimeteico l'altro è prometeico, al che il Sé transpersonale restituisce all'ortodossia il suo docetismo, all'agnosticismo il suo gnosticismo, all'essoterismo il suo esoterismo. La croce ci rivela ancora che il mare nostrum dove nuotano i due pesci, è il mare immensum di cui essi sono portatori, perchè nel corpo di quest'indicibile immensità nuotano Castore e Polluce, Cristo e Anticristo come pesci delle origini, modelli prototipici gallegianti sull'oceano dell'origine primordiale definito come contenuto inconscio. Da quest'immagine presa in prestito dal De lapide philosophico di Lambsprinck (1625) è facile notare di come il mare sia il corpo o l'inconscio, mentre i due pesci simboleggiano lo spirito e l'anima.
Nel dramma dell'umanità questi due elementi sebbene secolarizzati hanno sempre rappresentato gli opposti che si lacerano ma che poi si levano dall'antitesi morale della croce per congiungersi nella coniunctio della loro reciprocità nel corpus glorificatum di Cristo, il Rex Gloriae. Il conflitto morale è motivo portante della gran parte delle Opere di Jung. La dicotomia come la lacerazione tra gli opposti ed il problema etico sono la controprova che Jung stava tentando un approccio al problema religioso elevando in reciproca combinazione i due aspetti del Sè ed il mercurius duplex che da questa bipolarità voleva rappresentare proprio quei contenuti e quei processi inconsci riflettendone l'intimo e lacerante conflitto. Ma rinvenendo un tentativo di scavo, le ipotesi junghiane e le corroborazioni metateoriche si aprivano al quanto un varco nel mundus archetypus della psiche oggettiva, calandosi nel corpo sublunare del mito gnostico ed alchemico e con questo penetrando quel mondo immaginale di cui essi sono ancora e tuttora forze edificanti, perchè provenienti da un retroterra-altro che di quell'intra mundum dell'immaginazione attiva parafrasando ancora Edinger (2000), sono le primigenie acque mercuriali.
Diego Pignatelli Spinazzola
Aion Mitraico
Jung e la Gnosi
Riferimenti:
F.E. Edinger, L'archetipo Cristo. Commentario junghiano sulla vita di Cristo, Zephyro Edizioni, Milano 2000.
C.G. Jung, Psicologia e alchimia (1944), in Opere Vol. XII, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
C.G. Jung, Aion: Ricerche sul simbolismo del Sé (1951), in Opere Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino 2005.
C.G. Jung, Opere Vol. 14 (1955/56) / Mysterium coniunctionis, Curato da M.A. Massimello, Bollati Boringhieri, Collana Gli archi 19, Torino 2008.
C.G. Jung, Tipi psicologici (1921), Newton Compton Editori, Roma 2009.
giovedì 11 maggio 2017
Il viaggio dell'Eroe nella teoria degli archetipi di C.G.Jung e Joseph Campbell
Carl Jung e Joseph Campbell hanno codificato una serie di modelli che tornano a manifestarsi nel corso della storia umana. Possono essere considerati come miti o allegorie ricorrenti che continuiamo a raccontarci per elaborare la nostra esperienza del vivere.
"Il termine 'archetipo' viene usato per indicare, in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero (ad esempio l'idea platonica). In psicologia analitica da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell'inconscio umano; per derivazione in mitologia, le forme primitive alla base delle espressioni mitico-religiose dell'uomo..." Fonte
"(Secondo Jung) gli Archetipi fondamentali sono 12, come i mesi dell'anno, come i Segni dello Zodiaco, come le fatiche di Ercole, come le Tribù di Israele, come gli Apostoli. Tutti gli Archetipi sono potenzialmente dentro di noi, ma solitamente si ha un particolare rapporto con due o tre di essi che risultano dominanti in noi, in questa nostra vita. Alla fine quello che conta è trovare l'armonia tra di essi. Il Viaggio dell'Eroe ci porta alla fine a trovare il Tesoro del nostro vero Se." FonteCampbell ha definito 'Viaggio dell'Eroe' il percorso che tutti noi siamo chiamati ad affrontare per separare noi stessi dal 'mondo ordinario', sacrificarci per combattere i torti che osserviamo intorno a noi, riconoscere la realtà per ciò che è realmente, ed infine conquistare la Saggezza. Il 'richiamo all'avventura' al quale rispondiamo intraprendendo questo viaggio in terre lontane ed ignote, corrisponde alla necessità di esplorare la nostra interiorità, ricercare gli insegnamenti che ci riserva la nostra esperienza terrena.
"L'Eroe deve essere disposto a discendere all'inferno per affrontare i Demoni, perché è lì che si trova il Tesoro. Il Tesoro rappresenta la ricompensa per il coraggio di aver intrapreso il cammino ed aver affrontato l'Ombra. E' il recupero dei nostri talenti, la consapevolezza delle nostre capacità e del nostro potere." FonteLe facce infinite della psiche umana diventano un parco giochi affascinante quando si tratta di archetipi junghiani. Secondo Jung ognuno di noi dovrebbe individuare se stesso tra i dodici archetipi primari, al fine di conoscere meglio se stesso, capire come viene percepito dal proprio prossimo e - in ultima analisi - confrontarsi con la propria Ombra. Non bisognerebbe approcciarsi agli archetipi come ad etichette permanenti, ma riconoscere che molti di essi riflettano un aspetto della nostra psiche, a volte dormiente, altre volte attivo e dominante.
"I nostri momenti di cambiamento, di trasformazione interiore, di morte psicologica di una parte di noi, non sono altro che un passaggio dall'influenza di un archetipo ad un altro, e spesso coincidono con le fasi cruciali della vita." FonteIn poche parole, quelli elencati di seguito sono i principali archetipi in cui si rispecchia una larga parte di noi (con una infinita gamma di variazioni) nel proprio Viaggio verso la Saggezza. I ruoli sono intercambiabili, ed in molti casi quelli secondari hanno la funzione di supportare il viaggio dell'archetipo principale, cioè l'Eroe. Esaminarne le caratteristiche potrà esserci utile per comprendere come ognuno di noi ricopra un antico ruolo, che può variare con la stessa facilità con cui ci si sveste di un costume durante una recita di Shakespeare.
1 - Il Bambino.
Il Bambino incarna l'innocenza. Sia quella dell'uomo inconsapevole (l'Orfano) che quella dell'uomo saggio (il Bambino Magico). Esula l'esperienza del Viaggio; incarna ciò che siamo prima e dopo il Viaggio. Prima di diventare Esploratori, si è sempre Orfani. L'Orfano è il bambino perduto, privo di una solida identità che gli consenta di sopportare l'incertezza, di vedere il mondo per ciò che è realmente, e non come vorrebbe che fosse. L'Orfano è come la Vittima, consumata dalla sua perdita, sempre in attesa di essere 'salvata' da qualcuno o qualcosa, e convinta che il destino sia molto più forte della volontà e delle azioni individuali.
Il Bambino Magico - al contrario - rappresenta il maestro saggio. L'Eroe che alla fine del Viaggio fa ritorno a casa. Dopo mille peripezie l'Eroe chiude il cerchio; ritorna al punto di partenza trasformato nello spirito ed animato da una grande innocenza non più ascrivibile all'inconsapevolezza, bensì alla sapienza ricavata dalle esperienze vissute.
2 - L'Esploratore.
L'Esploratore è l'Eroe in partenza; l'Orfano che anziché diventare Vittima, decide un giorno di intraprendere un lungo Viaggio per combattere i Demoni, ritrovare Se stesso e poi ritornare a casa per prendere possesso del proprio Regno. Spesso giunge ai confini del mondo solo per scoprire che ciò che stava cercando era sempre stato sotto ai suoi occhi, tuttavia senza la sapienza guadagnata nel Viaggio, era incapace di vederlo.
3 - Il Cercatore.
Quando l'esplorazione prosegue oltre il necessario, in una ridondanza di domande senza risposta e curiosità fini a se stesse, prive cioè di una utilità interiore, l'Esploratore diventa il Viandante o Cercatore, il Cercatore è perennemente alla ricerca di risposte, e così ritarda il proprio ritorno a casa. Rimette continuamente tutto in discussione; può sembrare una 'anima smarrita' che non trova mai un punto fermo, tuttavia il Cercatore contribuisce a portare avanti la storia. Il Cercatore è così attratto dalla verità che può sfidare il pericolo ed agire in modo troppo istintivo per spingersi a 'cercare oltre.' Pensate a Siddhartha. Il Cercatore è molto prezioso, ma solo l'Eroe trova la Verità Ultima.
4 - Il Mentore.
A volte il Mentore è incarnato da un insegnante, o un saggio. Il suo scopo è quello di testare la volontà dell'Eroe, l'impegno profuso nel compito che ha scelto di affrontare, la capacità di seguire il percorso del suo viaggio epico. Il Mentore può guidare l'Eroe, come qualsiasi altro archetipo esistente nel gioco della vita.
5 - L'Alleato.
Pensate al personaggio di Robin nei fumetti di Batman, o a quello di Jim, insieme al quale il giovane Huck Finn naviga lungo il Mississippi. L'alleato è la fedele spalla che aiuta l'Eroe durante il Viaggio. Gli garantisce un supporto incondizionato, e spesso riflette gli aspetti positivi dell'Eroe stesso; aspetti che l'Eroe ignora ma che deve assolutamente conoscere prima di incrociare altri archetipi, ad esempio l'Ombra.
6 - Il Muta-forma.
Questo è l'elemento della storia che introduce il dubbio. E' il non credente, la cinica suocera, la voce nella testa che continua a ripetere che questa impresa non può riuscire. Il Muta-forma farà di tutto per rendere difficile la prosecuzione del Viaggio dell'Eroe, fornendo ogni tipo di pretesto per rimettere in discussione l'importanza dell'obiettivo.
7 - Il Baro.
Noto anche come il Clown o il Giullare, il Baro è simile al Muta-forma, poiché il suo scopo è quello di distogliere l'Eroe dal suo intento. Il Baro rappresenta la tentazione al rilassamento. Qualcuno o qualcosa che tenta di distrarre piacevolmente l'Eroe, inducendolo ad abbandonare il Viaggio.
8 - L'Ombra.
Nella concezione di Campbell l'Ombra è l'antagonista dell'Eroe. A seconda della relazione che avete instaurato con un'altra persona, potreste scoprire di essere i suoi antagonisti. Esattamente come qualcun altro potrebbe scoprire di essere il vostro antagonista. La funzione dell'Ombra è quella di fomentare l'Eroe a battersi per raggiungere l'obiettivo. Spesso il principale antagonista risiede proprio in noi stessi; in tal senso Carl Jung identificava l'Ombra con i detriti del subconscio non ancora emerso, dunque impossibile da affrontare consapevolmente. Come asserì, l'Ombra è il lato oscuro, ignoto della nostra personalità. E' oscura perché tende ad essere formata prevalentemente dalle nostre emozioni primitive, negative, ammortizzate attraverso l'educazione sociale e religiosa; perversioni, aspirazioni di potere, egoismo, avidità, invidia, rabbia; la natura non illuminata, bestiale, opposta alla Coscienza. Ma è proprio quando l'Ombra emerge e diventa visibile che l'Eroe può finalmente affrontarla e sconfiggerla.
"Qualunque cosa consideriamo negativa, insulsa o inaccettabile entra a far parte dell'Ombra, cioè il contrappunto a ciò che Jung definisce 'persona' o 'ego cosciente.' Secondo l'analista junghiana Aniela Jaffe, l'Ombra è la 'somma di tutti gli elementi psichici personali e collettivi la cui espressione viene negata a causa della loro incompatibilità con l'atteggiamento scelto consapevolmente.' '' [Fonte]9 - L'Eroe.
L'Eroe [o Eroina] è l'archetipo principale, il protagonista indiscusso. Senza l'Eroe la storia sarebbe piatta, così come lo sarebbe la nostra esperienza di vita. L'Eroe è ovunque. Appare in ogni mito, folklore, cultura antica e storia epica. Gautama Buddha è un eroe esattamente come lo è il Superman dei fumetti. L'Eroe nasce spesso in circostanze insolite, sia in condizioni insolitamente precarie che in un contesto di regalità. Una volta che riceve il 'richiamo all'avventura' abbandona la propria casa per intraprendere il Viaggio. E' chiamato ad affrontare molte prove per affrancarsi dall'archetipo paterno, sconfiggere i Demoni, ed ottenere infine la Saggezza. L'Eroe rappresenta il simbolo della persona elevata, la quale può affrontare prove e tribolazioni insostenibili per una persona comune.
"In sintesi, gli eroi contribuiscono alla necessaria attività di riproduzione di una società e dei suoi valori. Nella nostra Storia è stata la religione a sobbarcarsi il compito di riprodurre i tratti dominanti della società attraverso figure mitiche capaci di incarnarne i tratti morali e culturali." [Fonte]Conclusione.
Campbell ha scritto L'Eroe dai Mille Volti proprio perché il codice della vita ripropone costantemente una lunga serie di modelli archetipici. I suoi studi sugli archetipi sono stati così profondi da essere utilizzati nei più disparati ambiti, tra cui il cinema.
I ruoli sono innumerevoli, ma l'obiettivo è sempre lo stesso: superare le prove, sfuggire al ventre della bestia, vivere una grande avventura ed infine fare ritorno accresciuti da una nuova consapevolezza, e con un bagaglio di saggezza da condividere e tramandare. Noto anche come Partenza, Iniziazione e Ciclo di Ritorno, si tratta di un grande viaggio al quale tutti noi stiamo partecipando. Qual è il vostro archetipo?
Tratto da due articoli in lingua inglese:
Link diretti:
http://www.wakingtimes.com/2015/12/09/7-primal-archetypes-or-the-awakening/
http://fractalenlightenment.com/34087/spirituality/the-seven-archetypes-of-human-consciousness
Traduzione e sintesi a cura di Anticorpi.info http://www.anticorpi.info/2016/02/il-viaggio-delleroe-ed-i-suoi-archetipi.html
mercoledì 10 maggio 2017
Il concetto di Archetipo
La parola archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di immagine: arché ("originale"), típos ("modello", "marchio", "esemplare"); è utilizzata per la prima volta da Filone di Alessandria e, successivamente, da Dionigi di Alicarnasso e Luciano di Samosata. È anche plausibile che derivi da άρχή ("arché"), col significato di "principio", "inizio".
Il termine viene usato, attualmente, per indicare, in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero (ad esempio l'idea platonica); in psicologia analitica da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell'inconscio umano; per derivazione in mitologia, le forme primitive alla base delle espressioni mitico-religiose dell'uomo e, in narratologia, i metaconcetti di un'opera letteraria espressi nei suoi personaggi e nella struttura della narrazione; in linguistica da Jacques Derrida per il concetto di «archiscrittura»: la forma ideale della scrittura preesistente nell'uomo prima della creazione del linguaggio e da cui si origina quest'ultimo. L'archetipo è inoltre utilizzato in filologia per indicare la copia non conservata di un manoscritto (l'originale) alla quale risale tutta la tradizione (le copie del manoscritto originale).
In psicologia analitica
In psicologia analitica potrebbe essere definito come una forma universale del pensiero dotato di un certo contenuto affettivo per il soggetto, dunque un simbolo, e che potrebbe a sua volta autodefinirsi come una sorta di valore etico-sociale cui il soggetto crede, si appoggia o è condizionato, consciamente o inconsciamente, nell'arco della sua esistenza o parte di essa, nella realizzazione dei suoi progetti di vita o semplicemente nel suo modo di essere o comportarsi.
Carl Gustav Jung
Carl Gustav Jung teorizza che l'inconscio alla nascita contenga delle impostazioni psichiche innate, quasi sicuramente dovute al tipo di sistema nervoso caratteristico del genere umano, trasmesse in modo ereditario. Tali impostazioni e immagini mentali sono quindi collettive, cioè appartenenti a tutti; Jung chiama questo sistema psichico inconscio collettivo, distinguendolo dall'inconscio personale che deriva direttamente dall'esperienza personale dell'individuo. La formulazione dell'archetipo è più volte ridefinita, precisata, approfondita da Jung.
L'inconscio collettivo, per Jung, è costituito sostanzialmente da schemi di base universali, impersonali, innati, ereditari che lui chiama archetipi. Di questi i più importanti sono: il «Sé» (il risultato del processo di formazione dell'individuo), l'«ombra» (la parte istintiva e irrazionale contenente anche i pensieri repressi dalla coscienza), l'«anima» (la personalità femminile così come l'uomo se la rappresenta nel suo inconscio) e l'«animus» (la controparte maschile dell'anima nella donna). Particolarmente rilevante è l'archetipo femminile che chiama anima o animus (nella sua controparte maschile). In sostanza Jung sposta sul piano inconscio alcuni condizionamenti culturali (religiosi e artistici) e ambientali, comuni a tutti gli individui di un certo gruppo, che Freud riteneva presenti invece nel Super-io della psiche umana.
Da un punto di vista psicodinamico Jung postula, poi, quattro funzioni fondamentali: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione. Ciascuna di queste funzioni è variamente dominante in ogni individuo[1] e ogni individuo si rapporta con l'archetipo femminile (o maschile, Animus, per la donna) che risiede nel suo inconscio. Questa relazione ha, per Jung, un ruolo nell'equilibrio delle funzioni psicodinamiche. Le funzioni meno dominanti in un individuo vengono sommerse nell'attività dell'inconscio e assumono la forma di funzioni psicodinamiche della sua anima come se questa fosse in qualche misura separata e in grado di intrattenere una certa forma di dialogo interiore.
L'archetipo, conseguentemente, viene a essere un sorta di prototipo universale per le idee attraverso il quale l'individuo interpreta ciò che osserva ed esperimenta. È, per Jung, l'immagine primordiale (urtümliches Bild) dell'inconscio collettivo.
Gli archetipi integrandosi con la coscienza, vengono rielaborati continuamente dalle società umane, si manifestano «contemporaneamente anche in veste di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche»[2], si rafforzano, si indeboliscono e possono anche morire. L'indebolirsi degli archetipi nell'epoca moderna ha reso, per Jung, possibile e utile la psicologia[3]. La sopravvivenza degli archetipi, in epoca moderna, è legata anche agli esiti della comunicazione di massa. Un film di successo, un libro, una trasmissione televisiva molto seguita possono giocare un ruolo nel ravvivarli o indebolirli.
Di archetipi in psicologia si sono occupati, oltre a Jung, anche Jacques Lacan e James Hillman.
L'archetipo può anche semplicemente essere un'interazione con sé stessi, poiché decodificando la nostra interiorità teorizza l'essere (o il super io come lo definiva Freud).
Archetipo e multiculturalità
Gli esponenti dell'Umanesimo Normativo in sociologia attinsero al lavoro di Jung l'idea che gli archetipi mitici possano essere rintracciabili al di là dei confini tra le culture, facendo leva sull'aspetto universale inteso come umano del concetto.
Erich Fromm utilizzò questo strumento per dimostrare l'esistenza di bisogni umani fondamentali che è possibile definire positivamente e che tramite gli archetipi dimostrano di travalicare ogni differenza culturale.
In mitologia
Lo stesso argomento in dettaglio: mitopsicologia. |
Gli archetipi formulati da Jung sono stati comparati da diversi autori, in particolare Joseph Campbell, con le strutture dei miti e delle religioni umane, della cultura orale e delle fiabe popolari, riscontrando una certa convergenza di significato fra le espressioni mitiche-religiose delle varie società umane verso alcuni motivi fondamentali che sono, a loro volta, considerabili come degli archetipi. «I principali motivi mitologici d'ogni tempo e d'ogni razza sono probabilmente di questo tipo», afferma Jung in Psychologische Typen[4] del 1921.
A questo approccio prevalentemente psicologico nello studio della mitologia tramite gli archetipi si affianca un approccio prevalentemente etnologico risalente a Alfred Radcliffe-Brown in cui, invece, «il clima, la geografia, le strutture sociali come forze modellatrici delle idee, degli ideali delle fantasie e delle emozioni [sono considerati] più importanti delle strutture innate e delle capacità della psiche»[5]
In letteratura
Il concetto di archetipo si può incontrare frequentemente in letteratura, nell'ambito della narratologia. Per esempio l'archetipo dell'eroe è considerato generalmente un concetto chiave nella redazione di una sceneggiatura cinematografica.
L'espressione archetipo viene usata da Filone di Alessandria riferendosi all'immagine di Dio nell'uomo. (De opificio mundi, 6) nonché Ireneo (Adversus haereses, II). Nel Corpus hermeticum Dio è chiamato la luce archetipica.[6]. Dionigi l'Aeropagita usa l'espressione nel De coelesti hierarchia, II, 4 ma anche nel De divinis nominibus, II, 6. Una corrente critica sviluppata a partire dagli studi di Northrop Frye è appunto la critica archetipica, in cui il concetto è utilizzato in senso prevalentemente letterario come struttura ricorrente e universale, ma senza una relazione esplicita con l'inconscio collettivo nel senso della psicologia del profondo. Un approccio più interessato alla dimensione storica e antropologica degli archetipi letterari, intesi piuttosto nel senso di archetipi degli intrecci, è quello del critico russo E. M. Meletinskij.
In linguistica
Il fenomeno per cui gli archetipi vengono iscritti nell'inconscio fu tra gli argomenti usati da Derrida in uno dei saggi fondamentali del Decostruzionismo La scrittura e la differenza (qualcuno potrebbe pensare di tradurre differenza rifacendosi alle sue parole) per concludere che la scrittura (in un senso un po' più ampio dell'accezione comune) preesiste alla parola. L'archetipo sarebbe un esempio di qualcosa che si scrive (nel nostro inconscio) prima che venga detto con le caratteristiche di permanenza e differimento temporale della codifica/decodifica che ha la scrittura nel linguaggio comune.
In filologia
Lo stesso argomento in dettaglio: Archetipo (filologia). |
Il termine "archetipo" ha un'accezione tecnica nel campo del metodo di Lachmann (1850) in critica testuale: è infatti il più antico esemplare da cui discendono tutti i testimoni posseduti di un testo, distinto dall'originale. Nello stemma codicum si indica con x oppure ω.
Note
- ^ concetti questi poi sviluppati e resi popolari dal test della personalità creato da Isabel Briggs Myers assieme alla madre.
- ^ L'uomo e i suoi simboli, cit., p. 52.
- ^ Gli archetipi dell'inconscio collettivo, opera citata - pp. 28 e seguenti.
- ^ Tipi psicologici, cit., p. 598
- ^ Mitologia primitiva, cit., p. 49
- ^ Jung, Gli archetipi e l'inconscio collettivo. Boringheri 1980 pag. 4
Bibliografia
- Joseph Campbell, Mitologia Creativa. Le maschere di Dio.,Mondadori, Milano, 1992.
- Joseph Campbell, Mitologia Primitiva,Mondadori, Milano, 1995.
- Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti,Guanda, 2008.
- Archive for Research in Archetypal Symbols, The book of symbols: reflections on archetypal images,Taschen, 2010.
- Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino 1982
- Carl Gustav Jung, L'uomo e i suoi simboli, Longanesi, Milano 1980
- Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Torino 1969
- Jolande Jacobi, Complesso, archetipo, simbolo nella psicologia di Carl Gustav Jung,Bollati Boringhieri,2004.
- Marie-Louise von Franz, I miti di creazione,Bollati Boringhieri,1989.
- E. M. Meletinskij, Poetika mifa, Moskva, Nauka, 1976, trad. it. di A. Ferrari, Il mito. Poetica folclore ripresa novecentesca, Roma, Editori Riuniti, 1993.
- E. M. Meletinskij, Archetipi letterari, ed. ital. a cura di M. Bonafin, Macerata, EUM, 2016.
Voci correlate
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