lunedì 8 maggio 2017

Trasformazioni e simboli della Libido, di C.G.jung

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Nel 1912 Jung pubblicò il suo testo fondamentale Trasformazioni e simboli della libido, dove erano presenti i primi disaccordi teorici con Freud assieme al primo abbozzo di una concezione finalistica della psiche. I disaccordi continuarono nelle conferenze sulla psicoanalisi (Fordham lectures) tenute da Jung lo stesso anno a New York. L'aspetto centrale delle differenze teoriche risiedeva in un diverso modo di concepire la libido: mentre per Freud il "motore primo" dello psichismo risiedeva nella pulsionalità sessuale, Jung proponeva di riarticolare ed estendere il costrutto teorico di libido, rendendolo così comprensivo anche di altri aspetti pulsionali costitutivi "dell'energia psichica".
La "sessualità" da costrutto unico e centrale (metapsicologia freudiana) passa a essere costrutto importante ma non esclusivo della vita psichica (punto di vista junghiano). La libido è energia psichica in generale, motore di ogni manifestazione umana, sessualità ma non solo. Essa va al di là di una semplice matrice istintuale proprio perché non è interpretabile solo in termini causali. Le sue "trasformazioni", necessarie a spiegare l'infinita varietà di modi in cui si dà l'uomo, sono dovute alla presenza di un particolare apparato di conversione dell'energia, la funzione simbolica.

Foto di gruppo alla Clark University (1909).
Da sinistra in basso: Sigmund FreudStanley HallCarl Gustav Jung.
Fila in alto da sinistra: Abraham BrillErnest JonesSandor Ferenczi
Il termine "simbolo" è inteso secondo una concezione diversa da quella di Freud, che aveva assimilato il concetto di simbolo a quello di segno, sulla base dell'elemento comune del rinvio. Ma mentre il segno compone in modo convenzionale qualcosa con qualcos'altro (aliquid stat pro aliquo), il simbolo è un caso particolare del segno in cui, pur rimanendo l'elemento genericamente semiotico del rinvio, questo non è diretto a una realtà determinata da una convenzione, ma alla ricomposizione di un intero, come vuole l'etimologia della parola. Un'altra differenza: se Freud interpretava le fantasie inconsce alla stregua di meri segni di pulsioni, inaccettabili per la coscienza, per Jung esse sono, se interpretate adeguatamente dall'Io, simboli di nuove realizzazioni psichiche. Solo così si rende conto del carattere costitutivamente aperto al nuovo della psiche, non più ancorata al passato in un'inarrestabile coazione a ripetere. La funzione trascendente è capace di superare le opposizioni di cui la psiche è costituita proprio mediante la produzione di simboli. Essa opera affinché vi sia 'individuazione', processo sintetico che coinvolge gli opposti che costituiscono l'uomo, nel quale egli si riconosce nella sua autonomia dagli stereotipi culturali. L'adattamento trova la sua prosecuzione in questo processo, diviso in una fase di distinzione degli opposti, da cui si fa un "passo indietro", e in una di integrazione.
Il conflitto tra Freud e Jung crebbe al quarto congresso dell'Associazione Psicoanalitica, svoltosi a Monaco nell'agosto del 1913 contro le posizioni psicoanalitiche espresse da Janet durante la sessione dedicata alla psicoanalisi. Nell'ottobre successivo si ebbe la rottura ufficiale, e Jung si dimise dalla carica di direttore dello "Jahrbuch". Ad aprile 1914 si dimise da presidente dell'Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico.
La psicoanalisi, creatura i cui meriti di gestazione erano ascritti al solo Freud, per la cui nascita aveva pagato con l'isolamento e l'ostracismo da parte del mondo accademico, nuova via della conoscenza, per Jung era divenuta più importante dello stesso padre che l'aveva generata. Era nata dal lavoro di Freud e adesso si trattava di farla crescere.
L'aspetto che più li differenziava era la concezione dell'inconscio. Per Freud l'inconscio alla nascita era vuoto e durante la vita si riempiva di quanto per la coscienza era "inutile" o dannoso per l'Io:(rimozione). Invece per Jung la coscienza nasceva dall'inconscio, che aveva quindi già una sua autonomia. Inoltre, per Jung, la psicoanalisi di Freud teneva poco conto della persona nel suo contesto vitale. Invece Jung, che dava importanza alla persona e al suo contesto, fondò la "psicologia analitica", che voleva essere uno strumento per guarire da patologie psichiche e una concezione del mondo, o meglio, uno strumento per adattare la propria anima alla vita e coglierne le potenzialità di espressione e specificità individuale. Chiamò questo percorso "individuazione".
Al concetto di individuazione si lega la nozione di archetipo. Jung ipotizza che alla trasformazione della libido e ai suoi simboli sia sottesa una pluralità di "immagini primordiali", collettiva e immutabile, intese come una sorta di kantiane "forme a priori" che concorrono, come serbatoio originario dell'immaginazione, alla formazione dei simboli. La funzione trascendente proietta l'individuo fuori di sé, sul piano d'un pensiero inconscio collettivo. Se la coscienza riesce a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dei simboli, prodotti di questa facoltà, l'individuo può liberarsi del disagio riaffrontandolo da un punto di vista diverso, "trascendentale". Inoltre egli, nel differenziarsi da queste matrici collettive di senso e dagli istinti primordiali, può integrare i valori universali custoditi dalla cultura, trovando una modalità personale di attuarli.

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domenica 7 maggio 2017

Lo Gnosticismo Junghiano

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Fonte: https://aispes.net/biblioteca/il-giardino-dei-magi/carl-gustav-jung-lombra-e-la-gnosi/

Dopo la traumatica rottura con Sigmund Freud nel 1912, Carl Gustav Jung venne emarginato e aspramente criticato dall’ambiente psicanalitico: era solo un mistico; termine che, secondo il riduzionismo positivistico tipico del freudismo, valeva come sinonimo di ciarlatano.

Il senso di isolamento e di abbandono – così ci racconta egli stesso nella sua autobiografia Ricordi, sogni, riflessioni – provocò nello psichiatra svizzero un lungo periodo di incertezza interiore e di disorientamento, stato assai favorevole all’emersione di frammenti e figure dell’inconscio e alla loro numinosa manifestazione diretta.

Si scatenò un flusso incessante di fantasie, e feci del mio meglio per non perdere la testa … Ero inerme di fronte a un mondo estraneo dove tutto appariva difficile e incomprensibile … Le tempeste si susseguivano, e che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta. Per altri hanno rappresentato la rovina: così per Nietzsche, Hoelderlin, e molti altri … Nel reggere a questi assalti dell’inconscio ero sostenuto dal saldo convincimento di obbedire a una volontà superiore…[1].

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, confermò al fondatore della Psicologia Analitica l’intuizione che le proprie inquietanti derive psichiche non erano casuali ed isolate ma rispecchiavano l’angoscia collettiva di un mondo che stava sprofondando nell’abisso.

In quel momento di estrema crisi l’immaginario gnostico, nato e sviluppatosi in un altro momento di drastici sconvolgimenti annuncianti il crollo del Mondo Antico nei primi secoli dopo Cristo, riaffiorava in tutta la sua lussureggiante ricchezza sommergendo lo psichiatra e segnandolo indelebilmente per il resto della sua vita e della sua attività creativa.

La figura di Abraxas, il Dio/diavolo degli gnostici, venne evocata con sorprendente frequenza non solo nei sogni e nelle pagine di Jung, ma in quelle, di poco posteriori, del quasi conterraneo Hermann Hesse nel romanzo Demian (scritto nel 1917 e pubblicato nel 1919):

Demian aveva detto allora che possediamo bensì un Dio da noi venerato, ma egli rappresenta soltanto una metà del mondo arbitrariamente staccata (il mondo “chiaro”, ufficiale, lecito). Si deve però poter venerare il mondo intero e perciò o si deve avere un Dio che è anche diavolo o bisogna introdurre accanto al servizio divino anche un servizio diabolico. Ed ecco ora Abraxas, il Dio che era Dio e diavolo insieme[2].

Questo concetti, espressi dall’autore de Il Lupo della steppa, sono molto vicini a quelli che Jung andrà elaborando negli anni seguenti, con il procedere parallelo dei suoi studi sullo gnosticismo e sull’alchimia, tanto vicini da farci sospettare che il Demian del romanzo non fosse per Hesse altri che un alter-ego letterario di Jung stesso: si ricordi che lo psichiatra portò fino alla morte un anello con un castone alessandrino raffigurante Abraxas e che lo scrittore venne per qualche anno in analisi da lui “ma non riuscì ad andare in fondo”[3].

Quel flusso di immagini e fantasie così significative fu scrupolosamente registrato da Jung in un “Libro rosso”, scritto a mano a caratteri gotici e finemente illustrato dall’autore stesso. In questi sogni ad occhi aperti, vere e proprie allucinazioni o esperienze medianiche, apparivano con ricorrente frequenza varie figure dalla personalità autonoma[4] (uno spiritista non esiterebbe a definirli “spiriti guida” o “angeli custodi”): una curiosa triade composta da un vecchio, Elia, una fanciulla cieca, Salomè, ed un serpente; e, successivo sviluppo di Elia, un altro vecchio alato e cornuto, Filemone. Della triade Jung scrisse:

In queste peregrinazioni oniriche spesso ci si imbatte in un vecchio accompagnato da una giovinetta, ed esempi di coppie simili si trovano anche in molti racconti mitici. Così, secondo la tradizione gnostica, Simon Mago andava in giro con una fanciulla, che egli aveva preso in un bordello, di nome Elena, e che era considerata come la reincarnazione di Elena di Troia. Klingsor e Kundry, Lao-Tse e la giovane danzatrice, sono altri esempi del genere … Nei miti il serpente è spesso la controfigura dell’eroe … Nella mia fantasia, perciò, la presenza del serpente era una chiara allusione al mito dell’eroe. Salomè è una rappresentazione dell'”anima”. È cieca perché non vede il significato delle cose. Elia è personificazione del vecchio saggio profeta e rappresenta l’elemento conoscitivo, Salomè quello erotico. Si potrebbe dire che i due personaggi siano personificazione del Logos e dell’Eros, ma una tale definizione sarebbe troppo intellettualistica[5].

È però Filemone la figura di maggior rilevanza: è un pagano, uno gnostico egizio-ellenistico, ha corna taurine, porta un mazzo con quattro chiavi, ha le ali di un martin pescatore (Jung trovò un martin pescatore morto nel suo giardino, proprio nei giorni seguenti all’apparizione di Filemone, uccello questo – precisa l’analista – piuttosto raro nei dintorni di Zurigo) e manifesta una vita indiscutibilmente propria:

Filemone rappresentava una forza che non ero io. Nelle mie fantasie conversavo con lui e mi diceva cose che io coscientemente non avevo pensato, e osservai chiaramente che era lui a parlare, non io … Da un punto di vista psicologico Filemone rappresentava un’intelligenza superiore … A volte mi sembrava reale proprio come se fosse una persona viva…era per me ciò che gli indiani chiamano un “guru”[6].

In seguito, allo spirito alato Filemone si affiancherà il demone terrestre e metallico che Jung chiamerà Ka, riprendendo il termine con cui gli antichi egizi definivano il “doppio”, una delle parti non mortali dell’anima umana:

Con il tempo riuscii ad integrare le due figure, e a tal fine mi fu di aiuto lo studio dell’alchimia[7].

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Nel 1916, finalmente, questa magmatica atmosfera psichica giunge al culmine: dando quasi voce diretta ad Abraxas, Jung identificandosi in Basilide – uno gnostico alessandrino dell’inizio del II sec. d.C. – produce, praticamente in stato di trance, un testo di scrittura automatica, i Septem Sermones ad Mortuos. La stesura del libretto è anticipata da una fenomenologia che potremmo tranquillamente definire “paranormale”: i cinque figli dell’analista ancora piccoli, vedono figure fantomatiche aggirarsi per le stanze e disturbare i loro sonni, il campanello di casa suona più volte senza che ci sia nessuno alla porta.

Tutta la casa era come abitata da una folla di gente, come se fosse stipata di spiriti. Si affollavano fin sotto la porta e si aveva la sensazione di poter respirare a fatica.[8]

Anche Jung comincia a spaventarsi ed ode i morti gridare in coro:

Ritorniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato quel che cercavamo.

Con questa frase inizia il testo che lo psichiatra, scrivendo febbrilmente, termina in tre sole sere: appena presa in mano la penna la folla è sparita, l’invasione è cessata. Jung riconosce immediatamente il numen di un archetipo, una costellazione inconscia che si manifesta in visione: come terra dei morti, terra degli antenati, voce “dell’Inesplicabile, dell’Irrisolto, dell’Irredento”. In chiusura all’enigmatico documento l’analista aggiunse un incomprensibile anagramma di cui non volle mai svelare la chiave:

NAHTRIHECCUNDE GAHINNEVERAHTUNIN ZEHGESSURKLACH ZUNNUS[9].

I Sermoni sono la prima manifestazione di quella complessa concezione junghiana, non tanto psicologica quanto teologica, che volge al riconoscimento, all’integrazione e al bilanciamento fra il polo positivo e quello negativo. In chiave gnostica è il disvelamento di Abraxas; in chiave analitica è la presa di coscienza dell’Ombra, il “lato oscuro” della nostra totalità psichica; più tardi, in chiave cristiana, sarà l’accoglimento di Lucifero come quarta figura della Trinità.

Abraxas è il Dio duro a conoscere. Il suo potere è il più grande perché l’uomo non lo vede. Del sole egli vede il summum bonum, del demonio l’infimum malum; ma di Abraxas la VITA, indefinita sotto tutti gli aspetti, che è la madre del bene e del male … Duplice è il potere di Abraxas. Ma voi non lo vedete, perché ai vostri occhi gli opposti in conflitto di questo potere si annullano … Ogni cosa che chiedete supplicando al Dio sole genera un atto del demonio. Ogni cosa che create col Dio sole dà al demonio il potere di agire. Questo è il terribile Abraxas (dal Sermone III)[10].

catalano_jung_03Queste prime profonde intuizioni o, perché no, rivelazioni, derivate dalla tradizione dello gnosticismo ellenistico, condussero in seguito Jung all’approfondimento della letteratura ermetica ed alchemica e, attraverso questa, alla rischiosa interpretazione, che scatenò polemiche senza fine, del principale dogma cristiano. Il sottofondo intellettuale di queste tesi provocatorie resta strettamente legato alla sensibilità tipica dello gnosticismo, sensibilità ben messa in evidenza in questo passo di Hans Jonas:

Invece di adottare il sistema di valori del mito tradizionale, cerca di sperimentare una “conoscenza” più profonda rovesciando le parti trovate nell’originale di buono e cattivo, sublime e vile, benedetto e maledetto. Non tenta di dimostrare consenso, ma, sovvertendo in modo clamoroso, tenta di scuotere il significato degli elementi della tradizione più saldamente stabiliti e di preferenza maggiormente venerati. Non può passare inosservato il tono ribelle di questo tipo di allegoria, ed essa perciò esprime la posizione rivoluzionaria che lo gnosticismo occupa nella tarda cultura classica)[11].

È soprattutto nel Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità (1942/1948) e in Risposta a Giobbe (1952) che Jung affronta in termini cristiani il problema del rapporto fra polo positivo e negativo, ombra e luce, bene e male: il dualismo ed il superamento del dualismo. Dice in sostanza Jung: la premessa logica per ogni giudizio di totalità è il quaternario; perché un tale giudizio sia pronunciabile, esso deve avere un quadruplice aspetto. Per designare l’orizzonte, quattro punti cardinali; in natura, quattro elementi; quattro colori; quattro qualità primitive; quattro caste in India; quattro vie di sviluppo spirituale nel buddhismo; quattro aspetti significativi dell’orientamento psichico, ecc. La completezza è il cerchio, il mandala, e la sua minima divisione naturale è la quaternità.[12] Tale quaternità ha spesso una struttura 3+1, essendo uno dei termini in una posizione d’eccezione o di natura diversa dagli altri (ad esempio i quattro evangelisti sono rappresentati da tre animali e da un angelo). Quando il quarto termine si aggiunge agli altri tre, si genera l'”Uno”, la totalità. Nella psicologia analitica il “quarto” è la funzione rimossa, inconscia, l’Ombra, la cui integrazione alla coscienza è uno dei compiti del processo d’individuazione. Nella teologia cristiana, sostiene Jung,

la triade non è uno schema di ordinamento naturale, ma artificiale … sarebbe omesso un quarto necessario … Questo dov’è dunque rimasto? Alla domanda risponde la concezione cristiana che il male sia una privatio boni. Questa formula classica priva il male dell’esistenza assoluta e ne fa un’ombra, che ha soltanto un’esistenza relativa dipendente dalla luce. Invece il bene si attribuisce positività e sostanza[13].

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Non si può invece parlare di “bene” senza “male”, né di “chiaro” senza “scuro” o di “sopra” senza “sotto”: la sostanza dell’uno è la sostanza dell’altro come la negazione dell’uno è negazione dell’altro. Infatti un’altra affermazione cristiana attribuisce al male personalità e sostanza: è il diavolo o Lucifero, creato ma autonomo ed eterno.

Questa istanza influentissima resta indeterminata in rapporto alla Trinità: in quanto avversario di Cristo, però,

dovrebbe assumere una posizione antitetica equivalente ed essere parimenti un “figlio di Dio”. Ciò potrebbe condurre direttamente a certe vedute gnostiche, secondo le quali il diavolo come Satanael (il suffisso -el significa “Dio”, dunque “Satana-Dio”) era il primo figlio di Dio, Cristo il secondo. Un’altra conseguenza logica sarebbe l’abolizione della formula trinitaria e la sua sostituzione con una quaternità[14].

Anche il simbolo centrale cristiano, la croce, è inequivocabilmente una quaternità:

In un contrasto affettivo, cioè in un conflitto, tesi e antitesi non possono essere viste insieme … L’indicibile conflitto, posto dalla dualità, si risolve in un quarto principio, che ristabilisce l’unità del primo nel suo pieno svolgimento.

Cristo, secondo l’opinione gnostica, respingendo l’ombra del peccato originale non sarebbe commisto col tenebroso mondo umano legato alla natura e alla materia, causa della condizione ibrida dell’uomo, soggetto al “Signore di questo mondo”, e apparterrebbe alla sfera platonica dell’idea pura. L’uomo sarebbe il ponte teso sull’abisso fra “questo mondo”, regno dell’oscurità e il regno luminoso celeste. Dai neopitagorici al Faust di Goethe sempre qualcuno cercò il quarto perduto, avendo come scopo

la redenzione del serpens quadricornutus, dell’anima mundi irretita nella materia, del Lucifero caduto. Ciò che per essi giaceva nascosto nella materia era il lumen luminum, la sapientia Dei e la sua opera era un “dono dello Spirito Santo”. La nostra formula della quaternità dà ragione alla loro pretesa, poiché lo Spirito Santo, come sintesi di colui che fu originariamente Uno e poi scisso, fluisce da una sorgente luminosa e da una oscura. “Poiché all’accordo della sapienza partecipano le forze di destra e di sinistra” si dice negli Atti di San Giovanni[15].

Da Dio Padre, primus motor, non-riflesso secondo la sua natura totale, nasce il Figlio,

la primissima cosa che Cristo deve fare è separarsi dalla sua ombra e chiamarla “diavolo” (già gli gnostici di Ireneo lo sapevano!).[16].

Cristo dunque non è un simbolo completo. Cristo e Anticristo sono fratelli, entrambi “figli di Dio”, sintetizzati nel simbolo dei pesci, due pesci identici ma orientati in direzioni opposte, l’una verticale, l’altra orizzontale: la sintesi e l’integrazione degli opposti, la complexio oppositorum, è lo Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore, procedente dal Padre e dal Figlio – non soltanto inteso, secondo certe concezioni gnostiche, come controparte femminile del divino, Sophia-Shekhinà, ma soprattutto come riscatto della materia e dell’uomo deificati nello Spirito:

L’invio del Paraclito riveste anche un altro aspetto. Questo spirito della verità e della conoscenza è lo Spirito Santo da cui Cristo è stato generato. Esso è lo Spirito della procreazione fisica e spirituale che, da ora in avanti, dovrebbe stabilire la sua dimora nelle creature umane. Siccome egli rappresenta la terza persona della divinità, ciò equivale al fatto che Dio venga generato nell’uomo-creatura … questi si trova così innalzato, in un certo senso, allo stato di figlio di Dio e di Uomo-Dio[17].

Questo compimento segnerà il passaggio dall’eone cristiano a quello dello Spirito Santo secondo l’evangelum aeternum di Gioacchino Da Fiore.[18]

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Analoghe commistioni azzardate fra metafisica e psicologia in Jung sono state ferocemente attaccate non soltanto dagli psicologi e psicanalisti “laici” o “materialisti” come i freudiani, né dai membri delle Chiese protestanti o di quella cattolica che le giudicavano blasfeme, gnostiche o addirittura sataniche, ma anche dagli esoteristi e dai pensatori tradizionalisti come René Guénon o Julius Evola. Quest’ultimo, sotto lo pseudonimo di Ea, demolisce nel saggio L’esoterismo, l’inconscio, la psicanalisi,[19] tutta la costruzione analitica junghiana giudicandola addirittura inferiore alla psicanalisi di Freud che, almeno, confinata entro la sua sfera empirica, naturalistica e pansessualista, arrecherebbe meno danni:

A differenza di Freud, lo Jung miticizza, concepisce la libido anche come mana, come la forza fascinosa che secondo i selvaggi compenetra certi oggetti … pretende di dare in termini di vita e di vera coscienza dogmi, figure divine e simboli delle religioni … si improvvisa come una specie di esoterismo psicologistico (ci si perdoni l’espressione) perfino nei riguardi delle tradizioni iniziatiche nel suo mettere dovunque in luce “archetipi”, simboli e fasi del “processo di individuazione.

Per Evola, sostanzialmente, il processo analitico junghiano non porterebbe ad una integrazione o “individuazione”, ma ad una vera e propria regressione:

Lo scopo vero della via iniziatica è la realizzazione come supercoscienza di ciò che si è chiamata la subcoscienza cosmico-metafisica. Per venire a tanto…invece di aprirsi all’inconscio atavico-collettivo, bisogna sciogliersi da esso, neutralizzarlo, perché proprio esso è il “guardiano della soglia”, la forza che preclude la visione, ostacola il risveglio e la partecipazione a quel mondo superiore, cui va ricondotta la vera nozione di archetipo[20].

Molte delle obiezioni evoliane sono giuste e legittime, anche se resta il dubbio che, data l’oscurità di certi passi di Jung e la profonda differenza di approccio e di terminologia impiegata, possa trattarsi soprattutto di un fraintendimento. L’integrazione “gnostica” dell’inconscio non implica – ci pare – la soluzione della coscienza nell’indeterminato ma, al contrario, l’allargamento di questa e la determinazione in essa della sfera preclusa: obiettivo non dissimile da quello cercato dai saggi di ogni epoca, in un’ottica di superamento del dualismo metafisico che anche Evola sembra riproporre. Tale almeno è la lettura più obbiettiva e meno preconcetta che si può ricavare dallo studio dei testi junghiani e di quelli dei suoi commentatori più attenti. Ad esempio questo passo sembra testimoniarlo:

L’immagine archetipica che da questa contrapposizione, attraverso un comune punto di mezzo, porta ad un congiungimento dei due sistemi psichici parziali – la coscienza e l’inconscio – è il Sé. Questo termine indica l’ultima stazione sulla via dell’individuazione … trovato e integrato questo punto intermedio l’uomo può dirsi completo. Soltanto allora infatti egli ha risolto il problema del rapporto con queste due realtà che ci sono imposte, l’interiore e l’esteriore; compito straordinariamente difficile sia dal punto di vista etico che da quello conoscitivo, che pochi eletti e dotati riescono a risolvere”[21].

E forse proprio questo punto, intermedio e indefinibile, per gli eletti che lo raggiungono – gli pneumatici della gnosi – non è l’approdo finale, ma semplicemente l’inizio del viaggio.

Note

[1] Carl Gustav Jung , Ricordi, sogni, riflessioni, Milano, Rizzoli 1978, pag. 219.

[2] Hermann Hesse, Demian, Milano, Mondadori 1972, pag. 151.

[3] Carl Gustav Jung, Jung parla: Interviste e incontri, a cura di W. McGuire e R.F.C. Hull, Milano, Adelphi 1999, pag.498.

[4] Fenomeni del genere, tutt’altro che rari, vengono descritti, più spesso in età infantile o adolescenziale, anche al di fuori di qualunque casistica di tipo schizoide o “medianico”. Un interessante esempio è il resoconto autobiografico di un grande scrittore tedesco, Ernst Juenger, nel suo romanzo Ludi Africani, Milano, Sugar Editore 1970, pagg. 24-31. Jung aveva elaborato un metodo di introspezione che chiamava “immaginazione attiva”, consistente “nell’ossevazione del fluire delle immagini interiori: si concentra l’attenzione su … una immagine di sogno o su una impressione visiva spontanea e si osserva quali trasformazioni l’immagine subisce … In tali condizioni si producono serie lunghe e spesso drammatiche di fantasie, anche visioni, dialoghi interni, ecc.” (da Jung-Kerényi, Prolegomeni alla mitologia come scienza, Torino, Boringhieri, 1948, pag. 232-233). In caso di schizofrenie latenti – aggiunge Jung – il metodo può essere molto pericoloso. Il pensatore tradizionalista Julius Evola, citando un testo taoista, stigmatizza questo metodo come nefasto perché conduce verso “la regione dei demoni”. Cfr. Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io, vol. III, Genova, I Dioscuri 1987, pag. 427 nota.

[5] Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 224.

[6] Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 226.

[7] Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 228.

[8] Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 234.

[9] Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 463.

[10] Jung, Septem Sermones ad Mortuos, in Ricordi, sogni, riflessioni, cit., pag. 456-457.

[11] Hans Jonas, Lo gnosticismo, Torino, Società Editrice Internazionale 1991, pag. 107.

[12] Carl Gustav Jung, La simbolica dello spirito, Torino, Boringhieri 1959, pagg. 245 e seg.

[13] Carl Gustav Jung, Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, in Jung, Opere, Vol. 11, Psicologia e religione, Torino, Boringhieri 1979, pag. 165.

[14] Jung, cit., pag. 167.

[15] Jung, cit., pag. 174.

[16] Carl Gustav Jung, Sul problema del simbolo di Cristo, in Psicologia e religione, cit., pag. 483.

[17] Carl Gustav Jung, Risposta a Giobbe, in Psicologia e religione, cit., pag. 412.

[18] Fra le concezioni analoghe a quella junghiana possiamo ricordare per esempio il problematico passo di Léon Bloy in Dai giudei la salvezza, Milano, Edizioni Paoline 1962, pag. 131: “I cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è al dilà dell’odio. Egli è talmente il Nemico, è talmente l’identico a quel Lucifero che fu chiamato Principe delle tenebre che è quasi impossibile separarli … Chi può comprendere, comprenda”. Anche in anni recenti i riferimenti più o meno espliciti a Jung hanno prodotto frutti insoliti: il gruppo satanista The Process, attivo fra il 1965 e il 1975 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, aveva elaborato una complessa teologia basata su una quaternità composta da Geova, Lucifero, Cristo e Satana concepiti come rispettivi opposti e complementari. Cfr. William Sims Bainbridge, Setta satanica: un culto psicoterapeutico deviante, Milano, Sugarco 1992.

[19] In Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io, cit., pagg. 418 e seg.

[20] Gruppo di Ur, cit., pag. 435.

[21] Jolande Jacobi, La psicologia di C.G. Jung, Torino, Boringhieri 1971, pag. 158.

Airesis è un progetto ideato e fondato da Paolo Aldo Rossi, Ida Li Vigni e Massimo Marra

Quaternal Realms of Existence

The qabbalistic cross.:

La Gnosi esoterica contemporanea

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Il Sovrano Ordine Gnostico Martinista

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Il Martinismo è una Via Iniziatica il cui scopo è il "perfezionamento interiore dell'essere umano", attraverso la reintegrazione dell'uomo nell'uomo e dell'uomo nel divino. Malgrado molti indicano nel mistico francese Louis Claude de Saint-Martin, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo, il fondatore del martinismo, è bene ricordare che questi non ha mai creato nessun gruppo iniziato, ma anzi prese le distanze sia dalla massoneria, così come dagli Eletti Cohen. Come forma strutturata il martinismo trova la propria nascita nell'Opera del Papus, e successivamente ha raccolto indirizzi operativi, e strumenti di altri Maestri o gruppi che a vario titolo si riconoscevano nell'esoterismo cristiano: Martinès de Pasqually, maestro di Louis Claude de Saint-Martin, Robert Ambelain, Paul Sedir, Stanislas de Guaita, ecc..

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La nascita

Il martinismo nasce nel 1881, ad opera dell'esoterista francese Papus, al secolo Gérard Encausse, che fonda in Francia l'Ordine Martinista, dando vita, di fatto, al Martinismo moderno, diffuso in tutto il mondo e presente anche in Italia. L'Ordine, dunque, si rifà a Saint Martin, ma quest'ultimo non aveva strutturato il proprio gruppo di discepoli secondo una struttura iniziatica che assomigliasse ad un ordine, bensì semplicemente come un "gruppo di amici", con cui condividere la propria visione mistico-esoterica.

Il Martinismo nel mondo

Dopo il decesso di Louis-Claude de Saint-Martin, i Martinisti (così venivano chiamati i suoi discepoli), non furono molto attivi. Le cerimonie e gli insegnamenti tradizionali erano trasmessi solo in modo personale e privato. Dopo un lungo periodo di discrezione, nel 1888 fu dispiegato un grande sforzo per strutturare quello che, all'epoca, non poteva realmente essere chiamato Ordine iniziatico, e che si riduceva ad alcuni iniziati.
Grazie agli sforzi di Papus e di Augustin Chaboseau, quest'Ordine vide la luce e nel 1891 sfociò nella formazione del Consiglio Supremo dell'Ordine Martinista, che comprendeva ventun membri aventi autorità su tutte le Logge del mondo. Il celebre occultista francese Papus (Dr. Gérard Encausse), fu eletto primo Presidente del Consiglio Supremo. Sotto la sua direzione brillante ed infaticabile, l'Ordine crebbe rapidamente e, verso il 1900, contava centinaia di membri attivi nella maggior parte dei paesi del mondo. Papus divenne rapidamente un'autorità in materia di Martinismo, e le sue opere costituiscono una sorgente d'informazione preziosa per il Martinista e per tutti coloro che s'interessano alla Tradizione.
La guerra mondiale del 1914-1918 influì enormemente sulla crescita e le attività dell'Ordine. Il suo presidente scomparve eroicamente compiendo il suo dovere di medico, e numerosi dirigenti e membri dell'Ordine non sopravvissero alla tormenta. Infatti, dopo la guerra, l'Ordine Martinista in Europa era virtualmente in stato di sonno. Nel 1931 l'Ordine fu risvegliato grazie agli sforzi di Augustin Chaboseau, che era stato il cofondatore dell'Ordine con Papus. Egli riattivò l'Ordine con Victor-Emile Michelet e Lucien Chamuel, che, come lui, erano gli ultimi sopravvissuti del Consiglio Supremo del 1891. Con quest'atto, questi Martinisti rivendicavano «la perennità dell'Ordine fondato da Papus con loro». Altri Martinisti illustri come il Dr. Octave Béliard e Gustave-Louis Tautain si unirono a loro.
Per distinguere l'Ordine da alcuni movimenti che pretendevano abusivamente di essere i successori di Papus, i fondatori ne sottolinearono il carattere tradizionale, dandogli il nome di «Ordine Martinista Tradizionale» (O.M.T.). Augustin Chaboseau fu eletto Gran Maestro. Nel 1932 preferì lasciare questa funzione a Victor-Emile Michelet. Sotto la sua direzione, benché attivo, l'Ordine restò relativamente discreto. Alla morte di Michelet nel 1938, Augustin Chaboseau divenne di nuovo Gran Maestro. Quest'ultimo, discendente di una filiazione ininterrotta fin dai tempi di Louis-Claude de Saint-Martin, servì come Gran Maestro e Presidente del Consiglio Supremo fino al suo decesso, il 2 gennaio 1946.
Ralph Maxwell Lewis, Imperator dell'Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce, fu ricevuto nell'Ordine Martinista Tradizionale il 1º settembre 1939 da Georges Lagrèze, legato e rappresentante di Augustin Chaboseau. Di conseguenza, le carte, i manifesti e tutti gli altri documenti necessari all'avanzamento ed allo sviluppo del Martinismo in America, furono trasmessi a Ralph Maxwell Lewis, questo prima dell'oppressione che l'O.M.T. dovette subire in Europa nel corso della seconda guerra mondiale[1].
Essendosi appoggiato alla struttura ad estensione mondiale dell'AMORC, il Martinismo dell'O.M.T. è riuscito a diffondersi in tutto il mondo, preservando tutta la sua purezza originaria e contando migliaia di iniziati.

Il Martinismo in Italia

Risulta abbastanza complicato e difficile individuare esattamente quando e come si stabilì in Italia il primo gruppo Martinista. Da alcuni documenti francesi, abbiamo un riferimento riguardante il 1898, con la descrizione di almeno otto Logge in Italia. Nel 1911, lo stesso Papus affermava: “vi fu un considerevole sviluppo in Italia con l'ammissione dei Martinisti che possedevano il secondo grado dell'Ordine, in tutte le logge e le camere superiori del Grande Oriente d'Italia”. Dalle annate della rivista “Mysteria”, diretta da Papus (G.Encausse) (1912-1913) si apprende poi, che numerose nuove logge erano sorte nella nostra penisola. Queste notizie sono confermate da un documento sulla cui autenticità non possono esistere dubbi, cioè la Patente per la costituzione di una loggia Martinista, firmata da Papus e rilasciata nel 1910 a Dunstano Cancellieri, uno dei luminari della Massoneria italiana, allora 18° (Principe R+C) del Rito Scozzese Antico Accettato. In Italia oggi sono presento numerosi gruppi che in diverso modo si richiamano al martinismo. Alcuni di essi sono strutturati nella forma di ordine, altri come federazione di logge, ed altri ancora come logge indipendenti. Oltre alle differenze organizzative riscontriamo anche delle differenze per quanto concerne la strutturazione dei riti e dei lavori individuali, questi ultimi non sempre presente nelle varie strutture. Di seguito alcune organizzazioni: l'Ordine Martinista[2] (quello di riferimento principale con patente rilasciata da Papus a Cancellieri) si tratta quindi della linea: Papus, Cancellieri, Sachi, Allegri, Zasio, Bandarin, Ventura Caracciolo, Salvadeo, poi l'Ordine Martinista (di derivazione Ventura, Cannizzo), l'Ordine Esoterico Martinista, l'Ordine Martinista Interiore, l'Ordine Martinista Universale, l'Ordine Martinista Antico e Tradizionale, l'Ordine Martinista degli Eletti Cohen, l'Ordine Martinista Ermetico, l'Antico Ordine Martinista, l'Ordine Martinista Di Rito Napolitano (il "martinismo napolitano" non deriva da una delle diaspore dell'Ordine Martinista francese fondato da Papus, ma è una linea a se stante che nacque nel 1800 a partire da un nucleo di discepoli napoletani iniziati da Eliphas Levi), il Sovrano Ordine Gnostico Martinista, l'Ordine Martinista Tradizionale (patrocinato dall'AMORC ed erede di Papus tramite Cancellieri, primo Gran Maestro italiano dell'AMORC e dell'OMT) ecc. Negli anni, prima della “grande guerra” del 1914-18, risultano ricoprire il massimo grado Martinista, cioè Superiore Incognito libero iniziatore i fratelli Fulgenzio Bruni, Giovanni Saba, Angelino Corrias, Michele de Vincenzo Maciulli il quale ultimo fu anche membro del Supremo Consiglio di Parigi, assieme a Frosini che fu chiamato a tale carica nel 1912. Alla fine della guerra, con la ripresa delle attività iniziatiche rimaste paralizzate a causa del richiamo alle armi di quasi tutti coloro che si potevano qualificare “capi”, dopo un periodo di incertezza a causa della successione di Papus, passato all'Oriente Eterno nel 1916, nel Gran Magistero l'avvocato Alessandro Sacchi (Sinesio o Sinesius) assumeva la presidenza del Gran Consiglio Italico dell'Ordine Martinista (dalla Francia le notizie erano giunte quanto mai frammentarie: la nomina di Teder da parte di tre persone fra cui lui stesso e Blanchard che poi si era rimangiato il voto favorevole e che doveva fondare l'Ordine Martinista Sinarchico; c’era poi la successiva proclamazione di Bricaud che si diceva si fosse autonominato, dato che non esisteva alcun documento comprovante che Teder gli avesse dato la successione. Tutte cose che sembravano piuttosto dubbie).
Con Jean Bricaud si manifestò il grande problema derivato dalla sua pretesa che per esser ricevuto nell’Ordine Martinista fosse indispensabile esser di sesso maschile, di possedere il grado di Maestro massone, e di appartenere alla Chiesa Gnostica. Queste disposizioni provocarono notevoli perplessità circa la tradizionalità di questo nuovo Martinismo rafforzando le incertezze di cui si è scritto sopra. Un viaggio di Sacchi a Parigi ed uno di Bricaud in Italia non migliorarono le rispettive posizioni dei due Ordini. Bricaud confermò le sue disposizioni che avevano modificato costituzioni, dottrina e forma di iniziazione dell'Ordine. Sacchi confermò la decisione di non accettare le nuove linee e di far rispettare la tradizione papusiana. Si giunse così al 1923 e alla proclamazione del Supremo Consiglio dell'Ordine Martinista che, sulla rivista “O Thanatos”, organo ufficiale dell'Ordine, era stata preceduta ( Nr. 6, giugno 1923 ) dal seguente comunicato: “Il Governo dell'Ordine Martinista comunica ancora una volta, di non avere rapporto d'obbedienza, e finora nemmeno di alleanza col Gran Maestro Bricaud e, a scanso di equivoci presenti e futuri, dichiara di non aver mai aderito e di non poter aderire ad alcun trattato tra Martinismo e qualsivoglia Chiesa, la gnostica compresa”. − Già nel suo numero 2 del febbraio 1923, a pagina 42, la rivista, in un comunicato Martinista aveva scritto – a suo dire su incarico del Gran Maestro Sinesio – che i Martinisti italiani “pur dichiarandosi rispettosi e tolleranti di qualunque opinione religiosa, si erano distaccati dal Supremo Consiglio di Francia e dal suo Sovrano Patriarca e Gran Maestro, non volendo appartenere a nessuna chiesa, rispettandole tutte, e avevano costituito il Gran Consiglio Italico allo Zenith di Roma”. − Delle scissioni del Gran Consiglio italico fu data notizia sulla rivista dell'Ordine, notizia poi ripresa, a scopo polemico da Arturo Reghini, sulla rivista “Atanor” del gennaio 1924 e successivi numeri.
− È di questi tempi, esattamente dall'agosto 1922 l'incontro di Adolfo Banti, membro del Supremo Consiglio dei 33 di Palazzo Giustiniani, con Marco Egidio Allegri, componente del Gran Consiglio Martinista e suo Delegato generale per le Venezie ; e l'iniziazione del primo al Martinismo. L'Allegri che, nella storia del Martinismo italiano detiene una parte di primissimo piano, era stato iniziato nel 1918 dall'avvocato Sacchi quando già ricopriva un altissimo grado nel Rito scozzese. Dopo il suo rientro dall'impresa di Fiume, alla quale aveva partecipato assieme ad Ottavio Ulderico Zasio, allora sedicenne, che lo aveva seguito come suo “attendente”, era ritornato a Venezia, sua città natale, fondandovi i gruppi “Il Veneziano”, “Poseidonia”, “Saint-Martin” e, a Montagnana in provincia di Padova il “Hoané Wronscki”
− Risale al 1925, invece, la rottura fra Arturo Reghini e l'Ordine Martinista. Lo spirito polemico di questo Maestro ebbe ragione del suo animo di esoterista ed egli non risparmiò, prima su Atanòr e poi su Ignis (la rivista da lui diretta) gli errori di carattere organizzativo commessi allora, al vertice dell'Ordine, anche a causa della tendenza dell'avv. Sacchi e di altri, compreso il Banti, di considerare il Martinismo una specie di rito massonico sulla falsariga di quanto era stato emanato da Parigi dopo la morte di Papus. − Le cause che provocano l'uscita del Reghini dal Martinismo e la sua feroce polemica contro l'Ordine ed i suoi uomini, da Papus a Bricaud e da questi al Soro, dal Sacchi al Banti e al Minaci non sono note. È da ritenersi che ciò sia da attribuire ad un attrito tra lui e il Sacchi su questioni organizzative (e, forse anche per l'indirizzo cristiano del Martinismo papusiano che il Reghini avrebbe voluto fosse strettamente pitagorico e pagano) e col Banti in funzione della lotta sempre in atto fra Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù (le due principali organizzazioni massoniche italiane del tempo) alla quale ultima il Reghini apparteneva.
− L'Ordine continuò a lavorare apertamente fino al 1926 nonostante che, fin dalla metà del 1923 fossero state adottate misure di prudenza e la corrispondenza fra i gruppi e il centro fosse stata ridotta. Poi dovette lavorare clandestinamente avendo accolto, davanti al suo trilume, numerosi fratelli di altre associazioni iniziatiche (Ordine del Tempio e Rito di Memphis) e anche della Massoneria scozzese . Questa attività è stata riassunta da Artephius (Zasio) in un sintetico promemoria esistente, di suo pugno, nell'Archivio dell'Ordine.
− Convento di Ancona ed Eletti Cohen A conclusione di un intenso lavoro preparatorio svoltosi fra i garanti di amicizia dell'Ordine Martinista o degli Eletti Cohen e dell'Ordine Martinista degli Eletti Cohen rispettivamente Aldebaran S.I. e Nebo S.I. I. (Brunelli), si svolgeva sulla Collina di Ancona – nei giorni 9, 10, 11, 12 dicembre 1962 – un Convento Martinista italiano al quale partecipavano i delegati qualificati dei due Ordini, investiti dei poteri necessari, per addivenire all'unificazione del Martinismo italiano. Alla conclusione dei particolareggiati e approfonditi lavori svoltisi, il Convento, in perfetta intesa ed unità di spirito e di sentimenti, prendeva atto delle documentazioni presentate e ampiamente illustrate;decideva di realizzare l'auspicata unificazione del Martinismo italiano rifacendosi alle fonti tradizionali della linea di Papus trasmesse e mantenute in Italia senza interruzione attraverso Sinesius (Sacchi), Flamelicus (Allegri), Artephius (Zasio), secondo la dichiarazione di principio così enunciata: “L'Ordine Martinista ha per scopo il perfezionamento e l'elevazione spirituale, per mezzo dello studio, della conoscenza e della realizzazione della tradizione iniziatica; combatte con tutte le sue forze l'ateismo e il materialismo e, in collegamento con le altre fratellanze iniziatiche, combatte l'ignoranza e dà al simbolismo la grandissima importanza che gli compete in tutte le serie iniziazioni. Non si occupa di politica e tanto meno di questioni di ordine religioso. Si informa alla tolleranza sui metodi di studio". I Martinisti dell'Ordine Martinista degli Eletti Cohen, riconosciuto che in Italia l'unica e autentica filiazione Martinista è quella rappresentata dalla Grande Montagna sedente allo Zenith di Venezia decidono di reinserirsi nella catena tradizionale del Martinismo italiano che assume il titolo di Ordine Martinista. Firmavano: Oltre a Zasio, gli stessi Ventura e Brunelli, unitamente ad altri 11 rappresentanti di entrambe le strutture. Purtroppo nove anni più tardi, nel 1971 tale riunificazione, sulla scia di quella francese, ebbe termine. Brunelli si separò da Ventura dando vita ad una struttura iniziatica fortemente orientata alla teurgia. A seguito poi della scomparsa di queste due figure apicali il martinismo italico si frammentò ulteriormente, dando vita ad un numero imprecisato di strutture.

Libri in italiano sul Martinismo

  • Francesco Brunelli Il martinismo e l'ordine martinista (Editrice Volumnia)
  • Gastone Ventura, Tutti gli uomini del Martinismo (Atanòr, 1978)
  • Ovidio La Pera, L'operatività del Martinista (Firenzelibri, 2006)
  • Pietro TurchettiIl Filosofo Incognito. Storia del Martinismo e degli ordini martinisti (Arktos, 1995)
  • Filippo Goti, "Martinismo e via Martinista"
(Edizioni Fuocosacro,2015)

Note

  1. ^ Ordine Martinista Tradizionale (AMORC)amorc.it.
  2. ^ Home | Ordine Martinista, su www.ordinemartinista.orgURL consultato il 05 aprile 2017.

Voci correlate

Ordo Templi Orientis e Chiesa Gnostica

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L’O.T.O. comprende l’Ecclesia Gnostica Catholica (E.G.C.), o Chiesa Gnostica Cattolica. L’E.G.C. promuove l’avanzamento della Luce, della Vita, dell’Amore e della Libertà, basandosi sui principi dei Libri Santi di Thelema, in particolare de Il Libro della Legge (o Liber AL vel Legis sub figura CCXX).

L’attività centrale dell’E.G.C. è la celebrazione della Messa Gnostica, come esposta nel Canone del Liber XV. Essa venne scritta da Aleister Crowley nel 1913 e.v. come rituale centrale, pubblico e privato, dell'O.T.O. Questa cerimonia esprime, per mezzo dei suoi sacramenti e delle dottrine mistiche della Comunione dei Santi e del Patto di Resurrezione, gli elementi più puri della filosofia di Thelema e fornisce un’opportunità collettiva di partecipazione diretta delle formule del Nuovo Eone.

“Il mondo è entrato (marzo, 1904) nel Nuovo Eone, l’Era del Bambino Coronato e Conquistatore. La preponderanza della Madre (Eone di Isis) e del Padre (Eone di Osiris) è passata. Molte persone non hanno completamente realizzato quelle formule, ed esse sono ancora valide nel ristretto delle loro sfere; ma i Maestri hanno deciso che il tempo è giunto per l’amministrazione dei Sacramenti dell’Eone di Horus a quelli capaci di comprensione. I sessi sono eguali e complementari. "Ogni uomo ed ogni donna è una stella" (AL Cap. I, v.3). "La sacerdotessa deve adesso operare tanto quanto il sacerdote.” Manifesto dell’Ecclesia Gnostica Catholica, 1944.

La Chiesa osserva il calendario religioso estratto da Il Libro della Legge (Cap. II, versi 35-43).

L’E.G.C. è guidata dal Patriarca della Chiesa Hymenaeus Beta XII°, e in Italia dal suo diretto rappresentante Phanes X°.
Lamen EGC
Sito ufficiale dell'Ecclesia
Gnostica Catholica della Gran
Loggia d'Italia dell'O.T.O.
egc.otoitalia.it
Sito dedicato al Liber XV - La Messa Gnostica: www.gnosticmass.org
Celebrazione della Messa: youtu.be/VhUpJubHlAc

Simbologia religiosa cristiana, eretica, pagana e neopagana

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Lo Gnosticismo Moderno


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Lo gnosticismo moderno comprende una serie di autori e organizzazioni che a partire dal XIX secolo hanno ripreso le tematiche dello gnosticismo antico, specialmente dopo la seconda guerra mondiale.
Diversi pensatori del XIX secolo, come William BlakeArthur Schopenhauer[1]Albert Pike e Madame Blavatsky, studiarono il pensiero gnostico e ne furono influenzati, e moderatamente lo furono anche personaggi come Herman Melville e W. B. Yeats[2]Jules Doinel "ripristinò" una Chiesa Gnostica in Francia nel 1890 e il 12 settembre 1893 durante un sinodo fu eletto Patriarca col nome di Valentino II, in omaggio a Valentino. Questa chiesa modificò la propria forma e il proprio nome sotto i vari successori, i più rilevanti dei quali furono Léonce Fabre des Essarts (Tau Synésius), Joanny Bricaud (Tau Jean II), e Déodat Roché (Tau Theodotos) e, sebbene piccola, è attiva ancora oggi.
Pensatori dei primi anni del XX secolo che studiarono approfonditamente lo gnosticismo e ne furono influenzati includono Carl Gustav Jung (sostenitore dello Gnosticismo), Eric Voegelin (oppositore) e Aleister Crowley, mentre anche personaggi come Hermann Hesse ne furono moderatamente influenzati. René Guénon ( consacrato vescovo gnostico di Alessandria col nome di Tau Palingenius) fondò la rivista gnostica La Gnose nel 1909 (prima di attestarsi su posizioni più propriamente "perennialiste"). Diverse organizzazioni thelemite si rifanno al pensiero di Crowley e si definiscono organizzazioni gnostiche, come la Ecclesia Gnostica Catholica e l'Ordo Templi Orientis.
La scoperta e la traduzione dei Codici di Nag Hammâdi dopo il 1945 ebbe un notevole impatto sullo gnosticismo del secondo dopoguerra. Pensatori pesantemente influenzati dallo Gnosticismo in questo periodo includono Hans JonasPhilip K. Dick e Harold Bloom, con Albert Camus e Allen Ginsberg che ne furono moderatamente influenzati[2].
Anche dopo la seconda guerra mondiale nacquero o furono rivitalizzate una serie di chiese che si ritenevano e si ritengono tutt'oggi gnostiche, incluse la Society of Novus Spiritus, l'Ecclesia Gnostica, la Thomasine Church, la Apostolic Johannite Church, la Alexandrian Gnostic Church, il North American College of Gnostic Bishops e il World Gnostic Movement di Samael Aun WeorCelia Green ha scritto sul cristianesimo gnostico in relazione alla propria filosofia[3].
Ci sono anche delle Chiese e Organizzazioni Gnostiche nel Regno Unito dovute alla popolarità delle Scritture Gnostiche in seguito al successo del Codice Da Vinci di Dan Brown[4].

Note

  1. ^ SchopenhauerIl mondo come volontà e rappresentazione, Vol. II, Ch. XLVIII
  2. ^ a b Smith, Richard. "The Modern Relevance of Gnosticism" in The Nag Hammadi Library, 1990 ISBN 0-06-066935-7
  3. ^ Green, Celia (1981,2006). Advice to Clever Children. Oxford: Oxford Forum. Ch.s XXXV-XXXVII
  4. ^ Cf. Gnostic Christian Society of Shakerley

Bibliografia

  • (ENWouter J. Hanegraaff, Dictionary of Gnosis and Western Esotericism, Brill, 2006.

Ipostasi degli arconti

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L'Ipostasi degli arconti è un trattato gnostico in lingua copta[1] incluso nei codici di Nag Hammadi; si tratta di un'esegesi di Genesi 1-6[2] che espone la mitologia gnostica sulla creazione del cosmo e dell'umanità.

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Contenuto

L'opera ha la forma di un trattato in cui il maestro affronta dei temi suggeriti dal dedicatario dell'opera. Inizia con un frammento di cosmogonia, che porta ad una rivelazione della vera storia degli eventi della creazione raccontati nella Genesi, rivelazione che riflette la sfiducia gnostica verso il mondo materiale e per il demiurgo che l'ha creato. All'interno di questa narrativa c'è un dialogo riguardante una rivelazione angelica: un angelo, riprendendo e rielaborando le rivelazioni dell'autore formula la predizione dell'arrivo di un salvatore e della fine dei tempi.[3]
Sebbene l'inizio e la fine del documento siano gnostico-cristiani, il resto è una narrazione mitologica dell'origine e della natura dei poteri arcontici che popolano i cieli tra la Terra e Ogdoade e di come il destino umano sia influenzato da questi eventi primigeni.[4] Datato al III secolo circa, è fatto risalire alla fase in cui lo gnosticismo si stava trasformando da pura mitologia ad una filosofia.
Anche se le etimologie e i giochi di parole sui nomi semitici sembrerebbero suggerire uno stretto legame tra l'autore e le tradizioni esegetiche ebraiche, oltre che con la mitologia greca, il mito è inteso come anti-semita.[3]

Note

  1. ^ Layton 67
  2. ^ Bullard in Robinson 161
  3. ^ a b Layton 65
  4. ^ Bullard in Robinson 162; Bullard 3

Bibliografia

  • Bullard, Roger A. "The Hypostasis of the Archons." Berlin: De Gruyter, 1970.
  • Bullard, Roger A. "Introduction to The Hypostasis of the Archons". In The Nag Hammadi Library in English, Revised Edition., Edita da James M. Robinson, 161-162. San Francisco: Harper and Row, 1988.
  • Layton, Bentley. "The Hypostasis of the Archons". Harvard Theological Review 67 (1974), pp. 351-425.
  • Layton, Bentley. "The Hypostasis of the Archons (Conclusion)". Harvard Theological Review 69 (1976), pp. 31-101.

Voci correlate