Roma, 27 gen – Uno degli argomenti preferiti degli ambienti “cospirazionisti” è senz’altro il cosiddetto
“Piano Kalergi”. Secondo questa teoria, esisterebbe un piano ben architettato e sistematicamente perseguito da diversi soggetti (Stati Uniti, Unione Europea, ecc.), che avrebbe come scopo prioritario la distruzione dei popoli europei attraverso un “miscuglio razziale” con le ingenti masse allogene che ogni giorno affluiscono sul nostro continente. L’iniziatore di questo disegno diabolico sarebbe il conte “Kalergi”, che negli anni Venti fondò il
movimento Paneuropa. Per rendersi conto del dilettantismo della maggior parte di questi testi “complottisti” (in carta o in rete), basta semplicemente notare le traduzioni strampalate di alcuni passi delle opere di “Kalergi”, i toni apocalittici, nonché la pretesa di alcuni autori di aver finalmente scritto la prima opera su questo oscuro personaggio di cui nessuno vuol trattare. E tutto questo viene proclamato ai quattro venti, nonostante esista una
letteratura scientifica (soprattutto in lingua tedesca) che ha da tempo sottoposto a
dura critica i racconti agiografici degli epigoni del movimento paneuropeo (1). Ora, per vederci chiaro in questa faccenda, un’analisi sintetica della biografia e delle idee di quest’uomo si impone come necessaria. Il conte
Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi (questo il suo nome completo e corretto) nacque a Tokio nel 1894. Suo padre Heinrich era ambasciatore nella capitale nipponica per conto dell’Impero Austro-Ungarico, mentre la madre Mitsuko Aoyama era la figlia di un ricco commerciante giapponese. Cresciuto in Boemia, completò gli studi ginnasiali e universitari a Vienna. Entrato in contatto con i circoli aristocratici e intellettuali viennesi, conobbe e sposò nel 1915
Ida Roland, un’attrice di origini ebraiche. A seguito della Grande Guerra e del collasso dello Stato asburgico, Coudenhove-Kalergi assunse dapprima la cittadinanza cecoslovacca per poi essere naturalizzato francese. Come si può rilevare da questi primi cenni biografici, abbiamo a che fare con un
cosmopolita in piena regola, o meglio un «cosmopolita europeo», come è stato efficacemente definito (2). La sua vicenda personale e la sua formazione filosofica influenzeranno decisamente le sue idee e la sua militanza politica.
Nel 1921 Coudenhove-Kalergi viene iniziato nella
loggia massonica viennese Humanitas, da cui si distaccherà qualche anno dopo, per evitare che la sua affiliazione nuocesse al neonato movimento Paneuropa. Lettore assiduo di
Oswald Spengler,
Friedrich Nietzsche,
Giuseppe Mazzini e
Rudolf Kjellén (il pioniere della geopolitica), questi autori svolgeranno un ruolo-chiave nella sua diagnosi dell’appena concluso confitto mondiale. Coudenhove interpreta lucidamente la Grande Guerra come una
guerra civile europea che ha fiaccato il Vecchio continente e ne ha sancito la decadenza morale e politica a vantaggio di altri blocchi geopolitici. Un’Europa divisa e frammentata non può più competere con grandi compagini statali come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Per questo motivo saluta con entusiasmo i 14 punti del presidente
Wilson e la costituzione della
Società delle Nazioni, che in linea di principio avrebbero dovuto garantire la pace europea e mondiale. Tuttavia le speranze di Coudenhove rimasero deluse, giacché sia Stati Uniti che Unione Sovietica rimasero fuori dalla Società delle Nazioni, che invece si rivelò solo per quello che effettivamente era: uno strumento utile ai vincitori (soprattutto Francia e Gran Bretagna) al fine di preservare lo
status quo stabilito dal Trattato di Versailles. Per dar corpo e sostanza alle sue idee, Coudenhove-Kalergi pubblica nel 1923
il suo volume
Pan-Europa, che diverrà un
caso editoriale negli ambienti colti europei (3). Con una prosa piana e accattivante, l’autore tratteggia il suo ideale politico e culturale, che avrà una grande eco tra politici e intellettuali dagli orientamenti più svariati, da quelli conservatori a quelli riformisti. In seguito alla pubblicazione del volume, Coudenhove fonda un vero e proprio movimento politico-culturale, che incasserà l’appoggio addirittura di capi di Stato e che sarà sovvenzionato, tra gli altri, dai potenti istituti bancari di
Louis Rothschild e
Max Warburg così come da
Robert Bosch, ricco industriale di Stoccarda (4). In linea di massima la Paneuropa si configura come un grande blocco europeo da cui però rimangono esclusi la Russia e l’Impero britannico, ma di cui fanno parte le colonie francesi e italiane. Il progetto è vago e non cesserà di mutare negli anni a fronte degli avvenimenti che ridisigneranno la mappa politica europea. Ad esempio l’autore parla indifferentemente di Paneuropa, federazione, confederazione e Stati Uniti d’Europa.
Anche sul piano dei princìpi culturali, il pensiero di Coudenhove-Kalergi non è facilmente catalogabile. Tendenzialmente il conte è scettico, se non decisamente contrario ai regimi democratici, che egli interpreta come una pura «facciata» alle cui spalle agiscono le oligarchie plutocratiche (5). La sua ideologia elitista, spiritualista, anticapitalista e antiegualitaria non può infatti che portarlo al rigetto dei postulati democratici e, quindi, al sostegno di un «principio neo-aristocratico» (6). Per questi motivi Vanessa Conze ha accostato il pensiero di Coudenhove alla visione del mondo della Rivoluzione conservatrice: gli elementi di convergenza sarebbero lo scetticismo nei confronti del parlamentarismo e la contestuale affermazione dell’autorità, del dirigismo e dell’elitismo, così come il rifiuto dei vecchi modelli conservatori, la fascinazione per taluni aspetti del socialismo e la convinzione che solo forze giovani e vigorose possono “salvare” l’Europa dall’attuale crisi. I temi che allontanano il conte da Spengler, Jünger, ecc. sono invece il mito della nazione e l’etica guerriera – elementi caratterizzanti della Rivoluzione conservatrice, ma praticamente assenti nel pensiero cosmopolita e pacifista di Coudenhove (7). La mancanza di rigorosi presupposti ideologici si riverbera del resto nella prassi politica del conte: se in un primo momento trova una clamorosa sponda nel primo ministro francese Aristide Briand, tenterà poi più volte di guadagnare Benito Mussolini alla causa paneuropea, riuscendo anche – dopo aver fatto molta anticamera – a incontrarlo ufficialmente (8). L’interpretazione dello stesso Coudenhove del movimento fascista lascia ben pochi dubbi sulle difficoltà oggettive di trovare una mediazione tra l’Europa democratica e l’Europa fascista: «Gli avversari fascisti di Paneuropa hanno spesso tentato di identificare il movimento paneuropeo con l’ideologia democratica. Questo tentativo è però destinato a fallire già solo per il fatto che le mie idee filosofiche non sono mai state democratiche, bensì sempre aristocratiche» (9). Insomma, il conte riuscì a farsi criticare dai democratici per la sua fascinazione fascista e, al contempo, a essere scaricato dai fascisti per il suo pacifismo, presto bollato come “democratico” e funzionale al mantenimento del Trattato di Versailles.
Un ulteriore elemento che distingue il pensiero di Coudenhove-Kalergi è il suo spiccato filogiudaismo, che egli ereditò molto probabilmente dalla moglie e dal padre, il quale aveva pubblicato, prima della sua prematura scomparsa, un volume contro l’antisemitismo. Il tema dell’ebraismo si interseca, del resto, con il discorso dominante della sua ideologia, ossia la costituzione di una nuova élite in grado di governare la futura nazione paneuropea. A questa tematica il conte dedicò un libello già nel 1922, cioè Adel (Aristocrazia), poi confluito nell’opera Praktischer Idealismus (1925). Le argomentazioni di Coudenhove sono qui caratterizzate da disinvoltura logica, fantasiose semplificazioni storiografiche e, talvolta, anche da spunti interessanti e tutt’altro che banali. Egli parte dalla distinzione, da lui stesso teorizzata, tra campagna/endogamia/paganesimo e città/meticciato/cristianesimo. L’«uomo rustico» sarebbe il classico prodotto dell’endogamia (Inzucht); le sue qualità sarebbero prestanza fisica, aggressività, eroismo, forza di carattere e di volontà, mentre i suoi vizi sarebbero un’innata limitatezza di orizzonti e povertà di spirito. L’«uomo urbano», al contrario, è il frutto della mescolanza di sangue (Blutmischung) e si distinguerebbe per apertura mentale, cultura e ricchezza di spirito; come contraltare sarebbe sprovvisto di carattere e volontà, di coraggio fisico e di iniziativa. A partire da questi presupposti, Coudenhove-Kalergi formula la frase tanto incriminata (e distorta) dai complottisti. Converrà allora citarla per intero: «L’uomo del futuro remoto sarà meticcio (Mischling). Le razze e le caste di oggi saranno le vittime del superamento di spazio, tempo e pregiudizio. La razza eurasiatica-negroide del futuro (eurasisch-negroide Zukunftsrasse), simile nell’aspetto alla razza degli antichi Egizi, sostituirà la pluralità dei popoli con una molteplicità di personalità» (10). Per quanto effettivamente inquietante, la profezia di Coudenhove non riguarda specificamente l’Europa, bensì l’intera umanità. Però è pur vero che il conte si augura l’emergere di un’Europa in cui a essere maggioritaria sia una popolazione spiritualmente forte e caratterialmente debole, al fine di preservare la pace nel continente e nel mondo. Il conte vorrebbe fondare l’esattezza di questa analisi – con un volo pindarico a livello logico e storico – sul fatto che le nazioni europee (che lui non disconosce affatto) non sarebbero propriamente comunità di sangue (Blutgemeinschaft), bensì comunità di spirito (Geistesgemeinschaft). Esse condividerebbero, più che antenati comuni, comuni eroi (11).
Questo discorso ha certamente un senso, se il fine è una nazione europea avvenire. Più complicato e poco conseguente è invece il fatto che, ad una uniformazione planetaria della tecnica, debba seguire una omogeneizzazione etnica e culturale mondiale (che peraltro contraddirebbe la specificità europea asserita da Coudenhove). Ad ogni modo, c’è anche un altro aspetto della teoria del conte che ha inquietato sia complottisti che accademici. Nell’individuare la nuova aristocrazia del domani, Coudenhove la intravede nell’ebraismo, che, tempratosi attraverso secoli di persecuzioni, ora sarebbe divenuto la vera «razza spirituale padrona dell’Europa (geistige Führerrasse Europas)» (12). Così ha chiosato Ulrich Wyrwa: «Le sue affermazioni, che vorrebbero essere filosemite, presentano un’inquietante vicinanza alla semantica antisemita» (13). Dall’unione tra i migliori elementi della «nazione ebraica» e quelli dell’antica nobiltà feudale sorgerà dunque l’«aristocrazia del futuro» (14). Non stupirà a questo punto che Adolf Hitler abbia bollato Coudenhove-Kalergi come «Allerweltsbastard», termine che potremmo tradurre come «bastardo di tutte le razze» (15). L’ostilità nazionalsocialista nei confronti del conte, poi, costringerà quest’ultimo a emigrare negli Stati Uniti in seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ad ogni modo, l’offesa di Hitler nei confronti di Coudenhove, pur nella sua volgarità e nei suoi scopi, centra probabilmente il punto della questione. Il conte viene infatti descritto dalla critica storiografica come una personalità estremamente arrogante e affetta da manie di grandezza, che non smetterà mai di autopromuoversi a rappresentante ideale di questa “aristocrazia del futuro” della Paneuropa. Tutto il suo discorso sul meticciato e la fusione tra ebraismo e vecchia nobiltà potrebbe quindi essere una diretta conseguenza della sua storia personale: meticcio austro-giapponese, cosmopolita errante, sposato a un’ebrea. Più che di una teoria storicamente fondata, si potrebbe quindi trattare di una semplice (e goffa) autopromozione politica.
Ma quanto pesa oggi l’esempio di Coudenhove-Kalergi nel dibattito sull’integrazione europea?
Effettivamente ben poco. Lo si cita tutt’al più a mo’ di icona come il primo ad aver parlato di Stati Uniti d’Europa e di una unione delle nazioni del Vecchio continente. La sua influenza politica (pur sempre relativa) viene circoscritta unicamente agli anni Venti e all’inizio degli anni Trenta. Inoltre, il movimento paneuropeo è oggi un piccolo raggruppamento europeista conservatore dal peso specifico assai limitato. Le sue teorie sono state peraltro duramente criticate dagli ambienti accademici. Il suo elitismo e antidemocratismo, insieme al suo discorso sul diritto di Paneuropa allo sfruttamento dello colonie africane, senza contare la sua fascinazione per personalità come Mussolini e Dollfuss, non piacciono affatto all’establishment demo-liberale dell’Unione Europea e ai circoli universitari. Così si esprime infatti Ulrich Wyrwa: «
Paneuropa dev’essere quindi considerato un capitolo storicamente chiuso, comprensibile solo alla luce del contesto intellettuale del periodo tra le due guerre, e che non permette alcun collegamento con l’attuale dibattito intellettuale e politico sul presente e sul futuro dell’Europa» (16). Insomma, troppo poco per poter parlare di “piano”. Anche perché i progetti di
“grande sostituzione” e di annientamento etno-culturale dei popoli europei sono perseguiti alla luce del sole: hanno
ben precise basi filosofiche e sono attuati da altrettanto
precisi soggetti politici e intellettuali. Invece di sprecar le energie dietro alla megalomania e ai deliri di onnipotenza di un vecchio conte degli anni Venti, sarebbe molto più opportuno approfondire la dinamica di interessi concreti che legano Soros a Buzzi, gli ambienti confessionali a quelli finanziari, gli industriali alle cooperative e alle Ong. Se non si vuol perdere tempo, beninteso.
Valerio Benedetti
(1) Cfr. a titolo d’esempio V. Conze, Richard Coudenhove-Kalergi. Umstrittener Visionär Europas, Zürich 2004; A. Ziegerhofer-Prettenthaler, Botschafter Europas. Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi und die Paneuropa-Bewegung in den zwanziger und dreißiger Jahren, Wien 2004; J. Jílek, Pan-Europe de Coudenhove-Kalergi. L’homme, le projet et le Mouvement européen, in: «Human Security» 9 (2003/2004), pp. 205-209; U. Wyrwa, Richard Nikolaus Graf Coudenhove-Kalergi (1894-1972) und die Paneuropa-Bewegung in den zwanziger Jahren, in: «Historische Zeitschrift» 283/1 (2006), pp. 103-122; Michael Pammer, Robustere Regierungsmethoden. Richard Coudenhove-Kalergi und die Opportunität politischer Grundsätze, in: «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History» 9 (2012), pp. 484-490. Da queste opere è tratta la maggior parte delle informazioni che seguono.
(2) Conze, Richard Coudenhove-Kalergi, cit., p. 11.
(3) R. Coudenhove-Kalergi, Pan-Europa, Wien 1923, 19822.
(4) Cfr. Ziegerhofer-Prettenthaler, Botschafter Europas, cit., pp. 110-112.