sabato 13 agosto 2016

Arianna Huffington: la parabola di una moglie miliardaria divenuta icona dei Radical-Chic





Arianna Huffington (nata Arianna StassinopoulosAtene15 luglio 1950) è una giornalista e scrittrice greca naturalizzata statunitense, nota per aver fondato The Huffington Post, uno dei blog più letti ed influenti degli Stati Uniti.
Figlia di Konstantinos e Georgiadi Stasinopoúlou, Arianna è nata ad Atene e ha studiato al Girton College dell'Università di Cambridge.
Negli anni ottanta si trasferì a New York, dove intraprese la professione di scrittrice e giornalista, occupandosi soprattutto di politica. 
Dal 1986 al 1997 è stata sposata con l'imprenditore e politico repubblicano Michael Huffington, deputato alla Camera dei Rappresentanti dal 1993 al 1995. Dal matrimonio sono nate due figlie: Christina Sophia e Isabella Diana. Poco dopo il divorzio dei due, Michael dichiarò ufficialmente la propria bisessualità e divenne un attivista per i diritti LGBT.
Nel corso degli anni il suo schieramento politico è cambiato varie volte: all'inizio considerata una voce conservatrice di destra, nel 2003 si candidò alla carica di governatore contro il repubblicano Arnold Schwarzenegger presentandosi alle elezioni in california come indipendente, per poi rivendicare la propria appartenenza al Partito Democratico nel 2008.
Nel 2005 Arianna Huffington ha fondato un giornale on-lineThe Huffington Post, divenuto ben presto uno fra i più seguiti a livello mondiale.
Fin qui i fatti.
Ora, noi non vogliamo mettere in dubbio il talento giornalistico della signora Huffington, ma ci interessa seguire la sua parabola umana e professionale, perché rappresenta un prototipo, un ideal-tipo, dell'evoluzione dei miliardari del mondo occidentale, che a un certo punto della loro vita hanno capito che il modo migliore per difendere il proprio status sociale e aumentare addirittura il proprio prestigio, il proprio potere e anche la propria ricchezza, era schierarsi con la sinistra "liberal", puntando tutto sulle battaglie per i diritti civili e mettendo in secondo piano quelle per i diritti sociali.
Un elemento comune a molte giornaliste o donne di successo che si ispirano alla Huffington è quello di farsi conoscere, inizialmente, attraverso un matrimonio prestigioso o comunque una frequentazione del jet set.
Il paradosso è che dopo una gavetta di questo tipo, che ricalca vecchissime strategie di tipo seduttivo tutte interne ad un contesto maschilista, queste mogli miliardarie mettono su, con i soldi del marito, la propria impresa e si scoprono eroine del femminismo, pur continuando a firmarsi con il cognome del coniuge.
In fondo è anche la storia di Hillary Clinton, che si chiamerebbe Hillary Rodham, ma con quel cognome nessuno se la filerebbe, o di Angela Merkel, che usa ancora il cognome del primo marito da cui ha divorziato secoli fa.  Al riguardo vi rimando alle biografie non autorizzate che ho scritto in questo blog sia di Hillary ("la guerrafondaia che piace ai radical-chic") e di Angela ("la ragazza dell'est").
Ma torniamo alla Huffington.
Folgorata sulla via di Washington, Arianna Huffington ha scoperto che per sdoganarsi nel mondo snob dei salotti buoni radical chic era necessaria una rivoluzione formale, che, pur salvando la struttura filo-capitalistica e filo-globalizzazione del suo "pensiero" economico, desse una patina di sinistra al suo blog.
Attenzione però, quando si parla di sinistra radical-chic non si intende più qualcosa che abbia a che fare con un progetto di stato sociale o di socialdemocrazia, concetti che sono stati sbrigativamente messi in cantina nell'ultimo decennio, complice la Grande Recessione e il Nuovo Ordine Mondiale che ne ha approfittato per imporsi.
Ora per dirsi di sinistra, secondo i radical chic, basta essere favorevoli all'immigrazione indiscriminata e ai matrimoni gay con adozioni e maternità surrogate, il tutto condito con qualche superficiale riverniciatura femminista e ambientalista, più di facciata che altro, perché si ferma subito di fronte al rispetto paradossale del velo islamico, della tecnologia più futile e del mondialismo guerrafondaio di chi vuole esportare la democrazia a suon di bombardamenti, colpi di stato, finanziamento di gruppi eversivi e di rivoluzioni arabe o ucraine più o meno colorate.
Arianna Huffington ha rappresentato la quintessenza di tutto questo e non è un caso che l'Huffington Post italiano abbia trovato spazio tra le colonne di Repubblica, il salotto buono dei perbenisti radical-chic delle terrazze romane.
Ora che la Huffington ha fatto soldi a palate grazie ai suoi amici radical chic e al gregge di chi li segue, ha deciso di dedicarsi all'imprenditoria nel campo della sanità, dove certamente troverà un ottimo business, dal momento che si può sempre fare affidamento sul fatto che gli esseri umani si ammalano continuamente e che la sanità pubblica, nonostante i proclami dei progressisti, continua a perdere colpi e a non garantire affatto il diritto alla salute, che invece dovrebbe essere una preoccupazione primaria.
Vedremo se l'azienda della Huffington offrirà cure a buon mercato oppure continuerà a rivolgersi al suo salotto buono di miliardari col cuore a sinistra e il portafoglio saldamente a destra.

I dieci principi del conservatorismo classico (paleoconservatorismo) secondo Russell Kirk






Russell Kirk
Being neither a religion nor an ideology, the body of opinion termed conservatism possesses no Holy Writ and no Das Kapital to provide dogmata. So far as it is possible to determine what conservatives believe, the first principles of the conservative persuasion are derived from what leading conservative writers and public men have professed during the past two centuries. After some introductory remarks on this general theme, I will proceed to list ten such conservative principles.
Perhaps it would be well, most of the time, to use this word “conservative” as an adjective chiefly. For there exists no Model Conservative, and conservatism is the negation of ideology: it is a state of mind, a type of character, a way of looking at the civil social order.
The attitude we call conservatism is sustained by a body of sentiments, rather than by a system of ideological dogmata. It is almost true that a conservative may be defined as a person who thinks himself such. The conservative movement or body of opinion can accommodate a considerable diversity of views on a good many subjects, there being no Test Act or Thirty-Nine Articles of the conservative creed.
In essence, the conservative person is simply one who finds the permanent things more pleasing than Chaos and Old Night. (Yet conservatives know, with Burke, that healthy “change is the means of our preservation.”) A people’s historic continuity of experience, says the conservative, offers a guide to policy far better than the abstract designs of coffee-house philosophers. But of course there is more to the conservative persuasion than this general attitude.
It is not possible to draw up a neat catalogue of conservatives’ convictions; nevertheless, I offer you, summarily, ten general principles; it seems safe to say that most conservatives would subscribe to most of these maxims. In various editions of my book The Conservative Mind I have listed certain canons of conservative thought—the list differing somewhat from edition to edition; in my anthology The Portable Conservative Reader I offer variations upon this theme. Now I present to you a summary of conservative assumptions differing somewhat from my canons in those two books of mine. In fine, the diversity of ways in which conservative views may find expression is itself proof that conservatism is no fixed ideology. What particular principles conservatives emphasize during any given time will vary with the circumstances and necessities of that era. The following ten articles of belief reflect the emphases of conservatives in America nowadays.
First, the conservative believes that there exists an enduring moral order. That order is made for man, and man is made for it: human nature is a constant, and moral truths are permanent.
This word order signifies harmony. There are two aspects or types of order: the inner order of the soul, and the outer order of the commonwealth. Twenty-five centuries ago, Plato taught this doctrine, but even the educated nowadays find it difficult to understand. The problem of order has been a principal concern of conservatives ever since conservative became a term of politics.
Our twentieth-century world has experienced the hideous consequences of the collapse of belief in a moral order. Like the atrocities and disasters of Greece in the fifth century before Christ, the ruin of great nations in our century shows us the pit into which fall societies that mistake clever self-interest, or ingenious social controls, for pleasing alternatives to an oldfangled moral order.
It has been said by liberal intellectuals that the conservative believes all social questions, at heart, to be questions of private morality. Properly understood, this statement is quite true. A society in which men and women are governed by belief in an enduring moral order, by a strong sense of right and wrong, by personal convictions about justice and honor, will be a good society—whatever political machinery it may utilize; while a society in which men and women are morally adrift, ignorant of norms, and intent chiefly upon gratification of appetites, will be a bad society—no matter how many people vote and no matter how liberal its formal constitution may be.
Second, the conservative adheres to custom, convention, and continuity. It is old custom that enables people to live together peaceably; the destroyers of custom demolish more than they know or desire. It is through convention—a word much abused in our time—that we contrive to avoid perpetual disputes about rights and duties: law at base is a body of conventions. Continuity is the means of linking generation to generation; it matters as much for society as it does for the individual; without it, life is meaningless. When successful revolutionaries have effaced old customs, derided old conventions, and broken the continuity of social institutions—why, presently they discover the necessity of establishing fresh customs, conventions, and continuity; but that process is painful and slow; and the new social order that eventually emerges may be much inferior to the old order that radicals overthrew in their zeal for the Earthly Paradise.
Conservatives are champions of custom, convention, and continuity because they prefer the devil they know to the devil they don’t know. Order and justice and freedom, they believe, are the artificial products of a long social experience, the result of centuries of trial and reflection and sacrifice. Thus the body social is a kind of spiritual corporation, comparable to the church; it may even be called a community of souls. Human society is no machine, to be treated mechanically. The continuity, the life-blood, of a society must not be interrupted. Burke’s reminder of the necessity for prudent change is in the mind of the conservative. But necessary change, conservatives argue, ought to be gradual and discriminatory, never unfixing old interests at once.
Third, conservatives believe in what may be called the principle of prescription. Conservatives sense that modern people are dwarfs on the shoulders of giants, able to see farther than their ancestors only because of the great stature of those who have preceded us in time. Therefore conservatives very often emphasize the importance of prescription—that is, of things established by immemorial usage, so that the mind of man runneth not to the contrary. There exist rights of which the chief sanction is their antiquity—including rights to property, often. Similarly, our morals are prescriptive in great part. Conservatives argue that we are unlikely, we moderns, to make any brave new discoveries in morals or politics or taste. It is perilous to weigh every passing issue on the basis of private judgment and private rationality. The individual is foolish, but the species is wise, Burke declared. In politics we do well to abide by precedent and precept and even prejudice, for the great mysterious incorporation of the human race has acquired a prescriptive wisdom far greater than any man’s petty private rationality.
Fourth, conservatives are guided by their principle of prudence. Burke agrees with Plato that in the statesman, prudence is chief among virtues. Any public measure ought to be judged by its probable long-run consequences, not merely by temporary advantage or popularity. Liberals and radicals, the conservative says, are imprudent: for they dash at their objectives without giving much heed to the risk of new abuses worse than the evils they hope to sweep away. As John Randolph of Roanoke put it, Providence moves slowly, but the devil always hurries. Human society being complex, remedies cannot be simple if they are to be efficacious. The conservative declares that he acts only after sufficient reflection, having weighed the consequences. Sudden and slashing reforms are as perilous as sudden and slashing surgery.
Fifth, conservatives pay attention to the principle of variety. They feel affection for the proliferating intricacy of long-established social institutions and modes of life, as distinguished from the narrowing uniformity and deadening egalitarianism of radical systems. For the preservation of a healthy diversity in any civilization, there must survive orders and classes, differences in material condition, and many sorts of inequality. The only true forms of equality are equality at the Last Judgment and equality before a just court of law; all other attempts at levelling must lead, at best, to social stagnation. Society requires honest and able leadership; and if natural and institutional differences are destroyed, presently some tyrant or host of squalid oligarchs will create new forms of inequality.
Sixth, conservatives are chastened by their principle of imperfectability. Human nature suffers irremediably from certain grave faults, the conservatives know. Man being imperfect, no perfect social order ever can be created. Because of human restlessness, mankind would grow rebellious under any utopian domination, and would break out once more in violent discontent—or else expire of boredom. To seek for utopia is to end in disaster, the conservative says: we are not made for perfect things. All that we reasonably can expect is a tolerably ordered, just, and free society, in which some evils, maladjustments, and suffering will continue to lurk. By proper attention to prudent reform, we may preserve and improve this tolerable order. But if the old institutional and moral safeguards of a nation are neglected, then the anarchic impulse in humankind breaks loose: “the ceremony of innocence is drowned.” The ideologues who promise the perfection of man and society have converted a great part of the twentieth-century world into a terrestrial hell.
Seventh, conservatives are persuaded that freedom and property are closely linked. Separate property from private possession, and Leviathan becomes master of all. Upon the foundation of private property, great civilizations are built. The more widespread is the possession of private property, the more stable and productive is a commonwealth. Economic levelling, conservatives maintain, is not economic progress. Getting and spending are not the chief aims of human existence; but a sound economic basis for the person, the family, and the commonwealth is much to be desired.
Sir Henry Maine, in his Village Communities, puts strongly the case for private property, as distinguished from communal property: “Nobody is at liberty to attack several property and to say at the same time that he values civilization. The history of the two cannot be disentangled.” For the institution of several property—that is, private property—has been a powerful instrument for teaching men and women responsibility, for providing motives to integrity, for supporting general culture, for raising mankind above the level of mere drudgery, for affording leisure to think and freedom to act. To be able to retain the fruits of one’s labor; to be able to see one’s work made permanent; to be able to bequeath one’s property to one’s posterity; to be able to rise from the natural condition of grinding poverty to the security of enduring accomplishment; to have something that is really one’s own—these are advantages difficult to deny. The conservative acknowledges that the possession of property fixes certain duties upon the possessor; he accepts those moral and legal obligations cheerfully.
Eighth, conservatives uphold voluntary community, quite as they oppose involuntary collectivism. Although Americans have been attached strongly to privacy and private rights, they also have been a people conspicuous for a successful spirit of community. In a genuine community, the decisions most directly affecting the lives of citizens are made locally and voluntarily. Some of these functions are carried out by local political bodies, others by private associations: so long as they are kept local, and are marked by the general agreement of those affected, they constitute healthy community. But when these functions pass by default or usurpation to centralized authority, then community is in serious danger. Whatever is beneficent and prudent in modern democracy is made possible through cooperative volition. If, then, in the name of an abstract Democracy, the functions of community are transferred to distant political direction—why, real government by the consent of the governed gives way to a standardizing process hostile to freedom and human dignity.
For a nation is no stronger than the numerous little communities of which it is composed. A central administration, or a corps of select managers and civil servants, however well intentioned and well trained, cannot confer justice and prosperity and tranquility upon a mass of men and women deprived of their old responsibilities. That experiment has been made before; and it has been disastrous. It is the performance of our duties in community that teaches us prudence and efficiency and charity.
Ninth, the conservative perceives the need for prudent restraints upon power and upon human passions. Politically speaking, power is the ability to do as one likes, regardless of the wills of one’s fellows. A state in which an individual or a small group are able to dominate the wills of their fellows without check is a despotism, whether it is called monarchical or aristocratic or democratic. When every person claims to be a power unto himself, then society falls into anarchy. Anarchy never lasts long, being intolerable for everyone, and contrary to the ineluctable fact that some persons are more strong and more clever than their neighbors. To anarchy there succeeds tyranny or oligarchy, in which power is monopolized by a very few.
The conservative endeavors to so limit and balance political power that anarchy or tyranny may not arise. In every age, nevertheless, men and women are tempted to overthrow the limitations upon power, for the sake of some fancied temporary advantage. It is characteristic of the radical that he thinks of power as a force for good—so long as the power falls into his hands. In the name of liberty, the French and Russian revolutionaries abolished the old restraints upon power; but power cannot be abolished; it always finds its way into someone’s hands. That power which the revolutionaries had thought oppressive in the hands of the old regime became many times as tyrannical in the hands of the radical new masters of the state.
Knowing human nature for a mixture of good and evil, the conservative does not put his trust in mere benevolence. Constitutional restrictions, political checks and balances, adequate enforcement of the laws, the old intricate web of restraints upon will and appetite—these the conservative approves as instruments of freedom and order. A just government maintains a healthy tension between the claims of authority and the claims of liberty.
Tenth, the thinking conservative understands that permanence and change must be recognized and reconciled in a vigorous society. The conservative is not opposed to social improvement, although he doubts whether there is any such force as a mystical Progress, with a Roman P, at work in the world. When a society is progressing in some respects, usually it is declining in other respects. The conservative knows that any healthy society is influenced by two forces, which Samuel Taylor Coleridge called its Permanence and its Progression. The Permanence of a society is formed by those enduring interests and convictions that gives us stability and continuity; without that Permanence, the fountains of the great deep are broken up, society slipping into anarchy. The Progression in a society is that spirit and that body of talents which urge us on to prudent reform and improvement; without that Progression, a people stagnate.
Therefore the intelligent conservative endeavors to reconcile the claims of Permanence and the claims of Progression. He thinks that the liberal and the radical, blind to the just claims of Permanence, would endanger the heritage bequeathed to us, in an endeavor to hurry us into some dubious Terrestrial Paradise. The conservative, in short, favors reasoned and temperate progress; he is opposed to the cult of Progress, whose votaries believe that everything new necessarily is superior to everything old.
Change is essential to the body social, the conservative reasons, just as it is essential to the human body. A body that has ceased to renew itself has begun to die. But if that body is to be vigorous, the change must occur in a regular manner, harmonizing with the form and nature of that body; otherwise change produces a monstrous growth, a cancer, which devours its host. The conservative takes care that nothing in a society should ever be wholly old, and that nothing should ever be wholly new. This is the means of the conservation of a nation, quite as it is the means of conservation of a living organism. Just how much change a society requires, and what sort of change, depend upon the circumstances of an age and a nation.
Such, then, are ten principles that have loomed large during the two centuries of modern conservative thought. Other principles of equal importance might have been discussed here: the conservative understanding of justice, for one, or the conservative view of education. But such subjects, time running on, I must leave to your private investigation.
The great line of demarcation in modern politics, Eric Voegelin used to point out, is not a division between liberals on one side and totalitarians on the other. No, on one side of that line are all those men and women who fancy that the temporal order is the only order, and that material needs are their only needs, and that they may do as they like with the human patrimony. On the other side of that line are all those people who recognize an enduring moral order in the universe, a constant human nature, and high duties toward the order spiritual and the order temporal.

Mappa del mondo secondo Donald Trump

donald trump, mappa del mondo satirica

E il ruolo di Obama nella guerra tra Ucraina e Russia

venerdì 12 agosto 2016

Mappa delle minoranze etniche e religiose perseguitate dall'Isis



Lo Yazidismo (in curdoئێزیدی‎‎, ĒzidīĪzidī, in araboﻳﺰﻳﺪﻱ‎, Yazīdī ) è una fede religiosa diffusa nelle regioni del Sinjar iracheno da prima della comparsa in quelle regioni dell'Islam.
I suoi fedeli sono chiamati in turco Čyrāġ Söndüren,[1] ossia "spegnitori di lampade". Ciò potrebbe dipendere dalla calunnia espressa da certa faziosa manualistica islamica[2] riguardante le fedi non islamiche o considerate eretiche, secondo cui gli yazidi farebbero ricorso sfrenato al libertinaggio - praticato in questo caso nell'oscurità - o all'omosessualità, anche se è probabile che l'espressione sia ricollegabile alla convinzione yazidi - espressa nel Maṣḥaf rash - secondo cui il mondo sarebbe stato creato da Dio dopo aver creato sei angeli «dalla sua essenza e dalla sua luce... come quando un uomo accende una lampada da un'altra».
Giuseppe Furlani, nel suo Religione dei Yezidi. Testi religiosi dei Yezidi, a proposito della corriva definizione degli yazidi come di "adoratori del diavolo",[3] ricordava le osservazioni di Richard Carnac Temple, che nel suo studio The Yezidis or devil-worshippers of Mosul,[4] aveva qualificato l'espressione Šeyṭān-perest "inesatta e falsa" e "inventata specialmente dagli Europei che viaggiarono in Oriente - imbevuti di cristianesimo - per descrivere una forma di religione estranea alla loro mentalità, essendo l'adorazione del Diavolo - in realtà - l'adorazione di spiriti soprannaturali da parte di animisti primitivi, spiriti chiamati diavoli segnatamente dai missionari cristiani per far sentir ribrezzo ai nuovi convertiti per gli dèi prima adorati", anche se Furlani sottolineava che "si può ... dire in un certo senso che adorano il Diavolo, perché il loro Dio è l'angelo supremo caduto dal suo seggio, ma poi rimesso da Dio al suo posto primitivo" (n. 1, p. 1).[5]
Lo Yazidismo è una religione monoteista, la cui origine è discussa in ragione anche dell'accentuato esoterismo delle sue dottrine, che consentono solo agli iniziati di accedere al suo nucleo più autentico.
Alessandro Bausani, uno dei massimi esperti italiani di islamistica della sua generazione, osserva che, anche se lo Yazidismo "è ancora elencato fra le sette musulmane per motivi pratici e, anche, se è vera l'opinione del Guidi, per la sua origine e per qualche nome arabo e persiano che vi si incontra",[6] di fatto sembra che la dottrina yazidi "praticamente nulla abbia di islamico", tanto da poter "ben essere messa assieme a residui di sette gnostiche del Vicino Oriente del tipo deimandei".[7]
I fedeli dello Yazidismo venerano Sette Angeli, emanazioni del Dio primordiale, di cui il primo e più importante è l'Angelo Pavone (Tawisi Melek), che "cadde, ma essenzialmente buono, pianse, e le sue lacrime di pentimento, deposte in settemila anni di pianto ininterrotto in sette anfore, hanno estinto le vampe dell'inferno".[8]".
Erroneo, malgrado un frequente uso giornalistico, è considerare il termine "yazidi" come un etnonimo, poiché la loro etnia è quella Curda.

giovedì 11 agosto 2016

Tolkien's world art



Gandalf nella Contea
Radagst nel Bosco in certa dell'Illuminazione



From Meneltarma, the highest peak on Numenor, Elros gazes upon the light of Valinor and the tower of Avallone.









'Rest in Gildor's forest' by *breathing2004:

Stained glass Lord of the Rings:

Arwen and Aragorn - Lord of the Rings - by Matthew Stewart:

Paintings



Arthur Hughes - Ophelia; sotto Alexandre Cabanel - Ophelia



John William Waterhouse - Ophelia



John Everett Millais - Ophelia



John Everett Millais - Mariana



Sandro Botticelli, Venere e Marte (dettaglio), 1482-1483 ca., Londra, National Gallery



mercoledì 10 agosto 2016

His Grace Hugh Grosvernor, VII Duke of Westminster





Hugh Richard Louis Grosvenor, 7th Duke of Westminster (born 29 January 1991) is a British aristocrat. He is the third child and only son of the late Gerald Grosvenor, 6th Duke of Westminster and his wife Natalia Phillips, and assumed the title of Duke of Westminster on 9 August 2016 on the death of his father.

Education

Unusually for the children of hereditary peers, the Duke of Westminster and his sisters were educated at a local state primary school, followed by a small private day school near the family home of Eaton Hall near the city of Chester before attending Ellesmere College, Shropshire, a public school and part of theWoodard Corporation.[1][2] He then studied countryside management at Newcastle University[3][4] and the University of Oxford.

Career

After university Hugh worked in estate management at Wheatsheaf Investment and the Grosvenor Group before becoming accounts manager at bio-bean, a green energy company.[4]

Personal life

Little is known about the Duke of Westminster's personal life due to his family's efforts to maintain his privacy.[5] However, in October 2013 he earned considerable media attention when he was named a godfather to Prince George of Cambridge.[6]

Styles of address

  • 29 January 1991 – 9 August 2016: Earl Grosvenor
  • 9 August 2016 – present : His Grace The Duke of Westminster


Jump up
References

  1. ^ Levin, Angela (1 October 2013). "Lady Edwina Grosvenor: 'I see my wealth as a gift that I should put to good use'"The Daily Telegraph.
  2. Jump up^ Bradberry, Grace (23 January 2004). "Who'll inherit London?"London Evening Standard. Retrieved 4 February 2016.
  3. Jump up^ "The Ellesmerian 2009" (PDF)The Ellesmerian. 2009. Retrieved 9 August 2016.
  4. Jump up to:a b "Team – bio-bean". Retrieved 2016-08-10.
  5. Jump up^ http://www.vanityfair.com/news/2013/10/hugh-grosvenor-royal-baby-godparent
  6. Jump up^ http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/prince-george/10399013/Prince-George-christening-profiles-of-the-godparents.html
Peerage of the United Kingdom
Preceded by
Gerald Grosvenor
Duke of Westminster
2016–present
Incumbent
Orders of precedence in the United Kingdom
Preceded by
The Duke of Abercorn
Gentlemen
His Grace The Duke of Westminster
Succeeded by
The Duke of Fife

martedì 9 agosto 2016

Alpha-Omega. Capitolo 1. Il secolo XXII e l'Ordine Economico Universale






 <<Dicevano: “Padre Nostro che sei nei cieli”. Poi si convinsero che i cieli fossero
                                    vuoti>>

   Nayan, Considerazioni preliminari sul caso Alpha-Omega

 

Capitolo I

      L’uomo seduto dietro la scrivania dimostrava a malapena trent’anni, ma ciò non significava nulla: la chirurgia estetica poteva mantenere intatta la giovinezza fino a tarda età, per i membri dell’Oligarchia, e la loro vita arrivava tranquillamente ai due secoli.
Gracile, pelle chiara, quasi diafana, occhi grigi, capelli biondi, lineamenti stucchevolmente dolci del viso, quasi femminei, così appariva agli occhi dell’altro che lo osservava.
Tutto falso!
Ma era risaputo che quella scelta non era stata decisa soltanto per motivi estetici.
 E’ che gli conviene mascherare dietro una faccia d’angelo la sua vera natura.
Sì, quell’indole astuta e subdola che induceva gli interlocutori sprovveduti ad abbassare la guardia e tradire le emozioni.
Ma io non sono sprovveduto… forse.
Questi erano i pensieri dell’uomo che era stato convocato nell’ufficio del Maestro John R. Marfol, membro del Consiglio Supremo dell’OEU, l’Ordine Economico Universale.
L'altro uomo sapeva che i difetti di Marfol erano ben altri, e comunque nessuno era esente da colpe, soprattutto se faceva parte dell'Ordine.
In fondo, anche io non sono proprio “autentico”…
Lo ammise a se stesso con un certo rammarico, come fosse una debolezza, una frivolezza estemporanea, aver speso i crediti dei suoi primi stipendi per costruirsi un corpo alto e atletico, un viso affascinante e un profilo nobile. Non aveva ben chiaro perché l’avesse fatto: forse voleva compensare con ciò le manchevolezze del proprio carattere?
Non è una bugia, è più che altro una mezza verità, ma il vero mentitore non dice bugie, dice solo mezze verità.
E comunque non era una frivolezza.
No, quell’aspetto spavaldo, un po’ ribelle, con la folta chioma corvina da eroe Azteco, era una forma di comunicazione e persino di provocazione, una delle poche consentite, a quei tempi.
Nel tempo della menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.
       Pensieri pericolosi.
«Thomas Ariston!» esclamò Marfol con quella sua insopportabile voce vellutata da bravo ragazzo «o posso ancora chiamarti Tom in onore dei bei tempi dell'università?»
Ariston accennò un sorriso freddo e lievemente ironico:
«Bei tempi…sì… soprattutto per te…e io posso ancora chiamarti per nome ora che sei nel Gran Consiglio?»


«Ovvio! La nostra amicizia non è stata dimenticata! Anzi, ho grandi progetti per te!»
Ariston si sentì raggelare.
Ma quale amicizia? Senz’altro sta per rifilarmi l’ennesima fregatura.
Avrebbe voluto sbuffare, ma si trattenne e assunse un atteggiamento cauto e impassibile, come avrebbero voluto quelle mummie dei docenti dell’Università dell’OEU.
Si erano conosciuti lì, ma John Marfol non era mai stato un vero amico, solo un conoscente, e nemmeno particolarmente simpatico. Un tipo con l’innata predisposizione a sfruttare sempre le occasioni a suo vantaggio!
Oh, certo tale dote gli è stata d’aiuto nella sua fulminante carriera.
Però gli farei un torto a non riconoscere che era intelligente e intuitivo.
 Anche se a volte gli sembrava che la differenza tra intelligenza pratica e opportunismo fosse quasi impercettibile.
 E’ per questi pensieri che sono ancora al più basso livello della carriera?
Forse era anche per via di un residuo di emotività, che nella mente di Thomas Ariston era sopravvissuto ai condizionamenti psicologici dell’OEU.
Certo in passato si era comportato in modo poco diplomatico, aveva commesso lievi infrazioni al Codice OEU, ma niente di irreparabile.
In fondo il Codice era talmente restrittivo da rendere impossibile rispettarlo alla lettera.
Mentre era stata considerata inopportuna, ai piani alti dell’Oligarchia, la sua simpatia per le idee “keynesiane e identitarie” dal Maestro Abraham Yeras,  portavoce della minoranza nel Supremo Consiglio e leader dell’ “opposizione interna”, a malapena tollerata entro un’ Oligarchia da sempre guidata dalla coalizione “liberista e globalista”.
Etichette troppo generiche, certo, ma evocative di un conflitto passato che l’Oligarchia voleva far dimenticare.
Non era comunque quello il momento di pensare alla politica: specie con un personaggio di quel calibro davanti a lui.
Marfol,  l’enfant prodige dell’OEU…


L’OEU! Questo nome riesce sempre a farmi rabbrividire!

 Un regime? Forse, ma bisognava ammettere che l’Ordine Economico Universale era l'unica istituzione amministrativa che manteneva ancora una qualche parvenza di ordine sulla Terra, dopo i devastanti eventi di fine del XXI secolo.
Sorto appena in tempo per salvare, con la tecnologia, una Terra sovrappopolata, devastata dall’inquinamento e dalle guerre e prosciugata di risorse vitali, era riuscito a imporsi dopo un mezzo secolo di caos, quando si era riusciti a trovare un compromesso tra i “poteri forti” per evitare la catastrofe.
Inizialmente si era trattato di un grande consorzio oligopolista di ricchissime holding transnazionali, ma col tempo si era burocratizzato, persino ritualizzato.
Il titolo di Maestro! Una “ sopravvivenza” di antiche mitologie?
 In fondo l’OEU era la Nuova Massoneria nata dall’unificazione di tutte le logge sopravvissute agli anni del Grande Cataclisma.

Nel XXI secolo c’era stato uno scontro epocale fra tre grandi centri di potere:
la Massoneria, l’Ordine degli Iniziati e l’Islam.

Gli Iniziati erano spariti misteriosamente, così come gran parte della popolazione sotto il loro dominio.
L’Islam era invece venuto a patti con la Massoneria ed aveva fondato insieme a lei l’Ordine Economico Universale, che governava ciò che rimaneva del pianeta Terra dopo il Grande Cataclisma, e le colonie che erano state create sulla Luna e su Marte agli inizi del XXII secolo.

Per entrare a far parte dell’OEU si doveva superare una durissima (e costosissima) selezione operata dall’Università Globale.  L’appartenenza all’Ordine dei Maestri laureati era vincolata al superamento di un Esame finale e al rispetto di un rigido Codice di comportamento.
La loro Assemblea Generale esprimeva la fiducia al Supremo Consiglio di Amministrazione, che i membri dell’opposizione chiamavano “la Cupola dell’Oligarchia”. Era una accusa di mafiosità morale, più che legale.


Il bello è che non dispiace nemmeno a loro esser chiamati così.
Ufficialmente però la stragrande maggioranza dell’Assemblea condivideva una ideologia neoliberista ed era coordinata da una alleanza tra Maestri di etnia per lo più anglosassone, araba, indiana e cinese.
Li chiamano “anglo-asiatici”. Che fantasia…

Al vertice c’era il Grande Maestro Venerabile Theodor D. Orcfeller, Presidente dell'Ordine, il quale, ormai, con i suoi 215 anni di età e il non più arrestabile decadimento fisico e mentale, non faceva più paura a nessuno.


 La lotta per la successione era incominciata da decenni, e aveva raggiunto livelli estremi. Il Supremo Consiglio era dilaniato: le varie correnti della maggioranza si contendevano il potere senza esclusione di colpi.
Ormai l’Oligarchia si era spaccata in vari tronconi, ma il più forte era ancora quello “istituzionale” della temutissima Vicepresidente Mary Ann Ripley, la “lady di ferro”.


 Il suo alleato e confidente principale era nientemeno che il Maestro Consigliere Marfol.
 Il più giovane ed agguerrito membro del Consiglio.
Eccolo lì, Marfol, sul suo “trono”, pronto a dettar legge.


La sua attenzione era rivolta al foglio digitale su cui scorreva il curriculum vitae di Ariston.

«Ummm… sì, beh…in fondo è discreto… anche se un Maestro con le tue capacità avrebbe potuto fare molto di più»
La frase non fu gradita da Ariston.
Sai benissimo perché non ho fatto di più!
Lo fissò con durezza, ma Marfol non gli prestò la minima attenzione.
«Avresti dovuto essere più ricettivo al condizionamento psicologico, e poi… perché intestardirsi a fare il contestatore “keynesiano-identitario”? Posso capire quando avevi vent’anni, ma adesso…di questi tempi…non è il caso!»
Ariston incominciava ad annoiarsi. Perché Marfol non veniva al dunque?
Lui parve leggergli nel pensiero.
«Ma io ti conosco, ti vedo: sei orgoglioso, permaloso, aggressivo e desideroso di riscatto»
Punto sul vivo!
      Perché hai sempre ragione, Marfol?
      I Maestri Psicologi avevano lavorato bene con lui.
«Ognuno ha i suoi difetti» riprese Marfol in tono neutro «ma ti voglio dare l’opportunità di dimostrare quanto vali con un incarico che farà la tua e la mia fortuna e richiederà intelligenza, preparazione e lealtà.»
Quando loda, c’è da tremare.
«Sentiamo!»

«Hai mai sentito parlare della Alpha-Omega Investiment Corporation
      Ariston rimase impietrito.
 «Mi prendi in giro? Non si parla d’altro negli ambienti che contano!»

«Già…» Marfol manteneva il suo atteggiamento distratto, sempre con gli occhi sul foglio digitale: forse controllava le quotazioni della Borsa Globale, ma era nota la sua capacità di fare molte cose allo stesso tempo
Ariston però riteneva offensivo quel modo di fare, e la sua voce tradì una certa irritazione.
 «A quel che ho sentito, nessuno è mai uscito vivo quando è andato a mettere il naso negli affari della Alpha-Omega»

«Può essere…»
Sempre più distratto.
Maledizione Marfol, guardami negli occhi quando mi parli!
Ariston arricciò il naso senza più nascondere il disappunto.
 «E tu mi vuoi mandare così allo sbaraglio?»
Arfol per la prima volta sorrise, con quell’aria disarmante da fanciullo:
«Ma avrai le spalle coperte, amico, non temere… ho progettato tutto nei dettagli»
«Perché proprio io?»

«Sei l’uomo adatto!»

Ariston sorrise.
Sì, a farsi ammazzare!
      «Senti John…»
Aveva perso la pazienza, ma l’altro lo prevenne:
«Niente ma! Ascoltami prima!»
«Ti chiedo solo come puoi fidarti di me, dati i miei trascorsi… le mie simpatie politiche…»

«La Alpha-Omega è lontanissima dalle posizioni di Yeras. Più la conoscerai, più ti convincerai che va fermata, per questo tu sarai il mio referente e renderai conto solo a me!»
Che arroganza! Ariston lo trovava sempre più insopportabile.
Il “mio” referente…sono una sua pedina, nient’altro…
Lo fissò con occhi cupi, carichi di rabbia, poi scrollò il capo.
 «E chi mi garantisce che quando non ti sarò più utile non mi farai fuori?»

«Non essere paranoico, Tom! I miei metodi saranno anche discutibili, ma non sono un assassino, almeno non con chi mi è stato leale! E comunque questo incarico è un ordine che ti rivolgo da superiore gerarchico. Non puoi sottrarti» precisò Arfol.

«Conosco il Codice»
Sì, lo conosceva bene, dopo che era stato varie volte spedito in qualche inospitale sede periferica, con un cosiddetto "incarico di punizione".
      «Cosa c'è sotto questa faccenda della Alpha-Omega?»

«È quello che devi scoprire! Poi ti spiegherò i dettagli…»

«E tu cosa ci guadagni?»

«Mi sembra evidente! La carica di Grande Maestro dell'OEU, al posto del mio più temibile avversario, il Presidente della Alpha-Omega, Charles Louis Correnson»


Ariston fu percorso da un tremito. Il solo pronunciare il nome di Correnson metteva paura…si raccontavano cose terribili sul suo conto.
Gli occhi di Marfol scintillavano.
Ariston conosceva bene quel luccichio: lo stesso dei tempi all'Università, prima di passare ogni esame col massimo dei voti, con sinergia assoluta di preparazione e astuzia.
Marfol, l’invincibile!
Mai un cedimento, una debolezza, una crisi. Era l’ambizione personificata: se non avesse avuto la smania di potere nella mente, l’avrebbe avuta nel cuore. Era di quelle persone disposte a servire per anni pur di poter fare servi altri uomini.
All’inizio Ariston lo aveva disprezzato, ma poi gli aveva fatto pena, perché in fondo non era felice: ogni successo che otteneva, invece che appagarlo, lo spingeva ad ottenere qualcosa di più. Per questo, nonostante la carriera, Marfol era sempre insoddisfatto, bramoso di qualcosa che non aveva.
Ariston increspò le labbra in un sorriso:
Ammettilo, John: il Maestro Correnson ti fa ombra!
Ecco, era questo il punto: Marfol aveva trovato un osso più duro di lui, sulla sua strada. E per la prima volta la sua nave fortunata rischiava il naufragio, perché prima o poi, nella vita, si fa sempre naufragio.
E mi farai andare a fondo con te!
Ma non poteva rifiutare, o sarebbe finito per l’ennesima volta in una landa desolata con un “incarico di punizione”, e questa volta per sempre!
      Marfol pareva leggergli nel pensiero.
 «Il tuo silenzio vale come assenso. Procediamo, allora. Tu conosci le caratteristiche essenziali della Alpha-Omega…»

«Ovviamente!»
Chi non conosce la Alpha-Omega?
Quella sigla rappresentava la holding capogruppo di un immenso impero economico, nato dal consorzio di milioni di piccoli imprenditori, ma il cui pacchetto azionario era ormai da tempo controllato dalle eredi del miliardario Hans Van Garrett. Le mitiche ereditiere!
Amanda ed Emily Van Garrett , rispettivamente moglie e cognata del Maestro Correnson.
La Alpha-Omega controllava le più grandi corporation della Terra, tra cui la Energy Holding, la Banca Dracon, la General Telematics e la General Aero-Space Travelling Corporation (GASTAC), monopolista dei trasporti verso la Colonia della Luna, la Colonia di Marte e la Base Spaziale dell’OEU.
La famosa scalata finanziaria con cui la Alpha-Omega aveva conquistato il pacchetto di controllo della GASTAC era stata un'impresa epica, entrata ormai nella leggenda. 
Numerose indagini della Authority Garante del Mercato erano state compiute circa l'origine dei capitali di quell'operazione mastodontica e ognuna si era conclusa con lo stesso verdetto: i denari provenivano dal regolare consorzio di milioni di piccoli e onesti imprenditori, valorizzati dalle enormi doti imprenditoriali di Amanda Van Garret.

«Bene, tutto ciò che sai è falso» dichiarò Marfol.
Ariston annuì:
«Lo sospettavo»

«Vedi che sei l’uomo giusto? Hai intuito anche tu che c’è una colossale menzogna che nasconde molti segreti»
Ariston cercò di non udire il tono condiscendente dell’altro e venne al punto centrale della questione: «Hai le prove?»
Marfol assunse un’aria ancor più saccente.
«Sono dieci anni che studio il dossier sulla Alpha-Omega!»
Poi si guardò intorno furtivamente, pur sapendo la stanza era del tutto isolata dal mondo esterno.
«Ci sono vari indizi. Primo…» e sollevò il pollice della mano destra con determinazione «la Alpha-Omega è nata in seguito a un improbabile piano di terraformazione di Marte, quando fu fondata la Colonia, più di vent’anni fa. Ora, non so se ti ricordi che c’era collegata una iniziativa scientifica per la ricerca di eventuali forme di vita»

«Sì, e non si è mai trovato niente a parte qualche microbo!»

«E’ vero, però se mai trovassero qualcosa di più…e per caso fosse utilizzabile per scopi non leciti…. di sicuro non ce lo verrebbero a dire!»

«Tu sospetti…»

«Io so per certo che da circa vent'anni su Marte c'è una costosissima iniziativa di scavi paleontologici molto costosa, patrocinata dal consorzio Ilio, il cui maggiore socio, la Alpha-Omega, guarda caso da una decina d’anni sta conquistando l’economia globale. Ora io mi chiedo, dove trovano tutti i soldi necessari per finanziare nel contempo le scalate e la Ilio? E poi, come fanno le Van Garret e Correnson a giustificare agli occhi degli altri azionisti lo sperpero di miliardi di crediti globali buttati in quelle ricerche…»
Ariston annuì.
Ora capisco dove vuoi arrivare, vecchia volpe!
«La Security ha mai ispezionato le cave?»

«Sì, varie volte, ma non hanno trovato nulla di irregolare»

«E allora dov'è il problema?»

«Il problema è che le indagini furono fatte solo sette anni dopo l'inizio degli scavi, troppo tempo!»

«E in tutto questo tempo gli elementi compromettenti possono essere stati rimossi»

«Esatto» annuì Marfol con soddisfazione.
 Poi, alzando l'indice e il pollice, proseguì:
«Secondo punto! La personalità di Correnson presenta molti lati oscuri» e fissò Ariston con aria misteriosa.
«Pensaci bene… Charles Louis Correnson, nato a Parigi, nell’anno 2102, in una famiglia benestante molto eccentrica; pessimo studente all'Università Globale, diventa Maestro col minimo punteggio, solo grazie a raccomandazioni; incapace di svolgere anche i più banali compiti, è confinato sulla Colonia di Marte con un “incarico di punizione”, vedi caso proprio al progetto Ilio, come Sovrintendente OEU ai Beni Culturali, settore che notoriamente non interessa a nessuno, nel Consiglio.
Ma a questo punto improvvisamente cambia tutto: fa carriera e riesce a sposare l’ereditiera Amanda Van Garret e, assieme a lei, costruisce un impero economico che conquista in pochi anni il mercato, e con mezzi in apparenza corretti ed esemplari.
Molti hanno detto che sia stato il matrimonio con la Van Garret a cambiarlo in meglio, ma io non ci credo. Correnson non è tipo da farsi manovrare da una donna, fosse anche una Van Garret! E poi per quale ragione una ereditiera tanto desiderata avrebbe dovuto sposare un fallito come Correnson? Cosa aveva Correnson che gli altri pretendenti non avevano?
No… non ridere, questa è una cosa seria. Correnson, essendo Sovrintendente per conto dell’OEU, era in quel contesto anche la massima Autorità di Vigilanza e Amanda aveva bisogno di legarlo a sé per impedire che rivelasse al Supremo Consiglio qualche segreto che scottava, magari collegato alla famosa miniera Ilio»


Ariston sospirò.
Che mente contorta!
Comunque quei dubbi erano legittimi.
«Se anche tu avessi ragione, sarebbe impossibile scoprire qualcosa di concreto contro di lui»

«Per anni ho pensato anch'io che fosse così, ma ora sono emersi elementi nuovi»
Ariston inarcò le sopracciglia.
«Vedi… una settimana fa è deceduto il direttore scientifico del Progetto Paleontologico “Ilio”, il Professor Lazarus Irving. Ebbene poche ore dopo la sua morte mi è arrivato per email questo… e premette un tasto dal suo computer da polso.
Comparve l'ologramma, a grandezza naturale, del Professore, agonizzante, su una poltrona "sanitaria". Parlò con voce flebile:
«Ho taciuto per vent'anni, fino all'ultimo, perché le minacce che mi erano state rivolte dalla Alpha-Omega mi facevano rabbrividire. Ma ora che un amico mi ha dato l'antidoto al loro veleno, che chiamano elisir, e mi restano poche ore di vita, ho deciso di rivelare tutta la verità sulla miniera Ilio, su quello che scoprimmo e che consegnammo alla Alpha-Omega, e sui motivi del successo di Correnson…». Un infermiere robot si avvicinò e gli praticò una iniezione, dopo la quale il Professore morì, rimanendo con gli occhi vitrei e la bocca spalancata.  
L'ologramma si interruppe.

«Omicidio» commentò Ariston.

«Già, ma qualcuno si è preoccupato di farci avere il filmato… e lo sai da chi proveniva l'email?»

«Da una sede della Alpha-Omega?»

Marfol annuì compiaciuto.
«Dalla sede centrale! Sai come succede in questi casi… anche loro hanno una spia interna, un traditore!»
“Anche loro”! E chi sono i traditori dell’OEU?
       Marfol non parve notare l’espressione dubbiosa di Ariston.
«Ovviamente la fonte vuole rimanere anonima»

«Ha paura…e io pure! Senti John, mi stai mandando al macello!»

«Avrai le spalle coperte, è nel mio interesse che tu non fallisca. E poi ti darò un incarico di prestigio con conseguente crescita di grado: sarai il Maestro Superiore Thomas Ariston, Amministratore delegato e Direttore Generale della Spotlight Company, un'azienda che commercia in carburanti ed energia con la Colonia di Marte. E' una delle poche ancora non controllate da Correnson: per questo mi aspetto che i suoi dirigenti ti faranno una "corte" spietata per comprarla. E’ la nostra esca per entrare in rapporti con loro. Tu all'inizio mostrati freddo, poi lasciati convincere a collaborare con loro e ad inserirti nella loro cerchia: farete una società. Poi ti infiltrerai nei ranghi della Alpha-Omega e scoprirai qualcosa di molto interessante, ne sono sicuro»

«E chi ti dice che non potrei fornire poi le informazioni al Maestro Yeras»

«Me lo dice il fatto che ti terrò costantemente sotto controllo, con ogni mezzo…e tu sai di quanti mezzi posso disporre…»
La sua voce assunse un tono metallico.
Non ci fu bisogno di proseguire oltre nella minaccia.
Si alzò in piedi e questo significava che il colloquio era finito.
Il tempo era già stato sufficientemente lungo per giustificare agli occhi degli osservatori di palazzo l'incontro con un ex-compagno di studi, e sufficientemente breve per evitare che qualcuno potesse pensare che in quell'incontro fosse stato detto qualcosa di rilevante.