mercoledì 3 giugno 2015

Parchi










abbaye de Lessay (Manche)abbey of Lessay (Manche)

Drummond Castle Gardens, Scotland 













Giardino zen




Il più noto dei giardini zen è il karesansui 枯山水, è un giardino tipico della cultura giapponese, i cui elementi (acqua, piante, pietre) sono rappresentati in maniera simbolica da pietre e ghiaia. L'acqua viene rappresentata da "fiumi" di ghiaia il cui moto si scontra con l'emergere dal suolo di grosse pietre dalle forme naturalmente disordinate, allo scopo di simboleggiare il dinamismo delle forme della natura.
Sono usati dai monaci zen giapponesi durante la meditazione. Talvolta ridotti ad una forma da interni in una struttura in legno, i giardini zen in miniatura sono chiamati Bonseki.

Tempio di Ryoan-ji

Il più celebre giardino zen è quello di Ryoan-ji, tempio di Kyōto.
Il giardino di ghiaia è stato creato per offrire ai monaci un posto dove meditare, ed è conosciuto per il suo effetto calmante.

Disegno


Il giardino zen al tempio Ryoan-ji
Ci sono stati molti tentativi di spiegare il disegno dei giardini zen. Alcuni di questi sono:
  • La ghiaia rappresenta l'oceano e le pietre rappresentano le isole del Giappone
  • Le rocce rappresentano una mamma tigre con i cuccioli che nuota verso un drago
  • Le rocce formano parte del kanji per cuore o mente
Si veda Ryōan-ji per una analisi matematica di un giardino zen
Un recente suggerimento dei ricercatori Gert van Tonder dell'Università di Kyoto e di Michael J. Lyons degli ATR Intelligent Robotics and Communication Labs è che le pietre formino un'immagine subliminale di un albero. Questa immagine non può essere percepita consciamente quando la si guarda; i ricercatori sostengono che la mentesubconscia sia in grado di vedere una sottile associazione tra le pietre. Essi ritengono che ciò sia responsabile dell'effetto calmante del giardino.

Adattamenti per la progettazione paesaggistica

I concetti della progettazione di un giardino Zen sono stati adattati per la creazione di un paesaggio piantumato in maniera più naturale. Nella foto sottostante, un piccolo giardino "Zen" che è parte del Japanese Tea Garden a San Francisco Golden Gate Park. Non visibile in questo scorcio, sul lato sinistro, ci sono numerosi sassi sulla riva del letto di pietruzze, racchiusi da arbusti di bordura.

Critiche

Lightmatter zen garden.jpg
Il concetto di giardino zen viene considerato un mito da molti importanti esperti giardinieri giapponesi e da molti esperti di buddismo. Essi sostengono che si tratta di una creazione occidentale della fine del XX secolo, che non ha niente a che fare con la tradizione del giardinaggio giapponese. L'estetica del karesansui o "giardino secco" non è affatto unica dei giardini che si trovano vicino ai templi zen. I giardini secchi si possono trovare fuori da case, ristoranti e alberghi. Similarmente, i giardini attorno ai templi zen possono avere molti stili differenti, e i giardini secchi sono solo uno di questi.
Il termine "giardino zen" apparve per la prima volta nel libro del 1935 di Loraine Kuck, intitolato One Hundred Kyoto Gardens. Il primo uso del termine in lingua giapponese non apparve su stampa fino al 1958. Ciò può implicare che qualche studioso giapponese possa aver semplicemente seguito l'uso occidentale, adottando il concetto in voga di "giardino zen", perché già utilizzato dagli stranieri.
Il libro Themes, Scenes & Taste in the History of Japanese Garden Art di Wybe Kuitert, pubblicato nel 1988, contesta fortemente la correlazione fra Zen e karesansui:
« Kuck confonde la sua interpretazione del giardino Zen (XX secolo) storicamente determinata, con un antico giardino appartenente ad una cultura completamente diversa. Questo falsa la sua interpretazione.
... (il giardino medievale) trovava la sua collocazione nei templi Zen e nelle residenze dei guerrieri perché ne aumentava il prestigio culturale. Che la sua valutazione fosse determinata da elementi religiosi, piuttosto che di 'forma' è discutibile. »
Inoltre Kuitert parla del giardino Zen da una prospettiva Buddista: "(dal punto di vista di Dogen) il miglior giardino per rappresentare il Sermone del Buddha sarebbe il nulla. O perlomeno non sarebbe sicuramente stato un giardino esteticamente gradevole, il quale avrebbe solamente distratto da una reale ricerca dell'Illuminazione." Kuitert si mostra ancora più critico traducendo i commenti a Toh-ji di un monaco dell'era Muromachi: “Chi pratica lo Zen non deve costruire giardini. In una sutra è detto che il Bodhisattva Makatsu, volendo meditare, per prima cosa abbandonò totalmente le cose di questo mondo, tanto il far affari e ottenere profitti quanto il coltivare piante..."
L'opinione che i monaci Zen usino i giardini per la meditazione è smentita dal fatto che in Giappone i monaci Zen meditano quasi sempre al chiuso, sia di fronte ad un muro (Soto Zen) sia di fronte al centro della stanza (Rinzai Zen), e non di fronte ad un paesaggio. Dunque le foto di monaci giapponesi che meditano su giardini di ghiaia sono verosimilmente delle messe in scena.

Avviso per il lettore

Le note citate sopra presuppongono un'interpretazione troppo letterale del termine Giardino Zen. Il termine si riferisce al fatto che questo stile di giardino si è sviluppato nei templi Rinzai Zen con alcuni dei più importanti progettisti, come Muso Soseki e Soami, i quali erano monaci o praticanti lo Zen. Inoltre lo stile dei giardini Zen tradizionali si è sviluppato durante un periodo della storia giapponese in cui le pratiche culturali associate al buddismo Zen, come la calligrafia e la pittura di paesaggi, influenzavano sempre di più l' arte giapponese. C'è naturalmente una varietà di opinioni sul rilievo che questi giardini assumono nella pratica Buddista, tuttavia non si può negare che il loro sviluppo è strettamente associato con i templi Rinzai Zen, in particolare modo gli enormi e intricati templi di Kyoto.

Immagini

    Voci correlate

    martedì 2 giugno 2015

    Interni di lusso


    La résidence de Munich; Le château de Maisons-Laffitte .





    une tapisserie des Gobelins, époque Louis XV, représentant le Bal de Barcelone





    Neuschwanstein    Château de Barbentane

     biblioteca di Clandon Park in Surrey

    Le salon jaune du palais Coburg.

    Groussay










    Il clavicembalo


    Clavecin - Julius Delin Tornaci, 1780


    Con il termine clavicembalo (altrimenti detto gravicembalo, arpicordo, cimbalo, cembalo) si indica una famiglia di strumenti musicali a corde, dotati di tastiera: tra questi, anzitutto lo strumento di grandi dimensioni attualmente chiamato clavicembalo, ma anche i più piccoli virginale e spinetta.
    Questi strumenti generano il suono pizzicando la corda, anziché colpirla come avviene nel pianoforte o nel clavicordo. La famiglia del clavicembalo ha probabilmente avuto origine quando una tastiera è stata adattata ad un salterio, fornendo così un mezzo per pizzicare le corde. Il termine stesso, che compare per la prima volta in un documento del 1397[1], deriva dal latino clavis, chiave (intesa come il meccanismo che utilizza il movimento del tasto per azionare il leveraggio retrostante), e cymbalum, termine che designava nel medioevo gli strumenti musicali con corde parallele tese su una cassa poligonale e senza manico, come i salteri e le cetre. In ogni caso, la più antica descrizione nota del clavicembalo risale al 1440 circa[2]. I costruttori di clavicembali e strumenti simili sono detti cembalari o cembalai[3].
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    Storia

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    L'età del clavicembalo copre un arco temporale di circa tre secoli (dal XVI al XVIII secolo), periodo in cui sono sorte diverse scuole in tutta Europa, sequenzialmente:
    1. Italia, principalmente a VeneziaMilanoFirenzeRoma e Napoli;
    2. Fiandre, ad Anversa soprattutto con la celebre famiglia di artigiani Ruckers;
    3. Francia, principalmente a Parigi con artigiani originali e con riadattamenti di strumenti fiamminghi;
    4. Inghilterra, con gli artigiani più famosi situati a Londra;
    5. Germania, nelle zone di AmburgoBerlino e Dresda.
    Nei secoli XVII e XVIII il clavicembalo fu uno degli strumenti più utilizzati nella prassi musicale. I maggiori compositori di quei secoli hanno scritto opere specificamente destinata al clavicembalo come strumento solista (particolarmente famose, già all'epoca, le opere di William ByrdGirolamo FrescobaldiJan Pieterszoon SweelinckFrançois CouperinJean-Philippe RameauJohann Sebastian BachGeorg Friedrich HändelAlessandro eDomenico Scarlatti), ma l'impiego più frequente dello strumento era quello della realizzazione del basso continuo, presente nella quasi totalità delle le composizioni musicali strumentali e vocali fino alla seconda metà del secolo XVIII. Nello stesso periodo il clavicembalo - come avverrà nei secoli successivi per il pianoforte - fu lo strumento più diffuso anche fra i musicisti dilettanti, ai quali furono destinate innumerevoli edizioni a stampa di una vasta letteratura. Il celebre matematico Leonhard Euler (Eulero, 1707 - 1783), ad esempio, amava rilassarsi suonando il suo clavicembalo.[4]

    Funzionamento del clavicembalo


    Parte superiore del salterello: 1) corda; 2) asse della linguetta; 3) linguetta; 4) plettro; 5) smorzatore.
    Tutti i tipi di clavicembalo hanno un funzionamento simile:
    • La linguetta è una semplice leva che ruota intorno ad un asse orizzontale costituito da una spina che passa attraverso un foro. Nella linguetta è incastrata una penna (o plettro), anticamente ricavata dal calamo di una penna (usualmente di corvo) e oggi generalmente realizzata in materiale plastico (Delrin); ogni penna è sagomata con la punta di un bisturi, in modo da regolarne la larghezza e l'elasticità in funzione del diametro della corda che deve pizzicare e del timbro che si vuole ottenere.
    • Il salterello è un listello di legno con una feritoia rettangolare in cui è imperniata la linguetta. Quest'ultima è tenuta in posizione verticale da una molla, in modo che il plettro fuoriesca orizzontalmente da una delle facce del salterello.
    • Ogni salterello appoggia sull'estremità del tasto corrispondente (quest'ultimo è una leva con fulcro centrale) e scorre entro due fori allineati verticalmente, praticati in due liste di legno (registri) poste una sull'altra perpendicolarmente ai tasti. La lunghezza del saltarello è regolata in modo che il plettro, a riposo, si trovi appena al di sotto della corda che deve pizzicare. Abbassando il tasto, il saltarello si solleva e il plettro pizzica la corda; la corsa del saltarello è limitata da una barra posta orizzontalmente sopra la fila dei saltarelli, inferiormente guarnita di feltro, che può essere rimossa per la manutenzione dei salterelli.
    • Quando il tasto si rialza, il salterello ricade verso il basso per il proprio peso e la linguetta ruota all'indietro permettendo al plettro di superare la corda senza più pizzicarla.
    • In cima al salterello è posto uno smorzatore in feltro, che si appoggia sulla corda quando il saltarello è in posizione di riposo, smorzando la vibrazione quando il tasto viene rilasciato (e impedendo che la corda entri in vibrazione per risonanza quando il tasto non è premuto).
    • Nella maggior parte dei clavicembali, per ogni tasto vi sono due corde e due salterelli: per una delle due file di salterelli il registro superiore può scorrere, permettendo di allontanare i plettri dalle corde. Questo consente di escludere una delle file di corde, variando timbro e volume sonoro dello strumento, similmente all'uso dei registri dell'organo. Nei clavicembali a due manuali vi sono usualmente tre registri, e quindi tre file di salterelli: la tastiera inferiore agisce sulle prime due, quella superiore sulla terza.
    • Le differenze timbriche fra i diversi clavicembali sono legate:
      • al materiale delle corde (ottone giallo, ottone rosso o acciaio), alla loro lunghezza e al loro diametro, che ne determinano la tensione (la tensione ottimale delle corde è di poco inferiore al carico di rottura): la successione delle lunghezze delle corde determina la forma dello strumento (più tozzo o più affusolato) e l'equilibrio timbrico e di intensità fra le zone bassa, media e acuta dell'estensione dello strumento;
      • alla posizione della fila dei salterelli rispetto alla corda: quando per una stessa tastiera vi sono due file di corde all'unisono, una di queste risulta avere un timbro più "nasale" semplicemente perché è pizzicata più vicino al ponticello;
      • alla dimensione della cassa e allo spessore della tavola armonica.

    Tipi di clavicembalo

    Nei secoli XVII e XVIII esistevano numerosi tipi di clavicembalo, diversi per dimensioni, forma della cassa, posizione della tastiera rispetto alle corde, numero di tastiere ed estensione delle medesime. Queste differenze corrispondono a esigenze musicali diverse. Si deve notare che, a parte le differenze più evidenti (fra una spinetta italiana e un clavicembalo francese a due manuali, ad esempio), anche fra strumenti di forma apparentemente simile (come un clavicembalo italiano e uno fiammingo del XVII secolo) vi è differenza nel modo in cui la lunghezza delle corde varia dalle note più gravi alle più acute: ad esempio, in un clavicembalo italiano, in confronto agli strumenti fiamminghi e francesi, le corde più gravi sono più lunghe e quelle più acute sono più corte. Questo è determinato dalla forma dei ponti dal lato opposto a quello dei salterelli, e produce sensibili differenze nel timbro degli strumenti, anche perché lunghezze diverse rendono necessario l'uso di materiali diversi per le corde (ferro, ottone giallo, ottone rosso).

    Clavicembalo propriamente detto

    Nell'accezione moderna, il termine clavicembalo può indicare sia tutti gli strumenti della famiglia, sia - più specificamente - lo strumento più grande della famiglia, con una cassa di forma poligonale (con un solo lato curvo) in cui la tastiera è posizionata sul lato corto, perpendicolarmente alle corde. La cassa è più stretta (circa 90-100 cm) e più allungata (anche 272 cm) di quella di un pianoforte moderno, particolarmente negli strumenti di scuola italiana. Un clavicembalo ha generalmente una o due corde per ciascun tasto. Negli strumenti a due manuali, è possibile accoppiare questi ultimi in modo che un solo tasto faccia suonare tre corde; in questo caso, una delle tre è da 4 piedi, ossia è accordata un'ottava più in alto di quella normale da 8 piedi. Le tastiere a singolo manuale sono la regola negli strumenti di fattura italiana, mentre negli altri paesi europei si producevano anche numerosi strumenti a due manuali.

    Virginale


    virginale della Coll. Maggi di Cremona.
    Virginale è il nome generico di una famiglia di strumenti dalla forma genericamente rettangolare, più piccoli e semplici rispetto al clavicembalo e dotati di una sola corda per ciascuna nota, disposta parallelamente (virginale) o angolata (spinetta) rispetto alla tastiera, lungo il lato più esteso dello strumento. L'origine del termine non è chiara, ma spesso viene collegata al fatto che lo strumento era suonato di frequente e in famiglia dalle donne giovani delle famiglie stesse, non sempre dai concertisti. I quali utilizzavano i virginali per la loro facile trasportabilità, oppure perché già presenti là dove venivano chiamati.
    La regina Elisabetta I d'Inghilterra era solita suonare il virginale e si racconta che stesse suonando questo strumento quando le fu comunicata la morte di Maria Stuarda.
    Si noti che la parola "virginale" nel periodo elisabettiano era utilizzata per designare qualsiasi tipo di clavicembalo. Così i capolavori di William Byrd e dei suoi contemporanei erano spesso suonati su clavicembali di grandi dimensioni, di fattura italiana e per i quali con ogni probabilità erano stati composti, e non solamente su quelli che oggi chiamiamo virginali.
    Una classificazione moderna più precisa è data nel New Grove Dictionary of Music and Musicians, che definisce virginale «uno strumento in cui le corde sono disposte ad angolo retto rispetto ai tasti, piuttosto che parallelamente (clavicembalo) o angolate (spinetta)».

    virginale della Coll. Maggi di Cremona.
    I virginali possono essere suddivisi in spinetta (il tipo più diffuso, soprattutto in Italia) e muselar o muselaar.

    Spinetta

    Strumento di dimensioni ridotte, chiamato così forse dal nome del costruttore veneziano J. Spinetus. Questo è il tipo più diffuso di virginale e consiste in uno strumento a corde con le corde impostate ad un angolo con la tastiera di circa 30°. In questo strumento le corde sono troppo vicine per avere un attuatore normale: le corde sono gestite a coppia, con gli attuatori che pizzicano l'una o l'altra con un movimento in direzioni opposte.
    Le spinette vengono classificate in base alla forma della cassa: sono inoltre possibili classificazioni che prendono in considerazione differenze nella meccanica, quali la lunghezza dei legni dei tasti (leve) ed altri particolari.
    Il nome "spinetta" è più spesso riservato alla spinetta inglese, di forma triangolare, mentre il virginale più comune in Italia è il virginale napoletano o veneziano di forma rettangolare: questi strumenti venivano chiamati spesso spinette, ma la disposizione delle corde fa sì che essi siano in realtà da classificare come virginali.
    Costruttore di spinette e virginali fu Bartolomeo Cristofori, la cui fama è soprattutto associata all'invenzione del pianoforte. Notevole una sua spinetta ovale (costruita attorno al 1690) di forma del tutto particolare: la cassa, riccamente intarsiata, è resa ovale aggiungendo, ai lati di un corpo rettangolare, due cuspidi a forma di arco gotico anche in questo caso ladisposizione delle corde dovrebbe far classificare lo strumento come un virginale.

    Muselar (muselaar)

    Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Muselar.
    Nel virginale di tipo muselar la cassa è rettangolare e la disposizione della tastiera solitamente è a destra. Inoltre la disposizione delle corde è leggermente obliqua e queste vengono pizzicate al centro della loro lunghezza. Ciò rende il suono più caldo e ricco, ma con alcune importanti limitazioni: l'azione della mano sinistra è al centro della cassa di risonanza, quindi anche i rumori meccanici vengono amplificati, inoltre la resa sonora delle corde più lunghe e dal suono basso è penalizzata. Un commentatore del XVIII secolo scrisse che il muselar "grugnisce nei bassi come un maialino". Nonostante tutto i muselar furono popolari, soprattutto nei paesi di lingua fiamminga.

    Variazioni e modifiche nei clavicembali

    Non è una sorpresa che uno strumento costruito in un certo numero di esemplari nell'arco di oltre tre secoli, presenti delle variazioni e modifiche anche di una certa importanza.
    Oltre alla varietà nelle forme e nelle dimensioni, si registrano anche disposizioni o regolazioni differenti nella meccanica e quindi anche nella resa sonora.
    Generalmente i primi clavicembali hanno minore estensione, più avanti nel tempo l'estensione aumenta, anche se esistono ovviamente delle eccezioni. Abbiamo così clavicembali con appena quattro ottave, mentre quelli più grandi ne hanno cinque o poco più. Spesso, alle tastiere più corte, veniva adattato il sistema dell' "ottava corta".

    Il colore della tastiera dei clavicembali

    File:Bachbwv933.ogg
    tastiera a colori invertiti, esecuzione di Bach, Piccolo preludio in DO maggiore, BWV 93
    Si associa facilmente l'idea del clavicembalo a quella di una tastiera dove i tasti diatonici sono neri e quelli cromatici bianchi, cioè colori invertiti rispetto a quelli del pianoforte. Questa pratica di colorazione appartiene soprattutto alla scuola francese e si ritrova anche in molti esemplari della scuola fiamminga rimodernati o riadattati dagli artigiani francesi.
    Nelle altre scuole non ci furono regole precise in tal senso e si possono trovare antichi strumenti con i tasti dello stesso colore di tutto lo strumento oppure con tasti fabbricati in legno di colore più o meno chiaro. Occasionalmente sono state usate per la fabbricazione dei tasti anche materie più pregiate come la madreperla.

    Tastiera di clavicembalo
    Quando i tasti cromatici sono bianchi è solo la loro parte superiore che riceve un placcaggio in avorio o in osso; i tasti integralmente in detti materiali sono molto rari. I tasti diatonici sono invece generalmente ornati, nella parte anteriore rivolta allo strumentista, di ricopertura in legno duro finemente cesellato o intarsiato.

    Altre varianti del clavicembalo

    Molte delle modifiche che si tentò di apportare alla struttura originaria dello strumento nel corso dei secoli ebbero vita breve, e produssero strumenti curiosi, di diffusione limitata. Di questi strumenti sopravvivono oggi pochissimi o nessun esemplare.

    Il clavicitherium del XV secolo conservato nel Royal College of Musicdi Londra, il più antico esemplare superstite della famiglia dei clavicembali
    • Clavicitherium (clavicembalo verticale): la coda dello strumento è posizionata in verticale e i meccanismi di funzionamento orizzontali sono azionati con una serie di rinvii e snodi. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, il clavicitherium non è un'elaborazione successiva del clavicembalo, ma una variante attestata fin dal 1463: il più antico strumento a tastiera sopravvissuto fino ad oggi è proprio un clavicitherium, costruito a Ulm alla fine del XV secolo e attualmente conservato a Londra nel Royal College of Music[5]; il termine "clavicitherium" appare per la prima volta nel trattato Musica getutscht di Sebastian Virdung (1511).
    • Moeder en kind (madre e figlio, Fiandre XVII secolo): Una piccola spinetta inserita all'interno o al di sopra del clavicembalo "madre" per suonare insieme.
    • Spinettone da teatro (CristoforiItaliaXVIII secolo): clavicembalo con coda modificata per ridurre l'ingombro dello strumento nella fossa dell'orchestra.
    • Doppio virginale (Cristofori, Italia, XVIII secolo): con le corde incrociate.
    • Vis-a-vis (Germania, XVIII secolo): un clavicembalo ed un pianoforte montati nello stesso mobile con le tastiere contrapposte tra loro.
    • Clavicembalo a pedali: associato a un normale clavicembalo a due manuali, permette di eseguire la letteratura organistica che prevede l'uso della pedaliera.
    • Claviorganum, costituito da un clavicembalo sovrapposto a un organo a tavolo (truhenorgel), con due tastiere distinte ma accoppiabili in modo da poter far suonare corde e canne con lo stesso tasto.
    • Clavicembalo pieghevole o cembalo piegatorio (Francia, XVIII secolo; un esemplare, presente al Museo Nazionale degli Strumenti musicali di Roma, è attribuito al cembalaro italianoCarlo Grimaldi, tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento): smontabile in 3 parti per poter essere più facilmente trasferito o trasportato.
    • Lautenwerk (GermaniaXVII secolo): clavicembalo con corde di budello, costruito per simulare il suono del liuto. Già descritto in un trattato del 1636 di Marin Mersenne, fu perfezionato nel corso del XVIII secolo. Apprezzato da Johann Sebastian Bach, il lautenwerk restò però sempre allo stadio di prototipo, non raggiungendo mai una reale diffusione nel mondo della musica.
    • Archicembalo, clavicembalo basato su una divisione dell'ottava in 19 tasti, secondo i principi enunciati da Nicola Vicentino nel 1555.
    • Clavicembalo a tre manuali di Hieronymus Albrecht Hass, costruito nel 1740, dispone di ben sei registri (dei quali uno da 16') ripartiti su tre tastiere. È, con ogni probabilità, il clavicembalo più complesso mai realizzato.[6]

    Confronto con altri strumenti a tastiera

    Fra gli strumenti a tastiera, se si eccettua l'organo, il clavicembalo era certamente il più diffuso in Europa prima dell'avvento del pianoforte. Nell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, ad esempio, il clavicembalo è definito semplicemente come "strumento musicale in cui le corde sono fatte suonare mediante una tastiera, simile a quella dell'organo" (a questa definizione segue una dettagliatissima descrizione della costruzione di un tipico clavicembalo francese a due manuali del XVIII secolo)[7]. Tuttavia nei secoli XVI-XVIII coesistevano con il clavicembalo altri strumenti a corde dotati di tastiera, con un diverso meccanismo di produzione del suono.
    Il più diffuso era il clavicordo, esteriormente simile a una spinetta, in cui però le corde erano percosse da lamelle metalliche, anziché pizzicate. Un significativo confronto delle caratteristiche del clavicordo rispetto al clavicembalo si trova nel trattato di Carl Philipp Emanuel Bach (1753), dove si legge
    « Fra i vari tipi di strumenti a tastiera, alcuni dei quali rimangono sconosciuti perché difettosi e altri perché non ancora introdotti dappertutto, due in particolare hanno riscosso finora il maggior plauso: il clavicembalo e il clavicordo. Il primo si adopera generalmente per composizioni complesse, l'altro da solo. [...] Ogni cembalista dovrebbe avere un buon clavicembalo e un buon clavicordo per poter suonare entrambi gli strumenti alternativamente. Chi suona bene il clavicordo riuscirà bene anche al clavicembalo, ma non viceversa. Si deve quindi usare il clavicordo per raffinare l'interpretazione e il clavicembalo per rinforzare le dita. Chi suona esclusivamente il clavicordo incontra molte difficoltà se suona il clavicembalo. Gli riesce perciò faticoso accompagnare altri strumenti al clavicembalo, cosa che è peraltro impossibile sul clavicordo, data l'esile voce. [...] L'uso esclusivo del clavicembalo, invece, abitua a suonare in un colore uniforme; e quelle varietà di tocco che può produrre un buon clavicordista vengono a mancare. Ciò sembrerà strano, poiché si crede che un clavicembalo debba produrre sempre lo stesso tipo di suono con qualsiasi tocco. Si può facilmente fare una prova: chiedete a due persone, di cui una suoni bene il clavicordo e l'altra sia un semplice clavicembalista, di suonare a turno su quest'ultimo strumento lo stesso pezzo con i medesimi abbellimenti, e giudicate poi se entrambi hanno ottenuto lo stesso effetto. »
    (Carl Philipp Emanuel Bach[8])
    Una terza modalità di produzione del suono si incontra in uno strumento a tastiera di scarsissima diffusione, il Geigenwerk, in cui le corde sono sfregate da ruote di legno messe in rotazione da un pedale. Come nell'organistrume nella ghironda, quando si preme un tasto la corda corrispondente viene avvicinata alla ruota, producendo un effetto analogo agli strumenti ad arco. Questo strumento fu descritto per la prima volta da Leonardo da Vinci, ma ne furono prodotti esemplari anche nel XVII secolo.

    Il clavicembalo nei secoli XIX e XX

    Il clavicembalo continuò ad essere usato come strumento di accompagnamento nell'opera lirica fino alla prima metà del XIX secolo, ma come strumento solista fu abbandonato dai compositori in favore del pianoforte.
    Nel XX secolo, con il crescente interesse per la musica antica e la ricerca di diverse sonorità, alcuni nuovi pezzi sono stati scritti per questo strumento. Alcuni concerti furono scritti da Francis Poulenc (il Concert champêtre),Manuel de Falla e Henryk GóreckiBohuslav Martinu ha scritto sia un concerto che una sonata, mentre il Concerto Doppio di Elliott Carter è per clavicembalo, pianoforte e orchestra da camera. György Ligeti ha composto un certo numero di opere per lo strumento solo (tra cui Continuum). Tra i compositori italiani, Goffredo Petrassi ha scritto diverse composizioni per clavicembalo, tra le altre la Sonata da Camera, per clavicembalo e 10 strumenti, e la Serenata, per 5 strumenti. Tra gli 8 dialoghi di Gian Francesco Malipiero, il sesto è dedicato al clavicembalo, quasi ad omaggiare l'antica civiltà strumentale italiana del '600 e '700 tanto amata dal compositore veneziano. Da ricordare anche Doubles (1961) e Portrait per clavicembalo e orchestra (1977) di Franco Donatoni, oltre a Mordenti di Ennio Morricone. Più di recente, il clavicembalista Hendrik Bouman ha composto in stile barocco 32 assoli, 1 Concerto per clavicembalo e 2 composizioni di musica da camera con clavicembalo obbligato.

    L'esecuzione "filologica" del repertorio clavicembalistico nel XX secolo

    Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Categoria:clavicembalisti.
    Un primo recupero del clavicembalo nell'esecuzione del repertorio originariamente destinato a questo strumento (nel corso del XIX secolo le opere per tastiera di BachHaendel e Domenico Scarlatti erano eseguite al pianoforte) si ebbe all'inizio del Novecento, soprattutto per iniziativa della clavicembalista polacca Wanda Landowska (1879-1959). La Landowska utilizzava un clavicembalo costruito da Pleyel, piuttosto somigliante ad un pianoforte. Strumenti come questo, anche se oggi considerati non appropriati per la musica del XVII e del XVIII secolo, conservano un'importanza per la musica che è stata composta, nella prima metà del Novecento e fino agli anni '60, appositamente per quel tipo di clavicembalo.
    La vera svolta si ebbe negli anni '60 del Novecento con la nascita, in Europa e nel Nordamerica, di un nuovo orientamento in ambito musicale: il movimento "filologico", che considera gli strumenti d'epoca (o le copie di strumenti originali) elementi irrinunciabili per una corretta prassi esecutiva della musica del passato. I primi strumenti realizzati secondo le tecniche costruttive antiche e copiando fedelmente strumenti originali si ebbero grazie alla pionieristiche iniziative di costruttori del mondo anglosassone come Frank Hubbard e William Dowd e tedesco come Martin Skowroneck, seguiti in anni più recenti da un gran numero di costruttori. Negli stessi anni, interpreti come Gustav LeonhardtKenneth GilbertRalph Kirkpatrick sono stati i capostipiti di generazioni di esecutori, sempre più numerose nei decenni successivi, che hanno ulteriormente approfondito lo studio della prassi esecutiva e delle fonti dell'epoca, e hanno riportato in luce un repertorio sempre più vasto.

    Nella musica leggera

    Anche se il suo impiego nella musica leggera, come quello di tutti gli strumenti antichi, è piuttosto limitato, viene usato piuttosto spesso nel baroque pop (chiamato anche baroque rock), genere che, derivando da una fusione tra il rock e la musica classica barocca, utilizza strumenti tipici di quest' ultima (un esempio è Because dei Beatles).

    Produttori

    • Germania (del passato): Michael Mietke, Gottfried Silbermann, Christian Zell; (contemporanei): Wittmayer, Michael Walker, Sassmann, Detmar Hungerberg, Volker Platte, Ammer, Eckehart Merzdorf, Georg Ott, Dietrich Hein, William Jurgenson, Klemens Schmidt (Bayreuth), Sperrhake, Martin-Christian Schmidt
    • Svizzera: Bernhard Fleig, Jörg Gobeli, Markus Krebs, David Ley, Mirko Weiss
    • Italia: Konrad Hafner
    • Inghilterra: Burkhardt Tschudi, Hitchcock, John Broadwood & Sons
    • Belgio: Ruckers

    Note

    1. ^ Dal documento redatto da un anonimo giurista padovano risulta che un tale Hermann Poll affermava di aver inventato uno strumento chiamato 'clavicembalum' (The New Grove Dictionary of Music and Musicians, voce "Harpsichord").
    2. ^ V. Les traités d'Henry-Arnaut de Zwolle et de divers anonymes, cit. in Bibliografia.
    3. ^ Clavicembalo su Treccani.it – Vocabolario Treccani on lineIstituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011.
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    5. ^ Voce clavicitherium, New Grove Dictionary of Music and Musicians
    6. ^ Kottick, 2003, p. 311.
    7. ^ Voce "clavecin", Encyclopédie vol. III, 1753
    8. ^ Carl Philipp Emanuel Bach, Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen (1753), trad. it. Gabriella Gentili Verona, Ed. Curci, Milano 1973, pp. 25-27

    Bibliografia

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    • The New Grove Dictionary of Musical Instruments, diretto da Stanley Sadie, London, MacMillan, 1984, vol. 2, ISBN 0-333-37878-4, pagg. 164-199 [voce redatta da Edwin M. Ripin, Howard Schott, John Barnes, G. Grant O'Brien, William Dowd, Denzil Wraight]
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    • Howard Schott (a cura di), The Historical Harpsichord, volumi 1/2/3/4, New York/Stuyvesant/Stuyvesant/Hillsdale, Pendragon Press, 1984/1987/1992/2002, ISBN 0-918728-29-0 / ISBN 0-918728-54-1 / ISBN 0-945193-26-2 /ISBN 0-945193-75-0 [contengono interessanti contributi, tra i quali: Frank Hubbard, Reconstructing the Harpsichord; William Dowd, The Surviving Instruments of the Blanchet Workshop; Howard Schott, The Metallurgy of 17th and 18th Century Music Wire; Sheridan Germann, Harpsichord Decoration]
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    • Jakob AdlungMusica Mechanica Organoedi. Das ist: Gründlicher Unterricht von der Struktur, Gebrauch und Erhaltung, etc. der Orgeln, Clavicymbel, Clavichordien und anderer Instrumente..., Berlin, Friedrich Wilhelm Birnstiel, 1768; rist.: Kassel, Bärenreiter, 1961 [v. vol. II, cap. XXII]