giovedì 25 settembre 2014

Galadriel: le origini dei suoi poteri magici e la crescita del suo ruolo nella Terra di Mezzo





Il personaggio di lady Galadriel, regina degli elfi di Lothlorien, è dotato di poteri straordinari rispetto a quegli degli altri elfi.

Può leggere nel pensiero e comunicare telepaticamente, può vaticinare il futuro, operare guarigioni e contrastare con la sua magia persino lo stesso Sauron, scacciandolo dalla fortezza di Dol Guldur (l'evento, raccontato nelle appendici del Signore degli Anelli, sarà reso cinematograficamente nel terzo capitolo della saga de "Lo Hobbit" e cioè "La battaglia delle cinque armate").

Da dove le derivano tutti questi poteri e qual è la ragione del suo ruolo centrale come guardiana della Terra di mezzo?
I poteri le derivano principlamente dal fatto di essere la detentrice di uno dei più importanti anelli del potere, uno dei "tre anelli ai re degli Elfi", e cioè Nenya, l'Anello di Diamante.





Sappiamo che gli altri due anelli sono detenuti da Elrond (il cui anello Vilya gli concede la possibilità di nascondere se stesso e il suo riparo di Gran Burrone agli occhi del nemico) e da Gandalf (che lo ricevette da Cirdan, che a sua volta l'aveva ereditato da Gil-Galad) il quale tiene sempre in tasca l'anello Narya, l'anello del Fuoco, che gli dà l'energia per i suoi lunghi viaggi e conferisce maggiori poteri al suo bastone in grado di scatenare la fiamma di Anor.

Ma gran parte del carisma di Galadriel le deriva dalla sua storia personale e dalla sua lunghissima vita, lunga Tre Ere (per un totale di oltre seimila anni).

La giovinezza di Galadriel viene narrata ne Il Silmarillion il terzo grande romanzo (che è in realtà una raccolta di racconti mitologici) di J.R.R. Tolkien, uscito postumo nel 1977.

Ci sono alcuni dati essenziali che meritano di essere tenuti presenti, anche in vista del ruolo di Galadriel ne "La battaglia delle cinque armate", che uscirà il 17 dicembre al cinema.

Galadriel nasce a Valinor, nel Continente Occidentale, durante la Prima Era.

Suo padre è Finarfin, re dei Noldor e sua madre è Earwen di Alqualonde, principessa dei Teleri.




Noldor
Finarfin
Eärwen
Finrod
Felagund
Orodreth
Angrod
Aegnor
Galadriel
Celeborn
Finduilas
Elrond
Celebrían

Arwen

Pur essendo all'inizio reverente nei confronti dei Valar, Galadriel si ribellò a loro quando essi pretesero che suo zio Feanor consegnasse loro le gemme dei Silmaril, da lui creati, come punizione per aver accettato gli insegnamenti di Melkor.  Feanor accusò i Valar di essersi comportanti ingiustamente nei confronti della Casata reale dei Noldor, e invitò tutti i suoi parenti a lasciare Valinor, dirigendosi verso est.

Finarfin ed Earwen rimasero a Valinor, ma Galadriel e i suoi fratelli seguirono Fëanor, giungendo nella Terra di Mezzo, nel Beleriand, dove fondarono i primi grandi e gloriosi reami elfici, sotto la guida di Fingolfin, succeduto al fratello Feanor. 

Durante il soggiorno nel reame boscoso del Doriath, presso Elwe Thingol, suo zio materno, conobbe Celeborn, un elfo telerin, e lo sposò, ma la loro quiete fu interrotta dalla caduta del regno di Thingol e Melian. Dopo la rovina del Doriath, si trasferirono al di là degli Ered Lindon, prima della distruzione del Beleriand.



Durante la Seconda Era, dimorarono inizialmente vicino ad Annúminassul lago Evendim, a nord della futura Contea. Nel 700 si recarono a est fondando il regno di Eregion e presero contatto con gli Elfi dell'Anduin, i Nandor, lontani congiunti di Celeborn, a quel tempo dislocati in una superficie boschiva che si estendeva su entrambe le rive per alcune decine di miglia e comprendeva anche Dol Guldur.



Qui Celebrimbor, nipote di Feanor, forgiò, con l'aiuto dei nani della stirpe di Durin, gli anelli del potere e diede a Galadriel lo splendido Nenya, uno dei "Tre Anelli ai re degli Elfi".

Dopo la distruzione dell'Eregion ad opera di Sauron, appoggiò l'Ultima Alleanza tra gli elfi e gli uomini. Celeborn combattè insieme ad Elrond e al re supremo Gil-Galad, nella battaglia di Dagorlad dove Sauron fu per la prima volta sconfitto, e perse l'Anello, sottrattogli da Isildur.

Nella Terza Era, Galadriel e Celeborn si trasferirono prima a Gran Burrone, poi nel Belfalas, nella futura Dol Amroth, e poi definitivamente a Lórien, dove fondarono il regno di Caras Galadhon.
Fu in questi anni che la loro unica figlia Celebrian sposò Elrond, erede della stirpe reale dei Noldor per parte del padre Earendil e della stirpe reale dei Teleri tramite la madre Elwing.





Celebrian diede ad Elrond tre figli: i gemelli Elladan ed Elrohir e poi Arwen, detta Undomiel ("Stella del Vespro").
Successivamente Celebrian, di ritorno da Lorien a Gran Burrone, fu colpita da una freccia avvelenata degli orchi e imprigionata. 

Avendo subito orribili torture, perse la voglia di vivere e non poté essere curata neppure con la magia elfica.  Partì dunque per l'Ovest, nelle terre di Valinor e non si seppe più nulla di lei.




La perdita di Celebrian fu un colpo durissimo, in particolare per Elrond e Galadriel, e li spinse a vigilare maggiormente contro il ritorno delle forze del Nemico.

E' anche per questa ragione che Galadriel fonda, insieme ad Elrond, Gandalf e Saruman. il Bianco Consiglio, per sorvegliare sulla pace vigilata che regna nella Terra di Mezzo, sospettando che Sauron stia preparando la rivincita.
Il resto degli eventi è talmente noto che non occorre ritornarci.
Galadriel purifica la fortezza di Dol Guldur dalla presenza di Sauron e successivamente sarà di grande aiuto nell'impresa di Frodo Baggins per la distruzione dell'anello del potere.

Con la scomparsa dell'Unico Anello la decisione per gli Alti Elfi è quella di tornare a Valinor; così Galadriel, parte dalla Terra di Mezzo insieme ad Elrond, Gandalf, Frodo, Bilbo Baggins, verso le Terre Imperiture, salpando il 29 settembre del 3021 della Terza Era, per andare a riunirsi alla Casa di Finarfin.

mercoledì 24 settembre 2014

I Valar



Valar sono le cosiddette Potenze del Mondo[1] che vivono nel Reame Beato di Valinor [2] la più occidentale tra le terre di Arda, e possono essere equiparati agli "dei", ciascuno abbinato ad un diverso elemento. I Valar sono quegli Ainur (entità create dal pensiero di Eru Ilúvatar) che hanno deciso di proseguire la loro esistenza all'interno di , l'universo da loro stessi ideato col loro canto.

Elenco dei Valar

Fra tutti i Valar, nove sono considerati supremi in potere e in considerazione. Melkor viene però generalmente tolto dal novero, facendo sì che ne rimangano otto, gli Aratar, i Supremi di Arda, in ordine: Manwë e Varda, Ulmo, Yavanna e Aulë, Mandos, Nienna e Oromë. Questi sono considerati superiori rispetto a qualunque altro Valar, Maiar e a tutte le altre specie inviate da Ilúvatar in Eä.
  • Manwë detto Súlimo, Re dei Valar, Supremo Sovrano di Arda, Signore dell'Aria;
  • Ulmo, Re del Mare, Signore delle Acque;
  • Aulë detto Mahal ovvero il Fabbro, Signore della Terra;
  • Oromë detto Aldaron, il Grande Cavaliere, Signore delle Foreste;
  • Námo detto Mandos, il Giudice, Signore della Morte e del Destino; fratello maggiore di Lòrien, risiede nelle Aule di Mandos
  • Irmo detto LórienSignore del Desiderio; fratello minore di Námo (o Mandos), e insieme sono indicati come Fëanturi ("I Signori degli Spiriti"). Di solito viene chiamato Lórien, dal luogo dove dimora, ed i suoi giardini che in Lórien sono situati, sono i più belli di tutta Arda. È il Signore delle Visioni e dei Sogni e il suo nome significa "Desiderante" o "Signore del Desiderio".
  • Tulkas detto Astaldo, il Valoroso, il Campione di Valinor, Signore della Guerra
  • Melkor detto Morgoth, Oscuro Signore, Fiamma di Udun, Creatore del Male, Signore del Fuoco

Le Regine dei Valar (Valier)

  • Varda Elbereth Elentári, Signora delle Stelle; sposa di Manwe Sùlimo
  • Yavanna detta Kementári, Palúrien, Dispensatrice di Frutti, Regina della Terra; sposa di Aulë
  • NiennaSignora della Tristezza; è stato il suo pianto ad ispirare negli altri Dei misericordia verso i mortali
  • Estë la Guaritrice, Signora della Pace. Il suo nome significa riposo. Suo sposo è Irmo, e vive con lui nei giardini di Lórien in Valinor. Durante il giorno non cammina, ma riposa nell'isola del lago Lórellin. Dalle fontane di Irmo ed Estë chiunque abiti in Valinor può rinfrescarsi;
  • Vairë la Tessitrice, Signora della Storia; sposa di Mandos, tesse continuamente delle tele che raffigurano tutta la storia del mondo;
  • Vána la Sempregiovane, Signora della Primavera; sorella di Yavanna e sposa di Oromë. Al suo passaggio i fiori si aprono e gli uccelli cantano allegramente.
  • Nessa la Danzatrice, Signora della Femminilità; è nota per la sua velocità e la sua agilità, per la sua capacità di comunicare con i cervi che la seguono tra la natura e per il suo amore per la danza nelle terre sempreverdi di Valinor; sposa di Tulkas. È anche nota per la sua bellezza pura e per l'amore che suscita il suo sguardo.

Note

  1. ^ Tolkien, Silmarillion., p.17
  2. ^ Tolkien, op. cit., p.38

Artemisia di Caria, la vera storia della regina che comandò la flotta di Persia


Artemisia I di Caria (in greco antico Aρτεμισία, traslitterato in ArtemisìaAlicarnasso, fine VI secolo a.C. – V secolo a.C.) fu regina di Alicarnasso, in Asia minore, e dei territori annessi di CooNisiro e Calinda.
È ricordata soprattutto per la sua partecipazione alle battaglie di Capo Artemisio e di Salamina (480 a.C.) come alleata dell'Impero achemenide contro la coalizione greca, nel corso dellaseconda guerra persiana

Artemisia, unica donna col grado di comandante nella flotta di Serse, era alla guida di cinque triremi, che avevano un'ottima reputazione fra tutte le navi del Re dei Re, seconda solo a quella delle navi di Sidone.

Biografia

Origini e famiglia

Artemisia, il cui nome deriva dalla dea della caccia Artemide, nacque da Ligdami I (in greco antico Λύγδαμις, traslitterato in Lygramis), il satrapo di Alicarnasso,[1][2] e da una donnacretese, della quale non si conoscono i dati anagrafici.[3]
Alla morte del marito, il cui nome è pure ignoto, Artemisia salì al trono come tutrice del figlio Pisindeli (in greco antico Πισίνδηλις, traslitterato in Pisìndelis), a causa della sua minore età.[4] Il suo regno, che dipendeva formalmente dall'impero achemenide, si estendeva per la regione della Caria, nell'odierna Turchia, e comprendeva la capitale Alicarnasso, la città alleata di Calinda e le isole di Coo e di Nisiro.

Regina di Caria


Schizzo di una trireme, il tipo di nave utilizzato da Artemisia.
Da regina, Artemisia evidentemente preferiva la navigazione e la guerra alla vita di corte. Polieno riporta infatti che la regina era solita cambiare repentinamente le insegne e i colori della sua trireme, fingendosi una nave greca o persiana a seconda delle imbarcazioni incrociate quando navigava in acque internazionali, per ingannare così gli equipaggi delle altre navi ed allontanarsi indisturbata o attaccare di sorpresa a seconda delle circostanze.[5]
Secondo la testimonianza di Tessalo, figlio di Ippocrate, quando Serse chiese agli abitanti dell'isola di Coo di sottomettersi a lui, avendo ricevuto un netto rifiuto, inviò Artemisia a conquistare l'isola, a dimostrazione della fiducia che nutriva in lei.[6]
Polieno riporta che quando Artemisia volle conquistare la città di Eraclea al Latmo, fece nascondere i suoi soldati vicino alla città e si recò invece lei stessa in processione, con altre donne, eunuchi e musicisti, alla tomba della Madre degli dèi, che si trovava a sette stadi dalla città. Gli abitanti, incuriositi, seguirono il corteo per assistere al sacrificio lasciando sguarnite le mura difensive e consentendo così ai soldati di Artemisia di prendere facilmente la città.[7]

Battaglia di Capo Artemisio

Artemisia I
Dati militari
Paese servitoimpero achemenide
GradoRegina di Caria
GuerreSeconda guerra persiana
BattaglieBattaglia di Capo Artemisio
Battaglia di Salamina
Comandante diCinque triremi
Vedi Bibliografia
voci di militari presenti su Wikipedia
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Quando Serse I di Persia invase la Grecia nel 480 a.C., dando inizio alla seconda guerra persiana, Artemisia partecipò alla spedizione in quanto alleata e suddita del gran re. La regina partì al comando delle sue cinque triremi e si unì al resto dell'imponente flotta persiana, che contava oltre mille navi. Secondo Erodoto, Artemisia era l'unica comandante di sesso femminile di tutte le forze armate radunate da Serse[8] e le sue triremi avevano la miglior reputazione di tutta la flotta, seconda solo a quella delle navi provenienti da Sidone.[3]
Artemisia partecipò alla battaglia di Capo Artemisio contro la coalizione ellenica, guidata dall'ateniese Temistocle e dallo spartano Euribiade. Questa battaglia navale, che fu combattuta contemporaneamente alla battaglia delle Termopili nell'agosto del 480 a.C., si risolse senza né vinti né vincitori. Artemisia, secondo Erodoto, si distinse in essa in modo "non inferiore" agli altri comandanti persiani.[8]

Battaglia di Salamina

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Dopo la battaglia di Capo Artemisio, Mardonio, il comandante supremo delle forze armate persiane, convocò tutti i comandanti dell'esercito persiano per chiedere loro consiglio, su mandato di Serse, se attaccare via mare o via terra. Tutti i generali, secondo il racconto di Erodoto, consigliarono di procedere con un'altra battaglia navale, con la sola eccezione di Artemisia, che invece suggeriva uno scontro campale fra i rispettivi eserciti.[8]
Artemisia sosteneva infatti che, mentre la superiorità dell'esercito di Serse era schiacciante,[9] sul mare erano i Greci a dimostrarsi superiori. Inoltre, secondo la regina, Serse avrebbe fatto meglio a risparmiare le sue navi, tenendole vicino a riva o al limite muovendosi verso il Peloponneso.[10] Un'eventuale sconfitta navale, secondo Artemisia, avrebbe seriamente compromesso i rifornimenti e il morale delle truppe. Inoltre, in caso di scontro in mare, il re non avrebbe probabilmente potuto contare sulle navi alleate che provenivano dall'Egitto, dalla Panfilia, da Cipro e dalla Cilicia, che la regina riteneva non completamente affidabili per una battaglia navale.[11]
Secondo il racconto di Erodoto, Serse tenne in grande considerazione il discorso di Artemisia, che stimava molto, ma preferì dar retta al resto dei comandanti, che spingevano invece per la battaglia navale, convinto che questa volta i suoi avrebbero avuto la meglio, sapendo che il re in persona avrebbe assistito alla battaglia da un trono situato sul Monte Egaleo.[12] La flotta persiana mosse quindi verso l'isola di Salamina, dove la flotta greca, guidata ancora daTemistocle e da Euribiade, la stava aspettando al varco (settembre 480 a.C.).
Nonostante l'inferiorità numerica, la flotta greca ebbe la meglio su quella persiana, grazie alla strategia vincente dei suoi comandanti. Quando ormai la sorte della flotta persiana era segnata, Polieno racconta che Artemisia, vistasi ormai perduta, mise in atto il suo stratagemma che aveva già usato in altre occasioni, per salvare la sua vita e la sua nave ammiraglia. Ordinò quindi ai marinai di sostituire prontamente le insegne della nave, che riportavano i colori e i simboli della flotta persiana, con altri contrassegni, preventivamente preparati allo scopo, che riportavano invece i colori e i simboli della flotta greca.[13] In questo modo, le navi greche che si erano avvicinate alla sua ammiraglia, la scambiarono per una trireme loro alleata, evitando quindi di attaccarla. Per perfezionare l'inganno, Artemisia ordinò al suo equipaggio di attaccare la nave che si trovava a lei vicina, ovvero la trireme comandata dal re di Calinda, Damasitimo (in greco antico Δαμασίθυμος, traslitterato in Damasithymos), suo suddito e alleato.

La battaglia di Salamina di Wilhelm von Kaulbach, 1868.
La nave di Damasitimo, colta di sorpresa, fu rapidamente affondata e il re di Calinda trovò la morte in mare, ucciso dalla sua stessa comandante. Secondo il racconto di Erodoto, Artemisia aveva probabilmente un conto in sospeso con Damasitimo, tanto che lo storico di Alicarnasso insinua che l'affondamento della nave alleata potesse essere in realtà una manovra del tutto intenzionale da parte della regina, che avrebbe così colto un'occasione d'oro per eliminare lo scomodo subalterno.[14] In ogni caso, nessuno della nave affondata da Artemisia sopravvisse per poterla poi accusare formalmente.[14]
Aminia, il trierarca ateniese che Artemisia aveva di fronte nel momento dell'affondamento della nave di Damasitimo, ingannato dallo stratagemma della regina si allontanò dirigendosi verso un altro settore dello scontro navale.[14][2] Erodoto sottolinea che Aminia sicuramente non aveva riconosciuto la nave della regina, in quanto gli Ateniesi avevano promesso una ricchissima ricompensa di diecimila dracme a chi avesse ucciso Artemisia, dato che reputavano del tutto intollerabile che una donna muovesse guerra contro Atene.[14]
Secondo lo storico di Alicarnasso, Serse, osservando dal suo trono in terraferma la manovra di Artemisia e la contemporanea e completa disfatta della sua flotta, esclamò: "I miei uomini sono diventati donne e le mie donne sono diventate uomini".
Plutarco testimonia che Artemisia, ritirandosi dal teatro dello scontro navale, riconobbe in mare il cadavere di Ariamene (in greco antico Ἀριαμένης, traslitterato in Ariaménes), il fratello di Serse caduto in battaglia. Ne recuperò quindi il corpo e lo riportò al re per gli onori funebri.[15]

Dopo la battaglia di Salamina

Secondo la testimonianza di Erodoto, Serse, dopo la sconfitta di Salamina, chiese consiglio ad Artemisia su come continuare la guerra, ovvero se guidare l'esercito personalmente contro i Greci oppure ritirarsi in Persia e lasciare il comando a Mardonio. Artemisia suggerì al Re dei Re quest'ultima ipotesi: secondo la regina di Caria, infatti, se Mardonio avesse vinto la guerra, il merito sarebbe andato a Serse, mentre se avesse perso, il Re dei Re sarebbe stato al sicuro a casa e la colpa della sconfitta sarebbe caduta sul generale.[16] Serse seguì il consiglio di Artemisia e tornò in Persia,[17] lasciando il comando a Mardonio che sarebbe stato definitivamente sconfitto a Platea dalla coalizione greca guidata da Pausania. Il re dei re ricompensò Artemisia con una armatura greca per il coraggio dimostrato[2] e la inviò ad Efeso a prendersi cura dei suoi figli illegittimi.[17]
Le fonti antiche non registrano altre notizie su Artemisia, se non una leggenda tarda, riportata da Fozio, secondo la quale si sarebbe gettata in mare dalla rocca di Leucade per essere stata respinta da un uomo chiamato Dardano.[18]
Le succedette sul trono di Caria il figlio Pisindeli, a sua volta padre di Ligdami II, il re che era al potere quando Erodoto, che era originario di Alicarnasso, lasciò la città per recarsi a Samo.

Nella cultura di massa

Artemisia I di Caria è interpretata dall'attrice di Guernsey Anne Wakefield nel film L'eroe di Sparta (The 300 Spartans) del 1962 e dall'attrice francese Eva Green nel film 300 - L'alba di un impero del 2014.

Note

  1. ^ Pausania, Periegesi della Grecia, 3, 11.
  2. ^ a b c Polieno, Stratagemmi, 8, 53, 2.
  3. ^ a b Erodoto, Storie, 7, 99.
  4. ^ SudaErodoto.
  5. ^ Polieno, Stratagemmi, 8, 53, 3.
  6. ^ Müller, op. cit., pag. 460.
  7. ^ Polieno, Stratagemmi, 8, 53, 4.
  8. ^ a b c Erodoto, Storie, 8, 68.
  9. ^ Erodoto, Storie, 8, 68(a).
  10. ^ Erodoto, Storie, 8, 68(b).
  11. ^ Erodoto, Storie, 8, 68(c).
  12. ^ Erodoto, Storie, 8, 69.
  13. ^ Polieno, Stratagemmi, 8, 53, 1.
  14. ^ a b c d Erodoto, Storie, 8, 87.
  15. ^ Plutarco, Vita di Temistocle, 14.
  16. ^ Erodoto, Storie, 8, 102.
  17. ^ a b Erodoto, Storie, 8, 103.
  18. ^ Fozio, Biblioteca, Codice 190.

Bibliografia

Fonti primarie
Fonti secondarie