I sudditi polacchi godevano di grande libertà e un
sistema parlamentare, anche se i benefici di quest'ultimo erano limitati alla
szlachta (nobiltà).
Da quel tempo i polacchi si sono dati il nome di Nazione della gente libera.
La prima spartizione e la sottomissione allo straniero
Nei successivi 80 anni, l'elettività del sovrano e il principio del liberum veto nella
Camera dei deputati della Polonia provocarono lo svanire del potere centrale ed il raggiungimento di un punto morto nelle istituzioni, indebolirono la nazione, e portarono alla sottomissione da parte di
Austria,
Prussia e soprattutto
Russia.
Il secondo stato polacco nacque però sotto cattivi auspici, in quanto soltanto una parte del territorio era abitato da cittadini polacchi e cattolici, mentre tutta la parte orientale era di etnia bielorussa e ucraina, di religione ortodossa.
Il centralismo polacco si scontrava con la natura multietnica dello stato che era emerso dalla Conferenza di Pace di Parigi e dal Trattato di Versailles.
Ad aggravare la situazione c'era il fatto che lo sbocco al mare, preteso dai polacchi, divideva in due il territorio della Germania, già duramente penalizzata, sia in termini di perdite territoriali che riguardo alle onerose sanzioni di guerra.
La Prussia orientale si trovava infatti divisa dal resto del territorio tedesco e questo diede poi a Hitler il pretesto per l'invasione del territorio polacco, il primo giorno di settembre del 1939, poco dopo che il Terzo Reich e l'Unione Sovietica avevano deciso la Seconda Spartizione della Polonia, che causò poi l'intervento di Gran Bretagna e Francia e l'inizio della seconda guerra mondiale.
Nel 1941, quando Hitler, con l'Operazione Barbarossa, dichiarò guerra all'Unione Sovietica, anche il resto della Polonia fu invaso dai nazisti.
Parte di essa divenne un Governatorato Generale, dove si applicò con spietatezza inaudita lo sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento.
Al termine della seconda guerra mondiale la Polonia tornò ad esistere, ma alle condizioni poste dall'Unione Sovietica, che ne ridefinì i confini e cacciò tutti i tedeschi prussiani dal territorio, annettendo l'enclave di Koenigsberg, che fu rinominata Kaliningrad ed appartiene tutt'ora alla Federazione Russa.
In compensazione alla
Polonia furono assegnati alcuni ex territori
tedeschi: i due terzi della parte meridionale della
Prussia orientale, tutta la
Pomerania, la
Posnania e la
Slesia, fino alla
linea Oder-Neisse. La popolazione tedesca fu espulsa e queste regioni furono ripopolate con i polacchi espulsi dai territori orientali o provenienti dalla
Polonia centrale. L'area di
Zaolzie, annessa dalla Polonia dopo l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia nel 1938, fu restituita a quest'ultima per volere di
Stalin.
Durante la guerra fredda la Polonia entrò a far parte della sfera geopolitica sovietica, stabilita dal Trattato di Varsavia e successivamente dal Comecon.
Negli anni '80, a fronte delle proteste del sindacato cattolico Solidarnosc, guidato dal futuro presidente Lech Walesa, il generale filocomunista Jaruzelsky prese il potere con un colpo di stato e governò fino al 1989, anno della caduta dei regimi comunisti nell'Europa orientale.
Attualmente la Polonia è divisa al suo interno tra una parte occidentale filo-europea e filo-americana e una parte orientale conservatrice, nazionalista e isolazionista, che trovò espressione nel periodo in cui i gemelli Katzinsky divennero rispettivamente presidente della repubblica e primo ministro.
La Polonia è uno degli stati dove la religione cattolica è vissuta in maniera più intensa, come specifica salvaguardia dell'identità nazionale, da sempre minacciata ad ovest dai protestanti tedeschi e ad est dagli ortodossi russi.
Attualmente la Polonia è l'avamposto orientale della Nato, in cui è entrata nel 1999
Dopo l’uscita dal comunismo nel 1989, Varsavia ha conseguito numerosi successi, sia economici sia politici, tanto che non solo viene considerata un esempio per molti dei paesi che si sono sottratti agli influssi di Mosca, ma anche in Europa se ne parla non di rado con una punta di invidia.
Nonostante la crisi abbia raggiunto anche la Polonia, gli indicatori economici continuano a mantenersi su buoni livelli, almeno in confronto a molti paesi europei, dove sono decisamente peggiori. Gli standard di vita dei cittadini, tanto quelli individuali quanto quelli collettivi, stupiscono positivamente coloro che dopo anni giungono di nuovo sulle rive della Vistola.
Per di più Donald Tusk è già al suo secondo mandato e mira a ottenerne un terzo, quasi a voler seguire il modello della cancelliera Merkel; sarebbe effettivamente un risultato impressionante e piuttosto raro non soltanto nella Polonia contemporanea. È inoltre fuori d’ogni dubbio che la stima personale per il premier polacco si sia notevolmente rafforzata all’interno dell’Unione Europea: non a caso viene citato tra i candidati alle più alte cariche di Bruxelles. Qualsiasi sondaggio mostra per giunta che la maggioranza dei polacchi è soddisfatta della propria vita e sprizza ottimismo.
Qui comincia la strada in salita. In quegli stessi sondaggi si evidenzia che la fiducia dei polacchi nel sistema democratico, nello Stato e le sue istituzioni, e in genere nei politici e nella politica tende a diminuire in maniera ormai costante. Le persone si preoccupano soprattutto di sé stesse, della propria famiglia e dell’ambiente circostante, partecipano meno volentieri alla vita pubblica e sono meno attive nel tutelare il bene comune. I polacchi si trovano anche in fondo alla classifica europea che misura la fiducia verso il prossimo: sono diffidenti e sospettosi. Questa tendenza dovrebbe risvegliare un senso di inquietudine; alcuni commentatori vi vedono i sintomi di una qualche profonda crisi, il preavviso di sconvolgimenti politici. D’altronde costoro si richiamano a fenomeni psico-sociologici simili che hanno luogo in altri Stati europei, all’aumento dell’aggressività sociale, al rinvigorimento di ideologie e movimenti nazionalisti, al rafforzamento di tendenze euroscettiche e, infine, a una diffusa e profonda erosione del modello demo-liberale. Non è questa la sede per approfondire la questione, tuttavia vorrei sottolineare che molti dei fenomeni della politica polacca fanno parte di una sorta di universo europeo, hanno un corrispettivo in altri luoghi, e anche le loro cause hanno in qualche modo un carattere non locale, ma globale.
Nondimeno in Polonia, come altrove, hanno luogo fenomeni politici endemici, sviluppatisi da tradizioni e contesti regionali o plasmati da forze e personalità nate quasi dal nulla, che compaiono all’improvviso e che altrettanto all’improvviso scompaiono. Spesso si tratta di movimenti peristaltici, di reazioni momentanee a pericoli e sfide provenienti dall’esterno, da un mondo che, a rigor del vero, porta con sé un bene innegabile - i polacchi hanno ottenuto molto con l’entrata nell’Unione Europea nel 2004 - ma che interviene anche criticamente e in vari modi nella loro vita, nella loro cultura, nei loro costumi o nel modo di professare la propria fede.
Il campo di battaglia quotidiano della politica polacca può essere rappresentato come una collisione tra queste tendenze e questi valori, una naturale ricerca da parte del sistema democratico di una via polacca tra passato e futuro, un equilibrio fra tradizione e modernità. Questo è più o meno anche il pensiero del premier Tusk, che governa secondo la regola “dell’acqua calda dal rubinetto”. Questa regola si può approssimativamente ricondurre a una manciata di premesse.
Nella precedente distribuzione di fondi comunitari, la Polonia ha ricevuto una grande somma di denaro dall’Unione Europea (67,3 miliardi di euro). Ora riscuoterà una somma ancora maggiore (105,8 miliardi di euro), ma si tratta sicuramente dell’ultima volta che il paese riceverà un regalo simile dalla storia; bisogna fare di tutto, dunque, per non sprecare questi fondi. Deve essere questo l’obiettivo del premier e il compito del patriottismo polacco. Da questo discorso emergono ulteriori premesse. Su questa una rotta positivista non c’è la necessità di trascinare la nazione alla maniera romantica: non servono, anzi possono addirittura risultare dannosi, i grandi progetti e le grandi riforme, i grandi ideali e l’accelerazione della rivoluzione morale o di quella culturale. Ci si deve incamminare nella storia insieme al popolo e non tentare di superarlo, bisogna decifrare i suoi bisogni e le sue ambizioni odierni. La politica dovrebbe servire soprattutto gli obiettivi prioritari della modernizzazione, dovrebbe essere razionale e prevedibile, aperta verso il mondo e verso i propri vicini, dovrebbe agire affinché l’Unione Europea sopravviva alla propria crisi interna.
A questa concezione è stato dato il nome di politica “dell’acqua calda nel rubinetto”. I suoi seguaci e gli elettori del partito attualmente al governo, Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska), sono stati soprannominati “i lemming”, una specie di roditori dotati, a quanto pare, di un gene dell’autodistruzione che li porta a commettere suicidi di massa. Si ritiene che una concezione e una politica di questo tipo diano risultati positivi in un periodo di prosperità, quando il clima sociale tende a migliorare e la gente vuole crogiolarsi nel consumismo e godersi semplicemente la vita, cosa che in Polonia - un paese colpito da pesanti esperienze storiche, tra cui il deficit del comunismo - ha un valore molto elevato.
Del resto, la rielezione di Piattaforma Civica e di Tusk per un secondo mandato (2011-) ha confermato l’approvazione generale per la rotta scelta. Ma poi qualcosa ha iniziato a guastarsi nella ricezione di questa politica. A partire dalla primavera del 2013 si è registrato nei sondaggi un calo della fiducia nel governo, nella figura di Tusk, in Piattaforma Civica, nel presidente della repubblica Bronisław Komorowski che ne fa parte; nonostante il governo abbia più volte tirato la briglia, non è stato in grado di invertire tali risultati. Ciò che è peggio, si sono visibilmente intersecate le curve che indicano l’andamento della fiducia nel maggior partito di opposizione, Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość), e nella Piattaforma. L’opposizione ha iniziato addirittura a dichiarare la sua prossima vittoria e forse persino un governo autonomo.
A differenza di Tusk, il capo dell’opposizione Jarosław Kaczyński ha un’ideologia, ha una concezione di come cambiare il paese e la sua politica e ne parla molto chiaramente e ad alta voce. L’idea prioritaria di Jarosław Kaczyński è la costruzione della Quarta Repubblica Polacca (la Prima è stata la Polonia che perse definitivamente l’indipendenza nella terza e ultima spartizione nel 1795, la Seconda quella degli anni 1918-1939) come risposta alla Terza Repubblica, nata nel 1989 e, a detta di Kaczyński, demoralizzata fin dalla sua origine da una collaborazione con gli ex comunisti e dominata dalla corruzione, ingiusta per definizione, ideata male e gestita male. La litania di obiezioni e accuse è enorme e ha anche la capacità inestinguibile di allargarsi e di arricchirsi, di comprendere un numero sempre maggiore di colpevoli, di avversari politici. Affinché un simile cambiamento della Repubblica Polacca abbia luogo bisogna ovviamente conquistare un potere stabile (quando Diritto e Giustizia ha governato tra il 2005 e il 2007 ha dovuto fare ricorso alla collaborazione con diverse controparti e a compromessi forzati) per poi procedere a una profonda ridefinizione dello Stato.
Se le numerose dichiarazioni del leader di Diritto e Giustizia venissero ridotte al loro significato più semplice, si potrebbero riassumere nel modo seguente. Un forte potere esecutivo e un forte potere giudiziario, ingerenza dello Stato nella sfera economica e in quella sociale, nazionalismo economico ed egoismo in politica estera. Conservatorismo morale, patriottismo cattolico e una politica storica estremamente attiva che mira a eliminare la vergogna del passato e, soprattutto, a costruire un orgoglio polacco che si ricolleghi alla tradizione indipendentista-insurrezionale e all’esaltazione romantica.
Un fondamento polacco, dunque, ma con una sovrastruttura ancor più polacca. Già questo è stato più che sufficiente affinché, durante i due precedenti bracci di ferro parlamentari, molti elettori dessero il proprio voto alla Piattaforma, tanto più che nella pratica del suo governo biennale Jarosław Kaczyński ha dimostrato più volte di avere la capacità e la prontezza di ricorrere ad azioni spietate e di aver fatto propria la massima secondo la quale il fine giustifica i mezzi. Non ha mai nascosto, né lo fa tuttora, che una volta ottenuta la vittoria impartirà crudeli punizioni e un triste destino ai propri avversari, tanto più che le emozioni del leader di Diritto e Giustizia non accennano a calare - tutt’altro.
Ovviamente la causa è la catastrofe aerea avvenuta nei pressi di Smolensk nell’aprile del 2010 in cui, tra gli altri, è scomparso il presidente della repubblica Lech Kaczyński, il fratello gemello di Jarosław. Questa tragedia e soprattutto i suoi successivi sviluppi e risvolti politici, nonché il montare della mitologia di Smolensk, sono senz’altro degni della penna di un grande drammaturgo. In ogni caso, il conflitto politico intorno alla Quarta Repubblica e al suo progetto ha acquisito da quel momento una dimensione a dir poco religiosa. Gli avversari, di fatto ormai nemici politici, sono stati collocati dalla parte del male diabolico. Anzi, sono stati addirittura accusati di aver causato un attentato aereo, di aver commesso un crimine, di aver cospirato con Mosca. Le commemorazioni annuali che ricordano la tragedia di Smolensk si sono tramutate in enormi comizi e cortei rituali, attorno vi sono nati club e associazioni sociali e religiose, è fiorita la creatività, sono stati girati film (alcuni documentari, tra cui il più famoso, “Anatomia di una caduta” (Anatomia upadku) di Anita Gargas, e un film, quasi terminato, diretto da Antoni Krauze e intitolato “Smoleńsk”) e scritti poemi.
Indubbiamente negli ultimi 10 anni Jarosław Kaczyński è stato in grado di creare un grande movimento e di sprigionare un'energia che assume forme molto diverse. Diritto e Giustizia si colloca a destra nello scenario politico polacco ma, cosa alquanto tipica di molte iniziative politiche simili in tutta Europa, fa uso di una retorica populista, si pone in difesa degli interessi dei deboli e degli “esclusi”, della “gente di provincia”, della famiglia, dei disoccupati e dei senzatetto. Va molto d’accordo con i sindacati più potenti, ma anche con la Chiesa, in modo particolare con padre Tadeusz Rydzyk, il redentorista che da Toruń amministra un potente consorzio mediatico che supporta in maniera univoca il cattolicesimo nazionale. Il suddetto sacerdote, in ogni caso, ha grandi ambizioni politiche, influenza la carriera di numerosi attivisti, è capace di condurre sia imponenti pellegrinaggi al santuario di Jasna Góra a Częstochowa sia comizi a Varsavia, spesso nel diretto interesse del proprio impero.
Intorno al partito di Kaczyński è cresciuta una rete di soggetti e forze politiche di destra. Diritto e Giustizia viene supportato da numerose e potenti testate giornalistiche (i cosiddetti giornalisti sfrontati, dziennikarze niepokorni) anche online, possiede i propri intellettuali di punta e i propri salotti. All’interno regnano l’assoluta disciplina e l’autocrazia del presidente, il quale espelle dal partito chi vuole in base al proprio umore e secondo le tattiche del momento. Nonostante gli svariati tentativi di creare, parallelamente a questo partito o al suo interno, opposizioni e scissioni, defezioni e riavvicinamenti, Diritto e Giustizia rimane un’entità potente e insostituibile, proprio come è insostituibile lo stesso Jarosław Kaczyński. In ogni caso, se paragonato al mite Tusk, il cui programma si può ricondurre al proseguimento di una tranquilla marcia in avanti nel bel mezzo della strada, e che per quanto riguarda l'ideologia non fa altro che ripetere l’abusato decalogo europeo, Kaczyński appare come un fine pensatore e un leader energico.
È evidente che ciò faccia colpo su una parte degli elettori: secondo i calcoli, il cosiddetto elettorato di ferro di Diritto e Giustizia rappresenta più o meno il 30% dei voti. Forse poco di più, tuttavia si tratta di elettori fedeli e pronti a presentarsi sempre alle urne. Questo fatto rende la lotta molto più difficoltosa per Piattaforma Civica: non solo questa risulta al di sotto della soglia del 30%, ma le sue vittorie passate erano anche dovute alla mobilitazione sociale causata dalla paura di Diritto e Giustizia e a una più elevata frequenza alle urne, che nelle elezioni polacche è sempre bassa (il 50% alle elezioni politiche rappresenta una vetta irraggiungibile). Pertanto ogni indebolimento della mobilitazione, ogni calo del livello di paura di fronte al ritorno della Quarta Repubblica (e durante la campagna elettorale Diritto e Giustizia fa spesso ricorso alla propaganda morbida, il cosiddetto linguaggio dell’amore), la crescente delusione nei confronti della squadra di governo e di Tusk (una popolare barzelletta lo vede in qualità di idraulico di un rubinetto dal quale non sempre esce l’acqua calda ma che, per contro, gocciola senza sosta), rendono sempre più verosimile uno scenario in cui vengano nuovamente ridistribuite le carte della politica polacca. Ma ciò è solo il risultato dell’attivismo dell’ambiente politico concentrato intorno a Kaczyński? La situazione è sicuramente molto più complessa e ha radici storiche più profonde.
Nella storia moderna della Polonia, il movimento nazionale sorto a cavallo del XIX secolo godeva di enorme supporto sociale. Le sue aspirazioni a conquistare il potere durante la Seconda Repubblica furono bloccate dal colpo di Stato di Józef Piłsudski (1867-1935) nel maggio del 1926. Si diceva che il governo appartenesse a Piłsudski, ma che il governo delle anime dei polacchi appartenesse effettivamente a Roman Dmowski (1864-1939), il leader della destra nazionalista, che del resto andava incredibilmente d’accordo con la Chiesa polacca. Questa tradizione nazionale, brutalmente nazionalista nella sua forma più radicale, venne marginalizzata e “mummificata” durante il periodo del socialismo reale, pur riuscendo a emergere di tanto in tanto anche nel partito al governo. Fece ritorno dopo il 1989, ma a lungo non riuscì a trovare una forma né una certa unità politica. Solo Jarosław Kaczyński riuscì con estrema abilità a cavalcarne l’onda utilizzando abilmente gli slogan patriottici ed evitando il nazionalismo più estremista.
A rendergli il compito più semplice è stata la sinistra polacca,incapace di rinascere nella sua antica formula di maggior prestigio e, a partire dal 1989, rappresentata soprattutto dai cosiddetti post-comunisti, per loro stessa natura accusati di tutte le colpe storiche e reali della sepolta Polonia Popolare. I suoi trionfi (le due volte al governo e il doppio mandato da presidente della repubblica di Aleksander Kwaśniewski) sono terminati con la catastrofe del 2005, dopo la quale è comparsa la parola d’ordine del “risanamento della Polonia”, cioè l’idea alla base della Quarta Repubblica. Ad ogni modo, sebbene nell’odierna disposizione delle forze di sinistra ci sia un febbrile fermento, come la comparsa del recente Movimento di Palikot (Ruch Palikota, trasformato da poco in un partito dal nome Twój Ruch, Il Tuo Movimento) o la nuova iniziativa di Kwaśniewski, la cosiddetta Europa Plus (che tuttavia non si sa ancora bene se esista o meno: a volte c’è, altre volte non si vede), in realtà vi regna il caos e c’è un’agguerrita concorrenza per conquistare il comando: sono tutti sintomi della malattia e dell’atrofia che avanzano.
È in stato vegetativo anche il Partito Popolare Polacco (Polskie Stronnictwo Ludowe), l’ultimo vero partito di classe in Polonia perché rappresenta gli interessi dei contadini, che costituisce un prezioso alleato per qualsiasi coalizione si prepari a governare ma che, nella realtà dei fatti, è un classico “residuato” che appartiene al passato e non al futuro. La sinistra stessa in qualche modo ha abbandonato il campo di battaglia, e il risultato è stato la scomparsa di quella contrapposizione della prima decade della Terza Repubblica, tanto funzionale quanto emotiva, tra il post-comunismo e l’ex opposizione derivata da Solidarność. Del resto la sinistra si è divisa nel 2005, sembrerebbe un po’ per caso e per motivi legati all’ambizione, mentre poco tempo prima era ancora vivo il dialogo circa un governo comune e una comune costruzione della Quarta Repubblica. Ma è stato subito chiaro che la cosa più importante è il potere e lo scopo per cui deve essere utilizzato. Quella divisione, che nel 2005 era sembrata così artificiale, si riempì rapidamente dei contenuti e dell’esperienza di un incessante confronto, di animosità personali, talvolta anche di odio.
L’attuale guerra polacco-polacca viene disputata, per così dire, all’interno dell’ex-Solidarność tra due fazioni per ora più o meno equivalenti. Una è capeggiata da Donald Tusk, l’altra da Jarosław Kaczyński. È in questo che consiste l’effettiva scelta di fronte alla quale si trovano dal 2005 i cittadini che si recano alle urne.
I polacchi, pertanto, scelgono e continueranno a scegliere, secondo uno stereotipo ormai consolidato, tra una Polonia della stabilità, dei lemming, dell’europeità, dell’acqua calda nel rubinetto, della modernizzazione, e una Polonia rivoluzionaria e diffidente verso gli altri - compresa Bruxelles, ma soprattutto verso la Russia e la Germania - una Polonia xenofoba, dei cosiddetti “berretti di lana mohair” (il copricapo delle anziane signore che pregano per la Radio Maryja di padre Rydzyk o che si radunano sotto alle croci innalzate in memoria della buonanima di Lech Kaczyński).
Tra una Polonia liberale e una Polonia conservatrice, perché Tusk all’inizio era un liberale e Kaczyński alla fine è diventato un conservatore. Si può dire che Tusk tenti di rappresentare la società civile (anche se non mancano obiezioni sul fatto che spesso fallisca proprio in quel campo) e Kaczyński la comunità nazionale. Queste differenze, spesso mostrate come assiomi e rielaborate non di rado in formule propagandistiche, vengono costantemente ravvivate e stimolate, viene sfruttata qualsiasi occasione per scatenare una guerra ideologica, si tratti della questione della fecondazione artificiale, dell’aborto, o anche delle unioni civili, per non parlare dei più cocenti problemi storici. La destra, in particolare, non si è mai lasciata sfuggire l’occasione per dimostrare i propri valori. Le spaccature tra queste due fazioni sono in questo momento talmente profonde e fondamentali che si dice addirittura che la Polonia sia abitata da due tribù differenti e si profetizza che la guerra tra di loro durerà ormai per intere generazioni.
La mappa elettorale polacca rispecchia gli attuali archetipi morali e culturali, non di rado ereditati fin dai tempi delle spartizioni, cioè dal XIX secolo. Ad ogni modo, dove i valori tradizionali vengono trasmessi di generazione in generazione, soprattutto nella Polonia meridionale e in gran parte delle attuali terre orientali, la destra nazionale gode di ottima salute, mentre in altre regioni e parti del paese, dove spesso domina la popolazione immigrata, soprattutto nei cosiddetti Territori Recuperati dopo il 1945, si trova in vantaggio Piattaforma Civica, un tempo la sinistra. Nelle ultime due tornate elettorali Piattaforma Civica ha vinto anche nelle grandi città e tra l’elettorato più giovane. Nel centro della Polonia, ma anche in diversi luoghi della Slesia, ha avuto luogo un testa a testa in cui spesso il risultato è dipeso dalla strategia elettorale adottata o da quanto risultassero attraenti i candidati presentati. Dal primo capitolo di questa guerra sono passati otto anni, in Polonia è cresciuta un’intera nuova generazione che ha passato la propria vita sotto il governo di Donald Tusk e non conosce, o semplicemente non ricorda, Kaczyński e le sue azioni più meschine. Di sicuro, però, non è soddisfatta, come avviene del resto in tutta Europa, della situazione in cui si è ritrovata, spesso senza un punto di vista chiaro, con il diritto e l’ordine sociale messi in discussione, senza lavoro e senza casa, mantenuta dai genitori.
L’idea dell’acqua calda dal rubinetto non può far altro che irritarenel caso in cui quel rubinetto non lo si possieda nemmeno. Si tratta di un fatto sociale nuovo e significativo. I giovani cercano chiarezza e speranza, e questo è ciò che dà loro l’opposizione. Non è, dunque, senza motivo il fatto che il calo di popolarità del partito al governo sia stato maggiore proprio tra gli elettori di questa fascia d’età. Esistono anche altri sintomi di questo fenomeno.
Tra i gruppi più aggressivi della politica polacca di oggi ci sono i giovani nazionalisti, situati più a destra di Diritto e Giustizia, che si ricollegano direttamente a Roman Dmowski (Kaczyński sta ancora tentando di combinare il lascito di Dmowski con quello di Piłsudski), organizzano violente manifestazioni nel Giorno dell’Indipendenza Nazionale e risse vandaliche negli stadi e addirittura nelle aule universitarie. Non si tratta ancora di una grande forza, sebbene sia chiassosa e ben visibile, ma è certo che influisce sul radicalismo sempre più profondo del linguaggio politico delle altre fazioni e degli altri partiti. Non è escluso che presto non presenti delle ambizioni concrete e degli obiettivi politici e che non si candidi alle elezioni politiche. Cionondimeno, Tusk dimostra nelle varie interviste (ho avuto il piacere di condurne una per il settimanale Polityka) una calma e una sicurezza di sé stupefacenti. Ritiene che qualsiasi governo subisca un calo di popolarità a metà del secondo mandato; a quanto pare, l’aveva già predetto molti mesi fa. Tuttavia è convinto che l’opposizione dichiari troppo presto la propria vittoria: alle elezioni politiche mancano ancora due anni (autunno del 2015). Queste saranno precedute dalle elezioni per il Parlamento europeo (già nella primavera del 2014), poi da quelle amministrative e da quelle presidenziali, alle quali sicuramente si candiderà per l’ennesima volta Bronisław Komorowski.
Secondo un’opinione piuttosto diffusa, l’attuale presidente, sebbene non disponga di un grande potere esecutivo, ricopre bene il proprio ruolo, calmando i toni della politica interna, supportando le soluzioni pro-europee in politica estera, presentando un atteggiamento che sollecita la “formazione dello Stato”. Tutto questo nonostante gli incessanti affronti e insulti da parte di Diritto e Giustizia e dello stesso Jarosław Kaczyński.
Tra poco in Polonia avrà inizio un’unica grande campagna elettorale, sicuramente l’ultima cui parteciperanno i leader e i condottieri che governano ininterrottamente dal 1989. L’ottimismo del premier si fonda su un paio di presupposti. Il primo è che la seconda fetta di fondi dell’Unione Europea alla Polonia sarà destinata, a differenza della prima che era stata spesa per le cosiddette infrastrutture, al rafforzamento delle regioni e dei governi locali e arriverà direttamente alla popolazione. Il secondo, in fin dei conti il più importante, è l’intuizione che suggerirebbe a Donald Tusk (cui nessuno nega uno straordinario talento e la capacità di cogliere gli umori sociali) che, quando la gente si presenterà alle urne nel 2015, dichiarerà vincitori i politici meno litigiosi, quelli che non commettono follie, che sono ormai ben conosciuti, che sono europei e aperti verso il mondo. Questa è la scelta che farà anche la maggioranza preponderante dei giovani, che ormai non si sentono mentalmente e psicologicamente a proprio agio nel piccolo paesino di provincia che è la Polonia, sebbene non se ne rendano ancora conto. È da notare che la forte emigrazione polacca verso il mercato del lavoro europeo, soprattutto quello inglese e tedesco, pur causando dei problemi demografici in Polonia, rappresenta in questo caso un forte argomento a favore.
Il premier stima che almeno il 40% dell’elettorato sceglierà sempre “l’acqua calda nel rubinetto” piuttosto che la polemica sulla tragedia di Smolensk. Ed entrerà in funzione anche l’effetto cumulativo della soddisfazione per il fatto che la Terza Repubblica è sicuramente il miglior ventennio nella storia della Polonia da almeno qualche centinaio di anni a questa parte.
traduzione di Marco Valenti