venerdì 6 giugno 2014

Mappe su ambiente e geopolitica: cambiamento climatico, riscaldamento globale e conflitti di potere



1) Il cambiamento climatico e le lotte di potere di Lucio CaraccioloStudiare gli effetti dell'innalzamento delle temperature è la chiave per decifrare le ragioni dei conflitti attuali e del futuro. [Articolo originariamente pubblicato su The Guardian]

2) Owning the weather: la guerra ambientale globale è cominciata 
di Fabio Mini

Il conflitto tra chi aspira al benessere e chi difende il proprio è il paradigma di questo secolo. La manipolazione dell'ambiente ne è il fronte centrale. Da Cartagine all'Iraq, via Vietnam, si distrugge la natura per annientare il nemico. E se stessi.


4) Si spegne signori, si chiude. Della diminuzione di Giuliano Cannata
L’umanità dimostra una riluttanza e una diminuita propensione a procreare tali che in poco tempo potrebbe essere sovvertito il destino stesso della specie e i suoi rapporti col mondo e con l’ambiente.


5) Popolazione e clima: le incerte relazioni di Massimo Livi Bacci 
In questo secolo la Terra toccherà forse i 10 milioni di abitanti, con un impatto significativo sui mutamenti del clima. Le conseguenze saranno distribuite in modo diseguale, toccando anzitutto i paesi più poveri.



6) Il Canada non è amico dell'ambiente di Lorenzo Colantoni
Le contraddizioni nella questione ambientale di uno dei paesi (in apparenza) più verdi al mondo. Nonostante i vantaggi di uno sviluppo ecosostenibile, Ottawa non ha ancora abbandonato le politiche industriali tradizionali.

7) Brasile e Bolivia devono scegliere tra sviluppo e ambiente 
di Maurizio Stefanini

Evo Morales e Dilma Rousseff sono alle prese con manifestazioni di protesta di ambientalisti e indigeni: privilegiando lo sviluppo economico rischiano di perdere consenso elettorale.

8) Il land grabbing arriva in Europa 
di Roberto Roveda e Alessandra Favazzo

La conquista delle terre migliori fino a poco tempo fa riguardava solo i paesi poveri. Ora è iniziata anche nel Vecchio Continente.

9) Ue ed energia: Bruxelles, abbiamo un problema di Andrea Bonzanni
Con il pacchetto 2020 l'Europa ha ridotto le sue emissioni di gas serra, comunque aumentate a livello globale a causa di Usa e Cina, e ha favorito il ritorno del carbone al posto di opzioni meno inquinanti come gas e nucleare. I sussidi perversi alle rinnovabili.


10) Liang Congjie, la Cassandra verde della Cina di Francesco Sisci 
Un ricordo del padre dell'ambientalismo di Pechino, Liang Congjie.



Dalla rivista "Limes", carte di Laura Canali




Il cambiamento climatico è uno dei fondamentali fattori di qualsiasi analisi geopolitica sul mondo di oggi. Il riscaldamento dell’atmosfera prodotto dalla concentrazione dell’anidride carbonica (gas serra), che nella seconda metà di questo secolo (fra 2050 e 2070) sarà doppia rispetto al livello toccato prima della rivoluzione industriale (560 parti per milione contro le 280 di allora), è infatti un macrofenomeno destinato a incidere su tutti gli aspetti della vita associata, non escluse le strutture istituzionali e politiche.

Non si possono capire i conflitti di potere attuali senza considerare quanto siano influenzati dai mutamenti nella configurazione geofisica dei territori prodotti dall’innalzamento delle temperature e dalle conseguenze sociali e politiche da esso prodotte. Le quali sono molto diverse a seconda degli spazi geografici su cui impattano. Insomma, se il riscaldamento è un fenomeno globale, i suoi effetti sono molto specifici e variati. Ma insieme a questa diversità bisogna considerare, nella valutazione geopolitica del cambiamento climatico, le peculiarità di continenti e nazioni diverse, anche sotto il profilo sociale ed economico.

Prendiamo per esempio l’Africa. Qui il riscaldamento dell’atmosfera significa accelerare la desertificazione (vedi il report Unesco con le mappe di Laura Canali per Connect4Climate). Questo vuol dire più fame, più povertà, più migrazioni alla ricerca di regioni meno ostili alla vita umana. Il paradosso è che a soffrire di più è un continente che produce emissioni di gas serra – fonte primaria del cambiamento climatico – relativamente modeste. Le emissioni pro capite in Africa nel 2008 (stime più recenti) sono il triplo del 1950, ma appena il 6,6% di quelle registrate in Nordamerica.

Un altro esempio sono le isole e gli arcipelaghi particolarmente esposti all’innalzamento del livello delle acque marine – altro effetto del riscaldamento dell’atmosfera. Un evento che sta letteralmente cambiando la faccia del pianeta. Si consideri solo che l’innalzamento del livello dei mari nel decennio 2001-2010 è stato di 3 millimetri all’anno, ossia il doppio della tendenza osservata nel Novecento, quando si trattava di 1,6 millimetri/anno. Restando all’Africa, i delta del Nilo e del Niger sono direttamente minacciati dalla penetrazione di acqua salata. Con effetti disastrosi, anzitutto, sulle economie di due fra i massimi paesi del continente, Egitto e Nigeria.

Ci sono poi i fenomeni climatici estremi, visibili ormai in tutto il mondo, Occidente sviluppato compreso. Nelle più povere regioni dell’Africa subsahariana, ad esempio, le piogge particolarmente intense minacciano l’habitat di molte regioni, specie presso le coste del Golfo di Guinea o tra Kenya e Mozambico. Mettendo fra l’altro a rischio i raccolti agricoli.

Tutti questi fenomeni hanno il potere di incrementare il rischio di conflitti di origine climatica. La caccia alle risorse naturali – a cominciare dall’acqua – è un vettore di guerre destinato a diventare sempre più visibile nel prossimo futuro. Si pensi solo all’importanza del controllo delle falde acquifere e della Valle del Giordano nel caso israelo-palestinese, o alla competizione per le acque del Nilo, che tocca principalmente Etiopia, Sudan ed Egitto.

La conoscenza di questi rischi è ancora limitata, ma sarà una delle frontiere dell’analisi strategica nel prossimo futuro, come dimostrano le risorse impiegate dalle maggiori potenze mondiali per lo studio delle conseguenze geopolitiche del cambiamento climatico.

Articolo originariamente pubblicato in inglese su The Guardian


Mappe e cartine storiche e geopolitiche della Polonia dalla prima spartizione alla seconda guerra mondiale, fino ai giorni nostri



Sotto la dinastia Jagellone, venne accordata un'alleanza con la vicina Lituania, e l'epoca d'oro arrivò nel XV secolo con l'unione tra i due stati (Unione di Lublino), nella Confederazione Polacco-Lituana.
I sudditi polacchi godevano di grande libertà e un sistema parlamentare, anche se i benefici di quest'ultimo erano limitati alla szlachta (nobiltà).
Da quel tempo i polacchi si sono dati il nome di Nazione della gente libera.
Nella metà del Seicento, una ribellione di cosacchi condotta da Bohdan Chmielnicki diede inizio all'epoca turbolenta del Potop (Diluvio).
Vi furono numerose guerre contro l'impero ottomano, la Russia, la Svezia, la Transilvania e la Prussia-Brandeburgo che finirono nel 1699.

La prima spartizione e la sottomissione allo straniero

Nei successivi 80 anni, l'elettività del sovrano e il principio del liberum veto nella Camera dei deputati della Polonia provocarono lo svanire del potere centrale ed il raggiungimento di un punto morto nelle istituzioni, indebolirono la nazione, e portarono alla sottomissione da parte di AustriaPrussia e soprattutto Russia.
Il processo di riforme causò un intervento esterno e una serie di spartizioni della Polonia fra i tre imperi di AustriaRussia e Prussia nel 17721793 e 1795; al termine, la Polonia venne completamente cancellata dalle carte geografiche. I polacchi risentirono la mancanza di libertà e più volte si ribellarono contro gli oppressori (vedi Elenco delle ribellioni polacche).
Durante la prima guerra mondiale tutti gli alleati concordarono nella ricostituzione della Polonia come stato cuscinetto tra Germania e Unione Sovietica ed il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson la proclamò nel punto 13 dei suoi quattordici punti.





Il secondo stato polacco nacque però sotto cattivi auspici, in quanto soltanto una parte del territorio era abitato da cittadini polacchi e cattolici, mentre tutta la parte orientale era di etnia bielorussa e ucraina, di religione ortodossa.
Il centralismo polacco si scontrava con la natura multietnica dello stato che era emerso dalla Conferenza di Pace di Parigi e dal Trattato di Versailles.



Ad aggravare la situazione c'era il fatto che lo sbocco al mare, preteso dai polacchi, divideva in due il territorio della Germania, già duramente penalizzata, sia in termini di perdite territoriali che riguardo alle onerose sanzioni di guerra.


La Prussia orientale si trovava infatti divisa dal resto del territorio tedesco e questo diede poi a Hitler il pretesto per l'invasione del territorio polacco, il primo giorno di settembre del 1939, poco dopo che il Terzo Reich e l'Unione Sovietica avevano deciso la Seconda Spartizione della Polonia, che causò poi l'intervento di Gran Bretagna e Francia e l'inizio della seconda guerra mondiale.









Nel 1941, quando Hitler, con l'Operazione Barbarossa, dichiarò guerra all'Unione Sovietica, anche il resto della Polonia fu invaso dai nazisti.
Parte di essa divenne un Governatorato Generale, dove si applicò con spietatezza inaudita lo sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento.









Al termine della seconda guerra mondiale la Polonia tornò ad esistere, ma alle condizioni poste dall'Unione Sovietica, che ne ridefinì i confini e cacciò tutti i tedeschi prussiani dal territorio, annettendo l'enclave di Koenigsberg, che fu rinominata Kaliningrad ed appartiene tutt'ora alla Federazione Russa.


Nel 1945 il confine orientale della Polonia fu spostato verso ovest, a seguito delle decisioni prese durante la Conferenza di Teheran del 1943 per l'insistenza dell'Unione Sovietica in tal senso. I territori orientali, acquisiti dallaPolonia dopo la Guerra sovietico-polacca e che l'URSS aveva rioccupato nel 1939, (eccetto la regione di Bialystok), furono annessi dall'Unione sovietica e la maggior parte della popolazione polacca fu espulsa. Oggi questi territori fanno parte della Bielorussia, dell'Ucraina e della Lituania.
In compensazione alla Polonia furono assegnati alcuni ex territori tedeschi: i due terzi della parte meridionale della Prussia orientale, tutta la Pomerania, la Posnania e la Slesia, fino alla linea Oder-Neisse. La popolazione tedesca fu espulsa e queste regioni furono ripopolate con i polacchi espulsi dai territori orientali o provenienti dalla Polonia centrale. L'area di Zaolzie, annessa dalla Polonia dopo l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia nel 1938, fu restituita a quest'ultima per volere di Stalin.

Durante la guerra fredda la Polonia entrò a far parte della sfera geopolitica sovietica, stabilita dal Trattato di Varsavia e successivamente dal Comecon.
Negli anni '80, a fronte delle proteste del sindacato cattolico Solidarnosc, guidato dal futuro presidente Lech Walesa, il generale filocomunista Jaruzelsky prese il potere con un colpo di stato e governò fino al 1989, anno della caduta dei regimi comunisti nell'Europa orientale.
Attualmente la Polonia è divisa al suo interno tra una parte occidentale filo-europea e filo-americana e una parte orientale conservatrice, nazionalista e isolazionista, che trovò espressione nel periodo in cui i gemelli Katzinsky divennero rispettivamente presidente della repubblica e primo ministro.

“Due Polonie: A e B” è una carta di Francesca La Barbera sui due differenti contesti culturali della Polonia. Una divisione che emerge anche alle urne (qui sono riportati i dati delle elezioni presidenziali del 2010). Da un lato c’è la Polonia urbana, moderna, con radici meno profonde e meno sensibile ai valori tradizionali. Dall’altro la Polonia delle campagne e delle piccole città, che guarda al passato per difenderlo e conservarlo.La carta riporta inoltre i confini polacchi prima della seconda guerra mondiale (verde) e individua alcune aree sensibili per via della presenza di minoranze etniche ed espulsioni e spostamenti di popolazione più o meno consistenti.

La Polonia è uno degli stati dove la religione cattolica è vissuta in maniera più intensa, come specifica salvaguardia dell'identità nazionale, da sempre minacciata ad ovest dai protestanti tedeschi e ad est dagli ortodossi russi.
“La Polonia cattolica” è una carta di Francesca La Barbera sul radicamento e la diffusione della religione cattolica nel paese.Il colore nero indica le diocesi in cui è più alta la frequenza alle messe domenicali (sezione superiore) e la presenza di comunicandi (sezione inferiore).Carta tratta dall’articolo di Adam Szostkiewicz “Con noi o contro Dio”.
Attualmente la Polonia è l'avamposto orientale della Nato, in cui è entrata nel 1999



“Il gasdotto baltico”, carta di Laura Canali che riporta la diramazione del gasdotto russo-tedesco “Nord Stream” fra Vyborg e Greifswald, con annessa la possibile sezione svedese.Carta tratta dall’articolo di Demostenes Floros, “Energia per Varsavia”.

Dopo l’uscita dal comunismo nel 1989, Varsavia ha conseguito numerosi successi, sia economici sia politici, tanto che non solo viene considerata un esempio per molti dei paesi che si sono sottratti agli influssi di Mosca, ma anche in Europa se ne parla non di rado con una punta di invidia.

Nonostante la crisi abbia raggiunto anche la Polonia, gli indicatori economici continuano a mantenersi su buoni livelli, almeno in confronto a molti paesi europei, dove sono decisamente peggiori. Gli standard di vita dei cittadini, tanto quelli individuali quanto quelli collettivi, stupiscono positivamente coloro che dopo anni giungono di nuovo sulle rive della Vistola.

Per di più Donald Tusk è già al suo secondo mandato e mira a ottenerne un terzo, quasi a voler seguire il modello della cancelliera Merkel; sarebbe effettivamente un risultato impressionante e piuttosto raro non soltanto nella Polonia contemporanea. È inoltre fuori d’ogni dubbio che la stima personale per il premier polacco si sia notevolmente rafforzata all’interno dell’Unione Europea: non a caso viene citato tra i candidati alle più alte cariche di Bruxelles. Qualsiasi sondaggio mostra per giunta che la maggioranza dei polacchi è soddisfatta della propria vita e sprizza ottimismo.

Qui comincia la strada in salita. In quegli stessi sondaggi si evidenzia che la fiducia dei polacchi nel sistema democratico, nello Stato e le sue istituzioni, e in genere nei politici e nella politica tende a diminuire in maniera ormai costante. Le persone si preoccupano soprattutto di sé stesse, della propria famiglia e dell’ambiente circostante, partecipano meno volentieri alla vita pubblica e sono meno attive nel tutelare il bene comune. I polacchi si trovano anche in fondo alla classifica europea che misura la fiducia verso il prossimo: sono diffidenti e sospettosi. Questa tendenza dovrebbe risvegliare un senso di inquietudine; alcuni commentatori vi vedono i sintomi di una qualche profonda crisi, il preavviso di sconvolgimenti politici. D’altronde costoro si richiamano a fenomeni psico-sociologici simili che hanno luogo in altri Stati europei, all’aumento dell’aggressività sociale, al rinvigorimento di ideologie e movimenti nazionalisti, al rafforzamento di tendenze euroscettiche e, infine, a una diffusa e profonda erosione del modello demo-liberale. Non è questa la sede per approfondire la questione, tuttavia vorrei sottolineare che molti dei fenomeni della politica polacca fanno parte di una sorta di universo europeo, hanno un corrispettivo in altri luoghi, e anche le loro cause hanno in qualche modo un carattere non locale, ma globale.

Nondimeno in Polonia, come altrove, hanno luogo fenomeni politici endemici, sviluppatisi da tradizioni e contesti regionali o plasmati da forze e personalità nate quasi dal nulla, che compaiono all’improvviso e che altrettanto all’improvviso scompaiono. Spesso si tratta di movimenti peristaltici, di reazioni momentanee a pericoli e sfide provenienti dall’esterno, da un mondo che, a rigor del vero, porta con sé un bene innegabile - i polacchi hanno ottenuto molto con l’entrata nell’Unione Europea nel 2004 - ma che interviene anche criticamente e in vari modi nella loro vita, nella loro cultura, nei loro costumi o nel modo di professare la propria fede.

Il campo di battaglia quotidiano della politica polacca può essere rappresentato come una collisione tra queste tendenze e questi valori, una naturale ricerca da parte del sistema democratico di una via polacca tra passato e futuro, un equilibrio fra tradizione e modernità. Questo è più o meno anche il pensiero del premier Tusk, che governa secondo la regola “dell’acqua calda dal rubinetto”. Questa regola si può approssimativamente ricondurre a una manciata di premesse.

Nella precedente distribuzione di fondi comunitari, la Polonia ha ricevuto una grande somma di denaro dall’Unione Europea (67,3 miliardi di euro). Ora riscuoterà una somma ancora maggiore (105,8 miliardi di euro), ma si tratta sicuramente dell’ultima volta che il paese riceverà un regalo simile dalla storia; bisogna fare di tutto, dunque, per non sprecare questi fondi. Deve essere questo l’obiettivo del premier e il compito del patriottismo polacco. Da questo discorso emergono ulteriori premesse. Su questa una rotta positivista non c’è la necessità di trascinare la nazione alla maniera romantica: non servono, anzi possono addirittura risultare dannosi, i grandi progetti e le grandi riforme, i grandi ideali e l’accelerazione della rivoluzione morale o di quella culturale. Ci si deve incamminare nella storia insieme al popolo e non tentare di superarlo, bisogna decifrare i suoi bisogni e le sue ambizioni odierni. La politica dovrebbe servire soprattutto gli obiettivi prioritari della modernizzazione, dovrebbe essere razionale e prevedibile, aperta verso il mondo e verso i propri vicini, dovrebbe agire affinché l’Unione Europea sopravviva alla propria crisi interna.

A questa concezione è stato dato il nome di politica “dell’acqua calda nel rubinetto”. I suoi seguaci e gli elettori del partito attualmente al governo, Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska), sono stati soprannominati “i lemming”, una specie di roditori dotati, a quanto pare, di un gene dell’autodistruzione che li porta a commettere suicidi di massa. Si ritiene che una concezione e una politica di questo tipo diano risultati positivi in un periodo di prosperità, quando il clima sociale tende a migliorare e la gente vuole crogiolarsi nel consumismo e godersi semplicemente la vita, cosa che in Polonia - un paese colpito da pesanti esperienze storiche, tra cui il deficit del comunismo - ha un valore molto elevato.

Del resto, la rielezione di Piattaforma Civica e di Tusk per un secondo mandato (2011-) ha confermato l’approvazione generale per la rotta scelta. Ma poi qualcosa ha iniziato a guastarsi nella ricezione di questa politica. A partire dalla primavera del 2013 si è registrato nei sondaggi un calo della fiducia nel governo, nella figura di Tusk, in Piattaforma Civica, nel presidente della repubblica Bronisław Komorowski che ne fa parte; nonostante il governo abbia più volte tirato la briglia, non è stato in grado di invertire tali risultati. Ciò che è peggio, si sono visibilmente intersecate le curve che indicano l’andamento della fiducia nel maggior partito di opposizione, Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość), e nella Piattaforma. L’opposizione ha iniziato addirittura a dichiarare la sua prossima vittoria e forse persino un governo autonomo.

A differenza di Tusk, il capo dell’opposizione Jarosław Kaczyński ha un’ideologia, ha una concezione di come cambiare il paese e la sua politica e ne parla molto chiaramente e ad alta voce. L’idea prioritaria di Jarosław Kaczyński è la costruzione della Quarta Repubblica Polacca (la Prima è stata la Polonia che perse definitivamente l’indipendenza nella terza e ultima spartizione nel 1795, la Seconda quella degli anni 1918-1939) come risposta alla Terza Repubblica, nata nel 1989 e, a detta di Kaczyński, demoralizzata fin dalla sua origine da una collaborazione con gli ex comunisti e dominata dalla corruzione, ingiusta per definizione, ideata male e gestita male. La litania di obiezioni e accuse è enorme e ha anche la capacità inestinguibile di allargarsi e di arricchirsi, di comprendere un numero sempre maggiore di colpevoli, di avversari politici. Affinché un simile cambiamento della Repubblica Polacca abbia luogo bisogna ovviamente conquistare un potere stabile (quando Diritto e Giustizia ha governato tra il 2005 e il 2007 ha dovuto fare ricorso alla collaborazione con diverse controparti e a compromessi forzati) per poi procedere a una profonda ridefinizione dello Stato.

Se le numerose dichiarazioni del leader di Diritto e Giustizia venissero ridotte al loro significato più semplice, si potrebbero riassumere nel modo seguente. Un forte potere esecutivo e un forte potere giudiziario, ingerenza dello Stato nella sfera economica e in quella sociale, nazionalismo economico ed egoismo in politica estera. Conservatorismo morale, patriottismo cattolico e una politica storica estremamente attiva che mira a eliminare la vergogna del passato e, soprattutto, a costruire un orgoglio polacco che si ricolleghi alla tradizione indipendentista-insurrezionale e all’esaltazione romantica.

Un fondamento polacco, dunque, ma con una sovrastruttura ancor più polacca. Già questo è stato più che sufficiente affinché, durante i due precedenti bracci di ferro parlamentari, molti elettori dessero il proprio voto alla Piattaforma, tanto più che nella pratica del suo governo biennale Jarosław Kaczyński ha dimostrato più volte di avere la capacità e la prontezza di ricorrere ad azioni spietate e di aver fatto propria la massima secondo la quale il fine giustifica i mezzi. Non ha mai nascosto, né lo fa tuttora, che una volta ottenuta la vittoria impartirà crudeli punizioni e un triste destino ai propri avversari, tanto più che le emozioni del leader di Diritto e Giustizia non accennano a calare - tutt’altro.

Ovviamente la causa è la catastrofe aerea avvenuta nei pressi di Smolensk nell’aprile del 2010 in cui, tra gli altri, è scomparso il presidente della repubblica Lech Kaczyński, il fratello gemello di Jarosław. Questa tragedia e soprattutto i suoi successivi sviluppi e risvolti politici, nonché il montare della mitologia di Smolensk, sono senz’altro degni della penna di un grande drammaturgo. In ogni caso, il conflitto politico intorno alla Quarta Repubblica e al suo progetto ha acquisito da quel momento una dimensione a dir poco religiosa. Gli avversari, di fatto ormai nemici politici, sono stati collocati dalla parte del male diabolico. Anzi, sono stati addirittura accusati di aver causato un attentato aereo, di aver commesso un crimine, di aver cospirato con Mosca. Le commemorazioni annuali che ricordano la tragedia di Smolensk si sono tramutate in enormi comizi e cortei rituali, attorno vi sono nati club e associazioni sociali e religiose, è fiorita la creatività, sono stati girati film (alcuni documentari, tra cui il più famoso, “Anatomia di una caduta” (Anatomia upadku) di Anita Gargas, e un film, quasi terminato, diretto da Antoni Krauze e intitolato “Smoleńsk”) e scritti poemi.

Indubbiamente negli ultimi 10 anni Jarosław Kaczyński è stato in grado di creare un grande movimento e di sprigionare un'energia che assume forme molto diverse. Diritto e Giustizia si colloca a destra nello scenario politico polacco ma, cosa alquanto tipica di molte iniziative politiche simili in tutta Europa, fa uso di una retorica populista, si pone in difesa degli interessi dei deboli e degli “esclusi”, della “gente di provincia”, della famiglia, dei disoccupati e dei senzatetto. Va molto d’accordo con i sindacati più potenti, ma anche con la Chiesa, in modo particolare con padre Tadeusz Rydzyk, il redentorista che da Toruń amministra un potente consorzio mediatico che supporta in maniera univoca il cattolicesimo nazionale. Il suddetto sacerdote, in ogni caso, ha grandi ambizioni politiche, influenza la carriera di numerosi attivisti, è capace di condurre sia imponenti pellegrinaggi al santuario di Jasna Góra a Częstochowa sia comizi a Varsavia, spesso nel diretto interesse del proprio impero.

Intorno al partito di Kaczyński è cresciuta una rete di soggetti e forze politiche di destra. Diritto e Giustizia viene supportato da numerose e potenti testate giornalistiche (i cosiddetti giornalisti sfrontati, dziennikarze niepokorni) anche online, possiede i propri intellettuali di punta e i propri salotti. All’interno regnano l’assoluta disciplina e l’autocrazia del presidente, il quale espelle dal partito chi vuole in base al proprio umore e secondo le tattiche del momento. Nonostante gli svariati tentativi di creare, parallelamente a questo partito o al suo interno, opposizioni e scissioni, defezioni e riavvicinamenti, Diritto e Giustizia rimane un’entità potente e insostituibile, proprio come è insostituibile lo stesso Jarosław Kaczyński. In ogni caso, se paragonato al mite Tusk, il cui programma si può ricondurre al proseguimento di una tranquilla marcia in avanti nel bel mezzo della strada, e che per quanto riguarda l'ideologia non fa altro che ripetere l’abusato decalogo europeo, Kaczyński appare come un fine pensatore e un leader energico.

È evidente che ciò faccia colpo su una parte degli elettori: secondo i calcoli, il cosiddetto elettorato di ferro di Diritto e Giustizia rappresenta più o meno il 30% dei voti. Forse poco di più, tuttavia si tratta di elettori fedeli e pronti a presentarsi sempre alle urne. Questo fatto rende la lotta molto più difficoltosa per Piattaforma Civica: non solo questa risulta al di sotto della soglia del 30%, ma le sue vittorie passate erano anche dovute alla mobilitazione sociale causata dalla paura di Diritto e Giustizia e a una più elevata frequenza alle urne, che nelle elezioni polacche è sempre bassa (il 50% alle elezioni politiche rappresenta una vetta irraggiungibile). Pertanto ogni indebolimento della mobilitazione, ogni calo del livello di paura di fronte al ritorno della Quarta Repubblica (e durante la campagna elettorale Diritto e Giustizia fa spesso ricorso alla propaganda morbida, il cosiddetto linguaggio dell’amore), la crescente delusione nei confronti della squadra di governo e di Tusk (una popolare barzelletta lo vede in qualità di idraulico di un rubinetto dal quale non sempre esce l’acqua calda ma che, per contro, gocciola senza sosta), rendono sempre più verosimile uno scenario in cui vengano nuovamente ridistribuite le carte della politica polacca. Ma ciò è solo il risultato dell’attivismo dell’ambiente politico concentrato intorno a Kaczyński? La situazione è sicuramente molto più complessa e ha radici storiche più profonde.

Nella storia moderna della Polonia, il movimento nazionale sorto a cavallo del XIX secolo godeva di enorme supporto sociale. Le sue aspirazioni a conquistare il potere durante la Seconda Repubblica furono bloccate dal colpo di Stato di Józef Piłsudski (1867-1935) nel maggio del 1926. Si diceva che il governo appartenesse a Piłsudski, ma che il governo delle anime dei polacchi appartenesse effettivamente a Roman Dmowski (1864-1939), il leader della destra nazionalista, che del resto andava incredibilmente d’accordo con la Chiesa polacca. Questa tradizione nazionale, brutalmente nazionalista nella sua forma più radicale, venne marginalizzata e “mummificata” durante il periodo del socialismo reale, pur riuscendo a emergere di tanto in tanto anche nel partito al governo. Fece ritorno dopo il 1989, ma a lungo non riuscì a trovare una forma né una certa unità politica. Solo Jarosław Kaczyński riuscì con estrema abilità a cavalcarne l’onda utilizzando abilmente gli slogan patriottici ed evitando il nazionalismo più estremista.

A rendergli il compito più semplice è stata la sinistra polacca,incapace di rinascere nella sua antica formula di maggior prestigio e, a partire dal 1989, rappresentata soprattutto dai cosiddetti post-comunisti, per loro stessa natura accusati di tutte le colpe storiche e reali della sepolta Polonia Popolare. I suoi trionfi (le due volte al governo e il doppio mandato da presidente della repubblica di Aleksander Kwaśniewski) sono terminati con la catastrofe del 2005, dopo la quale è comparsa la parola d’ordine del “risanamento della Polonia”, cioè l’idea alla base della Quarta Repubblica. Ad ogni modo, sebbene nell’odierna disposizione delle forze di sinistra ci sia un febbrile fermento, come la comparsa del recente Movimento di Palikot (Ruch Palikota, trasformato da poco in un partito dal nome Twój Ruch, Il Tuo Movimento) o la nuova iniziativa di Kwaśniewski, la cosiddetta Europa Plus (che tuttavia non si sa ancora bene se esista o meno: a volte c’è, altre volte non si vede), in realtà vi regna il caos e c’è un’agguerrita concorrenza per conquistare il comando: sono tutti sintomi della malattia e dell’atrofia che avanzano.

È in stato vegetativo anche il Partito Popolare Polacco (Polskie Stronnictwo Ludowe), l’ultimo vero partito di classe in Polonia perché rappresenta gli interessi dei contadini, che costituisce un prezioso alleato per qualsiasi coalizione si prepari a governare ma che, nella realtà dei fatti, è un classico “residuato” che appartiene al passato e non al futuro. La sinistra stessa in qualche modo ha abbandonato il campo di battaglia, e il risultato è stato la scomparsa di quella contrapposizione della prima decade della Terza Repubblica, tanto funzionale quanto emotiva, tra il post-comunismo e l’ex opposizione derivata da Solidarność. Del resto la sinistra si è divisa nel 2005, sembrerebbe un po’ per caso e per motivi legati all’ambizione, mentre poco tempo prima era ancora vivo il dialogo circa un governo comune e una comune costruzione della Quarta Repubblica. Ma è stato subito chiaro che la cosa più importante è il potere e lo scopo per cui deve essere utilizzato. Quella divisione, che nel 2005 era sembrata così artificiale, si riempì rapidamente dei contenuti e dell’esperienza di un incessante confronto, di animosità personali, talvolta anche di odio.

L’attuale guerra polacco-polacca viene disputata, per così dire, all’interno dell’ex-Solidarność tra due fazioni per ora più o meno equivalenti. Una è capeggiata da Donald Tusk, l’altra da Jarosław Kaczyński. È in questo che consiste l’effettiva scelta di fronte alla quale si trovano dal 2005 i cittadini che si recano alle urne.

I polacchi, pertanto, scelgono e continueranno a scegliere, secondo uno stereotipo ormai consolidato, tra una Polonia della stabilità, dei lemming, dell’europeità, dell’acqua calda nel rubinetto, della modernizzazione, e una Polonia rivoluzionaria e diffidente verso gli altri - compresa Bruxelles, ma soprattutto verso la Russia e la Germania - una Polonia xenofoba, dei cosiddetti “berretti di lana mohair” (il copricapo delle anziane signore che pregano per la Radio Maryja di padre Rydzyk o che si radunano sotto alle croci innalzate in memoria della buonanima di Lech Kaczyński).

Tra una Polonia liberale e una Polonia conservatrice, perché Tusk all’inizio era un liberale e Kaczyński alla fine è diventato un conservatore. Si può dire che Tusk tenti di rappresentare la società civile (anche se non mancano obiezioni sul fatto che spesso fallisca proprio in quel campo) e Kaczyński la comunità nazionale. Queste differenze, spesso mostrate come assiomi e rielaborate non di rado in formule propagandistiche, vengono costantemente ravvivate e stimolate, viene sfruttata qualsiasi occasione per scatenare una guerra ideologica, si tratti della questione della fecondazione artificiale, dell’aborto, o anche delle unioni civili, per non parlare dei più cocenti problemi storici. La destra, in particolare, non si è mai lasciata sfuggire l’occasione per dimostrare i propri valori. Le spaccature tra queste due fazioni sono in questo momento talmente profonde e fondamentali che si dice addirittura che la Polonia sia abitata da due tribù differenti e si profetizza che la guerra tra di loro durerà ormai per intere generazioni.

La mappa elettorale polacca rispecchia gli attuali archetipi morali e culturali, non di rado ereditati fin dai tempi delle spartizioni, cioè dal XIX secolo. Ad ogni modo, dove i valori tradizionali vengono trasmessi di generazione in generazione, soprattutto nella Polonia meridionale e in gran parte delle attuali terre orientali, la destra nazionale gode di ottima salute, mentre in altre regioni e parti del paese, dove spesso domina la popolazione immigrata, soprattutto nei cosiddetti Territori Recuperati dopo il 1945, si trova in vantaggio Piattaforma Civica, un tempo la sinistra. Nelle ultime due tornate elettorali Piattaforma Civica ha vinto anche nelle grandi città e tra l’elettorato più giovane. Nel centro della Polonia, ma anche in diversi luoghi della Slesia, ha avuto luogo un testa a testa in cui spesso il risultato è dipeso dalla strategia elettorale adottata o da quanto risultassero attraenti i candidati presentati. Dal primo capitolo di questa guerra sono passati otto anni, in Polonia è cresciuta un’intera nuova generazione che ha passato la propria vita sotto il governo di Donald Tusk e non conosce, o semplicemente non ricorda, Kaczyński e le sue azioni più meschine. Di sicuro, però, non è soddisfatta, come avviene del resto in tutta Europa, della situazione in cui si è ritrovata, spesso senza un punto di vista chiaro, con il diritto e l’ordine sociale messi in discussione, senza lavoro e senza casa, mantenuta dai genitori.

L’idea dell’acqua calda dal rubinetto non può far altro che irritarenel caso in cui quel rubinetto non lo si possieda nemmeno. Si tratta di un fatto sociale nuovo e significativo. I giovani cercano chiarezza e speranza, e questo è ciò che dà loro l’opposizione. Non è, dunque, senza motivo il fatto che il calo di popolarità del partito al governo sia stato maggiore proprio tra gli elettori di questa fascia d’età. Esistono anche altri sintomi di questo fenomeno.

Tra i gruppi più aggressivi della politica polacca di oggi ci sono i giovani nazionalisti, situati più a destra di Diritto e Giustizia, che si ricollegano direttamente a Roman Dmowski (Kaczyński sta ancora tentando di combinare il lascito di Dmowski con quello di Piłsudski), organizzano violente manifestazioni nel Giorno dell’Indipendenza Nazionale e risse vandaliche negli stadi e addirittura nelle aule universitarie. Non si tratta ancora di una grande forza, sebbene sia chiassosa e ben visibile, ma è certo che influisce sul radicalismo sempre più profondo del linguaggio politico delle altre fazioni e degli altri partiti. Non è escluso che presto non presenti delle ambizioni concrete e degli obiettivi politici e che non si candidi alle elezioni politiche. Cionondimeno, Tusk dimostra nelle varie interviste (ho avuto il piacere di condurne una per il settimanale Polityka) una calma e una sicurezza di sé stupefacenti. Ritiene che qualsiasi governo subisca un calo di popolarità a metà del secondo mandato; a quanto pare, l’aveva già predetto molti mesi fa. Tuttavia è convinto che l’opposizione dichiari troppo presto la propria vittoria: alle elezioni politiche mancano ancora due anni (autunno del 2015). Queste saranno precedute dalle elezioni per il Parlamento europeo (già nella primavera del 2014), poi da quelle amministrative e da quelle presidenziali, alle quali sicuramente si candiderà per l’ennesima volta Bronisław Komorowski.

Secondo un’opinione piuttosto diffusa, l’attuale presidente, sebbene non disponga di un grande potere esecutivo, ricopre bene il proprio ruolo, calmando i toni della politica interna, supportando le soluzioni pro-europee in politica estera, presentando un atteggiamento che sollecita la “formazione dello Stato”. Tutto questo nonostante gli incessanti affronti e insulti da parte di Diritto e Giustizia e dello stesso Jarosław Kaczyński.

Tra poco in Polonia avrà inizio un’unica grande campagna elettorale, sicuramente l’ultima cui parteciperanno i leader e i condottieri che governano ininterrottamente dal 1989. L’ottimismo del premier si fonda su un paio di presupposti. Il primo è che la seconda fetta di fondi dell’Unione Europea alla Polonia sarà destinata, a differenza della prima che era stata spesa per le cosiddette infrastrutture, al rafforzamento delle regioni e dei governi locali e arriverà direttamente alla popolazione. Il secondo, in fin dei conti il più importante, è l’intuizione che suggerirebbe a Donald Tusk (cui nessuno nega uno straordinario talento e la capacità di cogliere gli umori sociali) che, quando la gente si presenterà alle urne nel 2015, dichiarerà vincitori i politici meno litigiosi, quelli che non commettono follie, che sono ormai ben conosciuti, che sono europei e aperti verso il mondo. Questa è la scelta che farà anche la maggioranza preponderante dei giovani, che ormai non si sentono mentalmente e psicologicamente a proprio agio nel piccolo paesino di provincia che è la Polonia, sebbene non se ne rendano ancora conto. È da notare che la forte emigrazione polacca verso il mercato del lavoro europeo, soprattutto quello inglese e tedesco, pur causando dei problemi demografici in Polonia, rappresenta in questo caso un forte argomento a favore.

Il premier stima che almeno il 40% dell’elettorato sceglierà sempre “l’acqua calda nel rubinetto” piuttosto che la polemica sulla tragedia di Smolensk. Ed entrerà in funzione anche l’effetto cumulativo della soddisfazione per il fatto che la Terza Repubblica è sicuramente il miglior ventennio nella storia della Polonia da almeno qualche centinaio di anni a questa parte.

traduzione di Marco Valenti


Per approfondire: "Polonia l'Europa senza euro" da Limes

I Principi di Galles oggi in Normandia per i 70 dal D-day



Il Principe di Galles, Carlo, e la moglie Camilla hanno presenziato alla cerimonia di commemorazione dello sbarco in Normandia degli alleati anglo-americani, avvenuto il 6 giugno 1944, cioè esattamente 70 anni fa.
Questo settantesimo anniversario avviene in coincidenza con il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale e con il summit del G7, che si è tenuto ieri a Bruxelles.
I Principi di Galles sono arrivati a Parigi insieme al premier Cameron e alla consorte.









Il principe Carlo è apparso in ottima forma, considerando che è il principe ereditario più anziano della storia, con i suoi 66 anni.
Proprio quest'anno c'è stato un ricambio ai vertici delle principali monarchie europee, in Belgio, in Olanda e in Spagna, mentre in Gran Bretagna l'eterna regina Elisabetta II, sul trono dal 1952, pare intenzionata a continuare per sempre il suo interminabile regno.



Il premier Cameron ha incontrato il presidente russo Putin, per discutere sulla questione della guerra civile in Ucraina, che rischia di portare l'Europa sull'orlo di una nuova guerra fredda e, insieme alla crisi siriana e a quella libica, crea tensioni nella geopolitica internazionale.



Il re Willem-Alexander l'Olanda e la moglie hanno presenziato alla cerimonia. L'Olanda fu uno dei primi paesi ad essere occupato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale (Hitler fece passare le sue truppe per i Paesi Bassi, che pure si erano dichiarati neutrali, per aggirare le fortificazioni alla frontiera francese: la cosiddetta "linea Maginot").



Il presidente francese Hollande ha fatto gli onori di casa e si è proposto come mediatore, col presidente Putin, riguardo alla crisi in Ucraina.





Il principe Carlo ha visitato i reduci, i pochi sopravvissuti al terribile sbarco delle truppe anglo americane in territorio normanno, all'epoca controllato dalla Germania di Hitler.



Anche il presidente statunitense Obama ha presenziato alla cerimonia. Si è notato un rafforzamento dell'alleanza anglo-americana e della Nato nei suoi confini orientali (Obama è stato in Polonia, prima del G7, ed ha pronunciato parole durissime contro Putin, rifiutando di riconoscere l'annessione della Crimea alla Russia e invitando i paesi membri della nato ad inasprire le sanzioni contro la Federazione Russa e l'Unione Eurasiatica).