giovedì 20 febbraio 2014

L'auto che si guida da sola.



Una nuova concept car a guida autonoma trasformerà l'auto in un ufficio totalmente connesso al mondo esterno: il tempo trascorso in viaggio non sarà più tempo inutilizzato lontano dall'ufficio o da casa.
Regus, azienda che offre spazi per il lavoro flessibile, ha dato il via a una collaborazione con la società svizzera Rinspeed per sviluppare una nuova concept car, la XchangE, che sarà in mostra al Salone Internazionale dell'Automobile di Ginevra il prossimo marzo. Il concetto si inserisce nell'obiettivo di Regus di aiutare le persone a lavorare mentre sono in viaggio e si collega alla rete Regus Express (cosiddetta "terza alternativa" oltre al lavoro da casa e in ufficio) attualmente in sviluppo sulla rete autostradale europea.

L'auto che si guida da sola e diventa un ufficio mobile 3 150dpi 8cm

Il design della concept car XchangE consente ai sedili anteriori di ruotare all'indietro, creando uno spazio di lavoro/sala riunioni mobile per quattro persone. Sistemi tecnologici di comunicazione e di infotainment installati sulla vettura consentono ai passeggeri di utilizzare un computer portatile o un tablet e di connettersi e di lavorare come dall'ufficio. Il risultato è uno spazio confortevole e riservato che trasforma un ingorgo sulla strada per l'aeroporto in tempo produttivo.
La possibilità di poter lavorare in modo flessibile anche lontano dall'ufficio, in viaggio e anche a bordo di un'autovettura in movimento, consente a manager e professionisti di migliorare la produttività e di ottimizzare il proprio tempo. Questa considerazione viene confermata da una ricerca Regus condotta su oltre 20.000 persone nel mondo, dalla quale si rileva che il 75% degli uomini d'affari sostiene che il lavoro flessibile è in grado di aumentare la loro produttività.
Il coinvolgimento di Regus nel progetto dell'auto XchangE si integra in un progetto più ampio denominato Regus Express, finalizzato proprio a consentire alle persone di lavorare in modo più flessibile come ad esempio l'apertura di spazi di lavoro temporanei e business lounges nelle stazioni ferroviarie, nelle stazioni di servizio sulla rete stradale e autostradale e in altri nodi di trasporto.
Andre Sharpe , Global Product e Business Development Director di Regus, ha commentato: "Regus è da tempo impegnata a sviluppare il futuro dei luoghi di lavoro. Ora, questa vettura innovativa eliminerà le perdite di tempo nel traffico, trasformandolo in tempo produttivo. Le persone che trascorrono molto tempo in auto per lavoro, come ad esempio i funzionari commerciali, in un futuro non troppo lontano, utilizzando un'auto senza conducente potranno lavorare anziché dover guidare".
Frank M. Rinderknecht, fondatore e CEO di Rinspeed Inc, aggiunge: "Le automobili a guida autonoma non richiederanno al conducente di guardare la strada e di effettuare le manovre, saranno pertanto una opportunità per utilizzare al meglio il proprio tempo. Regus con la sua esperienza nell'aiutare le persone a lavorare in modo flessibile e produttivo è il partner ideale per sviluppare questo nuovo concetto".

Basic weekend getaway bag (ma non mi piace)



Disapprovo in particolare la skinny tie di maglia e i colletti delle camicie, troppo minimali e da teen ager.

Maritime preppy outfit for men



Per giovani universitari e studenti dei college delle preparatory schools

Hotel con piscina in camera: non è fantascienza!



Questo è l'hotel Zwembalkons a Mumbai. Vi piace? E' in fase di costruzione...

Facebook si compra WhatsApp: cosa cambierà per gli utenti?

Facebook si compra WhatsApp: cosa cambierà per gli utenti? (Poco)

C’è voluta una puntata pesante, i giocatori di poker lo definirebbero un "all-in", ma alla fine Facebook ce l'ha fatta. Mettendo sul piatto la cifra record di 16 miliardi di dollari, Mark Zuckerberg si è portato a casa l’applicazione più desiderata dell’Universo mobile, WhatsApp. Un bel regalo di compleanno, non c’è che dire, per la sua creatura appena divenuta teen-ager .
MEZZO MILIARDO DI MOTIVI
Potere del dio denaro, si dirà. Grazie alla stratosferica capitalizzazione ottenuta dalla quotazione in borsa – con i suoi174 miliardi di dollari Facebook è, dopo Google, la Web Company più ricca del mondo – Zuckerberg può togliersi qualsiasi sfizio gli passi per la testa. Eppure, chi conosce i meccanismi dello shopping tecnologico sa bene che non è tutto così semplice. Che non basta un portafogli rigonfio di soldi per portare avanti un’acquisizione di successo. Perché operazioni di questo tipo possono rappresentare la rovina di un’azienda, se non sono portano valore. E il valore di WhatsApp per il momento non è altro che quello dei suoi utenti, 450 milioni di iscritti, e un trend di crescita a dir poco vertiginoso: 1 milione di nuovi download al giorno.
DIETRO GLI UTENTI C'E' UN MERCATO
Naturalmente solo il tempo ci dirà se la scommessa di Zuckerberg risulterà vincente. Per il momento limitiamoci a constatare che quello della messaggistica è sempre di più il segmento più interessante per i giganti del Web. Lo è per le cifre di crescita, come abbiamo detto. Ma anche per le potenzialità che nasconde: WhatsApp, come WeChat, Viber, Line e tutti gli altri servizi che puntano a scavalcare gli operatori telefonici attraverso le connessioni Web, si candidano a diventare il nuovo veicolo di distribuzione per le offerte digitali (pubblicità, ma non solo). Perché sono nelle tasche di tutti e perché vengono utilizzati parecchie volte al giorno. Gli utenti – è stata la stessa Facebook a dimostrarcelo – hanno un enorme valore. A maggior ragione quando utilizzano il Web da dispositivi mobili (smartphone e tablet).
IL PRECEDENTE DI INSTAGRAM
Naturale che quegli stessi utenti si domandino oggi cosa cambierà all’indomani dell’acquisizione, dunque. WhatsApp verrà rivoluzionata, stravolta nella forma, nella sostanza e nella privacy, coperta di pubblicità mirata, in poche parole facebookizzata? La letteratura dell’hi-tech è piena zeppa di grandi applicazioni rovinate da grandi acquisizioni, ma c’è ragione di credere che questa volta non sarà così. Mark Zuckerberg ci ha tenuto subito a precisarlo nel post che ha affisso in bacheca per comunicare al mondo la grande notizia: "WhatsApp continuerà a operare in maniera indipendente". E c’è almeno una buona ragione per credergli: si chiama Instagram. La popolare applicazione di photo-sharing acquisita da Facebook nel 2012 non è stata in alcun modo violentata. Il che lascia pensare che anche a WhatsApp toccherà la stessa sorte. Nessun rischio (sempre che di rischio si tratti) di assistere a una fusione con Facebook Messenger, perché - lo ha sottolineato lo stesso guru di Menlo Park - si tratta di due servizi differenti: uno è utilizzato per avere un filo diretto con gli amici, l'altro per comunicare coi contatti del telefono e gruppi ristretti di persone.
LA PUBBLICITÀ PUÒ ATTENDERE
Nessuna rivoluzione, dunque, almeno per ora. Se lo augurano i 450 milioni di utenti che ogni giorno si inviano messaggini a sbafo in barba alle tariffe demodé degli operatori (ebbene sì, mandare un Sms nel 2014 costa ancora 15 centesimi per chi non dispone di una tariffa flat). Ma se lo augura anche il papà del servizio Brian Acton, uno che ha lasciato sulla scrivania del suo socio co-fondatore Jan Koum un biglietto con poche ma significative parole: Nessuna pubblicità, nessun gioco, nessun trucco. Il segreto di una messaggistica di successo è anche questo: dare agli utenti solo quello di cui hanno bisogno; qualcosa per condividere parole, immagini e video in modo semplice. E gratuito, ovviamente.

di Roberto Catania da Panorama

Facebook-WhatsApp, esplode il concetto di social

Jan Koum, cofondatore dell’app più massaggiata del pianeta, ha detto che non cambierà assolutamente niente. MarkZuckerberg ha rincarato la dose: “L’app è più adatta alla mobilità“, ha detto, parcheggiando il suo Messenger, che pure funziona mica male, alle retrovie di un servizio di chat adatto a essere usato sul computer. Comunque vada, col pachidermico acquisto di WhatsApp da parte di Facebook - per 19 miliardi di dollari, cioè quasi 14 miliardi di euro -cambierà invece molto. Perché, al di là delle piccole startupche Menlo Park mastica e digerisce ogni mese, si tratta di un cambio di prospettiva importante: Zuck esce dai social network ed entra nelle rubriche telefoniche di 450 milioni di utenti attivi ogni mese. Salta da un’app pur monumentale, da oltre un miliardo di profili, al cuore del tuo smartphone. Anzi, forse il punto è proprio un altro. È esploso il concetto di piattaforma sociale. Ormai la rete amicale virtuale (Facebook) e quella reale (il cui apparato circolatorio è appunto costituito dalle app di messaggistica) si sono fuse, confuse e integrate. Per questo i più giovani sono scappati dall’annuario digitale e preferiscono costruire i propri legami tramite chat. Un po’ come negli anni Novanta del Web. Ora torneranno nella grande rete tessuta da Zuck & Sandberg.

Facebook promuove un contesto in cui imprenditori indipendenti e innovativi possono costruire le proprie aziende, decidere la loro direzione e concentrarsi sulla crescita beneficiando al contempo dell’esperienza, delle risorse e delle dimensioni di Facebook - si legge nel post sulla Newsroom del social network – questo approccio ha funzionato molto bene conInstagram e WhatsApp opererà in questa maniera”. Come sempre in occasioni del genere, soprattutto in un caso come questo che mette sul piatto fra azioni e contanti un tesoretto da 19 miliardi di dollari, i vertici tendono a rassicurare. Fanno i pompieri mentre nelle loro stanze tutto prende fuoco. Più o meno il messaggio è: “Tranquilli, voi continuate pure a usare l’app come facevate fino a un minuto fa”. Giusto e sbagliato. Su Instagram la pubblicità non c’era, ed è arrivata con Facebook. I video non c’erano, ed è stato lanciato l’inseguimento a Vine. Insomma, WhatsApp potrà pure mantenere la propria sede a Mountain View e il controllo sul marchio. Ma è difficile pensare che il maxiaccordo non incarni quel passo che tutti aspettavano da mesi: dopo il gran rifiuto di Evan Spiegel e del suo Snapchat (grande mossa, altro che tre miliardi di dollari: adesso chi la vuole dovrà sborsarne almeno una decina) da Menlo Park hanno scelto di puntare sul primo in classifica. D’altronde, basta un’osservazione: vostra madre potrà pure non avere un profilo su Facebook. Ma scommetto un euro che con le amiche ormai si scrive e si manda messaggi vocali o simpatiche vignette via WhatsApp. Chiaro il concetto?

Alla base di una mossa del genere, dicevo, c’è la mutazione genetica del paradigma di social network. Basti vedere le nuove app anonime e semianonime che stanno fioccando da qualche mese, da Whisper a Telegram. Curiose vie di mezzo che mandano all’aria ogni teoria sulle piattaforme sociali. Continuando in fondo, in maniera ancora più disimpegnata, il lavoro iniziato proprio da WhatsApp, Viber, Line, WeChat e compagnia orientale. A proposito: Viber è stata acquistata qualche giorno fa dalla giapponese Rakuten per neanche un miliardo di dollari, portandosi in dote quasi 300 milioni di utenti. Si annuncia una bella sfida. L’obiettivo, tornando al più ricco affare della Silicon Valley nell’ambito startup, è dunque un altro: correre, correre e correre. Senza farsi spaventare dai gusti e dagli atteggiamenti che cambiano. “Una volta che raggiungeremo uno, due o tre miliardi di utenti avremo un sacco di modi di monetizzare”. Più chiaro di così. Zuckerberg ha capito, e anzi sa bene da sempre, che per connettere il mondo– come lui vuol fare, anche con qualche progetto filantropico un po’ sghembo – non basta fermarsi a foto e post. Registrarsi, condividere, mettersi in mostra. C’è ancora un diaframma, c’è una fetta di utenza che non se lo sognerebbe mai, a molti Facebook sembra un gioco, una perdita di tempo. Bisogna entrare nelle conversazioni quotidiane. In quegli scambiDove sei?”-“Arrivo che passano ormai da WhatsApp quasi quanto transitino su tutto il traffico sms del pianeta. È solo acquistando piattaforme essenziali per la vita di tutti i giorni che si diventa a propria volta essenziali. Dai dormitori di Harvard a quelli del mondo.

 di Simone Cosimi da Vanity Fair

Adolescenti in fuga da Facebook: ecco i nuovi social network favoriti dei teenager

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Sempre meno teenager su Fb: attratti da chat e videomessaggi, vanno sempre più lontani  (da Linkiesta)



I teenager sono sempre meno attivi su Fb. Lo confermano una serie di ricerche (questa e quest’altra). Per lui, c’è da preoccuparsi, allora. Ma la domanda successiva è: dove vanno?
Restano online, ma sugli smartphone. Il minor uso di Facebook è compensato dalle piattaforme di messaggistica istantanea, chat, scambi di immagini. I teenager preferiscono gli scambi su Instagram, WeChat, Snapchat o WhatsApp e simili. Nella prima metà del 2013 gli utenti teenager di Vine, la app di brevi filmati posseduta da Twitter, sono cresciuti del 639%; quelli della app di Flickr del 254%. Perfino la chat di Facebook risulta più utilizzata rispetto al sito stesso (e questo la dice lunga).
WeChat è cinese, cresce tantissimo in Cina (solo quest’anno, tra i giovani cinesi compresi tra 16 e 19 anni, è cresciuto del 1.021%) e nei paesi occidentali crescerebbe soprattutto tra i giovani di origine cinese (ma non è confermato). Appartiene al colosso cinese Tencent e si propone un modello di business che mescola messaggistica e piccoli acquisti (soprattutto bibite) nella metropolitana. Funzionerà? Chi può dirlo. Intanto è il mondo di Zuckerberg, per gli adolescenti, a diventare sempre meno interessante.

mercoledì 19 febbraio 2014

Altre foto comiche di gatti



Per la rubrica "Il gatto quotidiano" ecco alcune simpatiche foto ;-)

Foto

Geopolitica economica: il debito degli Usa



SAN FRANCISCO -  I democratici e il presidente Barack Obama hanno vintoun’importante battaglia politica: il limite al debito pubblico è stato alzato. Il governo federale potrà contrarre nuovo debito e procedere nelle politiche di sostegno all’occupazione e alla crescita.

La scelta era quasi obbligata: in America la disoccupazione è molto alta e la crescita ancora troppo fragile. Il sistema ha bisogno di costanti infusioni di liquidità per finanziare la guerra alla povertà, il sostegno alla classe media, il rinnovamento del sistema educativo, il rilancio delle infrastrutture e le altre politiche - in primis quella sanitaria - messe in campo dall’amministrazione Obama.

Piuttosto che commentare l’innalzamento in termini di battaglia politica, tuttavia, questo articolo vorrebbe raccontare una specie di “dietro le quinte”: cosa sta succedendo nei corridoi universitari e negli ambienti accademici.

In un recente libro di Brigitte Granville, 
Remembering Inflation (2013), si ricorda che l’inflazione è stata al centro non soltanto degli studi di economisti, ma anche delle preoccupazioni di milioni di comuni mortali per decenni.

Nell’introduzione, l’autrice confessa che l’idea del libro le venne a seguito di uncommento di Joseph Stiglitz sul Financial Times del 19 agosto 2010: “È tempo di tornare agli studi sull’inflazione”. In un periodo in cui la crescita - anzi, la mancanza di crescita economica - agita i sonni di politici, banchieri centrali e disoccupati in cerca di lavoro, l’inflazione sembra proprio un problema del passato.

Ma Stiglitz ricorda che l’inflazione non è soltanto il prodotto della crescita, può anche essere la conseguenza inattesa di una crisi finanziaria. Ecco perché bisogna rimettere l’inflazione al centro dell’attenzione di economisti e politici. Anche perché, ricorda Granville, combattere l’inflazione, una volta che essa si manifesta, è difficile e doloroso. In termini più tecnici, il controllo dell’inflazione, così come è stato teorizzato a partire dagli anni Settanta, richiede interventi delle banche centrali volti a stabilizzare o addirittura ridurre il debito pubblico. Richiede inoltre il varo di politiche economiche che oggi, in Italia, definiremmo "austere".

La buona notizia è che la strumentazione teorica per il controllo dell’inflazione ha resistito alla prova dei fatti, anzi si è dimostrata valida anche negli anni Ottanta e Novanta, quando l’inflazione è scaturita non tanto dal debito pubblico quanto dai fenomeni finanziari legati alla globalizzazione o da bolle speculative. Alla fine, è chiaro che l’inflazione è e resta un fenomeno monetario.

La cattiva notizia è che il controllo dell’inflazione si è dimostrato di gran lunga più efficace nella fase preventiva che in quella terapeutica. In altre parole, il modo migliore per evitare interventi anti-inflattivi e relativi costi economici e sociali è quello di ridurre il debito pubblico. Ma poiché il debito pubblico è il risultato di politiche economiche promosse da politici che, in una maniera o nell’altra, rispondono ai loro elettori, l’inflazione può essere cancellata dal vocabolario economico soltanto da un cambio di percezione nell’opinione pubblica. Solo quando gli elettori manderanno al governo politici che promettono di ridurre il debito pubblico, l’inflazione diventerà un lontano ricordo.

Così, nel momento stesso in cui i politici americani seguono gli umori degli elettori e innalzano il limite del debito pubblico, gli economisti si preparano a un possibile ritorno dell’inflazione. 

Da Limes (18/02/2014)

Com'era Milano ai tempi di Costantino



Nell'immagine sotto ci sono le indicazioni dei singoli luoghi, nell'anno 313 d. C. quando l'imperatore Costantino I emanò l'Editto di Milano, col quale rendeva legale la religione cristiana, a cui egli stesso aderì.

Milano Moda Donna, al via il primo show del 2014



In scena fino al 24 febbraio la fashion week dedicata alla moda per lei. Il live streaming delle sfilate

“Welcome to Milan Fashion Week”. È partita oggi sotto una pioggia battente la prima settimana milanese della moda dell’anno dedicata alla moda per lei, Milano Moda Donna. A battezzarla la nuova presidente della Camera nazionale della moda, quella Jane Reeve sulla quale gli operatori del settore, e non solo, ripongono le loro speranze. Da oggi fino a lunedì 24 febbraio in scena tra sfilate (65, di cui sette doppie) e presentazioni 170 collezioni dei grandi marchi italiani della moda per il prossimo autunno/inverno. A dare avvio questa mattina al calendario delle sfilate Chicca Lualdi Beequeen e Angelo Marani, con la passerella più attesa della giornata, ovvero Gucci, in scena subito dopo pranzo. Si prosegue domani con Fendi (e la sua sfilata con droni), Just CavalliPrada Moschino con il debutto del nuovo corso creativo con protagonista Jeremy Scott; mentre venerdì 21 sarà la volta di Emporio Armani Versace, entrambi con sfilata doppia. Apre il week end Bottega Veneta. ProseguonoRoberto CavalliJil Sander ed Emilio PucciTrussardiMissoni e Salvatore Ferragamo in scena la domenica per la grande chiusura, lunedì 24 con Giorgio Armani (anche qui la sfilata è doppia) e Stella Jean.

Come trovare lavoro nel mondo della moda o nel settore dell'industria della moda



Passerelle, abiti lunghi e modelle. Il comparto della moda italiana è da sempre uno dei settori di eccellenza del made in Italy. Nel 2011 il fatturato ha superato i 52 miliardi di euro, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente (dati Federazione tessile e moda). Una filiera che impegna imprese diverse, dalle filature e le tessiture fino alla scelta delle luci per le passerelle. E che negli ultimi dieci anni ha subito enormi cambiamenti, dalla scomparsa di alcuni stilisti all’emigrazione all'estero di marchi storici, dall’avvento delle vendite online al successo del fast fashion. Ma se il mestiere dello stilista continua a essere il più ambito dai giovani, e anche il più complesso da raggiungere, il settore del fashion chiede sempre nuove figure professionali. «Le ricerche di personale», scrive Emanuela Cavalca Altan nel suo ultimo libro Moda e design in bilico, «si orientano verso professioni commerciali, come addetti alle vendite o responsabili store». Quelle più ricercate, però, sono «le professioni tecniche», dal modellista al tecnico di produzione fino al prototipista. Professioni manuali per le quali nel settore moda italiano manca il personale. Così i corsi di formazione, inclusi quelli di Louis Vuitton, vanno deserti. 

AREA PRODOTTO
In un momento di crisi economica, le aziende della moda sono molto attente a razionalizzare le spese e quindi a quello che viene chiamatomerchandising mix, cioè alla realizzazione di collezioni che per struttura, assortimento e fasce di prezzo siano perfettamente coerenti e rispondenti alle esigenze dei consumatori, attuali e potenziali, a seconda degli obiettivi strategici dell’azienda. Le figure professionali più ricercate in questo ambito vanno dal brand manager al product manager, ilmerchandiser di collezione e l’addetto alla logistica. Anche la riscoperta della figura del buyer, il compratore che cura gli acquisti dei capi per i negozi, è legata alla necessità per i titolari delle imprese di risparmiare sull'approvvigionamento.
Una figura chiave in questo senso è quella del product manager, a metà tra l’area prodotto e il marketing, entrata nel mondo della moda con la funzione di sviluppare la strategia di un prodotto o di una linea da lanciare o rinnovare. Il product manager deve pensare a una collezione o un prodotto vendibile coerente con i valori dell’azienda (e in questo collabora con il brand manager) e posizionato correttamente nella fascia di prezzo. Identifica il segmento del mercato da raggiungere e la concorrenza. E una volta terminata la campagna vendite, pianifica quella successiva.
Molto richiesta è anche la figura dell’uomo prodotto omerchandiser, che ha il compito di sviluppare una collezione in linea con le esigenze dell’azienda. Per questo deve possedere insieme una sensibilità artistica e conoscenze tecniche, oltre che buona capacità di dialogo con le altre parti del processo di produzione. Segue tutte le fasi di sviluppo della collezione e coordina le prove, supportando il reparto modelleria e i produttori esterni fino alla messa a punto del campione.

REALIZZAZIONE MANUALE
Uno dei tanti paradossi dell’Italia, scrive Cavalca Altan, è che «molti disdegnano il lavoro manuale». Anche nella moda. Parliamo di figure tecniche sia per l’industria calzaturiera che per l’abbigliamento, dal modellista al prototipista all’addetto alle taglie. Ma forse non tutti sanno che «nel campo della modelleria femminile, un tecnico preparato riesce a portare a casa uno stipendio netto che va dai 3 ai 6 mila euro al mese». La manualità spaventa, insomma. Tanto che per i corsi di formazione italiani di Louis Vuitton non si riesce neanche a completare una classe di venti persone. Così vengono annullati. 
Nella parte tecnica, tra le professioni più ricercate c’è quella del modellista: lavora a stretto contatto con lo stlista e da lui dipende la linea perfetta del modello e la sua vestibilità. Il modellista legge e decodifica lo schizzo dello stlista, lo trasporta su un cartone in tutte le sue parti e con le necessarie specifiche, poi lo taglia per costruire le parti del modello. In poche parole: trasforma le idee in materia. Grazie alla tecnologia, però, negli ultimi anni il modellista ha appeso al chiodo "la stecca e la penna", trasferendo i suoi disegni prima sul computer e poi sulla carta. All'inizio della carriera, si parte dal ruolo di aiuto modellista, per poi passare a modellista di una collezione, coordinatore di più linee e infine responsabile dell'area modelli. Lo stipendio iniziale è di circa 1.500/2.000 euro lordi fino a retribuzioni molto più alte. Anche se molte aziende affidano alle strutture esterne di model service parte della realizzazione del modello e dei prototipi. Ed è qui che è possibile trovare nuovi impieghi. 
Per la realizzazione del prototipo, la figura professionale di riferimento è quella del prototipista. Una figura quasi introvabile, si legge in Moda e design in bilico, con il compito di realizzare il prototipo del capo campione. Cosa fa in pratica il prototipista? Taglia e cuce a mano ciò che il modellista ha disegnato. E una volta terminato, si decide se metterlo in produzione o meno. Il prototipista deve essere dotato di grande pazienza, scrive Calvalca Altan, per fare e smontare il capo, dalle scarpe ai pantaloni, finché stilista e modellista non saranno soddisfatti.
Una volta scelto e memorizzato al computer il prototipo giusto, è il momento dell’addetto allo sviluppo delle taglie. Dopo l’inserimento dei dati, un programma specifico realizza le taglie di sviluppo. L’addetto controlla l’esattezza e la coerenza dello sviluppo. E, sempre al computer, prepara il grafico di taglio del tessuto con la massima efficienza e il minimo spreco. È un processo di matematica che segue la logica proporzionale delle taglie. E che si differenzia in scalare, conformato e calibrato, a seconda del numero delle taglie da sviluppare.

PROFESSIONI CONTRO LA CONTRAFFAZIONE
Quando il prodotto è bello e finito, cominciano le magagne. Quasi ogni giorno la Guardia di Finanza sequestra prodotti contraffatti, dagli occhiali alle scarpe. E il mercato degli acquirenti sembra essere florido. È per questo che figure professionali in grado di proteggere il marchio dal commercio illegale diventano strategiche. 
Il responsabile Industrial Property (IP) è una figura fondamentale per le aziende che sempre più devono proteggersi dalla contraffazione e dal commercio illegale che possono danneggiare l’immagine del marchio. Chi ricopre questo ruolo ha solitamente una laurea in giurisprudenza, economia aziendale o ingegneria gestionale. Per essere iscritti all’ordine dei consulenti in PI, bisogna superare un esame di abilitazione. L’IP dovrà proteggere il prodotto dall’ideazione fino alla commercializzazione. Illicensing manager, invece, si occupa di gestire le modalità di cessione del diritto d’utilizzo di un marchio, seguendo gli aspetti legali e finanziari. Deve fare attenzione nella scelta dei partner, puntando a scegliere aziende serie. «Un esperto in licensing», scrive Cavalca Altan, «ha le medesime conoscenze dell’IP, ma maggiori competenze legali, perché si dovrà occupare di gestire i contratti e predisporre tutte le cautele». I compensi variano in relazione alla dimensione dell’azienda, ma alla cifra base va aggiunto un extra legato al risultato.

FASHION WEB
Tra i nuovi mestieri del fashion, non potevano mancare quelli destinati al Web. Accanto ai pierre tradizionali, si affiancano nuove figure professionali che richiedono nuove e specifiche competenze: dall’e-commerce manager web marketing manager al community manager. Le aziende sono alla ricerca di questi professionisti, solitamente giovani, che aiutino a sfruttare in pieno le nuove frontiere online del business e che siano in grado di traghettare le aziende, spesso con una lunga esperienza alle spalle, nel mondo della moda 2.0.

COMMERCIO E VENDITA
Dalla vendita in Rete al commercio tradizionale nei negozi, in questo caso a essere ricercate dal mercato sono figure come gli addetti alle vendite (commesso) o i responsabili degli store. Lavori che comportano qualche sacrificio: molte ore in piedi, sabato e festività impegnate e sveglia al mattino presto. Ma attenzione: l’addetto alle vendite, precisa Cavalca Altan, non è più il semplice commesso di una volta, ma è diventato progressivamente un consulente di moda. Vendere un marchio di lusso non significa solo porgere una gonna o un pantalone, insomma, ma trasmettere una intera cultura d'azienda. Stesso discorso per lo store manager, che deve monitorare sul campo l’andamento del punto vendita. Un netto aumento di richieste c’è anche per gli addetti all’ufficio commerciale estero, per i quali viene richiesta la conoscenza di almeno due lingue straniere. In particolare, sono in aumento le richieste di addetti alla vendita con una padronanza fluente del cinese, del russo e del coreano. Figure chiave sono anche i sales plannersales analyst e stock manager. Quest'ultimo ha preso molto piede negli ultimi anni, occupandosi di smaltire la marce invenduta del magazzino per aprire outlet o reinserirla nel circuito di vendita.
Fondamentale per la vendita dell'abbigliamento in un negozio è la vetrina e la sua organizzazione. Per questo, il mercato cerca sempre più vetrinisti, in gergo tecnico visual merchandiser, che altro non sono che professionisti della comunicazione visiva con il compito di progettare e curare la disposizione dei prodotti nelle vetrine e nei punti vendita. Studiano lo spazio, la luce, cercando una la disposizione giusta per veicolare i valori dell’azienda. Per questo esiste anche una scuola specializzata come l’Accademia vetrinistica italiana, che insegna ai giovani le tecniche espositive per creare vetrine.

LE SFILATE
L'ultima tappa di questa filiera non possono che essere le sfilate. Il sogno di chi vuol fare lo stlista. Ma dietro le modelle truccatissime e magrissime che sfilano indossando abiti meravigliosi, c’è tutto un brulichio di persone e professionalità che regge l’organizzazione dell’evento. A partire dagli addetti alla sicurezza della sala d’ingresso e del backstage che, con tanto di auricolare e divisa nera, controllano i pass di chi entra ed esce. Per la preparazione delle modelle, lavorano invece parrucchieri e assistenti, truccatori e vestieriste.
Ogni modella ha una vestierista, che si occupa di sistemare sullo manichino il capo da indossare e da togliere nel giro di trenta secondi. A coordinare le vestieriste, le uscite degli abiti e lo staff scenografico, è la regia della sfilata. E in questo molti mestieri del mondo dello spettacolo si intrecciano con la moda. Dietro le quinte, poi, c’è anche un fashion stylist, che cura l’immagine del marchio nella sfilata, scegliendo i capi della collezione da inserire, coordinando il truccatore e il parrucchiere per lo shooting fotografico.
Tra il pubblico, seduti a bordo passerella ci sono i buyer, tra le figure più ricercate da cacciatori di teste e dalle società di selezione. Si tratta dei responsabili degli acquisti di una azienda, sui quali l'azienda conta anche in termini di razionalizzazione della spesa e di risparmio. Il buyer deve sapere innovare continuamente i meccanismi di approvvigionamento dei materiali per ridurre i tempi e razionalizzare le spese. E con la comparsa di piattaforme commerciali online, il classico compratore si è trasformato nel web buyer. Che ha le stesse funzioni di un buyer tradizionale, ma lo fa in Rete.

La salute si legge in faccia



Ti sei mai chiesto/a perché ti rimangono le occhiaie anche se dormi 10 ore a notte? O perché quando sei stressato/a ti vengono dei brufoletti sempre nello stesso punto del volto? E quelle macchieeczemi o rossore che proprio non si spiegano? Hai provato mille creme e trucchi della nonna? Finalmente hai trovato la spiegazione… continua a leggere!



Sono tutti segni che il tuo corpo ti sta dando… e se sai come decifrarli puoiagire dove serve! E capire cosa c’è veramente che non va. L’analisi del volto di solito ci viene chiesta dal punto di vista dell’espressione dell’emozioni, di come si manifestano nella relazione con le persone per svelare chi mente, quali argomenti veramente interessano, che reazione stiamo suscitando negli altri; faremo prossimamente un articolo sul tema, sappiamo dai feedback dei nostri corsisti quanto sia interessante e utile! In questo caso parliamo, invece, di come il corpo si alteri a causa di ‘sofferenze’ prolungate. Si può trattare di organi interni affaticati da una cattiva alimentazione, dallo stress, dal fare le cose contro voglia, ecc.



La lettura dei segnali del volto è una scienza poco nota ma dilunga tradizione: la medicina greca, quella ayurvedica, la medicina cinese prima di tutti l’hanno studiata. Oggi leneuroscienze hanno dimostrato la validità di quasi tutte le indicazioni fornite da queste discipline e qui vi forniremo la sintesi per noi più efficace.
Ogni area del viso ha un preciso significato, è collegata neurologicamente, vascolarmente ed energeticamente con organi specifici e soggetta a determinati neurotrasmettitori, ormoni e altri “messaggeri” interni. Vi proponiamo due letture, attraverso altrettante rappresentazioni grafiche: la prima riguarda la connessione tra zone della faccia e “organi affaticati”, la seconda è relativa al tipo di emozione di cui “stiamo abusando”.
Facciamo un esempio per capire come funziona: riscontriamo di avere sempre le occhiaie troppo marcate nonostante stiamo dormendo abbastanza; la prima mappa del volto ci dice che è l’area dei reni, quindi possiamo domandarci se stiamo bevendo troppo poco o mangiando troppa carne ad esempio. La seconda mappa ci dice che è l’area dello stress, allora forse dobbiamo ridurre il carico di lavoro, le pressioni con cui viviamo o qualunque altro fattore ci stia logorando in modo continuativo. Una mappa non esclude l’altra: è possibile sia che siamo disidratati sia che siamo stressati. Facciamo allora qualche modifica e vediamo nei giorni successivi cosa succede.
Mi raccomando, concedete al vostro corpo dei tempi di recupero adeguati! Se siete stressati al lavoro da due giorni recupererete in fretta e già in due giorni vedrete il vostro viso cambiare; se il vostro fegato è sovraccarico da un anno di cibi fritti ci vorranno almeno 3-6 mesi per vedere i primi risultati… ma ne vale sempre la pena!
Facciamo un altro esempio: vi capita che compaiano dei brufoli o delle escoriazioni ai lati della bocca e, in particolare tra i lati della bocca e il mento. Dalla prima mappa capiamo che è la zona in cui esprime il suo disagio il colon, quindi potremmo avere un’infiammazione tipo colite o la disbiosi. In entrambi i casi possiamo provare a ridurre tutti i cibi che irritano il colon: caffè, carne rossa, zucchero bianco, alcool e lieviti. Dal punto di vista emotivo è l’area della preoccupazione, che mostra segnali che da troppo tempo siamo in pena per qualcosa o qualcuno. Possiamo allora concentrarci per trovare nuove modalità di controllo o soluzioni per questa situazione che ci sta logorando, senza più procrastinare.