L’ultima modifica agli assetti territoriali risale al 1954, quando Nikita Chruščëv, primo segretario del Partito, cedette la Crimea alla Repubblica federativa sovietica di Ucraina, a memento dei 300 anni della (pretesa) dedizione di Chmielnicki alla Moscovia. Crollata l'Unione Sovietica, tale cessione avrebbe dato adito a una nuova contesa, dal momento che Sebastopoli era l'ancoraggio più importante per la flotta russa (già sovietica) del Mar Nero. Non meno importante, la diffusione della lingua ucraina in Crimea appariva marginale, quantomeno nei confronti di quelle preponderanti: russa e turco-tatara.
In virtù di questa storia è possibile individuare, in Ucraina, una forte polarizzazione che corre sulla base dei meridiani: nell’Est russofono (quando non autenticamente russo), la maggioranza della popolazione guarda ancora a Mosca, depositaria di formidabili legami storici, religiosi e spirituali, corroborati dai numerosi legami familiari con i russi d'oltreconfine(11). Viceversa, le regioni occidentali del paese appaiono tendenzialmente nazionaliste, ucrainofone e uniate. Il baricentro delle due aree corre lungo le anse del fiume Dnepr, che segna la zona di trapasso degli orientamenti politici e - tendenzialmente - anche fra il prevalere dell'uno o dell'altro idioma(12). Se è vero che le terre a Est del Dnepr, più la città di Kiev, sono (ri-)entrate a far parte dell’orbita russa nel 1654, è anche vero che l’ingresso nella sfera russa della pravoberežnaja Ukraina, che ha nella Volinia la sua regione principale, risale al 1795, mentre la Galizia orientale è stata annessa all’Urss solo nel 1945. La Crimea, infine, fu l’ultimo territorio entrato a farne parte, in piena guerra fredda. Questa periodizzazione è utile per determinare i diversi gradienti dell’efficacia della penetrazione della cultura e della lingua russa nello Stato ucraino: a ciò corrispondono gli orientamenti politici tendenzialmente filorussi dei cittadini delle regioni orientali(13) oppure quelli filoeuropei degli abitanti delle aree occidentali, storicamente posti in più stretto contatto (benché da posizioni spesso di subalternità) con la Polonia, l’Austria e l’Ungheria.
La partita che si è giocata a Vilnius il 28 e il 29 di novembre fra la Russia e l’Unione Europea,
de facto, ha avuto come posta in palio il controllo di alcune delle repubbliche ex sovietiche e la loro inclusione nell’area d'influenza europea, piuttosto che in quella dell’Unione eurasiatica guidata dalla Federazione Russa. L’Unione Europea, già tanto gravata da pesanti problemi interni, poteva ragionevolmente sperare di estendere la propria influenza all’Ucraina, la seconda delle repubbliche ex sovietiche per potenzialità economiche e popolazione? Com’era noto a Catherine Ashton e, più in generale, ai vertici dell’Unione, sarebbe stato molto difficile riuscire a convincere Yanukovich ad accettare gli aiuti economici promessi da Bruxelles in cambio della richiesta di un rinnovamento del sistema politico per mezzo di riforme volte ad accentuare la trasparenza delle istituzioni ucraine. D’altra parte, Mosca ha potuto mettere sul tavolo la sua grande influenza geopolitica, oltre che il peso delle proprie elargizioni, specialmente in ambito energetico. Inoltre, Putin non chiedeva a Kiev di mettere mano al proprio sistema politico. Perché tanta magnanimità? Dal punto di vista del Cremlino, l’Ucraina non solo è parte del suo "estero vicino" nonché culla della nazione russa(14), ma rappresenta un considerevole mercato, peraltro estremamente recettivo nei confronti delle proprie indicazioni(15).
La situazione attuale è dunque assai complessa, anche perché l’Ucraina, in quasi tutte le analisi politiche, viene percepita come area di frizione fra la sfera d'influenza europea e quella russa. E se fosse invece considerata quale ponte funzionale all'avvicinamento fra la Federazione Russa e l’Unione Europea(16)? Magari la Russia tornerebbe a esser considerata parte dell’Europa(17), a dispetto della tradizione di pensiero eurasista che, gemmata dal pensiero slavofilo, tanto ha pervaso le coscienze dei russi. Se l'Unione Europea considerasse i rapporti con Mosca non più un fatto diostpolitik ma di autentica politica interna - o quantomeno rientranti nell'ambito di una relazione fra soggetti apparentati, potrebbe svolgere nei confronti dell’Ucraina un’azione più attrattiva e, al contempo, renderebbe più improbabile uno scenario di spaccatura interna.
Note:
(1) Questo Stato era popolato prevalentemente da slavi-orientali, benché non esclusivamente: molte erano infatti le tribù finniche, in una buona misura assorbite dagli stessi slavi; inoltre, a dar credito alla “teoria normanna”, sviluppata da vari storici ottocenteschi e in particolare da Pogodin, furono i Varjagi (normanni svedesi) a fornire le élite a una società ancora esclusivamente contadina, poco articolata o stratificata da un punto di vista sociale. Gli scandinavi vennero presto assorbiti nello Stato che aveva tributato loro tanta generosa accoglienza, pur lasciarono in eredità, ad esempio, una forte influenza sull’onomastica: Oleg e il suo corrispettivo femminile Ol´ga derivano da Olaf, mentre Igor´ da Ingvar.
(2) Su questo soggetto storico, nel 1938, Ejzenštejn avrebbe per l’appunto dedicato il suo capolavoro, censurato l’anno successivo per effetto dell’avvicinamento alla Germania hitleriana imposto
dal patto Molotov-Ribbentrop.
(3) Con l’introduzione, successivamente, di minime varianti, a opera dal sinodo di Zamość nel 1720; cfr.: A. M. Ammann S.J., Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, U.T.E.T., Torino, 1948, pp. 359-365.
(4) Tra l’altro, ciò comportò il superamento gerarchico da parte di Mosca nei confronti della Matropolia kieviana, rispetto alla quale in origine Mosca dipendeva.
(5) I cosacchi furono percepiti dagli storiografi e scrittori dell’Ottocento, e in particolare da Kostomarov e Ševčenko, quali progenitori degli ucraini moderni. L’immagine stereotipata del cosacco nella letteratura polacca fu essenzialmente creato da Sienkiewicz, nel suo romanzo Con il fuoco e con la spada (Ogniem i mieczem, 1884). In Sienkiewicz è molto forte il sentimento contrastante di passione e repulsione provato nei confronti dell’Ucraina; cfr.: K. Konstantynenko, La minoranza di una minoranza: gli ucraini nell’opera di Sienkiewicz, in Le minoranze come oggetto di satira, A. Pavan, G. Giraudo (a cura di), Padova, E.V.A., 2001, Vol. I, pp. 208-213. All’opposto, nella letteratura russa, la più celebre rappresentazione della figura del cosacco è quella rappresentata dal racconto gogoliano di Taras Bul´ba (1834), racconto lungo che nasce sulla base degli studi di storia ucraina condotti da Gogol´, e che ha conosciuto numerose trasposizioni cinematografiche, anche in Occidente.
(6) I territori a Est del fiume Dnepr, più la città di Kiev, che sorge lungo la sponda alla sinistra idrografica del fiume stesso. La parte occidentale del Cosaccato rimase sotto il controllo del regno di Polonia.
(7) Sostenuta da quella della diaspora canadese, un autentico potentato.
(8) Sin dal tempo della riscossa di Mosca, il potere autocratico aveva giustificato le conquiste dei territori occidentali collocandole nell’egida della “raccolta delle terre della Rus´”, pretese come slave-orientali da sempre, e perciò, per l’effetto di un corto circuito logico che il centro si concedeva, da sempre “russe”.
(9) Una mirabile rappresentazione, realizzata da un punto di vista insieme nazionale e bolscevico, delle piazze di Kiev nelle mani degli indipendentisti, si ha nel film “Arsenal”, di Oleksandr Dovženko, del 1929.
(10) Un aspro contrasto oppone ancora oggi i nazionalisti ucraini, molto forti soprattutto in Galizia, e i russi in merito alla memoria della seconda guerra mondiale, chiamata dai secondi la “grande guerra patriottica”. Echi di ciò si hanno, oltre che in ambito politico e nella discussione storiografica, anche nelle arti. Ad esempio, sul medesimo tema, sono imperniati su valori antitetici il film del regista ucraino-sovietico Boris Ivčenko “Annyčka” (1968), ligio al sistema di valori sovietico, e le opere del regista Oleksandr Jančuk, caratterizzate da un orientamento nazionalista e favorevole all’Upa come ad esempio “Neskorennyj”, del 2000.
(11) A questo proposito è esemplificativa una vignetta satirica comparsa nella stampa ucraina all’indomani del 1991: mamma e papà sono seduti in camera da letto in compagnia dei due figlioli, mentre è stato tracciato un nuovo (innaturale) confine che passa proprio per il letto; la signora chiede al marito “Ivan, è stato segnato il nuovo confine. Per quale cittadinanza opteremo, la mia o la tua?”, in A. Wilson, The Ukrainians. Unexpected Nation, New Haven and London, Yale University Press, 2000, p. 188.
(12) Va aggiunto che, nelle aree centrali, i prostonarod´e, ossia “la gente semplice”, si esprime in suržik, un dialetto avente per base il russo ma fitto di idiotismi ucraini.
(13) In questo frangente storico, alcuni fatti potrebbero contraddire tale tendenza: parte delle comunità dell’Ucraina orientale e persino alcuni magnati dell’economia, strattamente dipendenti dal gas russo, avrebbero infatti adottato un atteggiamento favorevole al movimento di opposizione “Euromajdan”; cfr.: F. Dragosei, Paura del Cremlino. Gli oligarchi ucraini scelgono l’Europa, Corriere della Sera, 13/12/2013, p. 19.
(14) Per comprendere appieno il significato del profondo legame che lega i russi al territorio ucraino, cfr.: A. Solzenicyn, La «questione russa» del secolo XX, Torino, Einaudi, 1995, pp. 98-101. È interessante notare che l’edizione italiana reca in copertina una famiglia di Gidzivka (Ucraina).
(15) Considerato il fatto che la Federazione Russa rimane di gran lunga il paese dalle relazioni commerciali più forti con l’Ucraina, va detto che il volume dei rapporti con la Polonia sta aumentando significativamente. Cfr.: A.M. Merlo, Accordo di associazione in sospeso, in “Il Manifesto”, 11/12/2013.
(16) Questione, tra l’altro, in agenda negli anni di Elcin, ma poi accantonata in seguito ai successi conseguiti da Putin nell'ambito di una politica estera prettamente eurasiatica.
(17) In termini geopoltici, la configurazione del soggetto derivato da tale associazione potrebbe essere chiamato “Paneuropa”, o “Eurussia”, cfr.: M. Armellini, L’Europa del futuro sarà Eurussia o non sarà. Le occasioni mancate del ’68 e dell’89, in L’Europa del disincanto. Dal ’68 praghese alla crisi del neoliberismo, F. Leoncini (a cura di), Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2011, pp. 151-174.