Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 5 dicembre 2013
Mandela e gli smeraldi di Elisabetta
Sul proprio sito Facebook la British Royal Family partecipa al lutto per la scomparsa dell'ex presidente sudafricano con una foto commemorativa piuttosto sfarzosa.
Mandela è stato giustamente e doverosamente insignito delle massime onoreficenze del Regno Unito.
Non possiamo far a meno di commentare che, una volta tanto, Elisabetta aveva azzeccato l'outfit. Il gioco di perle, diamanti e smeraldi è veramente straordinario.
Certo fa effetto vedere insieme due persone che sono partite dagli estremi opposti, anche politicamente, e che in vecchiaia si sono trovate a convergere, una volta tanto nella giusta direzione.
Young Victoria: vizi privati e pubbliche virtù.
"Una donna perbene, sia essa una lady o una contadina, non prova alcun piacere nel compiere il suo dovere coniugale". Questa era una delle frasi stereotipate che andavano di moda durante l'età vittoriana. Nessuno poteva immaginare che la regina, pur dietro la maschera solenne che si era imposta prima per far contento il bigotto marito Albert e poi per manifestare al mondo intero il suo dolore di vedova, la pensasse all'opposto.
I suoi diari e la sua corrispondenza hanno svelato il clamoroso equivoco: Vittoria era una donna dai fortissimi appetiti sessuali, il cui unico inconveniente erano le gravidanze, che la regina detestava, così come detestava i suoi figli e i bambini in generale.
Sì, perché se si va a vedere la biografia reale di Victoria Alexandrina di Hannover (1819-1901), ci si rende conto che la sua vita ebbe ben poco di "vittoriano".
L'infanzia e l'adolescenza, a Kensington Palace, erano state scandite dai pessimi esempi della madre omonima, la duchessa Victoria di Kent, che conviveva more uxorio con l'ambizioso e rude maggiordomo John Conroy, che secondo molti era il padre naturale della futura regina.
Quando Vittoria colse la madre e il maggiordomo in flagrante delicto rimase sconvolta non tanto per l'atto in sé, quanto per le ombre che quella relazione gettava sulla legittimità della sua nascita e quindi del suo diritto di successione.
Ma emerge anche una certa invidia per il libertinaggio della madre, dovuta ad una sessualità repressa per diciotto anni, e sopratutto un senso di esasperazione per essere controllata costantemente e di non poter decidere autonomamente della propria vita.
Madre e figlia erano rivali su tutto e non era un mistero che, se lo zio re Guglielmo IV fosse morto prima del diciottesimo compleanno di Vittoria, la madre sarebbe divenuta reggente ed il maggiordomo Convoy si sarebbe impadronito del potere.
Guglielmo IV di Hannover, re di Gran Bretagna e Irlanda dal 1830 al 1837 era, a detta dei suoi stessi amici: "per un quarto un brigante e per tre quarti un buffone".
In effetti il vecchio sovrano aveva un carattere infernale, come tutti gli Hannover del resto, ed aveva preso dal padre una vena di follia e dal fratello un ego smisurato, senza però avere il carisma dei suoi predecessori. Erano tristemente, ma anche comicamente, noti i discorsi con cui tediava i suoi ospiti a St. James Palace, al termine della cena, quando era già completamente ubriaco.
Negli ultimi anni il tema principale, anzi l'unico, dove le sue orazioni alcoliche andavano a parare era sempre lo stesso: l'indegnità del comportamento della cognata Victoria di Kent, che certamente si meritava tutte le critiche del re, ma che aveva la stupidità di volergli tener testa in quelle sceneggiate che lasciavano la corte senza parole.
Uno spettacolo da osteria di fronte al quale la giovane Vittoria sviluppava sentimenti di puro e giustificato disprezzo nei confronti sia della madre che dello zio, con la differenza però che nei confronti della madre nutriva solo odio, mentre allo zio re riservava una misericordiosa compassione, non fosse altro per il fatto che il vecchio, dopo aver perduto le sue figlie legittime, aveva sviluppato, a suo modo, una certa simpatia per quella nipote su cui tutte le speranze e tutti i timori del Regno Unito si stavano concentrando.
Politicamente la giovane Vittoria era liberale, più che altro perché i conservatori puntavano tutto sullo zio Ernesto Augusto di Hannover, duca di Cumberland, fratello minore del re e del defunto duca di Kent.
Il Duca di Cumberland era potentissimo e tra le altre cose era diventato anche Gran Maestro della Massoneria britannica.
L'unico ostacolo che si frapponeva tra lui e il trono era la nipote Vittoria e si pensa che gli attentati che ella poi subì nei primi anni di regno fossero stati commissionati dallo zio, che era stato relegato nell'Hannover, a rodersi il fegato per le frustrate ambizioni.
In questa precaria situazione, la giovane Vittoria aveva solo tre punti di riferimento sicuri: la propria governante, baronessa Louise Lehzen; lo zio materno Leopoldo, re del Belgio e il primo ministro liberale Lord Melbourne, del quale la ragazza si era infatuata.
Il problema era che queste tre persone la pensavano diversamente su tutto e questo disorientava ancor di più la ragazza, che non sapeva a chi dovesse dare ascolto.
Nell'incertezza, Vittoria dava ascolto ai propri desideri.
E i propri desideri erano di compiacere l'amato Lord Melbourne, il quale si preparava a diventare, di fatto se non diritto, il vero reggente.
Alle ambizioni di Lord Melbourne si opponeva Leopoldo del Belgio, zio materno di Vittoria, che per mantenere salda l'influenza sulla nipote mandò a Londra il cugino della ragazza, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha.
Quando Vittoria lo vide, fu travolta immediatamente dal desiderio e subito scrisse allo zio: "Albert, poi è così bello!" e manifestò la sua disponibilità a sposarlo il più presto possibile una volta compiuti i 18 anni.
Albert, che non era minimamente innamorato, ma era mosso da una smisurata ambizione, credeva di aver già conquistato la sua facile preda e se ne tornò a Coburgo, nel suo microscopico staterello tedesco, ad attendere le lettere della cugina.
Non aveva fatto i conti con la volubilità del carattere di lei. Come a dire "lontano dagli occhi, lontano dal cuore", tanto che per un anno intero lei non gli scrisse neanche una riga, eccettuato un freddo biglietto di auguri di Natale.
Era di nuovo innamorata di Lord Melbourne ed era elettrizzata all'idea che presto sarebbe salita al trono e avrebbe governato insieme al primo ministro.
Finalmente arrivò il tanto sospirato diciottesimo compleanno, il 24 maggio 1837, giusto poche settimane prima della morte del re Guglielmo IV, il 20 giugno.
Svegliata nella notte, accettò gli omaggi regali e il baciamano di Lord Melbourne, si fece chiamare subito "Vostra Maestà" e come primo atto da regina fece cacciare dalla sua vista la madre e il maggiordomo Conroy.
Così, in una camera da letto, con una adolescente in sottoveste, piena di desiderio e di ambizione, e un primo ministro scaltro e opportunista, iniziava in maniera tutt'altro che austera quella che poi sarebbe diventata la severissima età vittoriana.
Moda uomo: look da "aperitivo semi-formale" - Cocktail attire - Semi formal evenig
Per le uscite serali è sempre richiesto un look più ricercato ed elegante rispetto a ciò che si indossa di giorno. Poi naturalmente tutto dipende dalla specifica occasione.
Negli ultimi anni il concetto di aperitivo ha perso l'aspetto ultra-formale del cocktail party classico, la serata elegante che si svolgeva nelle ville o nei palazzi per le grandi occasioni in cui era richiesto lo smoking. Se ne fanno ancora e se ne faranno sempre, ma oggi l'aperitivo è diventato un rito di massa, che si svolge nei bar, nei pub, nei ristoranti, nei locali, per strada, dalle 17 del pomeriggio in avanti, fino a notte. E' l'inizio della cosiddetta "movida" lungo le strade del centro e vi partecipano persone di tutte le età, anche se in prevalenza si tratta di giovani, addirittura di adolescenti.
L'aperitivo così inteso diventa qualcosa di molto informale e l'abbigliamento dipende sia dal tipo di posti frequentati e soprattutto dal tipo di compagnie.
A metà strada tra il cocktail party classico e l'aperitivo informale di massa, si può collocare il cocktail attire o light dinner, che potremmo ribattezzare come "aperitivo semi-formale" per distinguerlo da quello di massa.
Un aperitivo formale si distingue per il fatto che si svolge in un luogo e con una compagnia che richiedono una maggiore eleganza rispetto ad un normale aperitivo, senza però imporre l'abito da sera del cocktail party.
In particolare, nel caso della moda maschile, il look da uomo per l'aperitivo semi-formale (semi-formal evening) richiede l'osservanza di alcune regole.
1) Si indossano: giacca, camicia, cravatta, pantaloni eleganti e scarpe lucide, in una combinazione varia, che permette di ottenere degli outfit molto diversificati.
2) Non è necessario che l'abito sia scuro.
4) Nel contesto semi-formale è preferibile una cravatta normale al papillon.
5) Si possono scegliere anche dei colori accesi, essendo un contesto non pienamente formale.
6) E' molto importante la scelta degli accessori, per esempio l'orologio, la cravatta, la pochette da taschino, la decorazione all'occhiello della giacca, la cintura dei pantaloni, tutte cose che nell'abbigliamento lavorativo o in quello formale non devono essere appariscenti, mentre in un contesto semi-formale c'è più libertà.
7) Molto dipende dalla stagione. D'inverno è richiesta un'eleganza maggiore.
8) D'estate si preferiscono i colori chiari.
9) Sono ammessi i cappelli, specie d'estate.
10) E' ammesso un look originale o ricercato, purché nel rispetto delle precedenti regole.
Re Giorgio V : un ruvido nostromo su una nave che affonda.
Un tratto tipico della dinastia dei Windsor (anche quando si chiamavano Sassonia-Coburgo-Gotha o Hannover) è la netta opposizione, a volte persino violenta, tra i padri e i figli.
Giorgio V rispettò questa regola sia come figlio che come padre.
Come figlio si rivelò l'opposto di ciò che era sua padre Edoardo VII, il famoso "Bertie" di cui ho parlato nei post precedenti.
Quanto "Bertie" era cortese e gaudente, tanto George era ruvido, irascibile, severissimo e austero.
Allo stesso modo i suoi figli (qui sopra vediamo Edoardo VIII di fianco alla bisnonna Vittoria) erano tutti, seppure sotto diversi aspetti, fragili e problematici.
Del resto basta guardare le foto e la stazza dei vari personaggi in questione per capire il loro carattere.
Giorgio tra l'altro non era destinato al trono, avendo un fratello maggiore, il principe Albert Victor, detto Eddy, il Duca di Clarence, di cui ho parlato nei giorni precedenti.
Ma partiamo dall'inizio.
George Frederick Ernest Albert Windsor (Londra, 4 giugno 1865 – Sandringham, 20 gennaio 1936), nacque a Marlborough House, Londra, dal Principe di Galles (poi re Edoardo VII, primo figlio maschio della regina Vittoria e del principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) e dalla principessa del Galles, Alessandra di Danimarca, figlia di re Cristiano IX di Danimarca. In quanto figlio del principe di Galles, Giorgio venne insignito del titolo di Sua Altezza Reale Principe Giorgio del Galles alla nascita. Venne battezzatonella cappella privata al castello di Windsor il 7 luglio 1865 dall'allora arcivescovo di Canterbury Charles Longley
Come figlio minore dell'erede al trono non vi erano aspettative per Giorgio di ascendere un giorno al trono per cui fu destinato alla carriera militare in Marina.
La vita sulle navi, a zonzo per i Sette Mari, gli si addiceva perfettamente. Sembrava nato per questo. Ed i suoi modi non erano nemmeno quelli di un ufficiale di riguardo appartenente alla famiglia reale dell'Impero Britannico, che dominava gli oceani, quanto piuttosto quelli di un rude marinaio, un lupo di mare, un "ruvido nostromo", come lo ha efficacemente definito Antonio Caprarica ne "Il romanzo dei Windsor".
E avrebbe continuato a navigare e ad urlare come un ossesso all'equipaggio se un evento imprevisto non lo avesse catapultato in un ruolo per il quale era completamente impreparato e per nulla portato di natura: il Re.
Nel dicembre 1891 sia lui che il suo fratello maggiore caddero malati, ma mentre il primogenito aveva una banale influenza, George aveva preso una febbre tifoidea.
Tutti davano per scontata la guarigione del primogenito e la morte dell'inutile secondogenito marinaio, ma a volte la storia si diverte a fare brutti scherzi e così, mentre l'adorato Eddy moriva di raffreddore (almeno ufficialmente) lasciando nella disperazione la madre Alexandra di Danimarca e la fidanzata Mary di Teck, il rude George, temprato dagli anni in marina, sopravvisse e divenne il secondo in linea di successione, dopo il depravato padre Bertie, vivente la nonna Vittoria.
Come se non bastasse, come "pacco dono", quasi come gadget, assieme alla successione, ebbe il fidanzamento con Mary of Teck, la quale fu spostata da un fratello all'altro come se si trattasse di una bambola di pezza.
Per uno strano scherzo del destino, la coppia costretta a sposarsi da circostanze imprevedibili, si rivelò perfettamente assortita.
Mary di Teck era incredibilmente l'anima gemella del rude nostromo.
Una donna fredda, anzi gelida, meglio ancora frigida e incapace di qualsiasi manifestazione d'affetto e della minima emozione.
In tutta la sua vita, Mary si distinse per tre ragioni: l'obbedienza rigorosa alla rigida etichetta di corte e al severissimo marito; una frenetica attività tessile, a maglia e all'uncinetto; una totale mancanza di senso materno, che si riscattò soltanto negli ultimi anni con un moderato calore nei confronti della nipote Elisabetta, destinata anche lei al trono in modo imprevisto e per una serie di circostanze assurde.
Forse i sudditi inglesi potrebbero obiettare che la Queen Mary ebbe altri due meriti: dare il nome all'omonima nave (unico segno d'affetto da parte del marito nostromo) e il patrocinio di attività di beneficenza, che avevano più che altro lo scopo di giustificare l'esistenza di un'inutile e dispendiosa monarchia agli occhi di un popolo stremato dalle guerre.
Come si è detto, reciprocamente George e Mary furono ottimi come coniugi, tanto da risultare persino noiosi nella loro monotona esistenza di routine tra Sanringham, Balmoral, Windsor e Buckingham Palace, riducendo al minimo tutte le altre destinazioni e soprattutto le uscite serali.
Questa monotona sobrietà risultò tutto sommato in linea con la durezza dei tempi, ma il disastro avvenne in tutto il resto.
Prima di tutto, George e Mary fallirono clamorosamente come genitori.
Lui era irascibile e sadico, verso i bambini, tanto quanto lei era gelida e distante.
Ne risultò che tutti i loro figli si portarono dietro seri problemi per tutta la vita.
Ma il vero fallimento fu quello politico: Giorgio V non era accomodante e diplomatico come il padre ed ebbe la sua parte di responsabilità nello scoppio della Prima Guerra Mondiale, dalla quale il Regno Unito, pur formalmente vincitore, uscì pieno di debiti verso gli USA e sostanzialmente incapace di mantenere il controllo del suo impero. La nave, dunque, stava iniziando ad affondare.
mercoledì 4 dicembre 2013
Il "porno" regno di Bertie, lo "zio d'Europa" e l'illusione edoardiana dell'Età dell'Oro
Quando il 22 gennaio 1901 giunse dall'Isola di Wight il telegramma che annunciava la morte della regina Vittoria, dopo sessantaquattro anni di un regno interminabilmente sopravvissuto a se stesso, l'Impero britannico, popolato per lo più da persone nate quando lei era già sul trono (e che quindi non avevano conosciuto altra sovrana che lei e forse non riuscivano nemmeno a concepire l'idea che la Vedova di Windsor non ci fosse più) si chiese se il sole sarebbe sorto ancora, e se il cielo e la terra e gli oceani avrebbero continuato a ruotare intorno a Buckingham Palace e al Regno Unito.
Persino nel cantare l'inno della Marina militare, "Rule Britannia, Britannia rules the waves", i sudditi rimasti orfani della burbera madre della patria si domandavano se il vecchio erede al trono, il sessantenne principe Albert Edward, detto "Bertie", conosciuto esclusivamente per le sue gozzoviglie e le sue orge, sarebbe riuscito a tenere in piedi la baracca.
E Bertie, incredibilmente, li stupì, perché sin dal momento dell'incoronazione, come re Edoardo VII, mostrò di avere tutta l'intenzione di dimostrare ai nostalgici dell'età vittoriana che lui sarebbe riuscito ad eclissare il ricordo di quella madre che lo aveva sempre disprezzato.
Ora la regina era sua moglie Alessandra.
La regina Alessandra aveva perso il sorriso alla morte del suo adorato primogenito Eddie, ma aveva mantenuto inalterata la bellezza di quando, quarant'anni prima, era andata in sposa al giovane principe del Galles.
A cinquantasette anni, la regina Alessandra era considerata il faro a cui tutte le donne eleganti guardavano, dopo che, solo tre anni prima, la più bella sovrana d'Europa, l'imperatrice Elisabetta "Sissi" d'Austria-Ungheria era stata assassinata a Ginevra.
Alessandra si era sempre ispirata a Sissi, come modello di eleganza, ed ora era diventata lei il "sole" i cui raggi splendevano su tutte le corti di un'Europa all'apogeo della potenza politica, militare ed economica.
L'Europa si era spartita il mondo e lo dominava. E il Regno Unito di Gran Bretagna faceva da arbitro nelle contese europee.
Questo ruolo di arbitro si adattava perfettamente ad Edoardo VII, che sapeva parlare perfettamente il francese e il tedesco e che era parente di tutte le teste coronate europee, tanto da essere chiamato lo "zio d'Europa".
Non che Bertie avesse smesso di essere se stesso, intendiamoci. Sarebbe rimasto fino all'ultimo giorno della sua vita un impenitente donnaiolo, alcolista, tabagista, goloso e giocatore d'azzardo, ma dal suo porno-trono (l'espressione è tratta dal testo di Antonio Caprarica, "Il romanzo dei Windsor", che ho già citato nei post precedenti) il re Edoardo VII avrebbe donato all'Europa, per nove splendidi anni, l'illusione che la pace, il progresso e la Belle Epoque sarebbero durati per sempre.
A Bertie va riconosciuto il merito di essere un ottimo diplomatico.
Amava Parigi e la Francia, non fosse altro perché ne aveva visitato entusiasta tutti i bordelli.
Dopo l’importante successo ottenuto da Edoardo VII a Parigi, nel luglio 1903 il presidente della Repubblica francese Loubet ricambiò la visita. In occasione dei vari banchetti in onore dell’ospite, il re continuò ad insistere sul tema dell’amicizia anglo-francese. Fu così ampiamente agevolata un’intesa fra le due nazioni che, dopo faticose trattative condotte da Lansdowne e da Delcassé, venne firmata nella capitale britannica l’8 aprile 1904.
Il trattato, divenuto noto come "Entente cordiale" (Intesa cordiale), fu alla base delle alleanze britanniche per tutto il Novecento e prevedeva, tra l'altro, la soluzione delle dispute coloniali fra Gran Bretagna e Francia assegnando, fra l’altro, l’Egitto alla sfera d’influenza di Londra e il Marocco a quella di Parigi. L’epoca delle diatribe fra le due nazioni, che risaliva al medioevo, era definitivamente conclusa.
Quel successo in politica estera, unito ad altri elementi, fece parlare ai sudditi di un ritorno all'Età dell'Oro.L'età edoardiana si basava su una felice combinazione di circostanze:
1) una ripresa economica dopo decenni di stagnazione;
2) una libertà di costumi che il re donnaiolo consentì con bonaria naturalezza;
3) una pace favorita dalla naturale tendenza di Bertie a smorzare tutti gli attriti e a non offendersi per le continue provocazioni da parte del megalomane nipote Guglielmo II, imperatore di Germania, passato alla storia come il Kaiser.
Il rapporto tra Guglielmo II e "zio Bertie" (fratello dell'imperatrice madre Vicky) fu la classica relazione di amore-odio da parte di un nipote che avrebbe voluto essere forte e gaudente come lo zio e da parte di uno zio talmente sicuro di sé da perdonare con paciosa bonomia tutte le sfide, gli sgarbi e la costante irriverenza da parte di un nipote "bambino difficile" che non tollerava l'esistenza, al mondo, di qualcuno più potente di lui.
E così lì vediamo, in migliaia di foto, il pacioso "zio Bertie", con la barba bianca e il pancione alla Babbo Natale - Santa Klaus e il battagliero e fanfarone nipote Kaiser di Germania, i cui soli baffi all'insù erano, a detta dello zio, "una dichiarazione di guerra".
L'espressione di Bertie, in queste foto, è impagabile. Pare voler dire: "Tranquilli, non sto prendendo sul serio quel pallone gonfiato di mio nipote".
E questo atteggiamento tollerante e bonaccione, da parte dello "zio", riuscì a disinnescare una mina potenzialmente esplosiva come la prima crisi marocchina. Guglielmo vedeva infatti come il fumo negli occhi la spartizione dell'Africa del Nord tra Inghilterra e Francia, tanto da fiondarsi personalmente in Marocco, a Tangeri, per mostrare i muscoli.Bertie si limitò ad arricciare il suo folto pelo di vecchio gatto sornione e subito il nipote, che in fondo vedeva in lui il padre che non aveva avuto, rientrò docilmente nei ranghi.
Fosse campato più a lungo, Edoardo VII sarebbe riuscito ad evitare la Prima Guerra Mondiale.
Al contrario infatti del suo collerico e marziale successore, Giorgio V, il ruvido nostromo di cui parlerò domani, il vecchio Bertie non voleva assolutamente la guerra, non fosse altro perché lo avrebbe distratto dalle uniche tre cose al mondo che avevano realmente importanza per lui: le donne, il vino e il cibo.
Amava tanto le gonnelle, il vecchio Bertie, che le indossava pure lui durante le obbligate vacanze a Balmoral, quando, immerso nello spirito ancestrale delle Highlands scozzesi, si sbizzarriva in interminabili cacce al cervo e conseguenti mangiate di cacciagione, seguite da scatole di sigari, bottiglie di brandy e naturalmente una sveltina con l'amante di turno, in questo caso Alice Keppel.
Ironia della sorte, la bellissima Alice Keppel, che per nove anni fu la "regina senza corona" del Regno Unito, era la bisnonna della brutta Camilla Parker-Bowles, la quale conquistò l'attuale Principe di Galles, Carlo, con la famosa frase: "Lo sai che il tuo trisavolo e la mia bisnonna erano amanti?".
Al contrario, però, di Diana Spencer, che puntò i piedi e non ne volle sapere del menage a trois del suo "matrimonio piuttosto affollato", l'allora regina Alessandra fu tollerante verso l'amante del marito fino quasi al menefreghismo. Come a dire: "Che se lo sorbisca pure la Keppel, quel vecchio beone che puzza di alcool e sigaro!". Ad Alexandra bastava avere la corona in cima alla sua famosa "cofana" di capelli riccioluti.
Forse se la compianta principessa Diana avesse ragionato con lo stesso distacco cinico della navigata regina Alexandra, oggi sarebbe ancora viva e si godrebbe la compagnia della nuora e del nipote.
Ma la storia, ovviamente, non si fa con i "se".
Nemmeno col "se Bertie fosse vissuto più a lungo" l'Europa sarebbe vissuta in pace.
Edoardo VII aveva raggiunto i 68 anni in condizioni di salute incredibilmente buone considerati gli stravizi di bacco, tabacco, venere e cibo che si era concesso per tutta la vita.
Probabilmente riteneva di avere la stessa scorza robusta della madre, l'eterna Vittoria.
In ogni caso, a coloro che lo invitavano a riguardarsi, ricordava: "Sciocchezze! Sono l'uomo più sano d'Inghilterra!".
Il 14 marzo 1910, dopo una serie interminabile di balli e festini, venne annunciato che il re sarebbe rimasto nel suo appartamento per consiglio del medico personale. Ufficialmente si trattava di una bronchite, in realtà i polmoni di Bertie erano completamente distrutti dal fumo e dall'enfisema.
Il 21 marzo Edoardo VII ricomparve per un’escursione in automobile e il 25 aprile partì in treno per Parigi, dichiarandosi "completamente guarito".
Ma fra il 30 aprile e il 1º maggio, a Sandringham, dopo una serie di partite di caccia, la "bronchite" lo colpì ancora. Nei giorni seguenti, a Londra, rifiutò di riposarsi e incontrò l’ambasciatore americano, che notò la forte tosse e si preoccupò per la salute del sovrano. Bertie, tra uno starnuto e l'altro, ribadì di essere "L'uomo più sano d'Inghilterra",
Ma la sera del 5 maggio fu chiaro a tutti, tranne che a lui, che "l'uomo più sano d'Inghilterra" era un malato in fase terminale.
Lui però non ci stava e la mattina del 6 si fece vestire di tutto punto, come se niente fosse, ed i medici furono soltanto autorizzati a dire che la bronchite del re persisteva e «le sue condizioni suscitavano qualche preoccupazione».
Bastarono pochi minuti di tosse da togliere il respiro per far capire a Bertie che, nonostante la sua voglia di vivere, ormai la partita era finita.
In punto di morte, Bertie non si smentì, e la sua richiesta fu di poter "morire tra le braccia di Alice Keppel".
La regina Alessandra, con la consueta classe, permise all'amante del marito di assisterlo nell'estremo momento e provvide a far entrare nella stanza gli amici che desideravano vederlo per l'ultima volta.
E così, in compagnia, come sempre, il vecchio Bertie, il grande Edoardo VII, morì quello stesso 6 maggio 1910, quando mancavano 15 minuti alla mezzanotte. Aveva 68 anni e mezzo.
La prima cosa che accadde dopo, fu il gesto liberatorio della vedova.
Dopo quarantasette anni di umiliazioni, la regina Alexandra, finalmente vedova, ordinò che Alice Keppel e tutte le amanti del marito fossero per sempre bandite da tutte le abitazioni della Famiglia Reale. Poi, con la consueta malinconia, pensò tristemente a quale sorte meschina era destinato il Regno, ora che il trono cadeva nelle mani del suo secondogenito, il ruvido nostromo di cui parleremo domani.
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