lunedì 24 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 135. La Torre

 




La seconda escursione di Aurora e Roberto fu in direzione opposta alla prima, e cioè verso est, e nello specifico verso la Torre di Londra, che si trova all'estremità orientale della City.
Per arrivare in automobile dal Savoy alla Tower Hill, la collina su cui si erge la Torre, in teoria dovrebbe bastare poco più di mezz'ora, ma nella pratica i tempi si dilatano, in considerazione dei cantieri, dei pedaggi, degli eventi in corso (ogni giorno ce n'è uno, o più di uno, come in tutte le capitali), per non parlare delle variazioni del tempo atmosferico, o, Dio non voglia, di eventuali incidenti stradali con successive deviazioni del traffico verso il ginepraio di strade del distretto finanziario.

Aurora e Roberto avevano valutato la possibilità di andarci dunque in metropolitana, o nei caratteristici autobus rossi a due piani, ma l'autista dei Visconti-Ordelaffi, il fido Battista, fu inflessibile, dal momento che il padre di Aurora aveva preteso che lui li scortasse negli spostamenti e poi rimanesse nelle vicinanze, per qualsiasi evenienza.

Il percorso prevedeva un breve tragitto lungo lo Strand, per poi immettersi, da Trafalgar Square, prima nella Northumberland Avenue e poi nella A2311, che costeggiava la riva nord del Tamigi, fino al famigerato Blackfriars Bridge, il Ponte dei Frati Neri, per poi proseguire lungo la Upper Thames Street, fino al London Bridge, e poi ancora avanti lungo la Lower Thames Street.

Quest'ultima arrivava ai piedi della Tower Hill, la collina su cui sorge il complesso architettonico della Torre, che dominava dall'alto la City e proteggeva il Tower Bridge.







Mentre costeggiavano il fiume, Roberto si convinse sempre di più che Londra era, prima di ogni altra cosa, un Porto attraversato da un Fiume che equivaleva ad un enorme Canale, lungo il quale viaggiavano piccole navi, yacht, traghetti e grandi barche, che attraccavano nei tanti moli e porticcioli disseminati su entrambe le rive del Tamigi.

C'è però una notevole differenza tra ciò che si vedeva, dal lungofiume nord, nel 1992, e quello che si vede oggi, cioè la presenza di un numero maggiore e futuristico di grattacieli, in entrambe le rive.
Negli ultimi trent'anni c'è stata una forte iniziativa di riqualificazione delle aree degradate, soprattutto a sud del Tamigi o nell'East End.

I grattacieli dalle forme strane e a volte buffe, così come le moderne attrazioni turistiche, come il Millennium Bridge, il ponte pedonale, e il London Eye, la ruota panoramica, hanno reso più "caratteristico" quello che gli urbanisti chiamano "skyline", la linea del cielo, l'orizzonte cittadino.
La stessa logica era quella che spinse gli urbanisti parigini alla costruzione della Tour Eilffel.

Ma non bisogna lasciarsi troppo abbagliare dalle apparenze: come qualsiasi altra cosa, una città non cambia sostanza se ci si limita a inserisce una decorazione esterna. In questo caso si tratta puro "restyling" o come si diceva un tempo, un "imbiancare i sepolcri" per non pensare a ciò che c'è dentro.
Quello che concretamente è avvenuto è solo lo spostamento della linea di confine della Londra "bene" da tutto il resto, dove già allora dominavano le cosiddette baby gang, una piaga che da noi in Italia è divenuta realtà in tempi più recenti.
L'impressione è quindi che, pur essendoci stata una "ripulita", di qualche piccola zona, resta comunque valido il detto secondo cui la Londra "bene" è data dalla somma di tre aree: il West End. il super-quartiere di Westminster, la City e gli immediati dintorni delle zone residenziali di età georgiana, vittoriana ed edoardiana.

Tutto il resto, dicevano i londinesi all'epoca, marcando bene la differenza, come a voler separare il grano dal loglio, non era da considerarsi davvero londinese.
Per loro valeva, e forse vale ancora (per quanto si usino termini più "politicamente corretti") l'idea che chi nasceva "dalla parte sbagliata del Tamigi" ossia "a Sud del Fiume" era condannato a una vita miserevole e miserabile, così come chi era nato nell'East End.
Queste due realtà erano in effetti un accatastamento informe di quartieri diversissimi tra loro: alcuni degradati e in preda alla criminalità, altri più ordinati, ma grigi, come gli "alveari" abitati dalla working class. 
Il tutto era circondato, come una muraglia, dall'anello delle "new towns" per la "middle class" piccolo borghese.

Le zone a ridosso del fiume sono state recentemente riqualificate durante il "regno" dei due sindaci di Londra più icastici di sempre, Ken Livingstone, detto "il Rosso" per la sua posizione di estrema sinistra e Boris Johnson, detto "il Blu/Verde" per le sue idee ultraconservatrici e ambientaliste, strano abbinamento, ma a pensarci bene, meno strano di quanto possa sembrare, se teniamo conto che "conservare il verde" è uno dei tanti aspetti del conservatorismo e così la pensava anche Tolkien, che si schierava sempre "dalla parte degli alberi".
Johnson è attualmente Primo Ministro, mentre la carica di Mayor di Londra è tornata ai laburisti.





Nei pressi della Torre, la Lower Thames Street si biforcava: la strada principale, in salita, era la Byward Street, che conduceva in cima alla Tower Hill, l' "acropoli" di Londra, più alta persino della Primrose Hill, anche se meno panoramica, a causa dei grattacieli della City costruiti nell'era Blair in stile postmoderno, che, oltre ad oscillare tra il mostruoso e il ridicolo, (specie il cosiddetto "Cetriolo","The Gerkin", ufficialmente nominato "30 StMary Axe"), sottraggono visibilità alla Torre e sono in contrasto con lo stile architettonico medievale della stessa Torre e del Tower Bridge.






La Lower Thames Street invece si restringeva e proseguiva, fino ad arrivare alla biglietteria, da cui poi si accedeva al complesso architettonico della Torre, comprendente, oltre alla Torre Bianca al centro, in cima alla collina, altri edifici tipici dei castelli (poiché, teniamolo presente, "la Torre" in senso lato è un vero e proprio castello) tra cui le stalle, i magazzini, le armerie, le residenze del Re o della Regina e una chiesetta, la cappella di San Pietro in Vincoli, il tutto circondato da due cinte murarie e in precedenza da un fossato.





Le mura, sia interne che esterne, hanno torrioni circolari ad ogni angolo, o anche in mezzo ai camminamenti.
Entrambe le cinte murarie hanno sei lati. 
Le mura interne hanno due porte, mentre quelle esterne ne hanno tre: una piccola posterla vicino alla Cradle Tower, un'altra grande rivolta al fiume, detta "The Traitors Gate", la Porta dei Traditori e una terza più piccola, all'angolo della Byward Tower, dove accedono i visitatori, attraverso un vialetto che conduce alla Middle Tower, che è attualmente l'ingresso principale.

Battista scaricò Aurora e Roberto davanti alla biglietteria, all'epoca meno grande e "futurista" di quella di adesso e quindi con maggiori code.
Quando finalmente entrarono, passando attraverso la Middle Tower erano all'incirca le 10 del mattino.


Quel giorno era più caldo, ed era ormai passata una settimana dal loro arrivo, per cui, ridendo e scherzando, erano già a metà vacanza e avevano visitato meno di un decimo di ciò che era stato preventivato come obiettivo minimo da raggiungere. Ma tanto, va sempre a finire così.





Aurora aveva scelto un look più estivo, con indosso solo una camicia bianca leggera e pantaloni bianchi e ampi, altrettanto leggeri e sandali sempre bianchi. Sono in pochi quelli che possono sfoggiare un look total white senza sembrare un pizzaiolo o un villeggiante milanese in vacanza in Costa Smeralda. Aurora era tra quei pochi.




Era molto sexy e ne era consapevole, per cui esercitò tutto il suo potere scegliendo lei anche il look del fidanzato.
Roberto, però, si era portato dietro poco vestiario, sperando così di poter indossare solo ciò che aveva scelto lui, ma non aveva previsto l'astuta mossa di Aurora, che ogni giorno, dal suo milione di valige faceva spuntare capi di vestiario maschili che donava a Roberto, il quale poi aveva il dovere morale di indossarli.
Lui conosceva bene questa dinamica, perché succedeva così anche tra i suoi genitori.
Aurora aveva scelto per lui una classica Polo Lacoste blu e un paio di pantaloni beige di cotone, leggeri, ma con la piega, la cintura marrone che faceva pendant con le scarpe dello stesso colore, molto morbide, comode da potersi indossare senza calzini (erano ancora i tempi felici in cui soltanto a qualche eccentrico veniva in mente di farsi dei risvoltini tali da mettere in mostra le caviglie; ancora il Millennio era lontano, i segni dei tempi erano pochi e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quindici anni dopo, nel 2007, la Bestia dell'Apocalisse si sarebbe manifestata nel mondo sotto forma di i-Phone).

Quando i due giovanissimi fidanzati si trovarono davanti alla Byward Tower, che sovrastava il passaggio attraverso le mura esterne, Aurora si fermò un attimo in contemplazione e poi disse:
<<Nei Tarocchi la Torre ha un significato complesso, come tutti gli Arcani Maggiori: l'edificio simboleggia l'Uomo, le finestre sono le porte d'accesso alla Coscienza, il fulmine rappresenta l'intervento di Dio, che punisce la superbia umana simboleggiata dal Re e dall'Architetto che precipitano a terra. Le fiamme simboleggiano l'Energia Interiore Liberata dalla distruzione dello status quo. Non è che mi piaccia molto, questa carta: meglio se uno la pesca rovesciata, nel qual caso il significato è molto attenuato...




...tu ricordi se tra le carte pescate quando Elvira ti predisse il futuro c'era la Torre?>>
Roberto ricordò all'improvviso:
<<Sì, la prima carta fu proprio la Torre, non rovesciata, il che significherebbe, stando alle sue previsioni, che la Prova del Dolore, come lei l'ha chiamata, sarà molto dura, e forse sta per cominciare, considerato il numero di persone che sembra avercela con me, per un motivo o per l'altro >>
Non che credesse davvero ai Tarocchi: più che altro temeva il potere della strega Elvira, e di colei che le era succeduta, la sorella secondogenita, Iole.
<<Ti ricordi quali erano le altre carte?>>
<<Ne estrasse altre sei. Erano tutti Arcani Maggiori. Lei disse che non le era mai capitata una divinazione così. Chissà come sarà stato soddisfatto il vecchio Fernando Albedo che ci spiava dalla stanza accanto. 
Comunque non ricordo esattamente la sequenza, e in ogni caso non ho mai dato importanza a questo tipo di cose.
Quando una donna mi chiede di che segno sono, in genere la depenno immediatamente dalla lista delle "possibili anime gemelle">>
Risero entrambi.
Aurora si affrettò a precisare:
<<Per fortuna che non l'ho chiesto, allora! In realtà neanch'io credo a queste cose, ma le conosco bene perché ci crede mia madre. E fino ad ora le è andata bene, tutto sommato>>
Lui sorrise:
<<E speriamo che continui così. Ciò che mi preoccupa non sono le carte. E' il calcolo delle probabilità che mi impensierisce. Mio padre, tra le altre cose, conosce la statistica, la legge dei grandi numeri, la curva di Gauss. Queste nozioni servono sia in ambito di ricerca scientifica, per esempio nella fisica quantistica, sia nel caso più incerto delle cosiddette scienze umane... che non sono vere e proprie scienze, a mio parere, ma chi sono per giudicare?
Tutto questo per dire che la probabilità degli eventi dell'ultimo mese, se avessi dovuto prevederla all'inizio dell'anno, sarebbe stata quasi zero.
Troppe coincidenze, come dicevamo l'altra sera, dopo la cena con quei due strani personaggi. 
E quando una cosa è troppo bella per essere vera, allora quasi sempre non è vera.
Calcolo delle probabilità.
Però Einstein era scettico di fronte alla fisica quantistica. Pare abbia detto che: "Dio non gioca a dadi". La Provvidenza non ne ha bisogno.
Quando Giobbe fu sottoposto alla Prova del Dolore, Dio sapeva già che l'avrebbe superata, e che avrebbe mantenuto la sua fede, riconoscendo che ciò che è stato dato può anche essere tolto.
Il discorso, in astratto, non fa una piega, anche se è molto inquietante, applicato alla nostra vita perché dolori simili a quelli che dovette sopportare Giobbe non dovrebbero esistere, a mio modestissimo parere.
Ma c'è una cosa ancora più inquietante, e cioè che, se le ipotesi che abbiamo formulato l'altra sera sono giuste, allora c'è qualche uomo che si crede un dio e si arroga il diritto di sottoporre altri alla Prova>>
Forse era la tetraggine della Torre a ispirargli pensieri così cupi.
Aurora, vedendolo pensieroso, cercò di fargli coraggio:
<<Non preoccuparti. Qualunque cosa accada, io sarò sempre con te. Ovunque andrai, io ti seguirò. E ti proteggerò, e ti aiuterò a rialzarti. 
Conosco anch'io le arti marziali e credo che riuscirei a battere Jessica al primo colpo>>
Roberto sorrise.
La prese sottobraccio: erano quasi uguali in altezza, lui era 1,76 e lei 1,75. 
Erano perfetti l'uno per l'altra, e col senno di poi possiamo dire che, considerate le tante avversità che superarono insieme, per molto tempo, sarebbe stato giusto e bello che diventassero marito e moglie. O sarebbe stato comunque un eccesso di fortuna?
Se avessero fondato una dinastia, come era nelle loro intenzioni, noi per primi avremmo detto "piove sul bagnato", come si disse, nel Duomo di Forlì, quel lontano giorno del 1974 in cui Francesco Monterovere sposò Silvia Ricci-Orsini.

C'era anche Lorenzo quel giorno, vestito interamente di viola, come a voler rivaleggiare col Vescovo celebrante l'unione dei due rampolli di due illustri famiglie.
Ma il viola di Lorenzo Monterovere aveva suscitato molti gesti scaramantici tra i presenti, regrediti alla pura religiosità apotropaica degli uomini delle caverne o delle palafitte.
Meno visibile, quasi in disparte, c'era un "imbucato" di altissimo livello, il Consigliere Albedo, che rivolgendosi a Lorenzo aveva detto, in spagnolo:
<<Me parecen las bodas de Isabel de Castilla y Fernando de Aragòn>>
E Lorenzo, in risposta al nobiluomo:
<<Esperemos que no generen otra Juana la Loca!>>
Ed entrambi avevano riso, perché in fondo si trattava "soltanto" di un esperimento.
Ma poi il Consigliere aveva concluso:
<<Por cada loca, siempre hay un Felipe el Hermoso, y por cada loco una hermosa novia>>
Ne seguì un altro scambio di sorrisi e strizzate d'occhio.

Molto tempo dopo, Lorenzo avrebbe riferito quel colloquio a Jessica Burke-Roche, dichiarando che il pazzo c'era già e che la "hermosa novia" scelta da Albedo era Aurora Visconti-Ordelaffi, ma c'era spazio per una candidatura alternativa.
Jessica aveva scosso la testa in segno di diniego e nel contempo di rimprovero, perché la fazione da lei rappresentata si muoveva in maniera molto più prudente, ma aveva comunque ammesso che l'equilibrio mentale da lei trasmesso poteva, almeno in teoria, essere un apporto molto più utile della bellezza di Aurora.
I lettori non si spaventino per l'oscurità di questi riferimenti: noi stessi fatichiamo a comprendere il significato di tutto questo e non è ancora il momento di parlarne, per cui torniamo agli ingressi della Torre.

La Byward Tower, composta da due torrioni uniti da un passaggio, ospitava buona parte del corpo di guardia.



Il fossato ormai era stato trasformato in un erboso terrapieno, ma la mancanza di vento, in quella giornata sempre più afosa, permetteva al fetore proveniente dalle sacche stagnanti del fiume, che scorreva a pochi metri di distanza, di arrivare fino alla fila di turisti che si apprestavano all'ingresso nella cupa fortezza.
Più ci si avvicinava a quell'arco a sesto acuto, più l'ombra si estendeva, e la temperatura diminuiva, per lasciare il posto ad una umidità fredda proveniente dalle pietre dell'atrio e del selciato sottostante, dove il sole non batteva mai.

Se rimane una traccia di freddo persino in agosto, in quelle pietre, quanto potranno essere state gelide d'inverno?
Forse chi non conosceva né la Storia, né Shakespeare, poteva anche non angustiarsi più di tanto al pensiero di chi aveva trascorso mesi o anni o la vita intera come prigioniero nelle stanze di quella fortezza che, perso il suo rango di residenza reale, era stata riconvertita in carcere per imputati o condannati di rango medio-alto o particolarmente pericolosi dal punto di vista politico.
Come si può resistere in una stanza spoglia, su un pagliericcio appoggiato alla pietra gelida, per più di un giorno senza impazzire o essere devastati dai dolori fisici che si accompagnano al freddo, e dalla disperazione che deriva dalla claustrofobia e dal tedio?




Roberto sentiva la Torre incombere su di lui, e gli parve che la morte fosse in fondo la pena minore, molto meno angosciosa dell'idea di dover trascorrere lì dentro anche solo un'ora.
Cos'avranno pensato, tutti i condannati, varcando queste mura?
Dalla Guerra delle Due Rose in avanti, per tutta l'era Tudor, la fortezza degradata a carcere aveva assorbito i lamenti dei condannati, colpevoli o innocenti che fossero.
Erano tanti e tra tutti, i casi più emblematici (poiché erano innocenti e soffrirono pene indicibili) furono  quelli di lady Margaret Pole, Contessa di Salisbury (1473-1541),"l'ultima rosa di York" e di suo fratello Edoardo di York, Conte di Warwick (1475-1499), l'ultimo erede maschio dei Plantageneti.

Per tutta la vita avevano cercato di far dimenticare i loro troppo illustri antenati.
Erano i figli del principe Giorgio di York, duca di Clarence, fratello di Edoardo IV e Riccardo III,
condannato per tradimento e, secondo la leggenda, annegato in una botte di Malvasia.
Giorgio aveva due figli.
 Il figlio maschio, Edoardo di York, Conte di Warwick, l'ultimo maschio Plantageneto rimasto in vita dopo la battaglia di Bosworth (1485), era cresciuto nella Torre, rinchiuso, nascosto, quasi completamente dimenticato.
Quasi.
A ricordarsi di lui furono Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, quando fecero capire ad Enrico VII che non avrebbero acconsentito alle nozze dell'infanta Caterina con Arturo Tudor, Principe di Galles, fintanto che il legittimo erede dei Plantageneti era ancora vivo.
Mentre Enrico tentennava, non ravvisando alcun rischio nel giovane Edoardo, tardo di mente e quasi analfabeta, gli Yorkisti, sostenuti dalla Scozia e dalla Borgogna, tentarono di imporre un loro candidato, presentandolo come il principe Riccardo, Duca di York, fratello minore di Edoardo V e figlio secondogenito di Edoardo IV ed Elisabetta Woodville.
Sedata la rivolta e identificato il pretendente yorkista come tale Perkin Warbeck, o almeno così lui dichiarò sotto tortura, mandarono quest'ultimo a far compagnia a Edoardo di York, Conte di Warwick, nella stessa cella dove il povero ragazzo aveva trascorso la sua intera esistenza.
Il fatto stesso di essere compagno di cella di un presunto impostore, metteva l'inconsapevole Edoardo in cattiva luce. 
Al primo tentativo di fuga, di cui non rimane alcuna prova se non la firma "Teddy" su una confessione redatta dall'allora cappellano Thomas Wolsey, fu sufficiente per accusare Edoardo di alto tradimento e condannarlo alla pena capitale.

Al condannato fu concesso il privilegio di una "esecuzione reale", riservata ai principi del sangue, che prevedeva la decapitazione "dolce" mediante il colpo netto di una spada ben affilata, al posto della rozza scure, usata per i nobili senza sangue reale.
Così ebbe fine, il 28 novembre 1499, la dinastia dei Plantageneti, che regnò dal 1154 al 1485, e la regina Isabella acconsentì al viaggio della figlia minore Caterina alla volta dell'Inghilterra.
Se il principe Arturo, di indole gentile e pacifica, fosse vissuto a lungo, Caterina lo avrebbe rafforzato e sarebbero stati una coppia felice, ma come sappiamo le cose andarono diversamente.
"Dis aliter visum", agli dei è parso altrimenti, avrebbe commentato Virgilio (Aen, II, 428).
Caterina precipitò prima in una lunga vedovanza e poi nel matrimonio da incubo con Enrico VIII.

La Ruota del Destino gira intorno a queste tre regine: Isabella la Cattolica (1451-1504) e le sue figlie Giovanna di Castiglia (1479- 1555) e Caterina d'Aragona (1485-1536). 
Alla fine si ritorna sempre a loro.
Erano una sorta di "collo di bottiglia" della Storia, specie Giovanna la Pazza, Regina di Castiglia e Duchessa di Borgogna.



Tutto il Sangue Reale d'Europa discende da loro o dai loro affini, eppure quale prezzo dovettero pagare in termini di dolore e afflizione!
Dopo la morte di Caterina, nel 1536, il delirio di persecuzione di Enrico VIII non ebbe più alcun freno fino ad arrivare all'ultimo atto della tragedia degli York.

Margaret Pole, l'ormai anziana Contessa di Salisbury, che aveva fatto da zia allo stesso Re, quando era bambino, fu arrestata a 68 anni con l'accusa di tradimento, rinchiusa nella Torre e condannata a morte avendo come unica prova le solite confessioni estorte da testimoni minacciati e torturati.
Le sue uniche vere colpe erano due: era una York e suo figlio Reginald era un cardinale cattolico. 
Furono necessari ben dieci colpi d'ascia, da parte dell'inesperto boia, per porre fine all'incredibile resistenza dell'ultima rosa di York.
Ma Enrico VIII, nella sua follia, non arrivò mai all'errore che commise sua figlia Elisabetta quando permise l'esecuzione di Maria Stuart, regina di Scozia, mostrando così, per la prima volta, agli occhi del mondo intero, che si poteva tagliare la testa a una regina consacrata con l'olio santo, senza patire gravi conseguenze, dal momento che la rappresaglia spagnola fu devastata dal mare in tempesta, come se il Signore avesse parteggiato per gli Anglicani.
Ironia della sorte: l'attuale Elisabetta discende per linea femminile da quella regina Stuart a cui la prima Elisabetta fece tagliare la testa.

Ma vogliamo concludere con una nota più leggera, e cioè, preso atto che il Sangue Reale si è salvato trasmettendosi da una dinastia all'altra, tramite l'innesto, nelle linee di discendenza femminili, del sangue e del cognome di esponenti maschili di diverse famiglie sovrane, un altro grande "collo di bottiglia" fu l'imperatrice consorte Maria Teresa d'Asburgo, arciduchessa d'Austria, regina di Boemia di Ungheria, che diede al marito, Francesco Stefano di Lorena, Imperatore e granduca di Toscana, ben sedici figli.
Chissà se almeno uno di loro si rese mai conto che nel proprio sangue c'era almeno una goccia di quello di Giovanna la Pazza e di Filippo il Bello.
Forse ad averlo pensato fu proprio la stessa Maria Teresa, quando, tra le varie possibilità che suo padre le aveva presentato, optò per un marito meno ambizioso di lei, che lasciasse più potere nelle mani della moglie, la quale governò l'Impero come se fosse l'Imperatrice regnante e non solo la consorte (o la madre del remissivo Giuseppe II).
E forse non è un caso se troviamo la stessa Maria Teresa rappresentata nel Ring di Vienna come una sorta di Giunone pronuba, insieme agli altri esempi edificanti che allietavano le passeggiate della nobiltà austro-ungarica, ignara dell'imminente disgregazione dell'Impero: Pallade Atena, in omaggio all'imperatrice Sissi e alla sua snella silhouette, Mozart ispirato dal Cielo, l'immancabile Radetzky a cavallo e infine, a coronare il tutto, un corrucciato Beethoven, folgorato dal Destino.









mercoledì 19 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 134. Niente è come sembra


 

 Al termine del dinner party nella Royal Suite, intorno all'una di notte, dopo il consueti ringraziamenti e saluti, Aurora e Roberto tornarono nella suite di lei e crollarono entrambi sul letto, stremati.
Lui aveva mangiato troppo, come al solito, e lei aveva bevuto troppi alcolici, come sempre.
La prima a parlare fu Aurora:
<<Allora, secondo te cosa ci nascondono quei due?>>
Roberto, perplesso, rispose:
<<Come direbbe Hercule Poirot, in casi come questo ci sono solo due possibilità: o tutto è come sembra o niente è come sembra>>
Lei fu d'accordo:
<<Sì, e la seconda opzione è quella più probabile. 
 Jessica nasconde sicuramente qualcosa. Il suo italiano è troppo naturale e moderno, attuale, anche nei modi di dire e nelle espressioni colloquiali, gergali, giovanili.
Non bastano le "estati italiane" dell'infanzia o l'istitutrice italiana di alto livello, per riuscire a parlare così, senza alcuna traccia del presunto fatto che la sua lingua madre sia l'inglese.
Se anche fosse vero che lei è una Burke-Roche, di sicuro è cresciuta in Italia e ha continuato a viverci anche di recente. 
E poi, dietro alla sua apparenza da piccolo topolino, c'è una donna astuta che sembra avere dei superpoteri.
Ha tenuto banco per tutta la sera. E' riuscita a zittire persino te, cosa che io ritenevo umanamente impossibile.
Il Duca poi pendeva dalle sue labbra, come se lei l'avesse stregato con un filtro d'amore.
A meno che anche lui non stesse recitando una parte>>

Roberto aveva gli stessi dubbi:
<<Come ti ho accennato, i miei hanno parlato con Lorenzo e lui ha confermato la versione di Jessica e di Waldemar, ma loro sono rimasti dubbiosi e mia madre era molto preoccupata, ma il problema è che lei è sempre preoccupata, non voleva nemmeno che io fossi qui, tuo ospite, quindi di per sé il suo atteggiamento non è diverso dal solito, anche se mi è parso, ma non potrei giurarci, che pure lei mi nascondesse qualcosa... ma non vorrei diventare paranoico. 
In fondo, questa sera ci siamo divertiti e loro non ci hanno chiesto niente di strano, e non mi pare che ci abbiano avvelenati...>>

Aurora sorrise, ma la sua mente era di nuovo alla ricerca di ipotesi :
<<Non credo che vogliano farci del male. Tra l'altro, Battista li tiene d'occhio ed è sempre in contatto con altre persone, qui, che conoscono mio padre e, diciamo, controllano un po' la situazione. E fino ad ora non è emerso niente di strano
Persino mio padre al telefono era tutto contento che conoscessimo "gente per bene". Non so, forse mi nasconde qualcosa anche lui, oppure sto diventando anch'io paranoica. Non so più cosa pensare. 
Però c'è una cosa che ho notato: Jessica ha scelto sempre argomenti che, guarda caso, sono le tue fissazioni. 
E chi può averglielo detto se non tuo zio, il Filosofo Metafisico, che più ne sento parlare e più mi sembra un misto tra il professor Abraham Van Helsing di Dracula, il dottor Victor Frankenstein il dottor Jeckyll o il professor Moriarty
E la cosa strana è che, mentre tutti sembrano considerarlo un grande genio, potentissimo, tu invece non me lo descrivi mai>>
Roberto per una volta non sapeva cosa dire:
<<Non è facile descriverlo: è una persona sfuggente.
E' molto tempo che non lo vedo. Ha sempre tanti impegni in giro per il mondo. 
Sembra comunque che tra fine agosto e inizio settembre voglia incontrarmi, e sarebbe meglio che tu fossi con me, perché sei un'osservatrice attenta.
In famiglia lui è un argomento tabù, i miei evitano di parlarne, come se essere suoi parenti non sia poi "questo grande onore". E in generale tutti, in famiglia, se lo sentono nominare, diventano preoccupati e cambiano discorso.
Comunque, per quelle poche volte che l'ho visto di persona, posso dire di lui che veste sempre di viola e di nero, come un vescovo o un monsignore, e questo è un po' inquietante.
Però non si dà delle arie, a me è sembrato sempre gentile, cordiale, sorridente, divertente.
Poi va be', ha anche lui i giorni in cui è girato male: lui stesso ha raccontato di aver litigato varie volte con i tassisti, di aver la tendenza ad attaccare bottone in treno o cose simili, che poi alla fine sono innocue. Parla spesso dei bei tempi andati quando era in Germania a specializzarsi e il suo Maestro gli insegnava i misteri dell'universo. Il professor Franz Otto von Kranz, che sembra un personaggio di Paolo Villaggio>>
Aurora rise:
<<Ah ah, è vero. Il professor Kranz "tedesco di Germania", psicoanalista e prestigiatore, esule a Rio de Janeiro>>
Rise anche Roberto:
<<Oppure, rimanendo in tema, sembra il professor Birkenmeier dell'Università di Jena
Il dietologo che prescriveva un metodo infallibile: a colazione niente, a pranzo niente, a cena niente. E basta>>
Lei ne approfittò per fargli notare:
<<Tu ci hai dato sotto stasera. Ormai ti mangiavi anche i piatti. Hai visto come ti guardava male il vecchio Archibald?>>
Lui ammise:
<<Sì, forse ho mangiato un filino di troppo, mi dev'essere rimasto un cinghiale tra i denti>>
Lei rise, e per un attimo la tensione si stemperò.
<<Jessica ti ha rimproverato perché non hai letto i libri del Filosofo Metafisico. 
Ma poi, perché lo chiamano così, visto che è uno Storico delle Religioni?>>
Roberto azzardò un'ipotesi:
<<Perché ha tre lauree: la prima in Lettere Classiche, la seconda in Storia e la terza in Filosofia con tesi sulla metafisica nel pensiero di Erich von Tomaten, che fu il Maestro del suo Maestro, il professor Kranz di cui sopra. 
Von Tomaten scrisse un testo imprescindibile: "Das tausendjaehrige Reich", l'Impero dei Mille Anni, un tomo di 1500 pagine, in un linguaggio ancora più oscuro di quello di Kant, Hegel e Heidegger messi insieme.
E anche qui c'è l'ennesima "casuale coincidenza".
Ai tempi della guerra, infatti, Von Tomaten era interprete presso la Panzer Division che stazionò a Villa Orsini quando il Bevano segnava la Linea Gotica>>
Aurora lo guardò con preoccupazione:
<<Dici sul serio?>>
<<Sì, e in effetti la cosa è un po' inquietante a pensarci bene
Anche Von Tomaten sapeva discretamente l'italiano, almeno così diceva mio nonno Ettore, e gli faceva anche delle lezioni di "germanesimo" con frasi assurde del tipo: "In Germania il Cristianesimo non passa! L'Illuminismo non passa! La Rivoluzione non passa!" e tirava un pugno sul tavolo e giurava che nelle Isole Frisone la religione dominante fosse il Paganesimo germanico, cosa del tutto campata in aria, almeno adesso. Ma credo anche all'epoca...>>
Aurora non sapeva se ridere o avere paura:
<<Cioè, scusami tanto, ma sembra che tutti i pazzi, me compresa, si siano dati convegno a Villa Orsini, il Maniero Neogotico sulla Linea Gotica>>



Roberto rise, ma poi ripensò a Villa Orsini e gli parve di comprendere finalmente il senso della ristrutturazione in chiave gotica dell'edificio in riva al Bevano:
<<Sì, ognuno pazzo a modo sui, ognuno con i suoi fantasmi, le sue allucinazioni, le sue visioni. 
E il Princeps dei Folli era il conte Ippolito Orsini, mio trisavolo, che decise di dare questa impronta neogotica ad una residenza che prima era normale. 
A me piace molto, lo confesso. Ha qualcosa di fiabesco. Una specie di magia.
E piace molto anche a Lorenzo, che andava a trovare Ettore ancor prima che i miei si sposassero. Erano amici: una cosa davvero improbabile, perché mio nonno materno detestava gli intellettuali. 
Con me diceva che lui e Lorenzo parlavano di conoscenti comuni di Bologna o di Ravenna, ma non ci ho mai creduto. Una volta camminarono lungo il Bevano, fino alla Colonia Felina, quando ancora c'era l'Elvira, la sorella maggiore di Ida Braghiri. 
L'Elvira aveva più di cent'anni, secondo alcuni da ragazza aveva "stregato" il conte Ippolito.
Io la vidi, da bambino. Disobbedii ai nonni e mi inoltrai fino al Bosco Sacro. Si chiama così perché un tempo vi si praticavano culti pagani. C'è una rete che lo circonda, per delimitare il terreno dove i gatti possono girare al sicuro. 
L'Elvira viveva lì, con le sue sorelle. Mi lesse persino la mano, e quando io le chiesi cosa aveva visto, lei rispose: "Dolore" e mi fissò con occhi che mostravano certezza assoluta e una punta di compassione. Io ero molto deluso e chiesi: "Nient'altro?" e lei mi rispose "Sapienza. Forse persino Illuminazione, se riuscirai a sopravvivere sano nel corpo e nella mente alla Prova del Dolore".
Come puoi immaginare, quella previsione mi spaventò: in fondo ero solo un bambino e quella donna era inquietante, sembrava quasi leggermi nel pensiero. 
"Io non voglio fare quella Prova. Non voglio il dolore". Lei continuava a fissarmi, come se dovesse valutare attentamente l'autenticità di un metallo prezioso, ma allo stato grezzo.
"Nessuno di noi lo vuole, ma prima o poi tocca a tutti. La Prova del Dolore è qualcosa di più complesso, ma non sei tu a decidere se sottoporti o meno ad essa. Non dipende da noi.
E quando dico noi, intendo qualcosa di più elitario rispetto all'intero genere umano.
Non posso dirti come ci chiamiamo tra noi, ma c'è una cosa che devi sapere: noi possiamo averte tutto, tranne la libertà. Il libero arbitrio è un'illusione utile per responsabilizzare le persone alle conseguenze delle proprie azioni, ma nel nostro specifico caso c'è una Volontà Superiore che decide. Un giorno qualcuno ti spiegherà il significato di tutto questo.
Anzi, ti voglio mettere in guardia : più cercherai di evitarla e più la renderai probabile. Funziona sempre così, quando si cerca di pianificare il futuro senza conoscerne le infinite implicazioni"
Faticavo a comprendere il senso delle sue parole eppure le usai.
"Qualcuno ha mai provato a pianificare il proprio futuro per evitare o almeno ridurre il dolore?"
Lei, sempre con quella miscela di assoluta certezza e di lieve compassione, rispose:
"Sì, e ogni volta è stato inutile, come per la povera Isabella, che amavo come se fosse mia figlia. 
Le avevo detto che evitare la Prova era più pericoloso che accettarla, ma lei ha agito di testa sua e ha fatto la fine di tutti gli altri prima di lei. 
Tutti loro, nessuno escluso, hanno cercato di evitarla e hanno fallito. 
Hanno fallito e sono morti">>



Aurora era sconvolta:
<<E' spaventoso! Com'è possibile che tuo nonno abbia permesso ad una donna del genere, di alloggiare all'interno del Feudo Orsini, in un'enclave dove chiaramente si continuavano a celebrare culti pagani e stregoneria? E cosa successe esattamente alla tua prozia Isabella?>>

Roberto cercò di raccogliere i ricordi sparpagliati nella sua mente:
<<Mio nonno avrebbe voluto sbarazzarsene, ma Elvira era la sorella maggiore di Ida Braghiri, la moglie del suo braccio destro, che poi lo tradì, ma all'epoca gli era indispensabile.
C'erano cinque sorelle: Elvira, Iole, Ida, Irma ed Ermide. Le Streghe della Palude, anche se loro preferivano essere chiamate Sacerdotesse. 
E avevano protettori potenti. 
Il giorno in cui ricevetti la mia "profezia", c'era anche un uomo di una certa età, dall'aria distinta, in una delle altre stanze. Quando Elvira ebbe finito con me si recò da lui, il quale le chiese, qualcosa a voce bassa, chiamandola "Reverenda Madre", lei rispose a voce ancor più bassa e non sentii nulla, tranne le ultime parole della loro conversazione. Lui le chiese: "Ma c'è qualche speranza?" e lei sospirò e rispose: "Non c'è mai stata molta speranza. Solo quella di uno sciocco, o di un folle". L'altro non la prese bene e borbottò qualcosa di incomprensibile.




Per quanto riguarda la prozia Isabella, dicono che si uccise perché era rimasta incinta pur essendo nubile e neanche fidanzata. Ma mia nonna ha sempre creduto che qualcun altro l'abbia catturata e poi impiccata. Lei non l'avrebbe mai fatto, mi diceva. 
Ma chi era il padre? Alcuni dicono che fosse il tenente Muller, che fu trovato morto pochi giorni dopo che i Tedeschi, compreso Von Tomaten, se l'erano data a gambe. 
L'indagine fu condotta dallo zio di tua madre, l'ispettore Tartaglia, nel cui rapporto al commissariato c'era scritto che si trattava di suicidio e che il tenente Muller, possibile padre del bambino, era stato ucciso dai partigiani. Il giudice istruttore, Guglielmo De Gubernatis, che aveva sposato l'altra sorella di mia nonna, Ginevra, chiuse il caso ufficialmente e archiviò i fascicoli.
Ed è tutto vero: è questa la cosa sconvolgente.
Non è una storia romanzata, come quella che ci ha raccontato Jessica. Magari fosse così!
Queste cose sono reali, hanno gettato l'ombra del sospetto su mio nonno e il disonore sulla nostra famiglia, come se già allora non avessimo abbastanza guai. 
Io non so più cosa pensare.>>

Aurora ebbe un'intuizione
<<Ma è quella casa... quella terra, quel bosco tra i due torrenti, dove prima c'era la palude, è tutto collegato, tu capisci cosa intendo dire?
Mia madre, che avrà sicuramente saputo da suo zio l'ispettore di quel fatto, è sempre stata affascinata e nel contempo impaurita da Villa Orsini, dal Feudo, dal Bosco, dalla Palude, dai Fiumi. Proprio come te, e mi ha trasmesso queste ossessioni.
Mi parlava di quel Maniero Neogotico affacciato sul Bevano, fin da quando ero bambina, e mi raccontava molte leggende del passato,  alla fine ripeteva sempre: "E' un luogo di potere, ma non è soltanto un potere terreno"
Ok, mia madre da giovane aveva aderito a una società New Age, simile alla Wicca, e quindi non è particolarmente credibile come testimone, però c'era davvero qualcosa di profondamente spirituale nei suoi discorsi. 
Io non capivo, ma adesso incomincio a collegare le cose. 
Per esempio, vorrei sapere: Lorenzo ha fatto la tesi su Von Tomaten prima o dopo aver conosciuto tuo nonno?>>

Roberto non era in grado di risponderle con esattezza:
<<Tutte le volte che glielo chiedevo, lo zio rimaneva sul vago, come al solito.
Una volta però, infastidito dalle mie domande, disse: 
"Von Tomaten è un'autorità nel campo della Metafisica e le accuse nei suoi confronti sono prive di fondamento"
"Quali accuse?" chiesi io.
E lui: "Ma sì, le solite storie. L'occultismo, il soprannaturale e ovviamente la Thule Gesellschaft, l'Ahnenerbe, il castello di Wewelsburg... 
Ma poi lui ha fugato ogni dubbio quando ha scritto il suo capolavoro, Das Tausendjaerighe Reich".
Io non sapevo assolutamente di cosa stesse parlando, poi ultimamente ho fatto delle ricerche in biblioteca e ho visto che i primi nomi riguardavano società segrete pagane, nordiche, razziste che hanno avuto a che fare col nazismo e con le SS. 
Nell'Impero dei Mille Anni, invece, "Von Tomaten smentisce seccamente di aver simpatizzato per il Terzo Reich", o a qualunque ente ad esso collegato, come l'Ahnenerbe, e in effetti nessuno trovò prove al riguardo, ma non le cercò nemmeno.
Se avessero interpellato mio nonno, sarebbero saltate fuori tutte quelle lezioni di "germanesimo" e le gozzoviglie con la Panzer Division e alcuni ufficiali delle SS che erano alle dirette dipendenze del venerato Maestro.
Von Tomaten spiegò poi che la sua teoria metafisica era di tipo Millenarista, ma non nazionalsocialista. Anzi, era molto più vicina al millenarismo delle religioni tradizionali, e comunque filosoficamente strutturata secondo i crismi accademici, con un apparato bibliografico di tutto rispetto, che gli valse il plauso di molti colleghi, i quali si adoperarono con successo per  fargli riavere la cattedra di Filosofia Teoretica all'università di Monaco>>

Aurora ascoltava affascinata:
<<Ma non ti rendi conto che tutto torna? Tuo zio, nello scrivere la tesi sull'Impero dei Mille Anni, studia la biografia di Von Tomaten e viene a sapere che fu mandato in missione in Italia, ufficialmente come interprete, ma in realtà per trovare qualche cosa che interessava all'Ahnenerbe o come si chiama. E qui scopre che il professore soggiornò a Villa Orsini, un tetro maniero neogotico, al centro di un Feudo al cui interno c'è un bosco sacro, alla confluenza tra due torrenti, dove si celebrano riti pagani di origine celtica.  A questo punto incomincia a indagare e scopre qualcosa di molto importante, che potrebbe interessare a qualche personaggio ancora più importante, come il consigliere Albedo, Duca di Alcazar. 
E adesso che ci penso, credo che l'uomo misterioso che era con Elvira, il giorno del tuo vaticinio, fosse proprio Fernando Albedo, il Consigliere. Scommetto che aveva un accento spagnolo!
Ma il vero scopritore di tutto, tramite la sua tesi su Von Tomaten, è Lorenzo, e questa soperta lo porta a dedicare la sua carriera accademica ai culti esoterici, e ad occuparsi anche di altre cose, tra cui il restauro del castello di Montecuccolo (che lui collega in qualche modo ai Monterovere) e cerca di favorire un'alleanza tra i Monterovere e i Ricci-Orsini>>
Roberto aveva sempre evitato di pensare alla sua famiglia in questi termini, come il mero prodotto di una serie di alleanze per creare una potente dinastia, e quindi reagì in maniera difensiva:
<<Sì, ma che scopo?>>
Lei era sempre più entusiasta:
<<Ma è ovvio: c'è una Società Segreta che gli fornisce i mezzi per portare avanti delle ricerche sui culti esoterici in Emilia-Romagna. E tramite l'alleanza tra i Monterovere e i Ricci-Orsini, riesce a garantirsi l'accesso al Feudo, e alla famosa Colonia Felina, nel Bosco Sacro alla confluenza della Torricchia nel Bevano...




...dove un tempo c'era la Palude, e ad avere l'accesso ai reperti archeologici che saltano fuori dai lavori per il Canale Emiliano-Romagnolo, nelle terre dei tuoi nonni. 
Diventa tutto un affare di famiglia, di cui però non si deve parlare, anzi, tutti devono far finta di detestarsi a vicenda, di litigare, di non aver niente in comune, mentre in realtà c'è qualcosa di grande valore che viene nascosto>>
C'erano implicazioni, in quel discorso, che non piacevano a Roberto:
<<I miei genitori se ne sarebbero accorti e me ne avrebbero parlato. La tua ricostruzione è un'ipotesi di complotto con tutti i limiti che ha ogni teoria della cospirazione
Ci manca solo Indiana Jones intento a trovare l'ennesimo cimelio che dona il potere assoluto, l'immortalità, l'eterna giovinezza e cose del genere!>>
Aurora però era determinata:
<<Tu ridi, ma guarda che stai rischiando grosso, anzi stiamo, perché adesso io e te siamo una cosa sola, non dimenticarlo.
Chi è questa Jessica che parla l'italiano meglio degli italiani e che sembra conoscere tutte le cose che ti interessano? Chi è questo Duca di Nonsocosa che spunta dal nulla con tanti soldi da buttar via per farsi gli affari nostri?
E soprattutto, come mai mio padre ha cambiato totalmente atteggiamento nei tuoi confronti dopo aver indagato su tutte le ramificazioni del clan Ricci-Orsini-Monterovere?
Non vedi che intorno a noi due e alla nostra vacanza girano soldi a palate, come se fossimo dei divi di Hollywood? Come fai a non accorgerti del fatto che vari soggetti alternativi vogliono aggiudicarsi il controllo su qualcosa collegato a noi come se si fosse a un'asta di Sotheby's?>>





Roberto sapeva che Aurora aveva ragione, ma preferì non parlare dell'incontro col Visconte a casa del notaio Papisca. Aveva giurato di non parlarne e i Monterovere mantengono sempre la parola data, per cui valutò le altre questioni:
<<D'accordo, è chiaro che ci sono in gioco interessi che noi non conosciamo, ma che vedono implicate le nostre famiglie e misteriose società segrete di cui qualche nostro parente è a conoscenza. 
La tua teoria sarebbe che ci sono almeno due "cordate" alternative, e non si capisce da che parte stia mio zio Lorenzo. E' così?>>
Lei valutò la cosa:
<<Diciamo che questa è la parte più oggettiva, materialistica.
Ma Lorenzo è un esperto di questioni esoteriche, e quindi le società segrete di cui stiamo parlando devono avere un carattere iniziatico. 
Hai visto che sono colta anch'io, anche se non lo sbandiero ai quattro venti come quella Jessica!>>
Lui sorrise:
<<Ma certo che lo sei, non ho mai pensato il contrario. Non sarai mica un po' gelosa di lei?>>
Aurora preferì reagire con una rappresaglia concreta, incominciando a fargli il solletico, al che lui, nonostante la stanchezza, reagì allo stesso modo, e finirono per rotolarsi entrambi sul letto come bambini di tre anni, e questo fu il preludio a una nottata simile alla precedente.
La gelosia di Aurora aveva comunque colto nel segno, perché anche se in quel momento Jessica era impegnata con qualcun altro, in seguito, negli anni successivi, si sarebbe rifatta viva e sarebbe diventata per Aurora una pericolosa concorrente.


giovedì 13 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 133. Lady Jessica e la Famiglia Reale: tutto ciò che non è stato detto




Tra la prima immagine e la seconda, in epigrafe a questo capitolo, ci sono più di settant'anni di vita.
C'è una madre e c'è suo figlio.
Nella prima (in occasione dell'apertura del parlamento del Regno Unito, l'11 maggio 2021), dietro al figlio c'è sua moglie, e davanti a tutti loro, la Corona.
Mettiamo a confronto tre cose sacre: il rapporto tra madre e figlio, il rapporto tra marito e moglie e il rapporto tra l'istituzione della Corona, in rappresentanza dello Stato, e coloro che hanno consacrato la loro intera esistenza al servizio della Corona.

Questo capitolo vuole analizzare, in maniera narrativa, come questi tre legami sacri possono in alcuni casi entrare in conflitto tra loro, a volte in modo grave, persino tragico, ma che vede, almeno in questo caso esemplare, come alla fine l'amore abbia trionfato.
L'amore tra madre e figlio;  l'amore tra due persone innamorate che, pur amandosi da una vita, sono riuscite, solo dopo mille difficoltà, a diventare marito e moglie; e infine l'amore sacro tra la persona e ciò a cui questa persona ha consacrato la propria esistenza. 

Tutto questo per dire che è possibile, pur essendoci stato nel mezzo un arco di tempo lunghissimo, nel quale è successo di tutto, e ognuno ha compiuto errori gravissimi, alla fine è possibile, in virtù del pentimento e del perdono, mettere tra parentesi tutto il male, e ritrovarsi, ognuno fedele al proprio ruolo e ai propri sentimenti.

Vediamo dunque come il nostro racconto cerchi, pur con tutti i suoi limiti, di esprimere questo concetto all'interno di una conversazione tra persone che assistono, dall'esterno, a ciò che accade nel mezzo di quell'arco temporale, in uno dei momenti forse di maggiore reciproca distanza e personale sofferenza dei personaggi illustri di cui i nostri personaggi stanno per parlare.

E come sempre, dopo la premessa, riprendiamo la nostra narrazione da dove l'avevamo interrotta.

La disposizione dei posti a tavola, quando ci sono ospiti, è un grande problema e c'è sempre qualcuno che ne rimane offeso e qualcun altro che ne beneficia fin troppo.
Per tutto il pomeriggio il Duca di Ravensbourne e il suo cameriere Archibald avevano discusso sull'argomento, anche se gli ospiti erano solamente due, e alla fine avevano trovato un accordo proprio su due punti: 1) il tavolo della Sala da Pranzo era troppo lungo e andava sostituito con un altro più piccolo e quadrato che era in dotazione alla Suite; 2) ogni convitato doveva avere di fronte il partner dell'altro, per favorire al massimo la socializzazione.

Per questo, quando la cena vera e propria era finalmente incominciata, lady Jessica Burke-Roche si era trovata davanti a Roberto Monterovere, che si era rivelato molto più sospettoso del previsto e intenzionato a indagare, ma non sarebbe approdato a nulla, perché lei conosceva il suo punto debole.

Era stato lo zio di lui, Lorenzo Monterovere, a rivelarglielo al telefono, qualche ora prima della cena:
<<Roberto oggi ha chiamato i suoi e mio fratello ha chiamato me, chiedendomi espressamente se tu eri pericolosa. Io naturalmente ho detto che non ti ho mai conosciuta, ma ho sentito parlare molto bene di te da un mio studente Erasmus, Waldemar Richmond. 
Mio fratello è un uomo intelligente, ma su certe cose è ingenuo come un bambino, e quindi si è tranquillizzato subito, ma sua moglie, Silvia Ricci-Orsini, è di tutt'altra pasta, come ogni donna dal doppio cognome, e quando ha strappato il telefono dalle mani del marito, mi ha detto chiaramente di aver "capito il mio gioco".
Io ho fatto finta di cadere dalle nuvole, ma lei non l'ha bevuta, per cui, a prescindere da ciò che lei crede di sapere, avrà messo in guardia Roberto.
Io penso, però che farai colpo di lui, a partire dal tuo nome.  
C'è un romanzo che lui ama molto, Dune di Frank Herbert, e un personaggio che lo affascina è lady Jessica Atreides, Duchessa di Caladan. E' anche per questo che ti ho scelta per diventare la prossima Duchessa di Ravensbourne. Vedrai, Jessica: un giorno ti amerà anche solo per il nome che porti, compresi i cognomi e i titoli.
Cerca di evitare gli argomenti divisivi. 

Ho comunque un suggerimento per te: se te la vedi brutta, mettiti a parlare della Famiglia Reale, e di tutte le cose imbarazzanti che la baronessa Fermoy ha raccontato alla tua famiglia e mettici anche del tuo, insomma, una storia molto romanzata.

Lui diventerà più curioso e pettegolo di una comare di Windsor. 
La sua curiosità va in tutte le direzioni, ma ce ne sono alcune che lo ossessionano: i fiumi, i canali, le mappe, l'araldica, gli alberi genealogici e la Famiglia Reale Inglese.

Parla di tutto ciò che sai sui Windsor e diventerai, senza che lui nemmeno se ne accorga, la nuova regina del suo cuore>>






Jessica aveva esitato:
<<Lorenzo, lo sai che è troppo presto. Prima devo occuparmi del Duca>>
Lorenzo aveva ridacchiato:
<<Lo so, lo so. Ma i Monterovere hanno bisogno di tempo, per capire i loro stessi sentimenti. 
Noi siamo come le querce, viviamo molto, ma cresciamo lentamente. 
Lasciagli un bel ricordo di te: sarà come una ghianda destinata a diventare la più grande delle querce>>
Lei aveva obiettato:
<<Se sopravvivrà a tutto il dolore che lo attende quando tornerà a casa. 
Dovremmo intervenire e neutralizzare i suoi nemici. Lo massacreranno, o provocheranno una ferita permanente nella sua salute mentale>>
Il Professore aveva replicato seccamente:
<<Ogni futuro novizio, per accedere ai nostri insegnamenti propedeutici, deve superare la Prova del Dolore, nessuno può sottrarsi alla regola, meno che mai un Monterovere! 
Su che cosa baseremmo il nostro principio ereditario se crescessimo dei rammolliti che non sanno difendere se stessi. Gli concederò qualche aiuto, ogni tanto, ma per il resto dovrà dimostrare di valere qualcosa. 
Se sarà debole, avremo fallito tutti. Se sarà ferito dovrà imparare a convivere col dolore. 
E se ci riuscirà e sopravvivrà, allora tutto quel dolore gli sarà utile, quando verrà il momento dell'Iniziazione vera e propria e diventerà uno di noi. E forse anche migliore di noi>>

Jessica sapeva che almeno una parte di quel discorso poteva avere un senso, ma anche un limite:
<<E se lui non volesse diventare uno di noi?>>
Lorenzo tornò a ridacchiare, con la sua voce stridula:
<<Lo vorrà eccome, lo conosco fin troppo bene, i miei adepti lo tengono sempre d'occhio e hanno tutti riferito la stessa cosa: per lui il massimo onore è la sapienza, e in particolare il sapere perché esistiamo, perché siamo al mondo e non si accontenta di risposte preconfezionate, filosofiche o teologiche, che si fermano di fronte ai postulati o al Mistero. 
Lui si sente come Mosè e aspetta la Chiamata dal Sinai, quando finalmente potrà vedere la Divinità faccia a faccia. E' un mistico, nel senso più elevato del termine. E anche un eretico, naturalmente: tutti i mistici hanno sempre oscillato tra l'eresia e la Verità. Quando ci penso, mi viene in mente Ildegarda di Bingen: mio nipote potrebbe essere la versione maschile della venerata Madre Superiora.

Prima di partire per Londra mi ha telefonato e mi ha detto: "Leggi la poesia L'onore, di Montale, nel Quaderno dei quattro anni, la sua ultima raccolta. Montale parla dell' "onore che non ci è stato dato", e cioè di sapere perché siamo al mondo. Questo è anche il mio parere, "che si ferma ad un confine e non lo supera"

Il confine è il Mistero, e lui non lo accetta.  E' la nostra versione del Frutto Proibito. 
Ora capisci perché è essenziale che diventi uno dei nostri?
 Soltanto noi possiamo dargli la risposta.E in cambio lui diventerà un prezioso alleato.
Sai, credo che stia incominciando a capire, anche se ci vorrà molto tempo, prima che riesca a mettere in ordine i tasselli del mosaico. E solo dopo si renderà conto di cosa possiamo offrirgli.
Quando avrai finito con il Duca, dovrai concentrarti su Roberto. 
E ricordati, Jessica: questa volta non sono ammessi fallimenti>>

Lei aveva anche altre risorse, e non erano poche, ma doveva restare un segreto. 
Per questo alla fine, fece atto di sottomissione, con una risposta di due parole:
<<Sì, Maestro>>
Jessica era consapevole della rischiosità della propria missione, ma voleva agire in maniera più autonoma, perché in fondo persino Lorenzo Monterovere, con tutte le sue sottigliezze, non era riuscito a cogliere la versione integrale del Grande Disegno. 
Apparteneva alla confraternita sbagliata.

Lei invece nascondeva tanti segreti, e infiniti mezzi per far fare agli uomini quel che voleva.
Anche Roberto Monterovere ci sarebbe cascato.
Ma dovrò fare di meglio, con lui, per imprimere il mio marchio nella sua anima.

E allora perché di fronte a Roberto mi sento così disarmata? C'è qualcosa, in lui, che mi confonde, ma non riesco a capire cosa.
La responsabilità è di Albedo: ha suggerito lui l'esperimento a Lorenzo, e poi la situazione gli è sfuggita di mano. La combinazione genetica era troppo azzardata.

Finirà per impazzire: nella sua testa ci sono tutti e quattro i suoi nonni , diversissimi l'uno dall'altro, che si fanno la guerra in continuazione.
Per questo è così strano: dietro a quell'aria da intellettuale inoffensivo c'è una belva feroce, che non va risvegliata. Devo scriverlo nel mio rapporto al Consiglio.

Dirò che è schiavo dei suoi desideri e che la sua è una vita fatta di desiderio.
Per ora non vedo grande misticismo in lui: solo il desiderio della conoscenza, ma insieme a tutti gli altri desideri.
Si vede anche da come mangia: è vorace, ingordo, i suoi appetiti sono insaziabili.
Non si accontenta mai.
E' uno che affronta la vita prendendola a morsi.

Il suggerimento di Lorenzo, comunque, restava valido, e così, mentre nella sala da pranzo della Royal Suite i commensali consumavano la cena, a base di cacciagione di ogni tipo, patate al forno, salsa e spezie, (e naturalmente vini pregiati e, alla fine, frutta e raffinati dessert di vario genere) Jessica fece la sua mossa:
<<Non indovinereste mai chi è venuta a far visita ai miei nonni, ieri pomeriggio>>

E infatti nessuno ci provò, a indovinare, anzi, per dirla tutta, quel romagnolo gallico selvaggio non alzò nemmeno la testa da piatto, tanto gli piaceva divorare tutto quel ben di Dio.
Aveva consumato buona parte delle sue energie durante l'aperitivo, sostenendo tesi azzardate nel dibattito sul "bel paese là dove 'l sì suona".

E l'aveva vinto lui, quel dibattito, per cui bisognava colpirlo là dove era più vulnerabile:
<<Dopo tanti anni, è ricomparsa, senza neanche una telefonata di preavviso, lady Ruth Burke-Roche, baronessa Fermoy, la nonna materna della Principessa di Galles, quella che per molti anni le ha sussurrato all'orecchio, prima di capire che Diana avrebbe fatto sempre e comunque di testa sua>>





(N.d.A. Nell'albero genealogico sovrastante, Frances, la madre di Diana, è indicata erroneamente come "Shand Roche" invece che "Shand Kydd", il cognome del suo secondo marito, mente il nome da nubile era Frances Ruth Burke Roche. 
Nella fotografia sottostante, a partire da sinistra, possiamo vedere lady Frances, lady Diana e lady Ruth, baronessa Fermoy.




Improvvisamente, quella macchina divora-cibo che era Roberto Monterovere, si bloccò e rivolse immediatamente gli occhi verso Jessica, come se gli avesse annunciato che gli Alieni erano sbarcati sulla Terra.
Roberto deglutì in fretta e furia e poi chiese:
<<Lady Fermoy in persona? Pensavo fosse a Sandringham, o a Glamis, o a Balmoral, o al castello di Mey, con la Regina Madre. Cosa ci fa ancora a Londra?>>

Jessica sorrise, pensando a come i Monterovere riuscissero sempre a intrufolarsi negli affari degli affari degli altri.

<<E' molto debole. Penso che sia malata, o forse è solo la vergogna per quello che sta succedendo. Tutti noi Burke-Roche siamo nell'occhio del ciclone e abbiamo i reporter alle calcagna, sempre a causa di Diana>>

Roberto annuì con decisione, come se li conoscesse da una vita:
<<Ma certo, è ovvio. Mi dispiace per lady Fermoy e temo che questo dolore la porterà alla tomba
Ma, per essere onesti, Jessica, un po' se l'è cercata. 
Aveva dato la massima garanzia sulle sue nipoti, a Lizzie Bowes-Lyon, e lei si è fidata.
E' un fardello che entrambe si porteranno sulla coscienza per il resto dei loro giorni.
Lizzie è una donna gentile e simpatica, ma crede ancora di vivere negli Anni Trenta>>





Aurora alzò la mano:
<<Ma di chi state parlando? Chi è Lizzie Bowes-Lyon?>>
Jessica sorrise amorevolmente, come si farebbe con un bambino piccolo o con un cucciolo di cane:
<<Lizzie è la Regina Madre, e lady Fermoy era la sua prima dama di compagnia, la sua migliore amica, la sua confidente, la sua ombra e alla fine la sua più grande delusione.
La Regina Regnante, invece, è chiamata Lilibet dai suoi consanguinei più stretti e da suo marito. 
Ma forse l'avrà concesso anche al nostro Roberto, visto che lui parla di loro come se fossero parenti stretti>>
Tutti risero, Roberto compreso:
<<Ma certo, Lilibet mi ha conferito anche il cavalierato dell'Ordine della Giarrettiera!>>
Altre risate e poi, più serio: 
<<Non le ho mai viste di persona, e ovviamente non ho mai avuto il privilegio di parlare con loro, ma le conosco meglio di quanto loro conoscano se stesse. 
Se avessero avuto me, come consigliere, le cose non sarebbero andate a finire così>>

L'ilarità generale continuò, ma Roberto era fermamente convinto di ciò che diceva. Non era solo una battuta. 
A lui comunque importava soltanto avere le ultime notizie:
<<Allora, ci sono novità?>>
Jessica annuì:
<<Lui è andato prima ad Highrove e poi a Balmoral con i bambini, e lei si è impadronita di Kensington Palace e si dà alla pazza gioia. 
Dicono che i rumori dei festini sono talmente forti che persino la principessa Margaret, che abita nell'altra ala del palazzo, sia fuggita a Mustique per l'esasperazione, e dire che lei è abituata ai party rumorosi.
Insomma, tutti contro tutti. A questo siamo arrivati!>>

Per gentilezza, il Duca, rivolto ad Aurora, disse:
<<"Lui" è il Principe di Galles e "lei" è la Principessa. Ormai nel Regno Unito non c'è bisogno di specificarlo, da undici anni non si parla d'altro. Dai vertici della Corona fino all'ultimo dei postriboli, la storia è sempre quella.
E' stato un diversivo molto valido, mentre la signora Thatcher massacrava il Welfare State.
Che ci importa dei licenziamenti, quando abbiamo una soap-opera che ogni giorno ci riserva un colpo di scena?>>
Aurora scosse il capo:
<< Ma loro due, i Galles, come fanno a sopportare l'idea che il mondo sappia tutto di loro?>>

E poiché la vita della giovane Visconti era scandita dalle canzoni, più che dal calendario, nella sua mente si infiltrò con prepotenza il ricordo di una canzone di qualche anno prima.
"Treni, ombrelli, pure il giornale / leggeremo male, cara vedrai / ci chiederemo come mai  / il mondo sa tutto di noi... / Magari ti chiamerò...
E per almeno due giorni, senza pietà, le parole e la musica del maestro Amedeo Minghi rimbombarono nei gangli della mente della giovane Visconti.
"E piccoli incidenti, cara vedrai / la stellare guerra che ne verrà / e il nostro amore starà lì / tremante, brillante così / E ancora ti chiamerò...
Ah, pensava Aurora, "Vattene amore" è la loro canzone, quella dei Principi di Galles, il matrimonio più famoso e più fallimentare della storia, tale da oscurare persino le sei mogli di Enrico VIII, o il tradimento di Ginevra con Lancillotto.

Jessica scrollò le spalle:
<<Lei si è resa conto che la gente sta dalla sua parte, e ha incominciato a fare quel che le pare
Sua madre Frances è una donna gentile, generosa, ha aiutato molte persone, ma lo ha fatto in silenzio, con la massima discrezione. Ci diceva sempre: "Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra"
Ma la madre di Frances, lady Ruth Fermoy, è sempre stata ambiziosa, e ha preso le redini di tutto il nostro clan dei Burke-Roche:
Del resto, suo marito era fratello gemello del mio bisnonno, per cui lei con mia nonna si è comportata come una suocera piuttosto rompipalle, come dite voi.

Oggi invece lady Fermoy era un'altra persona. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno della famiglia, quei pochi che ancora le rivolgono la parola. 
I Fermoy sono caduti in disgrazia presso la Famiglia Reale, e gli altri rami dei Burke-Roche cercano di far dimenticare la loro parentela con la Principessa.
Lizzie si è sentita tradita dalla sua migliore amica, e Lilibet si è trovata a rivivere il peggiore dei suoi incubi, quando lei era solo l'insignificante figlia femmina del balbuziente Duca di York.

Tutte loro sono rimaste ferme agli Anni Trenta.
Lady Fermoy era distrutta e ci ha parlato per tutto il pomeriggio, a ruota libera, come se cercasse di lasciarci il suo testamento spirituale. 
Ha detto che un mese fa, circa, prima delle sue dimissioni da first bedchamber lady in wainting di Clarence House, ha ascoltato, ma sarebbe meglio dire origliato, una conversazione piuttosto concitata tra Lizzie e Lilibet, avente per argomento un colloquio della stessa Lilibet con il principe Carlo.
Io non so cosa ci sia di vero e cosa di inventato, ma è comunque la sua versione dei fatti>>

Ora, però, il narratore ritiene necessario un chiarimento. 
Ciò che segue, in questo capitolo, è strutturato secondo la cosiddetta "mise en abyme" e cioè un racconto nel racconto, fino a creare un abisso. 
Dalle nostre parti si faceva l'esempio, un po' angosciante, del <<C'era una volta un re, seduto sul sofà, che chiese alla sua serva: raccontami una favola, e la serva racconto: "C'era una volta un re, seduto sul sofà...">> e si andava avanti così all'infinito. 
Non intendiamo sottoporre il lettore a questa tortura psicologica, ma avvertirlo che la struttura che segue vedrà un racconto di Jessica, basato su un racconto di lady Fermoy, che quest'ultima aveva ascoltato di nascosto a Clarence House, durante un colloquio tra la Regina Madre e la Regina regnante, in cui Elisabetta riferiva alla madre un dialogo tra lei e il figlio Carlo.

Questa successione narrativa apparentemente astrusa,  riflette i meccanismi che anche nella realtà generano nuove informazioni da trasmettere. Quasi sempre noi parliamo per "sentito dire", di cose che altri ci hanno riferito, forse anche loro di seconda mano, senza ormai sapere più chi è la fonte e quanto questa fonte possa essere attendibile.

Anche qui esemplifichiamo il discorso, dicendo che, se i fatti narrati differiscono quasi sempre moltissimo dalla realtà, è perché c'è stato lo stesso effetto distorsivo che opera nel gioco del telefono senza fili che tutti noi abbiamo fatto da bambini. 

E dunque noi che narriamo, ci chiediamo quanto possa esserci di vero in ciò che Roberto ci ha raccontato in proposito, riportando a sua volta il racconto di Jessica, che era di seconda mano.

Non lo sapremo, mai, perché Roberto è sempre stato un narratore inaffidabile, con una fantasia fin troppo sbrigliata, e però nel contempo anche reticente, quando noi cercavamo di sondare nel dettaglio questioni sulle quali lui era intenzionato a tacere.

Quindi, cari lettori, prendete ciò che segue come una riproduzione di come forse sono andate le cose quando, quella sera al Savoy, l'argomento cadde, secondo la volontà di Jessica, su uno dei temi più sviscerati degli ultimi quarant'anni, ossia quale fu il modo in cui la Famiglia Reale gestì i rapporti del Principe di Galles con le due donne della sua vita, ossia lady Diana Spencer, la prima moglie, e Camilla Shand, già Parker Bowles, la seconda moglie, Duchessa di Cornovaglia.

Roberto pendeva letteralmente dalle labbra di Jessica e teneva gli occhi sgranati rivolti verso di lei:
<<E ci sono indiscrezioni? Saremo più silenziosi di una tomba>>
Jessica sorrise di nuovo, sentendo di averli tutti in pugno:
<<Ruth Fermoy ha detto che, dopo la pubblicazione del libro di Andrew Morton, si è scatenato l'inferno, in particolare perché il Principe è stato accusato di aver commesso adulterio con una donna sposata, l'ormai famosa Camilla Parker Bowles, sua antica fiamma.

La Regina sapeva tutto, ma fino a quel momento aveva fatto orecchie da mercante. 
In fondo Diana ha avuto una relazione col maggiore Lewitt, tra il 1986 e il 1991, per cui non era certo una vittima. 
Il libro di Morton, però, ha presentato Diana come parte lesa, e Carlo come se fosse Enrico VIII.
Elisabetta ha convocato il figlio, e hanno parlato per più di un'ora, una cosa mai accaduta prima.
Quello che si sono detti è segretissimo, e infatti adesso, a Palazzo, lo sanno tutti!>>

Ci fu un'altra risata generale. Quel genere di battute paradossali era tipico di Jessica. 
Chi non l'ha conosciuta di persona non può capire: persino noi che scriviamo ci rendemmo conto che la compagnia della giovane Burke-Roche era qualcosa che ci riconciliava col mondo.
L'argomento da lei proposto all'inizio della cena era interessante per tutti, e le battute che potevano venirne fuori erano innumerevoli.

Jessica, che amava essere al centro dell'attenzione, raccontò con dovizia di particolari:
<<Il fatto è che la Regina ne ha parlato con sua madre, la Regina Madre ne ha parlato con lady Fermoy, la quale lo ha riferito a sua figlia Frances, che ha tentato di far ragionare Diana, ma ormai era troppo tardi, considerato che lei aveva cornificato il Principe in molte più occasioni e la cosa era trapelata fino ad arrivare ai tabloid.

Sono stata a sentire tutti i farfugliamenti di zia Ruth per ore e alla fine, cercando di ricomporre il mosaico, sono in grado di riferire la sua versione dei fatti, che ora vi espongo.

Quando Carlo si è presentato, Elisabetta gli ha chiesto soltanto: 
"Perché proprio Camilla?"

E lui, testuali parole, ha risposto così: "Camilla è l'unica persona che mi ha sempre amato, sostenuto, compreso, apprezzato e reso felice. L'unica!".

E Lilibet ha capito bene che quelle parole mettevano anche lei sul banco degli imputati.
Come sappiamo è una persona di poche parole.
Si è tolta gli occhiali, li ha puliti scrupolosamente, e poi rivolgendosi di nuovo al figlio, ha detto: 

"Io ci ho provato. Sono stata la prima principessa reale di questo paese ad allattare i propri figli. 
E nei primi quattro anni della tua vita, forse non te lo ricordi, ma siamo stati felici.




Poi mio padre, il Re, è morto, troppo presto. La morte ci coglie sempre impreparati.
Ho dovuto imparare tutto da zero, per fortuna che c'era Winston, a insegnarmi.
Ti ho affidato alle cure di mia madre: e lei ti ha dato tanto affetto, e non puoi negarlo.
E anche quando si è opposta alla tua volontà di fidanzarti con Camilla, era in buona fede.
Lo eravamo tutti: Camilla... sembrava tutto tranne che una principessa.

Pensaci bene, Carlo: che figli sarebbero venuti fuori da un matrimonio tra te e Camilla? 

La nonna e zio Dickie sono venuti da me con la faccia delle grandi occasioni, tirandosi dietro anche Anna, secondo cui Camilla stava con te solo per interesse, ma era innamorata di Andrew Parker Bowles.
E io ero d'accordo, e sapevo che tu eri troppo ingenuo per riconoscere un'arrampicatrice sociale.
Ci siamo opposti per il tuo bene e per quello della Corona: io e il resto della famiglia eravamo in buona fede.

Mai avrei immaginato che, vent'anni dopo, mi sarei ritrovata in questa situazione.
E' peggio che ai tempi di Wallis Simpson.  E' un incubo.

E dire che tu eri un bambino obbediente. Ma adesso io non so più chi sei , cosa sei diventato? Io non ti conosco.

Pensavo che fosse normale, quando i figli crescono e le madri si chiedono che fine abbiano fatto i loro bambini, questi piccoli fantasmi che ci tolgono il sonno, perché noi li rivorremmo indietro, ma loro non esistono più.

Ma nel nostro caso non c'è niente di normale. Questo è un problema istituzionale.

Quando mio zio abdicò, mia nonna, la regina Mary, mi disse:
"La Corona deve avere la precedenza su tutto. 
I Re non hanno figli, hanno solo degli eredi"

E dunque mi rivolgo a te come mio erede e ti avverto: se non interromperai una volta per tutte la relazione con la signora Parker Bowles, io non ti difenderò più, e non ti riterrò più degno di stima o di fiducia. 

Purtroppo non è in mio potere diseredarti, ma se tu continuerai a vedere Camilla, farò di tutto per rendere il tuo regno il più breve possibile. 
Sarà Dio a decidere se e quando mi succederai, il che significa che io non abdicherò mai, dovessi campare cent'anni o anche più>>

Tutti erano ammutoliti. Il Duca era sconvolto:
<<Mai così tante parole tutte in una volta, tra madre e figlio!>>
Roberto intervenne:
<<Mi interessa la risposta di Carlo, perché credo che Elisabetta si sbagli sul suo conto>>

Jessica allora tornò al centro della scena:
<<Carlo ha ascoltato tutto quasi in silenzio, con qualche piccolo cenno di disapprovazione, e poi alla fine ha dato la sua versione dei fatti, molto più corposa, essendo lui un intellettuale, l'unico laureato di tutta la famiglia:

"So bene che i doveri di un Re verso la Corona vengono prima di ogni altra considerazione.
Ma un Re, per servire al meglio la Corona, ha bisogno di una Regina che lo ami, lo stimi, gli dia saggi consigli e gli trasmetta forza e fiducia. E invece Diana fa l'esatto contrario, da molto tempo prima che Camilla rientrasse nella mia vita.

So che mi hai voluto bene, e ricordo con molta precisione la mia infanzia.
Ho compreso fin da piccolo il motivi della tua assenza, e cioè che il dovere di servire lo Stato viene prima di ogni altro dovere, per noi.

Non ho nulla da rimproverarti, da questo punto di vista. Mio padre mi ha insegnato tante cose, e di questo gli sono grato, ma lui non era mai soddisfatto: voleva un figlio che fosse l'esatta copia di se stesso. E questo era impossibile. La nonna Lizzie è stata fantastica con me, come anche lo zio Dikie. Ma su Camilla hanno sbagliato, avete sbagliato tutti.

E la cosa più incredibile è che, a rovinare le mie intenzioni serie con Camilla, vent'anni fa, siete stati proprio voi che avete sposato le persone che amavate.

E il primo a spiegarmi l'importanza di questo fu mio nonno, il buon re Giorgio.





Ricordo bene quello che mi disse l'ultimo Natale, a Sandringham, mentre e tu e mio padre eravate in Kenya. 

Il Re era molto debole, sentiva di avere i giorni contati, e così, si sedette di fianco a me, che avevo solo quattro anni, ma ero già in grado di capire e di ricordare, e mi disse:

"Vorrei spiegarti alcune cose. Sei un bambino intelligente e credo che capirai, e che ti ricorderai di queste mie parole.

Tu assomigli molto a com'ero io alla tua età. Anch'io avevo una paura terribile di deludere mio padre e mia madre. Balbettavo e mio padre si infuriava. Mia madre era molto severa, e lo è anche adesso: mi guarda storto, persino ora, perché non approva questi discorsi, ma il Re sono ancora io e decido io cosa deve sapere mio nipote, il secondo nella linea di successione. E presto, temo, sarai il primo e tale resterai per molto tempo.

Ed è molto difficile essere i primi. E' estenuante. Io ho cinquantasei anni, ma è come se ne avessi il doppio. 

Eppure io non ero il primogenito, e quindi le mie debolezze furono tollerate, e mi fu permesso di sposare la donna che amavo.
E' stata la mia salvezza, la mia benedizione: tua nonna Lizzie è come un raggio di sole che si è fatto strada a portare la luce in un buio e umido cortile, perché è questo che era la nostra famiglia, prima di lei non sorrideva nessuno.




Persino mia madre, la tua bisnonna Mary, che ti fa tanta paura, ha appreso quest'arte, non è vero, mamma?






Be', forse deve esercitarsi ancora un po', ma mi rendo conto che è difficile, ora che sono malato. 

Ma posso dire che "la vita e io siamo pari", è un modo per dire che le fortune hanno compensato le disgrazie. 
Io sono riuscito ad essere un buon Re, un buon marito e un buon padre, ma è tutto merito di Lizzie.

Lei mi ha donato due figlie, Lilibet e Margaret, simili nell'aspetto, ma diverse nel carattere.
Sono entrambe figlie devote, ma con una differenza:
tua madre è il mio orgoglio, ma tua zia Margaret è la mia gioia.

Quando tua madre si innamorò di tuo padre, io avevo delle riserve, perché sono cugini, e nella nostra famiglia c'è una malattia del sangue, specie se ci si sposa tra parenti. E poi tuo padre non era del tutto inglese: è nato in Grecia, è cresciuto in parte in Germania, dove le sue sorelle hanno sposato gerarchi nazisti, e poi è venuto in Inghilterra, grazie a suo zio Dickie, ed è diventato ufficiale di marina, come tutti i Battenberg, o Mountbatten, signori del mare, ma "principi di nessun luogo".
Filippo è uno spirito selvaggio, una forza della natura, ma temo che si sentirà come un leone in gabbia, quando sarà relegato al ruolo di principe consorte. Dovrai perdonarlo se sarà severo con te, come io ho perdonato mio padre.
Alla fine, però, io ho dato il mio assenso alle nozze dei tuoi genitori, perché Lilibet aveva bisogno di una roccia come Filippo, e lui la sosterrà nel grave compito che la attende.

E sappi che un giorno, quando incontrerai la tua anima gemella, tutte le tue paure se ne andranno, e lei ti farà sentire felice, come Lizzie ha fatto con me.

Il tempo dei matrimoni combinati è finito.
Quando incontrerai la donna giusta per te, la riconoscerai subito.
Non sarà una donna sposata, perché andrebbe contro un comandamento del Signore, e niente di buono può nascere violando i Suoi comandamenti.

In tutti gli altri casi, sarà il tuo cuore a farti capire chi vorrai al tuo fianco per il resto della vita.
Non voltarle le spalle, perché se lo farai volterai le spalle alla fortuna.

Ricorda per sempre queste parole: non voltarle le spalle"


Morì pochi giorni dopo, e lasciò un grande vuoto in tutti noi, perché era un uomo buono, un grande Re e un ottimo padre, e nonno.
Non ho dimenticato le sue parole, e avrei dovuto riferirtele molto prima, ma non volevo darti un dolore, perché tu eri il suo orgoglio, e lo sapevi,  ma Margaret era la sua gioia.

Però tuo padre ti ha permesso di sposare l'uomo che amavi.

Ma a me non è stato consentito di sposare Camilla, nel '72. E per cosa? 

Voi dicevate che lei amava Andrew Parker Bowles più di me, è quello che mi avete fatto credere, dopo aver minacciato Camilla, costringendola a dire e fare cose non voleva dire e non voleva fare.

E io non me n'ero accorto: avete agito nell'ombra, tutti, ora lo so, Camilla mi ha raccontato come andarono le cose: avete convocato i suoi genitori a Clarence House e li avete convinti che se avesse sposato Andrew, voi avreste benedetto quell'unione, mentre se non lo faceva, voi vi sareste opposti con tutte le vostre forze, "e non sono poche", dicesti tu.

Io, che ero ancora ciò che tu definisci "un bambino ubbidiente", ho dato ascolto a voi, e non al mio cuore e nemmeno alle sante parole di mio nonno, il Re.

 Dicevate che bisognava trovare una che fosse nobile, vergine, giovane e bella, per entusiasmare le folle. Ed ecco cosa ci si guadagna, nell'entusiasmare le folle!
Dolore, critiche, insulti, denigrazioni, umiliazioni, liti, sofferenza, e dolore, e ancora dolore.

Tu mi chiedi come sarebbero stati i figli miei e di Camilla? Più brutti dei figli che ho avuto da Diana, senza dubbio, ma di sicuro sarebbero stati più felici.

Sono consapevole che i doveri del Principe di Galles sono sostanzialmente tre: sposarsi, generare figli e non dare scandalo.
E non ci sarebbero stati scandali, se tu e gli altri non vi foste intromessi.

Lei sposò Andrew Parker Bowles perché le avete fatto credere che non era degna di me e avrebbe danneggiato la mia reputazione agli occhi del popolo.
Ci avete messi uno contro l'altra, parlandoci separatamente, ed elargendo in egual parte minacce e promesse.

E io le ho voltato le spalle, e ho continuato a cercare per anni la donna giusta, ma non l'ho più trovata. 
Avevo però il dovere di sposarmi e generare degli eredi e per questo, quando lady Fermoy ci presentò le sue nipoti garantendone la virtù, tutti noi rimanemmo incantati dal fascino di Diana.

All'inizio me n'ero innamorato anch'io, perché non sono insensibile alla bellezza, ma la verità è che dietro a questa bellezza c'era una persona che non conoscevo, e lei non conosceva me.
Dopo esserci sposati, abbiamo fatto il nostro dovere, e pur avendo capito che non eravamo anime gemelle, ci siamo impegnati per far funzionare le cose.

In quel periodo io le fui sempre fedele, fui rispettoso e premuroso, anche se nessuno mi crede, e lo sai perché non mi credono? Perché non conoscono com'è lei nella vita privata.

Il personaggio pubblico che lei interpreta, con grande successo, è molto diverso da ciò che realmente lei è come persona nella vita di tutti i giorni.

E' molto fragile, soffre di sbalzi di umore, è divorata dall'ansia e dalla paura, e aveva bisogno di un marito forte, e io non lo ero, io ero malinconico, e anche se comprendevo il suo dolore, non riuscivo a trovare il modo di aiutarla, e questo mi faceva stare ancora peggio: ci siamo rovinati la vita a vicenda, questa è la verità. Io e lei siamo egualmente colpevoli ed egualmente innocenti.

Io le chiedevo almeno di salvare le apparenze, anche per dare una base di stabilità ai nostri figli, e lei era d'accordo, perché da bambina aveva sofferto quando i suoi divorziarono.

Per qualche anno la recita è andata bene.
Ma quanto le costava quella recita! Tornava a casa e piangeva, e rimetteva, e mi dava la colpa di tutto, e cercava conforto familiarizzando fin troppo col maestro di equitazione e le guardie del corpo.

Alla fine anche i miei nervi hanno ceduto: mi sentivo così disprezzato da lei, da te. da mio padre, e dall'opinione pubblica, che, per ritrovare un po' di fiducia in me stesso, un po' di serenità, un po' di forza, ho riallacciato i legami con Camilla e ho fatto finta di non vedere i tradimenti di Diana.

Speravo ancora di salvare il matrimonio, perché credevo che così, rilassandoci ognuno a modo suo, saremmo riusciti ad essere tutti più felici e più forti.

E invece è saltato fuori questo pseudo-libro di tale Andrew Morton, ed io sono diventato il "cattivo" che l'ha tradita, e lei, che mi era infedele già da prima, adesso recita il ruolo della "martire", come se fosse Caterina d'Aragona.

La cosa più paradossale è che coloro che dicono che sono io l'adultero, sono le stesse persone che mi danno del cornuto e pensano che Harry sia figlio del maggiore Lewitt, senza sapere che Harry è nato nel 1984, mentre la relazione di Diana con Lewitt è iniziata nel 1986, e questo lo dice persino quel maledetto Morton.

Quanto al mio matrimonio, ora mi rendo conto che non c'è mai stata molta speranza, e d'ora in avanti ce ne sarà sempre meno. Qualunque cosa io faccia, non sarò creduto. 
I tabloid hanno già assegnato i ruoli e i copioni: tutto il resto non servirà a niente, perché Diana vuole il divorzio e vuole risposarsi, me l'ha detto molto chiaramente, e questo avverrà a prescindere di cosa farò io con Camilla.

Io non so se ve ne siate resi conto, ma lei cercherà di esasperarci a tal punto che tu stessa mi costringerai a divorziare.
Basterà poco: un paio di altri libri come quello di Morton, una trasposizione cinematografica sempre del libro di Morton, e a quel punto tutti, sulla faccia della Terra, crederanno a Morton e non a noi.

E quando l'opinione pubblica sarà cotta a puntino, lei se ne uscirà con qualche intervista così infamante da non lasciarci altra scelta che il divorzio, e lei potrà negoziarlo da una posizione di forza, com'è nei suoi piani da quando ha capito che tutti i giornali, tutti i sondaggi, tutta l'opinione pubblica stanno con lei.

Ha incantato tutti come è riuscita a incantare noi quando era ancora una timida diciottenne apparentemente perfetta.

Madre, ho capito da tempo che mi ritieni indegno di portare la corona.
La regina Vittoria pensava la stessa cosa di suo figlio, eppure i nove anni di regno di Edoardo VII sono stati così felici da meritarsi il nome di "età edoardiana", ritenuta l'apogeo dell'Impero Britannico.

Ma non importa, ormai me ne sono fatto una ragione: in fin dei conti, chi porta la corona troppo a lungo, finisce per pagarne un prezzo molto alto. 
Come Shakespeare faceva dire a Riccardo II, "entro la vuota corona che cinge le tempie mortali di un re, ha reggia la morte, e là s'insedia, beffarda, irridendo il potere di lui".  
O come diceva Federico II di Prussia, la corona non è nient'altro che un cappello nel quale ci piove dentro. 

Ai tempi della prima Elisabetta, in Inghilterra avevamo Shakespeare, per mettere in scena i drammi dei re, mentre ai tempi della seconda Elisabetta, a raccontare le tragedie dei reali abbiamo Andrew Morton. Ogni età ha i cantori che si merita.

Ma Dio sa come sono andate le cose, e per questo mi rimetto anch'io al suo giudizio.
Sarà Lui a decidere se e quando ti succederò, o se sarai tu a guardare con occhi di ghiaccio, la bara di tuo figlio sfilare fino alla cripta di San Giorgio.
Sia fatta la tua volontà, che sembra coincidere con quella di Dio"




E detto questo ha chinato il capo in segno di saluto e se n'è andato.

Dicono che Lilibet sia rimasta immobile per un po' sul divanetto, come una statua di sale, e poi la prima cosa che ha fatto è stata andare a Clarence House per chiedere a sua madre se era vero che re Giorgio preferisse Margaret.
E la Regina Madre, sapete com'è, era già al quarto gin tonic della giornata e ha confermato tutto molto allegramente, con quel suo sorriso luminoso, che innumerevoli anni prima aveva colpito gli occhi e il cuore del futuro Giorgio VI. 
E mentre dietro la porta lady Fermoy ascoltava in segreto, Lilibet ha riferito a sua madre lo "scambio di vedute" con Carlo, e ha chiesto se era vero che il Re avesse parlato con Carlo quella sera. E Lizzie, sempre alticcia: "Ma certo che gli ha parlato! Credevo che lo sapessi. Avresti dovuto sentire tuo padre: disse tante belle cose su di me, e sul nostro matrimonio. Ero commossa. Il mio caro Bertie era ancora innamorato come il primo giorno" .
Lilibet ha scosso la testa: "E nessuno ha sentito l'esigenza di dirmi che mio padre, prima di morire, ha parlato a mio figlio su una questione così importante?" E Lizzie: "Ma, cara, eravamo tutti in lutto, tutti sconvolti, e poi per riuscire a parlare con te bisognava prendere un appuntamento con il segretario. Ricordo che erano i primi di febbraio e lui mi voleva dare un appuntamento ad aprile! Ti vedevo solo nei ritagli di tempo e non c'era mai un'occasione adatta per parlare di cose private. E dopo, è passato tanto tempo... non era più il caso di rivangare..."
Lilibet ha scosso la testa: "Ma Carlo l'ha fatto, mi voleva ferire, ma non ci è riuscito. Il Re ha semplicemente parlato della sua famiglia. E' ridicolo pensare che preferisse Margaret. Sono tutte sciocchezze, e non voglio sentirne più parlare. E comunque ti avevo vietato di bere prima delle 6 di sera. Dovrò vigilare meglio. Lady Fermoy non ha più la mia fiducia. Ha già combinato fin troppi guai! Manderò qualcuno altro, molto più fedele e molto più competente: ho guardato i conti di Clarence House, sono un disastro, bisogna tagliare le spese.
Buona serata, mamma. Non mi farò certo guastare l'umore da Carlo e delle sue lagne.
Aveva ragione la nonna Mary, un re non ha figli, ha solo degli eredi ">>




Il primo a complimentarsi per l'accurata ricostruzione fu il Duca:
<<Davvero molto interessante! Brava Jessica>>

Roberto era nel contempo divertito e perplesso:
<<Hai davvero una straordinaria memoria.
Io credo che alla fine Elisabetta e Carlo faranno pace. Lei finge di essere invulnerabile, ma non credo che sia così. Anzi, penso proprio che stia soffrendo molto per questa separazione che le fa rivivere i tempi di quando era bambina, e l'abdicazione di suo zio sconvolse la vita dei Duchi di York. 
Ma non siamo più negli Anni Trenta, e anche se per lei determinate cose restano sbagliate, sa che la società sta cambiando. E che un divorzio reale, oggi, non sarebbe in sé più così catastrofico come ai tempi di Edoardo VIII. 
Non mi stupirei se un giorno Elisabetta decidesse di accettare un matrimonio tra Carlo e Camilla.
E riguardo ad una sua abdicazione, nessuno ci ha pensato, non lo farebbe comunque, a prescindere. 
Ha detto quella frase di sua nonna Mary solo perché vuole esprimere la sua disapprovazione, ma lei sa meglio di tutti che alla fine, quando la regina Mary si ammalò, fece richiamare il suo figlio ribelle, il Duca di Windsor, e si riconciliò con lui, e volle che lui la vegliasse e le tenesse la mano.
Voleva suo figlio, anche se lui non era più il suo erede, lei lo ha voluto al suo fianco, nel momento del trapasso.
Qualcosa mi dice che succederà così anche tra Elisabetta e Carlo, anche se adesso sono arrabbiati, un giorno, quando saranno entrambi anziani, lei molto, lui un po' meno, troveranno il modo di ricreare un dialogo e ritrovare lo spirito dei primi tempi.
Lei non ha dimenticato, io credo che una madre non possa dimenticare la creatura che ha portato in grembo. Si può litigare, possono volare parole grosse, si può stare a lungo lontani, ma prima o poi l'istinto materno ritorna, così come il rapporto viscerale del figlio con sua madre.
Nessuno ci amerà mai nel modo in cui ci hanno amato i nostri genitori.
A un certo punto ne diventiamo coscienti, e sentiamo il bisogno di tornare da loro, prima che sia troppo tardi.
E quando un genitore invecchia e diventa fragile, noi sentiamo la necessità proteggerlo. 
Lo facciamo perché abbiamo bisogno di vivere insieme anche quest'ultima fase, di tenerli per mano fino alla fine. 
Tutto è reciprocamente perdonato, perché è la tenerezza ciò che prevale: e se lui un giorno vedrà il volto affaticato di sua madre, ad un'età in cui ciò che resta del nostro corpo mortale è un fragile involucro, ripenserà al volto giovane e sorridente di lei poco più che ventenne, che lo teneva in braccio, e deciderà di mettere tra parentesi tutto quello che c'è stato nel mezzo, allora soltanto la tenerezza resterà.




E' questo momento di tenerezza che rivela ciò che siamo: se non proviamo questo sento sentimento, allora non siamo esseri umani, ma macchine.
La tenerezza è un istinto spontaneo, ci lega ai nostri cari, e a coloro che hanno bisogno di aiuto, è questo che ci rende umani, è questo che fa sopravvivere l'umanità, nonostante tutto>>

Quel discorso gli valse un applauso e un brindisi.

Jessica memorizzò le sue parole e pensò.
Il soggetto R.M. esprime una modalità singolare di unire passato e futuro, scavalcando l'abisso del presente in nome di un valore superiore. Si proietta sia indietro che in avanti, per valutare le cose e le persone nel loro divenire, in prospettiva, suggerendo l'esistenza di istinti positivi in grado di tenere testa a una moltitudine di istinti negativi.
Forse Lorenzo ha ragione, alla fine l'esperimento voluto da Albedo potrebbe essere riuscito.

Aurora si rivolse a Jessica:
<<Potresti fare concorrenza ad Andrew Morton, Jessica! E se anche tu non ci avessi ricamato sopra, come facciamo a sapere se lady Fermoy ha detto la verità? 
Mi sembra così strano che abbia riferito colloqui che mettono lei stessa in cattiva luce>>

Jessica aveva già la risposta pronta (come sempre):
<<E' proprio per questo che il discorso è credibile, e lei lo sapeva. Era il prezzo da pagare per essere creduta. Ormai non ha più niente da perdere: le è rimasta solo la vendetta, contro tutti.
Contro Diana perché non è stata all'altezza della situazione. Contro la Regina perché è intervenuta quando ormai era troppo tardi. Contro Filippo perché le sue sfuriate hanno ottenuto solo l'esasperazione di Carlo, che è andato a consolarsi da Camilla. Contro la Regina Madre perché non l'ha difesa quando Lilibet l'ha licenziata. E lady Fermoy ci è andata giù pesante, sottolineando i conti in rosso di Clarence House. Ha detto che il castello di Mey da solo è una voragine, per i costi di manutenzione. Non so se Lizzie reggerà fino alle sei senza gin tonic. 
Ruth ha salvato Giorgio VI e Carlo per mostrare che comunque lei è fedele ai Windsor e alla Monarchia, e ha ripudiato Diana pubblicamente.

Certo, nella versione di lady Fermoy, la Famiglia Reale appare come una gabbia di matti, ma non dimentichiamo Shakespeare: è follia, ma "c'è del metodo in questa follia!">>

 Aurora annuì, aveva imparato più cose su Shakespeare quella sera che in tutte le lezioni scolastiche. Alla fine commentò:
<<Io faccio ancora fatica a distinguere Lizzie da Lilibet. Ma la questione di Margaret che era la preferita di suo padre l'ho capita anch'io. Per me Elisabetta si sta ancora rodendo il fegato:
dev'essere stata la cosa che le è pesata di più, in quel colloquio, visto che ormai considera Carlo una causa persa>>

Il Duca era d'accordo:
<<Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. E ci vorrebbe un altro Shakespeare per scrivere capolavori del tipo: l'Edoardo VIII, il Giorgio VI, l'Elisabetta II e il Carlo III, se mai ci arriverà, e se manterrà quel nome infausto dell'unico re inglese decapitato.
Sarà Jessica la nuova Shakespeare, perché ha raccontato questa storia con quello che ritengo una frizzante miscela di storia e di poesia.
Se anche non si sono detti tutto questo a viso aperto, certamente lo hanno pensato, e hanno capito ciò che pensava l'altro.>>

Jessica ringraziò, poi tornò a rivolgersi a Roberto, e volle ancora sondare il terreno:
<<Mi ha meravigliato il tuo discorso buonista, Roberto. 
Voglio dire, tu conosci la Storia e sai che spesso succede, nelle famiglie reali, che ci siano rivalità estreme tra genitori e figli, che possono sfociare nella crudeltà e nella morte.
Senza contare che queste cose succedono anche nelle famiglie comuni.
E siccome basta un controesempio per sconfessare una teoria, la tua previsione fa acqua da tutte le parti>>

Roberto non sapeva esattamente perché, prima, si fosse schierato a favore della tesi secondo cui i buoni sentimenti prevalgono:
<<Può essere che tu abbia ragione, Jessica, ma io sento, dentro di me, un senso di profonda nostalgia per la mia infanzia. Io sono stato molto amato, forse è per questo che confido tanto nel valore della famiglia. 
Però è vero il discorso dei controesempi storici.
Il punto della tua ricostruzione in cui Elisabetta dice a Carlo che "ci siamo opposti a Camilla per il tuo benemi ricorda le ultime parole che si scambiarono Ferdinando d'Aragona e sua figlia Giovanna, regina di Castiglia, quando lui la fece rinchiudere nella fortezza di Tordesillas, dichiarandola malata di mente.
Fu un atto di grande crudeltà, perché Giovanna fu trattata male dai suoi carcerieri, specie quando sul trono ci fu suo figlio, un altro Carlo, ma nella posizione inversa del Carlo attuale.
Rimase rinchiusa per cinquant'anni... come ha potuto, Carlo V, fare questo a sua madre?
E come fu possibile che Ferdinando, prima, abbia fatto questo a sua figlia?
Mentre la faceva catturare e rinchiudere, le disse: "Figlia mia, lo faccio per il vostro bene, e anche per il bene della Castiglia. Vi prometto che consegnerò a vostro figlio Carlo un regno potente e prospero".
E Giovanna rispose, con parole con parole così sagge che dimostravano senza dubbio l'infondatezza dell'accusa di pazzia:
"So che consegnerete a mio figlio un regno potente, perché si può essere un buon re, pur essendo un cattivo padre".>>