sabato 1 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 130. Lady Jessica Burke-Roche



Aurora e Roberto erano ancora a letto insieme, quando la mattina dopo, a tarda ora, Battista suonò con decisione il campanello finché lei trovò la forza di andargli ad aprire.
Le consegnò allora, con aria solenne, l'invito di Lord Ravensbourne, il quale esprimeva il suo grande desiderio di averli come ospiti a cena, nella Suite Royale, insieme a lady Jessica Burke-Roche, che conosceva molto bene la lingua e la cultura italiana, di cui era grande ammiratrice.

Aurora guardò Roberto, il quale annuì, poi tornò a rivolgersi a Battista e gli disse:
<<Va bene, fagli sapere che accettiamo l'invito... >>
E con quelle semplici parole segnò il destino di molte persone, compreso il proprio.

Quello fu il momento in cui Jessica entrò in scena nella vita di Roberto, facendo dunque la sua prima comparsa nella nostra narrazione e diventerà una delle tante vite "quasi" parallele destinate a collidere con le altre, concorrendo alla realizzazione di qualcosa che fu nel contempo mirabile e terribile.
Perciò è necessaria, anche in questo caso, una premessa introduttiva.

Se Aurora Visconti-Ordelaffi fu il primo grande amore di Roberto Monterovere, lady Jessica Burke-Roche era destinata ad essere, molto tempo dopo, l'ultimo, e il più importante.

Prima di tutto va notato che, come nel caso di Aurora, sarebbero dovuti passare anni prima che Roberto si innamorasse di lei.
E del resto Roberto era felicemente fidanzato con Aurora, la amava profondamente ed era senza ombra di dubbio intenzionato a sposarla.

Non c'era nessuna ragione al mondo che gli facesse prevedere che Jessica, negli anni a venire, sarebbe salita e scesa sulla Ruota del suo Destino per tante volte, ed ogni volta sarebbe stata un po' più grande nel suo cuore.

E' difficile da spiegare, persino per noi che abbiamo udito raccontare questa storia da più fonti, come sia potuto accadere.
Ci sono esempi simili anche nella grande Storia, quella dei personaggi famosi del passato, e forse il modo migliore per capire tutto questo sono proprio le similitudini.

Il primo esempio che ci viene in mente è molto famoso e controverso: Jessica fu per Roberto qualcosa di simile a ciò che Wallis Simpson fu per Edoardo VIII, nel bene e nel male.

E per dare significato a questa similitudine, ci sia consentita l'ennesima digressione sui reali inglesi e le loro consorti e amanti. 

Wallis Warfield Spencer Simpson Windsor (Baltimora 1896 - Parigi 1986) ebbe tre mariti, divorziò dai primi due per sposare un uomo che per lei aveva rinunciato alla corona dell'Impero Britannico.
Come fu possibile? Wallis non era bella, né giovane, né fertile, né inglese, né nobile, né, soprattutto, nubile: era sposata con altro uomo, Ernest Simpson, dopo aver divorziato dal primo marito, un certo Spencer, ufficiale dell'aviazione statunitense di stanza a Shangai e Pechino.

Ma Wallis era interessante, elegante, brillante, ironica, carismatica, seducente, sicura di sé e molto esperta nelle questioni erotiche, apprese negli anni in cui visse in Cina, ai tempi dei Signori della Guerra, che dominarono la scena dopo l'esautorazione dell'ultima Dinastia e la fine dell'Impero.

La sua personalità fu tale da far tremare la Corona britannica e nel contempo, però, fu capace di dare il via ad una secolare stagione di scandali drammaturgicamente appassionanti e aventi come fulcro le vicende dei reali, specie per quel che riguarda i matrimoni, i tradimenti, i divorzi e le tragedie, perché c'è una cosa che bisogna ammettere, senza l'adulterio e lo scandalo, la Monarchia britannica sarebbe morta a causa della noia.










Alla fine lo capirono anche Elisabetta II e il principe Filippo, quando decisero di riconciliarsi con Wallis, durante la malattia di Edoardo VIII e dopo la morte di quest'ultimo, nel 1972.
La Regina acconsentì persino che Wallis fosse seppellita accanto al marito, nel cimitero reale di Frogmore, a Windsor, a pochi metri di distanza dal mausoleo di Vittoria e Alberto.

L'unico membro della Famiglia Reale che non perdonò mai Wallis fu la Regina Madre, e possiamo comprendere le sue ragioni, che trovarono espressione limpidissima nel sorriso trionfale con cui osservò passare la bara della Duchessa di Windsor, nel 1986.




Ma Elisabetta II e Filippo concessero a Wallis un funerale molto dignitoso, a Windsor, che, paradossalmente, servì allo stesso Filippo come prima prova per il suo stesso funerale, le cui linee principali incominciarono a definirsi già due anni dopo, a partire dal 1988.

Uscire di scena in punta di piedi è qualcosa di molto dignitoso, e le esequie del Principe, nel 2021, ci fanno pensare che egli fosse una persona migliore di quanto lo descrivessero i media e le serie tv.
E' risaputo infatti che Filippo (pace all'anima sua) fu un marito infedele, ma gli va comunque riconosciuto il non indifferente merito di essere stato sempre molto discreto. 
Se però il suo matrimonio è durato così a lungo, il merito principale va attribuito a Elisabetta, che oltre a possedere le doti della pazienza, della prudenza, della riservatezza e del senso di responsabilità che il suo ruolo le imponeva, amava profondamente suo marito e sentiva di aver bisogno di lui, della sua forza di ruvido nostromo, di navigato ufficiale di marina, come tutti i Mountbatten, zio e nonno, prima di lui.

Massima ammirazione quindi per una coppia che ha dimostrato che i matrimoni, a volte, possono anche riuscire bene. Ma se tutti i matrimoni dei Windsor fossero stati così, la Corona, paradossalmente, avrebbe perso parte del suo fascino, quel tipo di fascino che deriva dallo scandalo, dal tormento, dalla passione e dalla tragedia.

Più volte abbiamo sostenuto la tesi secondo cui in genere i lettori non sono interessati a leggere storie di amori felici.

La felicità degli altri, nel migliore dei casi, genera noia e quindi disinteresse, e nel peggiore genera invidia e persino odio, e adesso lo sappiamo ancor meglio attraverso il fenomeno degli haters, gli "odiatori" da tastiera che, non essendo riusciti a farsi una vita propria, non hanno niente di meglio da fare che insultare coloro che sembrano felici, e dico "sembrano", perché ognuno porta la sua croce, ed è turbato dalle sue paure. 

Quisque suos patimur manes: ognuno di noi soffre per i propri fantasmi. Ognuno, senza eccezioni.

"Chi più e chi meno", si potrebbe obiettare, ma questo vale per il presente: riguardo al futuro, anche i più previdenti sono esposti egualmente agli eventi imprevisti e imprevedibili.

L'invidia, oltre che essere meschina, perché non riconosce il merito e gioisce dei mali altrui, è anche infondata, perché non tiene conto la fortuna è volubile, la felicità è effimera, le cose materiali si logorano, e niente, assolutamente niente è indistruttibile, nessuno può considerarsi fuori pericolo, e questa è la Ruota del Destino o del Caso o della Provvidenza o del Karma o di qualunque cosa che eccede la nostra umana comprensione.

Ma se anche sconfiggiamo il demone dell'invidia, resta pur sempre presente quello della noia.
La preoccupazione primaria di chi scrive è cercare di non annoiare, e come disse Manzoni, "se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta".

E così come i lettori si annoiano di fronte agli amori eternamente felici, allo stesso modo si sarebbero annoiati i cittadini britannici, e se non ci fosse stato nemmeno un adulterio, nemmeno uno scandalo, nemmeno una tragedia, allora col tempo questi cittadini avrebbero incominciato persino per provare antipatia ed invidia verso queste persone troppo felici e troppo baciate dalla fortuna.

Gli Inglesi, che crescono studiando o "respirando" nell'aria  le tragedie di Shakespeare, sono abituati a veder scorrere il sangue tra fratelli e tra cugini, e ad appassionarsi alle vicende degli York e dei Lancaster che si sterminano a vicenda per poi regalare la Corona a un gallese tisico e sconosciuto come Enrico VII Tudor.
La Monarchia Britannica, che ci piaccia o no, è anche questo.
I Britannici, e gli Inglesi in modo particolare, si sentono parte di questo infinito dramma shakespeariano.

Certo, nella famiglia ci deve essere una persona autorevole che tiene in piedi la baracca, e in questo caso a farlo sono state principalmente le donne, anch'esse, come le loro rivali, donne di carattere: Eleonora d'Aquitania, Elisabetta Woodville, Margaret Beaufort, Elisabetta I, Vittoria, Mary di Teck, Lizzie Bowes-Lyon ed Elisabetta II.







Vale la pena soffermarsi sul mistero che circonda lady Margaret Beaufort Tudor, Contessa di Richmond, che fu la vera vincitrice della Guerra delle Due Rose.
Donna di grande cultura e di granitica fede cattolica, lady Margaret, appartenente a un ramo cadetto e morganatico del Casato dei Lancaster, sposò il gallese Edmund Tudor, conte di Richmond, all'età di soli dodici anni ed ebbe un unico figlio, Enrico, destinato a diventare Enrico VII, il fondatore della dinastia Tudor.
Quando Enrico nacque, lady Margaret era consapevole del fatto che l'unico modo con cui suo figlio sarebbe potuto diventare Re, era passare sopra sette bare: quella di Enrico VI, di suo figlio Edoardo di Galles, di Edoardo IV di York e dei i suoi due figli Edoardo V e Riccardo, di Giorgio di Clarence e di Riccardo III, ma non smise mai di credere che suo figlio avrebbe vinto e lei sarebbe diventata la vera dominatrice del Regno.

Margaret seppellì anche suo figlio, e nel breve periodo che intercorse tra la sua reggenza e l'incoronazione del nipote, cercò di convincere quest'ultimo a non sposare la vedova di suo fratello, Caterina d'Aragona, perché facendo questo si contravveniva a un precetto religioso, che rendeva annullabili le nozze, ma Enrico giurò che Caterina era una "virgo intacta" e dunque il matrimonio era valido.

E così, quando molti anni dopo chiese l'annullamento sostenendo il contrario, creò uno dei più controversi casi di diritto canonico della storia.

A questo punto è legittimo chiedersi: come sarebbe stata la storia inglese senza quella specie di stallone sanguinario, violento, brutale, spergiuro e paranoico che fu Enrico VIII ?
Ovviamente non possiamo saperlo, forse sarebbe stata migliore, ma di una cosa possiamo stare certi, sarebbe stata molto più noiosa.

Purtroppo i personaggi come Enrico VIII sono il sale della Storia: senza di loro la storia sarebbe insipida.
Ma se lui non fosse stato ciò che era, non ci sarebbe stata Elisabetta I, considerata la vera fondatrice della supremazia marittima britannica.





Ma non è necessario arrivare alle vette di crudeltà di Enrico VIII, o all'eccessivo ricorso, da parte delle sue figlie, del rogo (nel caso di Maria I) , della scure e della forca, nel caso di Elisabetta (e se il malcapitato non aveva la "fortuna" di soffocare o rompersi l'osso del collo, l'esecuzione sarebbe proseguita con eviscerazione e squartamento. Si consiglia la lettura di Sorvegliare e punire, di Michel Foucault)

Ai cittadini britannici, per divertirsi un po', basta semplicemente che ad un principe o una principessa del sangue reale un matrimonio d'amore sia negato e che uno non voluto sia imposto: basta questo per creare uno psicodramma destinato a durare mezzo secolo e anche più, coinvolgendo generazioni su generazioni, e questo vorrà pur dire qualcosa!

E non stiamo parlando solo di Wallis Simpson o di Diana Spencer.
Crediamo che persino l'amore vero tra Carlo e Camilla, vituperati e derisi, ma uniti e coerenti da mezzo secolo di affetto reciproco, un giorno diventerà esso stesso materia di leggenda, perché ha resistito a tutto, si è imposto su tutti, e pur avendo tutti contro, ha continuato e continua a procedere, da cinquant'anni, verso la meta finale: il Trono.

Ce la faranno? Tutto dipende dalla longevità di Elisabetta II. La legge di successione parla chiaro, nel momento stesso in cui il cuore dell'attuale sovrana smetterà di battere, il Principe di Galles e la sua consorte, se saranno ancora vivi (ed è un "se" grande come una casa, anzi, come il castello di Windsor) saranno Re e Regina del Regno Unito, (con o senza la Scozia), con grande scorno dei tanti ignorantelli che credono che la Corona si erediti mediante testamento, come se fosse una pelliccia di castorino, e vorrebbero "saltare una generazione", come se l'esperienza maturata in tanti anni di attività diplomatica sia qualcosa di insignificante rispetto a ciò che a loro dire conta davvero, ossia il colore del cappotto di Kate Middleton (ottima persona, ma la vedremmo meglio, per un po', come futura Principessa di Galles).

Carlo, uomo colto e reso saggio dall'età e dalle tormentate esperienze della vita, paga, in termini di popolarità, lo scotto di aver avuto una madre fredda, distante ed eterna, e una prima moglie caratterialmente incompatibile con lui, ma abilissima a rubargli la scena per poi recitare il ruolo di vittima indifesa.

Ovviamente ci dispiace molto per la sorte della Principessa di Galles, soprattutto per il dolore enorme dei suoi figli, perché come madre era stata immensamente più brava della regale suocera.
Ma colpevolizzare Carlo significa cadere in una trappola mediatica, perché lui ha amato una sola donna nella sua vita, Camilla, e l'ha amata davvero, mentre Diana ha avuto innumerevoli amanti, salvo poi andare alla BBC a lamentarsi perché il suo matrimonio era "affollato".

I lettori potranno obiettare che Carlo, se non era innamorato di Diana, non avrebbe dovuto sposarla. Ma ormai, essendo Camilla già sposata, era suo dovere sposarsi a sua volta e avere dei figli.

Gli haters di Camilla obietteranno che lei non amava Carlo, visto che sposò un altro uomo, ma anche qui ci fu un imbroglio.
Le due promotrici del matrimonio di Carlo con una delle sorelle Spencer erano Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre, e lady Ruth Burke-Roche, Baronessa Fermoy, Prima Lady-in-Waiting.

Le due anziane signore sapevano però che bisognava prima togliere di mezzo Camilla, sgradita per molti dei motivi per i quali era sgradita Wallis.

Carlo, all'epoca ufficiale di marina, fu spedito in una missione del tutto inutile nei Tropici, e nel frattempo fu fatto capire molto chiaramente a Camilla che il "partito di Clarence House". all'epoca residenza della Regina Madre, avrebbe impedito in tutti i modi il suo matrimonio con il Principe di Galles, mentre avrebbe favorito con generosità e prebende le nozze con Andrew Parker-Bowles, l'altro suo spasimante, la cui famiglia era nelle grazie della vedova di Giorgio VI.
 Non escludiamo che Camilla provasse affetto anche per il suo primo marito, ma quel matrimonio fu un ripiego, così come quello del Principe di Galles con Diana.

Certo, Diana era troppo giovane e ingenua per rendersi conto del fatto che sua nonna le aveva combinato un matrimonio dove l'amore non c'entrava assolutamente niente, e in questo fu vittima non tanto di Carlo, quanto di tutta una intera mentalità basata sul pedrigree, che all'epoca, nell'aristocrazia inglese e non solo, era ancora dominante.
Ma se avesse avuto un minimo di ragionevolezza, Diana avrebbe potuto accettare una separazione "de facto", che le permetteva persino l'adulterio, purché praticato con discrezione, salvando almeno la facciata, senza comportamenti tali da portare al divorzio.
E invece, come ben sappiamo, accadde l'esatto contrario. 
Diana sapeva di avere i sondaggi di popolarità dalla propria parte, e se ne avvalse, alimentando questa popolarità con lodevoli iniziative filantropiche e molto presenzialismo "glamour" sulla scena del jet-set internazionale, del mondo della moda, dello spettacolo e in generale dello star system.

Questa popolarità sarebbe evaporata nel nulla se Diana non fosse morta giovane, in tragiche e oscure circostanze, che la resero una martire agli occhi di chi già la venerava e a quelli delle generazioni successive.

La morte, paradossalmente, l'ha resa immortale, eternamente giovane, per sempre martire agli occhi del mondo, per sempre consegnata ad una leggenda decisamente faziosa.
Se fosse sopravvissuta, oggi sarebbe una delle tante vecchie glorie rese ridicole dai lifting, dal botox e dal silicone: non certo materia di leggenda!
Si sarebbe rovinata con le proprie mani.
Ma se muori a Parigi a 36 anni, all'apice della tua popolarità, allora continueranno a fare film e serie tv su di te per secoli, con un processo di beatificazione laica, simile a quella di tanti personaggi dello spettacolo che la morte ha preso con sé prima che loro avessero il tempo di distruggere in maniera irrimediabile la propria reputazione.

E a questo punto ci avviciniamo all'argomento e cioè, in primo luogo, alla famiglia Burke-Roche.

Lady Jessica Burke-Roche, pur essendo una lontanissima parente di lady Frances Burke-Roche, la madre di Diana Spencer, non aveva niente in comune con l'allora Principessa di Galles.
Del resto, i rapporti interni alla famiglia Burke-Roche erano tesi, specie nel ramo dei Fermoy.
Per esempio. quando lady Frances divorziò dal conte Spencer, la sua stessa madre, lady Ruth Fermoy testimoniò contro sua figlia, che perse a sua volta la custodia dei propri figli.
Diana subì un trauma, aveva sei anni quando fu separata da sua madre, e soltanto in età adulta lady Frances e lady Diana ricostruirono il loro rapporto, e anche questa volta fu per poco tempo: dopo la morte della figlia, lady Frances si ritirò in solitudine e si spense sette anni dopo, e possiamo solo immaginare quanto grande sia stato il suo dolore.




I termini di parentela tra il ramo dei Fermoy e gli altri rami della famiglia Burke-Roche erano così complessi che gli stessi membri della famiglia si conoscevano a malapena.

Lady Jessica aveva avuto modo di incontrare sia lady Ruth Fermoy, sia lady Frances, sia lady Diana, e di parlare con loro, ma con nessuna di loro stabilì un rapporto di confidenza.

Jessica era un altro tipo di persona, e ci basta una parola per dare l'idea di che tipo fosse: intellettuale. 
Sì, questa è la parola giusta. Prima di ogni altra cosa, Jessica era ed è un'intellettuale, una donna estremamente colta, di straordinaria intelligenza, impegnata nello studio della storia e della filologia.

Jessica non si poteva definire "bella" nel senso convenzionale del termine: era bassa, piatta, col naso lungo e le labbra sottili.
Però aveva altre caratteristiche fisiche che la rendevano interessante e. almeno agli occhi di Roberto. molto attraente: era magrissima (e a lui piacevano magre), aveva grandi occhioni tra il verde e il blu, uno sguardo dolce e un sorriso gentile, una grazia aristocratica, ma soprattutto un'aria da eterna ragazzina, che conservò nel tempo, miracolosamente, ma non per caso, come avremo modo di scoprire in seguito.

Le immagini che alleghiamo, la ritraggono all'età di 26 anni, e poteva dimostrarne dieci di meno.
Sono immagini di dominio pubblico essendo lei stessa, per varie ragioni, un personaggio pubblico. 






Ma ci furono altre doti che resero lady Jessica attraente agli occhi di molti: era elegante, ironica e aveva una forza di carattere ineguagliabile.

Roberto Monterovere, che la conobbe durante quel famoso soggiorno a Londra del 1992, ha sempre parlato di lei con grande rispetto e vale la pena ricordare le esatte parole che ci disse quando affrontammo l'argomento per la prima volta:
<<Ciò che mi colpì immediatamente furono la sua ironia e la sua raffinatezza, e poi, naturalmente, la sua straordinaria cultura, di fronte alla quale io mi sentivo come un analfabeta. E poi aveva un tipo di intelligenza non vulnerabile, un carattere d'acciaio e una capacità di prendere sempre le decisioni migliori, specie nei momenti difficili. 
Quando la conobbi non avevo idea che lei sarebbe diventata così importante nella mia vita, non potevo neanche immaginare fino a che punto i nostri destini si sarebbero ripetutamente incontrati, fino al momento in cui lei riuscì a farmi dimenticare tutte le donne di cui ero stato innamorato in precedenza, e a diventare senza dubbio il più grande amore della mia vita, e anche l'ultimo>>

Nel biglietto d'invito, Lord Ravensbourne aveva scritto che la cena sarebbe incominciata alle ore 20 (a dire il vero, nel mondo anglosassone si preferisce scrivere 8 pm, post meridiem, ma siccome questo è un romanzo in lingua italiana, noi continueremo ad usare la numerazione italiana dell'orario, che peraltro si presta meno ad equivoci).

Aurora era molto sospettosa:
<<C'è qualcosa sotto, è evidente. In tanti anni che vengo al Savoy, questa è la prima volta che un Pari del Regno mi invita a cena. E guarda caso è uno studente ammiratore di tuo zio>>
Roberto annuì:
<<Dovremo stare molto attenti e capire con chi abbiamo a che fare>>
La giovane Visconti era preoccupata, e giustamente, per la presenza dell'altra invitata:
<<E poi c'è quella tipa, quella lady Jessica... la grande ammiratrice dell'Italia... quella che conosce l'italiano... troppe coincidenze. 
Devi tener conto del fatto che Lorenzo, oltre ad avere amici potenti, come quel tale Albedo, potrebbe avere nemici altrettanto potenti>>
Il giovane Monterovere era d'accordo:
<<Sì, lo credo anch'io. Ne parlerò al telefono con i miei. In ogni caso, la prudenza dovrà essere massima. Non dobbiamo rivelare nulla di personale.
In questo tipo di contesti vince chi riesce a estorcere all'altro più informazioni>>
<<L'ha detto Sun Tzu?>>
<<No, l'ha detto mia nonna, la quale conosce l'arte della guerra molto meglio del maestro cinese>>
Risero entrambi, e si prepararono ad affrontare una nuova giornata, perché i problemi si affrontano uno alla volta ed ad ogni giorno basta la sua pena.



venerdì 23 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 128. Remember remember...








La mattina successiva, durante la colazione, Aurora e Roberto progettarono la loro prima giornata a spasso per Londra e decisero di visitare la zona centrale di Westminster e alcuni dei suoi luoghi più caratteristici e importantiDowning Street, il ponte, il Big Ben, il Palazzo del Parlamento, l'Abbazia, il Parco di St.JamesBuckingham Palace, il MallSt.James Palace, e altre tappe minori.

Il fedelissimo Battista li avrebbe accompagnati, con un'auto noleggiata dall'Hotel, dal Savoy fino a Downing Street, con l'impegno di tornare a prenderli alla fine della loro "escursione" nel luogo che gli avrebbero comunicato al cellulare (nel 1992 c'era il mitico Motorola) e lui li avrebbe riaccompagnati al Savoy.

Avrebbero camminato fino al ponte di Westminster, al Big Ben e al palazzo del Parlamento, vicino al luogo dove un gruppo di irlandesi cattolici guidati da alcuni ribelli inglesi tra cui il leggendario Guy Fawkes, avevano progettato di far saltare in aria la Camera dei Lord nella notte tra il 4 e 5 novembre 1605, durante il regno di Giacomo I Stuart, già Re di Scozia, divenuto poi anche Re d'Inghilterra alla morte di Elisabetta I nel 1603, previa conversione all'anglicanesimo. Il piano fu chiamato in seguito "la Congiura delle Polveri" e nella memoria collettiva divenne una sorta di tentativo eroico di sovvertire la tirannide del monarca e degli aristocratici, e dunque passò alla storia come una rivoluzione mancata, ma degna di essere ricordata con un motto divenuto famoso: "Remember, remember, the fifth of November", come a dire che la resa dei conti sarebbe comunque arrivata molto presto, e fu così, prima sotto il regno di Carlo I e poi sotto quello di Giacomo II.

Certo ricordare la Congiura del 5 novembre in agosto era un po' ridicolo, ma per fortuna quello del 1992, a Londra, fu un agosto anomalo, piuttosto fresco e ventilato, il che permise ai due fidanzatini, entrambi tremendamente narcisisti, un abbigliamento "consono al loro stile".

La sera precedente si erano divertiti a scegliere ognuno dei due il look dell'altro.
Mentre si sbizzarrivano in quella scelta ad alto valore feticistico, Aurora decise di rivelare a Roberto una cosa:
<<Sai, quando l'altra sera mi chiedevi uno dei motivi per cui ho scelto te. Oltre a quelli che ho elencato ce n'erano altri, che non ho detto perché magari ti potevano sembrare troppo folli, ma che invece secondo me hanno un alto valore contenutistico>>
Roberto l'aveva guardata con aria incuriosita:
<<Sentiamo!>>
Aurora sorrise con aria complice e disse:
<<Non impressionarti, ma io tenevo un diario su di te: ogni giorno scrivevo una specie di relazione in cui c'era scritto tutto quello che facevi e che io stavo monitorando>>
Roberto rimase indeciso se essere compiaciuto del fatto che una ragazza così meravigliosa si interessasse tanto a lui, oppure se essere preoccupato per il fatto che questa ragazza con evidenti problemi psichici lo stesse spiando da anni in maniera morbosa.
Nel dubbio preferì la prima reazione.
<<No, dai non ci credo...>>
<<Giuro, me lo sono portato dietro. Quando lo vorrai vedere, vieni da me. Ma prima ti anticipo alcuni contenuti. Per esempio, ogni giorno segnavo: pettinatura, vestiario e look generale, interazioni sociali, interventi intelligenti, battute, umore, spostamenti e tante altre cose>>
Roberto sgranò gli occhi:
<<Inquietante... e comunque non dev'esserne risultato nulla di così positivo>>
Lei si accigliò:
<<Ti proibisco di sminuirti ai miei occhi! Ciò che è emerso dal diario è che tu eri perfetto per me.
E tra tutte queste annotazioni, quella che ha sempre meritato un 10 era l'abbigliamento. sempre stato impeccabile, classico, da scuola privata del buon tempo antico. 
Eri l'unico maschio ad avere stile e classe in una scuola di sciattoni.
Ci vuole coraggio ad osare uno stile così al giorno d'oggi, e io ho ammirato fin dall'inizio quel coraggio.
Mi ha fatto piacere constatare che abbiamo entrambi un feticismo per i capi di abbigliamento eleganti.
E allora stasera ti indicherò cosa indosserai domani: è un regalo>>

E gli porse una scatola lunga e piatta, in cui c'erano: 
- un abito completo gessato a tre pezzi, di colore blu navy; 
- una camicia bianca con colletto alla francese e gemelli d'argento; 
- una cravatta di seta blu scuro, spessa, lunga, perfetta per il nodo double Windsor;
- un orologio Rolex Oyster Perpetual, che all'epoca costava 10 milioni di lire.

Roberto proprio non se l'aspettava e la commozione fu così forte che non riuscì a trattenere le lacrime e abbracciò Aurora come se volesse sincerarsi che tutto ciò che stava accadendo fosse reale e non un sogno.
Alla fine, quando riuscì a ricomporsi, e dopo aver condiviso con lei un tenero bacio, le disse:
<<Io non posso accettare tutto questo, è troppo, non me lo merito, è tutto così meraviglioso... io non so come ringraziarti!>>
Lei però lo sapeva:
<<Indossa tutte queste cose domani! Sarà una giornata ventilata e fresca. E ci divertiremo un mondo!>>
<<Ma è comunque agosto, e dovremo scarpinare per un bel po'>>
<<Nel qual caso ti consentirò di tenere la giacca in mano e sbottonarti il colletto della camicia, è tutto molto semplice, lascia fare a me, tu devi solo rilassarti e vedrai che alla fine starai benissimo>>
Roberto era troppo giovane e innamorato e commosso per capire che a questo mondo nessuno fa niente per niente (e questa è la prima legge dell'economia), ma presto si sarebbe reso conto di cosa Aurora gli avrebbe chiesto in cambio.





<<Sarà fatto, lady Aurora! Però adesso tocca a me scegliere cosa indosserai tu, e siccome hai imposto un dress-code formale, io farò altrettanto, anche perché, per quanto riguarda i vestiti, sono ancor più feticista di te e ti devo confessare una cosa che alcuni giudicherebbero male:
io trovo che una donna con indosso certi capi di vestiario possa essere più attraente di una donna nuda>>
Lei annuì con convinzione:
<<Lo stesso vale per me, per quanto riguarda il nudo maschile. Scoprirai, mio caro dolce Robs, che io e te ci divertiremo moltissimo, nei prossimi giorni>>

Alla fine Roberto scelse per lei un abbinamento elegante, che fosse coerente con quello del suo accompagnatore: 
-  una camicetta di seta leggera, gialla, decorata con motivi geometrici:
-  pantaloni a palazzo beige con la piega;
-  scarpe con tacco non troppo alto, visto che dovevano camminare molto;




Aurora approvò: 
<<Scelta eccellente, a cui io aggiungerò, essendo masochista, scarpe con tacco alto e una cravatta femminile nera, per condividere una parte dei disagi che ti ho sadicamente inflitto>>
Ormai tutto era ufficiale: feticismo dei vestiti e lieve sado-masochismo in forma non violenta.
Insomma, per capirci, niente a che vedere con Il Dardo e la Rosa o, peggio ancora, con le famigerate Cinquanta sfumature di grigio.
Roberto condivideva il feticismo del vestiti ed era disposto, entro certi limiti, a sopportare il resto.

La mattina dopo si svegliarono presto, intorno alle sette e dopo una rapida doccia e un lunghissimo tempo dedicato alla vestizione e al make-up, che nel caso di Roberto consisteva nella rasatura, applicazione della crema dopobarba lenitiva e di una crema da giorno idratante e protettiva, consigliatagli da sua madre, furono pronti per la loro prima "spedizione".
(Roberto, sia detto per inciso, aborriva la barba, e continuò a detestarla anche quando, nei tremendi anni '10 del nuovo secolo/millennio, tornò di moda)

 Alle 8 in punto uscirono dalle rispettive suites, si contemplarono a vicenda, mangiandosi con gli occhi, e scesero a far colazione, seguiti dall'onnipresente Battista.
In altre mattine avrebbero scelto la colazione in camera, ma quel giorno era diverso: dovevano coordinare al meglio tutte le operazioni di partenza.
Optarono per una colazione corroborante, ma sempre di tipo "latino-continentale", ossia croissant e brioches varie, seguite nel caso di Roberto e Battista da una tazza di caffè, mentre Aurora ordinò una brocca intera di tè verde e una bottiglietta d'acqua naturale, come era sua abitudine.

Alle 8.30 Battista andò in cerca dell'automobile noleggiata, e ci mise un po' a trovarla, ma alla fine, un quarto d'ora dopo, uscì dai garage con "il Peugeut", come lo chiamava lui, perché le macchine grandi dovevano essere declinate al maschile.

Alle 9.00 si ritrovarono sullo Strand in direzione Whitehall, uno dei quartieri più centrali di Westminster.
All'epoca non c'era ancora Internet e non esisteva Google Maps: si era, insomma, nella Preistoria.
Oggi invece, con un eccesso di ottimismo, la suddetta mappa che ci permette di orientarci persino se ci perdiamo nella periferia di Seoul, ritiene che il tempo di percorrenza tra il Savoy e Downing Street sia di otto minuti, previo pagamento di pedaggi.
Sarà... ma nel 1992, ossia nella Preistoria, ci voleva più tempo, persino se era agosto.

E dunque, intorno alle 9.30 il fido Battista depositò i due fidanzatini davanti al n°10 di Downing Street.
Roberto si propose come cicerone e guida turistica, avendo studiato fin dall'infanzia tutto ciò che riguardava Londra e l'Inghilterra, ed Aurora accettò volentieri, perché, pur essendo stata molte volte nella capitale del Regno Unito, conosceva ben poco della sua storia.

L'edificio, costruito dall'immobiliarista Sir George Downing nel 1684, divenne la sede del Governo Britannico nel 1732, quando re Giorgio II lo destinò all'allora Primo Ministro, il whig Sir Robert Walpole.
Per molto tempo, una parte dell'edificio era stata accessibile al pubblico, ma proprio l'anno precedente la visita di Roberto e Aurora, c'era stato un attentato dinamitardo dell'IRA contro il neo premier John Major, che ne uscì illeso. Da allora le misure di sicurezza divennero molto stringenti, per quanto fosse concesso ai turisti di farsi fotografare vicino alla porta d'ingresso dell'appartamento del Premier.

Aurora insistette per fotografare Roberto, col suo gessato a tre pezzi e l'indice rivolto verso la porta, come se la regina Elisabetta gli avesse appena conferito l'incarico di formare il nuovo governo.






Quando Roberto si propose di fotografare Aurora nella stessa posa, lei disse che come personaggio politico non era credibile e che le fotografie se le sarebbe fatte fare in altri posti che a lei interessavano di più.
Inoltre Aurora voleva solleticare un po' la vanità di Roberto, perché aveva un piano in serbo per il finale di quella giornata, ed era importante che lui fosse di buon umore e ben disposto nei confronti di lei.




Percorrendo la Parliament Street, arrivarono di fronte alla Clock Tower, la torre dell'orologio, costruita tra il 1834 e il 1858, e meglio conosciuta, per sineddoche, come Big Ben, soprannome della campana più grande.
Due decenni dopo gli eventi narrati in questo capitolo, nel 2012, la torre fu ribattezzata Elizabeth Tower, in occasione del Giubileo di Diamante (60 anni di regno) di Elisabetta II.

Anche nei pressi del Big Ben, e nonostante il traffico intenso,  Aurora insistette per scattare varie foto al fidanzato, con molta attenzione ai dettagli, specie a tutto ciò che lei gli aveva regalato: l'abito gessato a tre pezzi, la cravatta di seta, i gemelli, il Rolex... e dietro la Torre dell'Orologio, a sancire solennemente il giungere delle ore 10.15 ante meridiem.





E poi si voltarono ad osservare il Ponte di Westminster e il Palazzo del Parlamento.




Il Tamigi era immenso, qualcosa a metà strada tra un fiume e un mare: Londra era una città portuale, si potevano scorgere piccole navi dappertutto e tanti porticcioli.
Il destino della Britannia come impero marittimo e oceanico si manifestava e si rifletteva nell'imponenza del Tamigi e nella natura di Londra come porto che si dirama verso gli oceani,
Per Roberto, che era cresciuto considerando grande il Bevano, la vista del Tamigi fu qualcosa che il suo animo fece fatica a contenere e a comprendere. Ne ebbe persino paura, e si ritrasse, senza mai sapere il perché.

Tornarono indietro, fino a Parliament Square, dove si spaventarono scorgendo la terrificante statua di Winston Churchill, che faceva apparire sir Winston più brutto del Gobbo di Notre-Dame-

Quella statua, nel 2020 fu sfregiata dalla scritta, "was a racist", durante la furia iconoclasta seguita alla terribile morte di George Floyd. 





Ci si permetta un inciso. Nel 1992 una cosa del genere sarebbe stata impensabile a Londra.

A quei tempi era Los Angeles ad essere in fiamme, in seguito al pestaggio di Rodney King, ma la rivolta rimase circoscritta alla città californiana.
Dopo una settimana di anarchia, Bush Senior mandò l'esercito e riprese il controllo della città.
Nella rivolta ci furono 63 morti.

Trent'anni dopo, a pagare furono più che altro le statue, (meglio quelle degli uomini, ma l'atto resta pur sempre discutibile) in una "nuova iconoclastia" che a detta di Roberto, nei suoi momenti profetici e millenaristi, è uno dei tanti "segni dei tempi".




La visita al Palazzo di Westminster e al Parlamento richiese molto tempo e meriterebbe un capitolo a parte, ma ai fini della nostra narrazione sarebbe troppo prolissa, per cui, pur con dispiacere, dobbiamo limitarci a dire che durò all'incirca due ore.




Alle 12 circa Aurora e Roberto si recarono a visitare l'Abbazia meraviglioso edificio in stile gotico dove sono sepolti alcuni grandi personaggi della storia inglese e britannica. 
Qui Roberto ed Aurora si soffermarono sulle tombe di alcuni sovrani.

Lei lo ascoltava, affascinata dal suo modo di raccontare la storia come se avesse conosciuto di persona tutti i personaggi di cui stava parlando.




In particolare Roberto le fece notare, ai piedi della monumentale tomba di Elisabetta I Tudor, una scritta, a suo parere, di straordinaria importanza.
Così recita la lapide, unendo alcune lettere e utilizzando simboli per altre:

"Regno consortes et urna hic obdormimus Elizabetha et Maria sorores in spe Resurrectionis"
 ossia
"Qui riposiamo, unite dalla sorte nel regno e nella tomba, noi sorelle Elisabetta e Maria, nella speranza della Resurrezione".

Si è sempre sottovalutata l'estrema importanza del fatto che Elisabetta abbia voluto essere sepolta fianco a fianco a sua sorella Maria, che l'aveva preceduta sul trono, e l'aveva persino imprigionata, per poi liberarla e aprirle la strada alla successione. 

L'epigrafe sottolinea la comune speranza nella Resurrezione, valorizzando ciò che di condiviso esiste tra la Chiesa Cattolica e quella Anglicana, e auspicando dunque la fine alle guerre di religione in Inghilterra.




E qui, Roberto si sentì in dovere di raccontare un aneddoto, letto in saggio sui Tudor da tempo fuori catalogo, regalatogli da sua nonna. (Tale aneddoto fu poi ripreso nelle fin troppo romanzate ricostruzioni cinematografiche del regno della prima Elisabetta, interpretata da Cate Blachett)

Maria, sposata col cugino Filippo II di Spagna, era ufficialmente "incinta" da oltre dieci mesi, quando finalmente dette il permesso ai medici di capire cosa c'era nel suo grembo, e i medici scoprirono che si trattava di un cancro ovarico, la stessa malattia che aveva condotto prematuramente alla tomba sua nonna materna Isabella la Cattolica.

A quel punto, sapendo di doversi presto presentare al giudizio del Creatore, la regina Maria ordinò di scarcerare la sorellastra Elisabetta, e la chiamò al suo capezzale.
Qui Maria fece giurare ad Elisabetta che non avrebbe perseguitato i cattolici e che soprattutto non avrebbe impedito il culto della Vergine.
Elisabetta giurò, Maria spirò poche ore dopo, contemporaneamente all'ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury, il cardinale Reginald Pole, la cui famiglia era stata sterminata brutalmente da Enrico VIII.

Molti anni dopo, quando l'ennesima trattativa di matrimonio fallì ed Elisabetta I si trovò a dover accettare la propria sorte e la stessa fine della dinastia Tudor, avrebbe ricordato il giuramento fatto a Maria, pronunciando di fronte ai Consiglieri, stupefatti, la frase: 
"Giurai a mia sorella di non contrastare il culto della Vergine. Ora farò di più: consacrerò a Lei la mia stessa verginità, per il bene dei miei sudditi, che d'ora in avanti potranno contare sulla Santissima Vergine in Cielo e su una Regina Vergine in questa valle di lacrime.
 Oggi, signori miei, io sposo l'Inghilterra!".

Aurora ascoltava con attenzione, perché Roberto, e questo almeno gli va riconosciuto, non era soltanto un erudito: era anche un appassionato divulgatore della sua conoscenza, e la sapeva trasmettere con una recitazione istrionica, ma appropriata, trasmettendo emozioni oltre che nozioni.
La sua ragazza gli disse: 
<<Che splendido insegnante saresti, meglio di tuo padre e persino meglio di tuo zio Lorenzo. Credo che in questo tua nonna abbia ragione: devi seguire la tua vocazione per gli studi umanistici>>
Lui però scosse il capo:
<<La scuola sta cambiando, e non in meglio. Io resterò legato per sempre al modello gentiliano. Ma la pedagogia e la didattica, purtroppo, guardano da un'altra parte>>
Ma c'era un'altra ragione che portò Roberto a scegliere Economia a Milano: prima di escludere una strada, voleva sempre provare a vedere dove portava, per non essere poi tormentato dai rimpianti, e così, quando, dopo la laurea milanese e il lavoro in banca, incominciò gli studi per la triennale in Storia a Bologna, seguita dalla specialistica in Lingua e letteratura italiana, non ebbe mai rimpianti. Nessuna via era rimasta intentata. Tutto ciò che umanamente si poteva fare era stato fatto.

Ma concludendo l'inciso su Elisabetta I, Roberto narrò un ultimo aneddoto.
Mentre la sovrana discuteva in Consiglio su come far fronte all'Invincibile Armata di Filippo II, molti consiglieri cercarono di convincerla ad allearsi con la Francia, che però poneva umilianti condizioni.
E allora l'ultima dei Tudor così rispose, iniziando a parlare con voce debole e lamentosa e finendo con voce orgogliosa e trionfale, da degna figlia di suo padre:
<<La vecchia Inghilterra sta da sola, come sempre. La vecchia Inghilterra sta in piedi da sola!>>

Giocando sul duplice significato del verbo "to stand" e cioè "stare in senso generale o stare in piedi, in senso specifico", Elisabetta fondò quello che sarebbe diventato una specie di motto per molti inglesi coraggiosi, tra cui lo stesso Churchill, quando il Regno Unito si trovò da solo, nel 1940, di fronte al Terzo Reich, che stava per annientare ciò che rimaneva dell'esercito britannico a Dunkerque.
"Old England stands alone": la vecchia Inghilterra sta in piedi da sola.

Da quanto tempo, a noi Italiani, manca l'orgoglio di appartenere a qualcosa di grande?
Non intendiamo certo rimpiangere la retorica vuota e il vaniloquio dei comizianti insigniti di gloria, ma semplicemente concordare con ciò che scrisse Indro Montanelli al termine della sua Storia d'Italia:
<<Per me [l'Italia] non è più la patria, è solo il rimpianto di una patria>>.
E' una grande verità, molto efficacemente espressa.
Forse allora è giusto che sia l'Europa quel "qualcosa di grande" a cui sogniamo di appartenere?

Quando Aurora e Roberto uscirono dall'Abbazia di Westminster erano ormai le 13, ed entrambi, dopo cinque ore dal momento in cui avevano lasciato le loro suites, erano abbastanza stanchi, avevano fame, e all'epoca mancavano gli Starbucks spuntati recentemente come funghi, per cui, proseguendo nella direzione di St. James Park, decisero infine di pranzare in uno dei tanti chioschi del Parco.

Entrarono al St. James una decina di minuti dopo, dall'ingresso ovest, dove c'è il grande spiazzo della parata equestre. Il parco era meno noto degli altri tre suoi concorrenti, ossia Hyde Park, Kensington Gardens e Regent's Park, ma non meno bello, anzi, il suo lago era circondato da una natura rigogliosa, che lo rendeva un vero polmone verde per l'affumicata Londra.

Alle 13.15 approdarono al St. James Café, che non era proprio il massimo, ma per chi, come loro, fosse stanco e affamato, andava benissimo.
Aurora ordinò un succo di frutta all'arancia e una fettina di torta.
Roberto ordinò due fette di torta e un caffè.
Si sedettero poi in uno di quei tavolinetti moderni, molto deprimenti, da mensa di ospedale.
Il locale era piuttosto affollato ed è meglio stendere un pietoso velo sulle condizioni dei bagni, tanto che persino Roberto, che pure non era schizzinoso come Aurora, decise che questa volta avrebbe chiesto gli straordinari alla sua iron bladder, seguendo le abitudini idrauliche di lei, la quale approvò con entusiasmo misto ad euforia.
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare...

Alle 13.45 circa uscirono dal Caffè e passeggiarono romanticamente, mano nella mano, nel parco.
Erano talmente felici e innamorati che, trovata una panchina, all'ombra, decisero di trascorrere lì un po' di tempo a scambiarsi baci e tenerezze.

Verso le 14.15 ripresero la loro camminata lungo il Parco, diretti verso Buckingham Palace, che si trovava all'uscita est del viale principale del parco.
Arrivati al Victoria Memorial, cercarono di non sentirsi in colpa di fronte allo sguardo di severo rimprovero che la giunonica Regina sembrava continuare a destinare a tutti coloro che, in un modo o nell'altro, avessero violato qualche austero precetto morale.

Di fronte al Palazzo Reale, cuore del Regno Unito e dell'ex Impero Britannico, si limitarono a constatare che in cima al palazzo non sventolava alcuna bandiera.
La ragione è nota a tutti, ma va comunque ricordata: nel 1992 vigeva ancora la tradizione vittoriana secondo cui lo stendardo reale era issato quando il sovrano si trovava a palazzo, mentre veniva ammainato quando si trovava altrove.
Come ogni agosto, da quando era nata, Sua Maestà si trovava a Balmoral.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, solo cinque anni dopo, tutto sarebbe cambiato...
Il 31 agosto 1997, lady Diana Spencer, Principessa di Galles, morì tragicamente a Parigi in un incidente stradale sotto il tunnel dell'Alma.
Nella concitata settimana che seguì quell'evento di risonanza eccezionale, forse uno dei primi eventi mediatici mondiali vissuti in diretta, come se si trattasse di una serie tv, la Regina, che si trovava ancora a Balmoral, decise, su consiglio del premier Blair, di cambiare le regole: al posto dello stendardo reale, da quel momento in avanti venne issata la Union Flag, la bandiera del Regno Unito, con le stesse regole di prima, ma con l'aggiunta che, in caso di lutto, poteva essere tenuta a mezz'asta.

La bandiera britannica, fu issata a mezz'asta, oltre che nel 1997, anche in altri tre casi: nel 2002, alla morte della principessa Margaret, seguita poco dopo dalla morte della Regina Madre e infine, il 9 aprile 2021, alla morte del principe Filippo, Duca di Edimburgo, spentosi a Windsor all'età di 99 anni, di cui 73 trascorsi come consorte dell'attuale sovrana Elisabetta II.




Quindi, in buona sostanza, si può dire che quel giorno del lontano 1992, nessuna bandiera sventolava sul Palazzo che Giorgio III acquistò dal Duca di Buckingham, e poi Giorgio IV e la regina Vittoria scelsero come residenza ufficiale della Corona, ritenendo, giustamente, che St. James Palace fosse troppo piccolo e vecchio per le esigenze del sovrano di un Regno che, dopo aver sconfitto Napoleone, si stava trasformando in un Impero.

Il Cambio della Guardia era già avvenuto e purtroppo all'epoca non era ancora stata aperta al pubblico l'area delle State Rooms, tra cui la Sala del Trono, la Sala da Ballo e  quella dei Ricevimenti.






La Queen's Gallery era invece aperta dal 1962 e vi si accedeva da un ingresso laterale, lungo il Buckingham Gate. Tale ingresso ha la forma di un tempietto neoclassico in stile dorico.
Nella stanza rossa della Gallery si trovano i ritratti dei principali monarchi britannici dagli Stuart in avanti, ma spesso si tengono anche mostre dedicate a uno dei singoli sovrani.

Nelle altre stanze vi sono oggetti di straordinaria bellezza e grande valore, gioielli, mobili, soprammobili e dipinti, soprattutto di epoca barocca e rococò.
Nel passare davanti ai ritratti dei vari sovrani, Aurora metteva sempre alla prova Roberto, chiedendogli quale re o regina fosse, quando e quanto avesse regnato e naturalmente voleva sapere i famosi aneddoti.







Uscirono dalla Queen's Gallery intorno alle 15.30 e, come programmato, si avviarono per la passeggiata lungo il Mall, l'enorme viale che collegava il Palazzo con Trafalgar Square.
Roberto scelse il marciapiede di sinistra, non tanto per abituarsi alle leggi di circolazione britanniche, quanto perché, svoltando in una trasversale del Mall, Marlborough Road si passava di fronte a uno dei cancelli di  St. James Palace, anche non si poteva entrare all'interno, dove abitano alcuni membri della Famiglia Reale.
Era un notevole edificio tardo-medievale in mattoni rossi e stile Tudor, fu infatti commissionato da Enrico VIII e divenne la residenza westminsteriana della sua turbolenta famiglia: fu lì che morì, nel 1558, la sua figlia primogenita, di cui abbiamo parlato, Maria I la Cattolica.




Aurora chiese: 
<<Ma se si dice Maria I, vuol dire che ci fu anche una Maria II?>>
Roberto annuì:
 <<Certamente, Maria II era la primogenita di Giacomo II Stuart e salì al trono nel 1688, insieme al marito Guglielmo III d'Orange, già Signore d'Olanda, dopo che il re era stato cacciato dal Parlamento ed entrambi gli eredi si erano convertiti alla confessione anglicana. 
Maria II morì giovane e senza figli, e alla morte del marito il trono passò a sua sorella Anna, l'ultima degli Stuart, sotto il cui regno avvenne l'Atto di Unione del 1707, che creò il Regno Unito di Gran Bretagna, fondendo la corona inglese con quella scozzese.
Anna fu quindi la prima Regina di Gran Bretagna>>




Aurora annuì e poi chiese: 
<<Dopo la morte di Anna Stuart, ci sono state rivendicazioni da parte dei suoi parenti cattolici?>>
Roberto annuì di nuovo:
<<Ce ne furono molte. Giacomo II, il Re detronizzato nel 1688, aveva avuto un figlio maschio dalla seconda moglie, Maria Beatrice d'Este, nota anche come Maria di Modena.
Questo figlio, Giacomo Edoardo, divenne Principe di Galles, e dopo la morte del padre, nel 1701, rivendicò la Corona col nome di Giacomo III.

Dopo la morte di Anna, nel 1714, l'Atto di Successione stabiliva come erede sua cugina, l'Elettrice Sofia di Hannover, figlia di Elisabetta Stuart, ma Sofia morì un mese prima di Anna, per cui a salire al trono fu suo figlio, il burbero Giorgio I di Hannover.

Gli Scozzesi non erano particolarmente entusiasti del nuovo re, che preferiva starsene in Germania, e questo rinfocolò le speranze del Pretendente giacobita, ma Giacomo III fu sconfitto, definitivamente, nel 1715.
Da allora fissò la sua corte a Roma, sotto la protezione del Papa, e per tutta la vita continuò a proclamarsi legittimo sovrano del Regno Unito.

Alla sua morte nel 1766, si fece avanti il suo figlio maggiore, Carlo Edoardo, detto il Giovane Pretendente, o anche Bonnie Prince Charlie, che già nel 1745 era stato sconfitto dalle truppe scozzesi di Giorgio II.
I giacobiti lo riconobbero comunque come legittimo sovrano col nome di Carlo III.

Dopo la sua morte, nel 1788, lo Stato Pontificio, anche in considerazione di quanto stava accadendo in Francia, decise di riconoscere Giorgio III di Hannover come re legittimo, e i giacobiti persero il più illustre dei loro sostenitori.
Suo fratello Enrico Benedetto, già Cardinale di Santa Romana Chiesa, divenne, senza troppo entusiasmo, il nuovo punto di riferimento dei giacobiti, che lo proclamarono re col nome di Enrico IX.
Alla sua morte, non avendo avuto figli, nominò suo erede Carlo Emanuele IV, Re di Sardegna, per cui da allora i Savoia sono divenuti i pretendenti giacobiti del Regno Unito, per quanto ci siano state in seguito delle diatribe interne ed esterne>>

Aurora lo guardò con ammirazione:
<<Non riuscirò mai a coglierti impreparato su queste materie. Ma allora adesso, tra i discendenti illegittimi degli Stuart, chi è quello che avrebbe più diritti?>>
Roberto rise:
<<Giacomo II si dava molto da fare con le donne, per cui seminò figli illegittimi ovunque, ma se si vuole cercare il ramo più vicino al trono, allora non ci sono dubbi: il più anziano dei figli del Re fu James FitzJames, I Duca di Berwick, che militò nell'esercito spagnolo come condottiero, sotto il regno di Filippo V di Borbone, il quale gli conferì i titoli di Duca di Liria e Jerica e lo creò Grande di Spagna.

I suoi discendenti accumularono Ducati in grande quantità, soprattutto tramite matrimoni dinastici, finché Carlos Miguel, VII duca di Berwick, sposò una certa Rosalia Ventimiglia, lontana cugina di Maria Teresa Cayetana de Silva, XIII Duchessa d'Alba, e pertanto, alla morte della Duchessa, l'VIII Duca di Berwick, Jacobo Fitzjames Stuart y de Silva de Tormes, nelle cui vene scorreva il sangue degli Stuart e quello degli Alba de Tormes, divenne il XV Duca d'Alba e titolare di un'infinità di Ducati, Marchesati, Contee e Baronie di ogni genere. 

Egli era il bisnonno di Cayetana Maria del Rosario Fiz-James Stuart y Silva Falcò Guartabay, XVIII Duchessa d'Alba de Tormes, XI Duchessa di Berwick e attuale punto di riferimento dei giacobiti di tutto il mondo.
Per uno strano scherzo del destino, è nata nello stesso anno della regina Elisabetta, il 1926.
Se mai si dovessero incontrare, Cayetana non chinerebbe il capo davanti alla sua coetanea, e mi pare di aver letto che la Principessa di Galles si sia sentita in dovere di farle la riverenza. 

In conclusione posso dire che il nostro "amico" Waldemar Richmond-Stuart, Duca di Ravensbourne, per quanto si proclami discendente degli Stuart, non ha alcuna speranza di essere riconosciuto leader dei giacobiti, ammesso che questo conti ancora qualcosa>>
Aurora rise:
<<Se dovesse alzare la cresta, glielo farò notare! Così imparerà a stare al suo posto!>>