lunedì 26 marzo 2018

Simboli religiosi finnici e loro significato

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Tursaansydän means the 'heart of Tursas' and in Finnish mythology, Tursas (alias Iku-Turso and a few other names) was a rather unpleasant sea-monster that supposedly looked a bit like a bearded octopus. Another name for the same symbol is Mursunsydän, which means 'heart of the Walrus'. For a long time, especially in Northern Europe, the symbol has been considered a Good Luck charm.

Finnish Knot - Ancient Finnish symbol - Hannunvaakuna - Kalevala Koru - Good Luck symbol
Finnish Knot - Ancient Finnish symbol - Hannunvaakuna - Kalevala Koru

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Saint John's Arms - Finnish and Swedish Looped Square




The looped square (⌘) is a symbol consisting of a square with outward pointing loops at its corners. It is referred to by this name, for example, in works regarding the Mississippian culture.[1]It is also known as the place of interest sign[2] when used on information signs, a practice which started in Finland in the 1950s, spreading to the other Nordic countries in the 1960s.[3] Also, the symbol is known as Saint John's Arms or Saint Hannes cross (related to Swedish sankthanskorsDanish johanneskors, and Finnish hannunvaakuna), as Gorgon loop, and as command key symbol due to its use on the command key on Apple computer keyboards.
It is an ancient symbol used by several cultures, and remains in common use today. It belongs to a class of symbols which are called valknute in Norway.[4]


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Ancient use

The symbol appears on a number of old objects in Northern Europe. It features prominently on a picture stone from HablingboGotland, Sweden, that was created between 400 and 600 AD.[5]
It is also similar to a traditional heraldic emblem called a Bowen knot.[6]
In Finland, the symbol was painted or carved on houses and barns, and domestic utensils such as tableware, to protect them and their owners from evil spirits and bad luck. The oldest surviving example is a pair of 1000-year-old (Finnish pre-Christian period) wooden skis decorated with the symbol.[7][8]
The looped square also appears on artifacts of the Mississippian culture of the southeastern United States.[1]

Modern use


Aerial view of Borgholm Castle
In modern times, the symbol is commonly found in UkraineBelarusDenmarkEstoniaFinlandGermanyIcelandLatviaLithuaniaNorway, and Sweden as an indicator of locations of cultural interest, beginning in Finland in the 1950s and spreading to the other Nordic countries in the 1960s.[3] There has been modern speculation that it was chosen for its resemblance to an aerial view of Borgholm Castle;[9] however, the symbol is well-represented in Scandinavian artifacts that predate the current castle by centuries.[5]
The symbol later gained international recognition via computing. It is used on Apple keyboards as the symbol for the command key.[10]



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domenica 25 marzo 2018

Albero genealogico degli Orchi della Terra di Mezzo

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Gli Orchi[1] sono una razza di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien.

Origine

Si tratta di creature di forma umanoide, una progenie elfica corrotta nella mente e nel corpo da Melkor storpiando e torturando gli Elfi da lui imprigionati in Utumno durante la Prima Era, come spiegato ne Il Silmarillion[2]: l'ainu decaduto infatti non li ha creati, non è in grado di creare alcun essere vivente «a causa della sua ribellione nello Ainulindalë prima dell'Inizio»[3], ma la progenie degli Orchi si riproduce perpetuando l'originaria corruzione e Melkor li ha resi suoi schiavi sebbene queste creature in cuor loro lo detestino.

Fisionomia e comportamento


Un gruppo di orchi nell'adattamento cinematografico di Peter Jackson.
Gli Orchi[4] sono creature grottesche e deformi, dalla pelle verde scuro fino a rosa chiaro e dalle braccia particolarmente lunghe. Il volto è schiacciato, la bocca ampia dotata di zanne, gli occhi rossi particolarmente adatti a vedere al buio dato che trascorrono gran parte della loro vita in caverne e gallerie: odiano infatti e mal sopportano, fatta eccezione per gli Uruk-hai di Saruman, la luce del sole, la quale gli "rende molli le gambe e fa girar loro la testa." Per tale motivo, durante la battaglia dei Campi del PelennorSauron oscura il cielo con i fumi del Monte Fato favorendo l'avanzata del suo esercito. La loro altezza varia, da quella paragonabile a quella di un uomo (seppur molto basso) a quella di uno Hobbit.
Intimamente crudeli, cannibali all'occorrenza e antropofagi, sono tuttavia molto ingegnosi e valenti[5] sia nelle opere minerarie che nella lavorazione dei metalli, in particolar modo quando si tratta di produrre armi e strumenti di tortura.
Sia Melkor che, dopo di lui, Sauron non si curano della loro incolumità sia per malvagità sia perché, più semplicemente, gli Orchi si riproducono rapidamente rimpiazzando le perdite. Per questo motivo, per esempio, Sauron non si cura che gli Orchi di stanza presso il passo di Cirith Ungol siano l'unica fonte di cibo per Shelob:
« [Gli Orchi] erano certo utili schiavi, ma ne aveva in abbondanza. Se di tanto in tanto Shelob li utilizzava per appagare la propria fame, tanto meglio: Sauron poteva farne a meno »
(Il Signore degli Anelli, op. cit., p. 873.)

Tipologie di Orchi

Gli Orchi furono "generati" da Melkor nella Prima Era; da allora si diversificarono in un gran numero di razze, sparse qua e là per le Grandi Terre; la razza più antica è quella degli Orchi del Nord, i servitori di Morgoth; essi vivevano in Angband o sparsi per il Beleriand, tuttavia non erano una razza uniforme, poiché anch'essi erano piuttosto diversificati, infatti esistono:
  • gli Orchi comuni, di piccola statura, i primi ad essere generati;
  • gli Orchi "di una razza feroce, crudeli e astuti", che nei Racconti incompiuti assalgono il Brethil, venendo poi sgominati dagli Uomini dei Boschi guidati da Túrin;
  • Gong, presenti nei Racconti perduti e definiti come " esseri maligni oscuramente apparentati con gli Orchi", ma elencati assieme agli Orchi come un razza a sé stante. Essi saccheggiarono il Nargothrond dopo la caduta di questo ad opera di Glaurung; tuttavia non è certo se poi Tolkien li abbia cancellati dalle leggende o essi siano parte degli Orchi in generale che servono Morgoth;
  • Goblin, Orchi leggermente più bassi dei normali orchi. Vivono sottoterra e vengono incontrati da Thorin Scudodiquercia nelle Montagne Nebbiose. Questa distinzione è presente soltanto nella trasposizione cinematografica realizzata da Peter Jackson, in cui nella prima trilogia sono degli Orchi dalla pelle verde ed equipaggiati con rudimentali equipaggiamenti di ferro, mentre nella seconda come esseri deformi a causa di malattie. Nell'opera originale di Tolkien, "Goblin" non è altro che un sinonimo di Orco, utilizzato quasi esclusivamente ne Lo Hobbit. "Orc" non è una parola inglese, e Goblin sarebbe, quindi, soltanto la sua traduzione: ne Le due torri, il termine Goblin viene utilizzato riferendosi agli Uruk-hai di Saruman, mostrando fuor di dubbio la sua natura di sinonimo.
  • infine ci sono i Sarqindi, Orchi cannibali citati sempre nei Racconti perduti e incontrati da Eärendil nei suoi viaggi.[6]
A seguito del crollo del Thangorodrim e della disfatta di Morgoth, gli Orchi fuggirono dal settentrione e si rifugiarono nella Terra di Mezzo orientale; qui probabilmente cominciarono a creare problemi ai Nani e agli Uomini. Gran parte di loro si riversò nelle Montagne Nebbiose, ove si diversificarono ulteriormente in una gran numero di tribù con dialetti e costumi differenti.
Nella guerra di Sauron contro l'Eriador, gli Orchi fecero parte del suo esercito; in seguito, allorché egli fu sconfitto, si rifugiarono a Mordor con lui, ma solo una piccola percentuale, che però Sauron nutrì facendola incrementare di numero. Da essi ricavò i cosiddetti Occhirossi, gli Orchi soldati che fino al termine della Terza Era furono la maggior componente delle sue legioni.
Negli ultimi due secoli della Terza Era ad opera dei malvagi Maiar dimoranti nella Terra di Mezzo si ebbe un'ulteriore, terribile modifica degli Orchi. Sauron, infatti, cercò di rendere queste infami creature più robuste, riuscendovi; ed ottenne gli Uruk, Orchi neri molto grossi e forzuti, che causarono gravi danni a Gondor. Oltre a servire come potente legione a Mordor, alcuni Uruk furono inviati nelle miniere delle Montagne Nebbiose, dove divennero dei veri e propri signori, e fornendo a Sauron degli utili servi in un luogo così distante.
Infine, nell'ultimo mezzo secolo della Terza Era, lo stregone traditore Saruman modificò questi Uruk, rendendoli ancor più robusti, tanto da coprire in viaggio lunghe distanze e di sopportare la luce del sole. Solitamente questi Orchi chiamavano se stessi Uruk-hai, mentre le altre razze venivano da loro dispregiativamente definite snaga, schiavi. Come se non bastasse, il perfido Saruman infuse ad alcuni Uomini sangue di Orco, ottenendo l'orribile generazione dei mezzi-orchi, alti come Uomini ma con il viso crudelmente simile a quello orchesco. Mentre è probabile che almeno gli Uruk-hai di Saruman si estinsero a seguito della sconfitta della battaglia del Trombatorrione, i mezzi-orchi furono invece rilasciati dagli Hobbit dopo la battaglia di Lungacque, e quindi si mescolarono alle genti dell'Eriador.
All'inizio della Quarta Era, con la sconfitta di Sauron gli orchi fuggirono e ormai allo sbando, senza più una guida, molto probabilmente vennero tutti sterminati dagli uomini dei Regni Uniti mentre i goblin che abitavano nelle montagne nebbiose vennero uccisi dai nani della stirpe di Durin. Durante quest'era l'unico luogo in tutta la Terra di Mezzo dove si potevano incontrare Orchi erano solo le Montagne Grigie a nord che durante la Terza Era erano infestate ancora da alcuni draghi.

Etimologia, edizione inglese e traduzione italiana

Tolkien riprende il nome orc e ork[7] direttamente dal vocabolo in antico inglese che compare nel poema epico medioevale Beowulf e che si riferisce ad alcune creature mostruose della schiatta di Grendel.
Dal termine in antico inglese, lo scrittore conia[8] il vocabolo sindarin «orch» (con il plurale «yrch»)[9] e «uruk» nel linguaggio nero utilizzati, assieme a «orc», in gran parte della sua produzione, anche se ne Lo Hobbit utilizza quasi esclusivamente il termine «goblin».
Questa discrepanza dipende dal fatto che l'ambientazione de Lo Hobbit, pur attingendo per molti aspetti (nomi, personaggi, creature e luoghi) a quell'insieme di scritti sulla Terra di Mezzo che costituiranno Il Silmarillion, non era stata concepita inizialmente da Tolkien come coincidente con la Terra di Mezzo, e il romanzo manteneva un impianto favolistico di varia ispirazione[10].
Nello specifico, un'importante fonte[11] per l'ideazione degli Orchi era stata, oltre al Beowulf, la favola La principessa e l'orco (The Princess and the Goblin1872) dello scrittore scozzese George MacDonald. Gli Orchi di Tolkien mostrano, tuttavia, alcune differenze rispetto agli originali: amano cantare ritmate e feroci liriche[12] e hanno i piedi robusti e resistenti dove invece quelli degli Orchi di MacDonald sono delicati[13].
Nell'originale inglese de Lo Hobbit (che viene pubblicato nel 1937) il termine «orc» non viene, quindi, utilizzato se non in due casi: quando Gandalf cerca di spaventare Bilbo menzionando le creature delle Terre Selvagge e nel nome della spada elfica Orcrist rinvenuta tra gli oggetti del tesoro dei Troll Berto, Maso e Guglielmo. Tutte le altre occorrenze del romanzo riportano, in assonanza con l'opera di MacDonald, il termine «goblin», anche se si tratta comunque di creature già simili a quelle delle successive opere tolkeniane.
Una versione iniziale degli Orchi, molto diversa come fisionomia da quelle successive, compare nella poesia di Tolkien Goblin Feet (Piedi d'orco) che venne pubblicata nell'annuario Oxford Poetry del 1915 e, successivamente, in Book of Fairy Poetry (Libro della poesia fiabesca1920) di Dora Owen. In Goblin Feet, gli Orchi sono descritti come «minuscole creature elfiche e i suoni del loro canto e della loro danza [sono] magici»[14].
Nelle edizioni in italiano del Signore degli Anelli per l'editore Rusconi, dal 1970 fino all'acquisizione di Bompiani e alla revisione della Società Tolkieniana Italiana nel 2003, la parola inglese «orc» viene tradotta come «orchetto».
La scelta stilistica, che l'ha differenziata per lungo tempo dall'edizione italiana Adelphi de Lo Hobbit, dove veniva utilizzato il termine «orco» (per quanto, come già detto, nell'originale inglese di quest'opera fosse utilizzato «goblin»), rientra in una più ampia e complessa vicenda editoriale relativa alla pubblicazione italiana del romanzo.
Si può dire che Goblin sia un termine arcaico[15].

Note

  1. ^ Orchetti nelle edizioni italiane de Il Signore degli Anelli antecedenti al 2003.
  2. ^ Il Silmarillion, op. cit., p. 55, vedi anche citazione iniziale.
  3. ^ Ibidem. Tuttavia Christopher Tolkien (Racconti perduti, p. 267) fa notare che questa concezione dell'incapacità creativa di Melkor è posteriore. Nei primi manoscritti del racconto de La caduta di Gondolin viene spiegato dall'elfo Cuorpiccino — che sta narrando il racconto agli ospiti della dimora di Mar Vanwa Tyaliéva — che «tutta questa razza fu generata da Melko dalle calure e dalle melme del sottosuolo» (p. 196) lasciando intendere una creazione originale di Melkor, anche se Cuorpiccino aggiunge, dubbioso, che forse al contrario alcuni Noldor sono stati corrotti e trasformati in Orchi esprimendo in nuce il concetto del Silmarillion.
  4. ^ Nelle opere di Tolkien compaiono separatamente molti elementi della loro descrizione e costumi, ma la descrizione qui presentata, oltre che sul Signore degli Anelli e Lo Hobbit, si basa sulla sintesi che ne ha fatto David Day ne Il bestiario di Tolkien, op. cit., pp. 206-212.
  5. ^ Lo Hobbit, op. cit., pp. 80-81.
  6. ^ Parma Eldalamberon n. 14
  7. ^ Questa forma compare in scritti più tardi come Le avventure di Tom Bombadil e frequentemente in The Peoples of Middle-earth, uno dei volumi di The History of Middle-earth.
  8. ^ La realtà in trasparenza, op. cit., lettera 144.
  9. ^ I termini nelle varie lingue vengono sinteticamente riportati nell'Appendice F (Note etnografiche e linguistiche) de Il Signore degli Anelli; ma le prime versioni del racconto La caduta di Gondolin (Racconti perduti, p. 267) riportano anche un plurale «orqui».
  10. ^ Vedi per approfondire: Lo Hobbit annotato, op. cit., pp. 19-21.
  11. ^ Come spiegato da Tolkien stesso nella lettera 144 e da Douglas Anderson ne Lo Hobbit annotato, op. cit., p. 120.
  12. ^ Vedi le canzoni orchesche Afferra e spezza! Voragine nera! e Già quindici uccelli su abeti posati (Lo Hobbit, op. cit., pp. 79 e 125).
  13. ^ «Cosa alla quale non ho mai creduto» afferma Tolkien nella lettera 144.
  14. ^ Douglas Anderson ne riassume così la descrizione ne Lo Hobbit annotato (pp. 128-129) che riporta la traduzione in italiano della poesia.
  15. ^ Un articolo in cui si spiega la differenza fra goblin e orchi storiadelfantasy.blogspot.com
  16. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 73-74, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  17. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 75, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  18. ^ a b J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 204-205, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  19. ^ a b J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 209, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  20. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 71, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  21. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 72, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  22. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 211-212, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  23. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 233, cap. 2 (libro sesto) - "La Terra dell'Ombra". ISBN 88-452-3227-1
  24. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 192, cap. 10 (libro quinto) - "Il Cancello Nero si apre". ISBN 88-452-3227-1
  25. ^ J.R.R. TolkienIl ritorno del re. Il Signore degli Anelli. Vol. 3. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 214, cap. 1 (libro sesto) - "La Torre di Cirith Ungol". ISBN 88-452-3227-1
  26. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 414, cap. 10 (libro quarto) - "Messer Samvise e le sue decisioni". ISBN 88-452-3226-3
  27. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 62-63, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  28. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 78, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3
  29. ^ Il nome di Lurtz non viene mai menzionato nel film, venendo indicato solo nei crediti finali.
  30. ^ J.R.R. TolkienLe due torri. Il Signore degli Anelli. Vol. 2. Bompiani (collana I grandi tascabili), 2004. pag. 59-60, cap. 3 (libro terzo) - "Gli Uruk-hai". ISBN 88-452-3226-3

Bibliografia

  • David Day, Il Bestiario di Tolkien, Bompiani, Milano 1990 ISBN 88-452-0597-5
  • J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Rusconi Libri, ventesima edizione, Milano 1989 ISBN 88-18-12369-6
  • J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, Rusconi Libri, Milano 1989 ISBN 88-18-12049-2
  • J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, traduzione italiana di Cristina De Grandis, Bompiani, Milano 2001 ISBN 88-452-9130-8
  • J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit, Adelphi Edizioni, Milano 1989 ISBN 88-459-0688-4
  • J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit annotato, note al testo di Douglas A. Anderson, Rusconi Editore, Milano 1991 ISBN 88-18-12100-6
  • J.R.R. Tolkien, Racconti perduti, Rusconi Libri, Milano 1994
  • J.R.R. Tolkien, The Peoples of Middle-earth, a cura di Christopher Tolkien, Houghton Mifflin, 1996 ISBN 0-395-82760-4

Voci correlate

sabato 24 marzo 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 109. L'anno della Falsa Primavera

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Nella primavera del 2012, per la terza e, a Dio piacendo, ultima volta, Riccardo Monterovere si laureò. Questa volta di trattava nientemeno che della Laurea Magistrale in Linguistica e Letteratura italiana.
C'era stata una sorta di anti-climax nella successione delle sue tre lauree: da una bocconiana Economia si era passati ad una bolognese Storia Contemporanea per finire con una specializzazione letteraria difficilmente spendibile al di fuori dell'insegnamento.
Lo stesso Riccardo ebbe a dire in quei giorni: <<Tre lauree, una più inutile dell'altra>>
Ma i discorsi occupazionali, almeno per un mese, furono banditi.
Amici e parenti organizzarono una festa in stile goliardico a cui presero parte anche gli anziani genitori e l'illustre zio Lorenzo, che quel giorno brillò di luce così intensa da meritare l'epiteto del suo mediceo predecessore: "il Magnifico".
In quella sessione primaverile si laurearono molti altri amici e compagni di corso di Riccardo, per cui i festeggiamenti si protrassero a lungo, e anche il clima sembrava favorire quell'atmosfera di festa: le temperature erano alte, le giornate luminose.
Per qualche giorno, la speranza parve ritornare.
Sembrava che quella fosse l'occasione per un nuovo inizio, una Nuova Primavera.
Riccardo conservava ancora, nonostante tutto, la convinzione di poter rientrare in carreggiata, di sistemarsi, quanto meno a livello lavorativo.
Nelle settimane seguenti, dunque, passata la sbornia dei festeggiamenti, si trovò ad affrontare la sua condizione ufficiale di disoccupato nell'Italia di Monti, commissariata dalla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) e nuovamente vassalla della Germania di Angela Merkel.
Ancora non si era reso conto dei disegni dell'elite globalista, che tesseva in segreto la sua trama, al fine di far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche, gestite in maniera sciagurata (come aveva potuto constatare di persona nei giorni, ormai lontani, in cui aveva lavorato presso un noto istituto di credito) da quei dirigenti che poi avevano concluso il loro mandato incassando premi di produzione e cospicue liquidazioni.
Ancora non aveva compreso che il liberalismo stava tradendo i piccoli proprietari, specie quelli immobiliari, oltre che i piccoli imprenditori e risparmiatori, così come la socialdemocrazia, convertendosi ad un neoliberismo in salsa buonista, immigrazionista e "progressista" in tema di diritti civili, aveva abbandonato la tutela del welfare state, dei diritti sociali e dei cittadini meno abbienti.
La democrazia dell'alternanza stava per essere sostituita dalle "grandi coalizioni", volte a tutelare un'unica elite tecnocratica globalista, che avrebbe legittimato se stessa tramite un buonismo stucchevole e ingannevole, fatto di immigrazionismo (utile per abbassare i salari), femminismo rancoroso e acido (destinato a favorire l'atomizzazione della società, disincentivando il matrimonio, ostacolo alla "flessibilità"), distruzione della piccola proprietà immobiliare (altro ostacolo della mobilità del lavoro) e degli stati nazionali (ultimo baluardo contro il dominio incontrastato della finanza mondiale).
Tutto questo sarebbe diventato ovvio in seguito, nella legislatura successiva, ma all'epoca era ancora una nebulosa indefinita, che confondeva anche gli osservatori più attenti e sagaci.
Ogni speranza di risanamento e di rilancio sorta in quella stagione era destinata ad infrangersi di fronte ad una successione di eventi drammatici, nel quinquennio successivo, di modo che quella primavera sarebbe stata ricordata in seguito e per sempre come una Falsa Primavera.
E questo valeva sia per il macrocosmo che per il microcosmo e dunque, nel suo piccolo, tale disillusione e disincanto riguardò anche Riccardo Monterovere e i suoi progetti per il futuro.
All'epoca, per lui, le alternative erano due: o preparare il concorso per essere ammesso al famigerato TFA, ossia il Tirocinio Formativo Attivo, al fine di ottenere l'abilitazione all'insegnamento delle materie letterarie nelle scuole, oppure accettare l'offerta di suo zio Lorenzo per un Dottorato di Ricerca o qualche Borsa di Studio.
Da tempo ci stava riflettendo e l'ipotesi del TFA, incredibilmente, gli sembrava meno onerosa di quella del Dottorato.
Riccardo era stanco di dare esami e di "scendere e salir per l'altrui scale" delle varie università e dei loro infiniti e labirintici dipartimenti, con annesse anticamere dalle travature antiche, con vene di salnitro alle pareti e panche traballanti, segnate da generazioni di questuanti in attesa del nulla, con in mano libri sconvolti da ore perdute nei solai.
Erano vent'anni che Riccardo faceva quella vita e non ne poteva più.
Lo zio Lorenzo, però, era di tutt'altro avviso, e in un assolato giorno di maggio, mentre il profumo delle rose, in cortile, si stava facendo eccessivo e stomachevole, il campanello squillò e l'eminente zio fece il suo ingresso.
Finse di non vedere il disordine in cui versava quello che un tempo era stato il glorioso "Mascarel Palace".
Come sempre il suo abbigliamento tendeva ad una inquietante prevalenza del colore viola e lilla.
<<Voglio che tu mi venga a trovare nel castello di Monterovere Boica>> esordì lo zio senza troppi preamboli <<perché ti devo far conoscere alcune persone importanti>>
Era la classica "offerta che non si può rifiutare".
<<Di chi si tratta?>>
Lorenzo si concesse un sorriso compiaciuto, mentre i suoi occhi azzurri brillavano con particolare splendore, e i suoi capelli argentei risplendevano sotto i raggi di quel sole di maggio.
Solo la pelle, rosea e glabra, sembrava risentire di quelle radiazioni luminose.
<<Miei ex studenti, che si sono fatti strada nell'alta società e che comunque sono rimasti, se mi concedi il termine, miei discepoli>>
Riccardo sentiva insinuarsi, nel mezzo di quello svenevole roseto, una sorta di fetore di marcio, quasi fosse un ammonimento a non dare corda all'ambiguo parente.
<<E quale sarebbe lo scopo di questo incontro?>>
Lorenzo si accigliò:
<<Tu fai troppe domande, e in generale tendi a parlare troppo. Dovrai imparare ad essere più discreto, se vorrai farti strada nella vita adulta, come ormai è tempo. Posso dirti soltanto che da questi incontri potrebbero nascere grandi opportunità per il tuo futuro>>
Questa reticenza, non priva di velate minacce, accentuò il senso di nausea che l'eccessivo odore di rose aveva creato nello stomaco del nipote:
<<Non so se sia una buona idea. Come hai detto tu stesso, io non sono il tipo adatto per quel genere di contesto sociale>>
A quel punto lo zio scattò in piedi, furibondo:
<<Ora basta con queste scuse patetiche! Non hai più l'età per fare lo schizzinoso! 
Tu sei l'erede di due stirpi importanti, per quanto decadute, e non immagini nemmeno quanto sia prezioso il tuo corredo genetico. L'Ordine a cui appartengo, e di cui ti parlerò, è molto interessato a te, e ritiene che sia giunto il momento della tua Iniziazione>>
A sentire quelle parole Riccardo fu percorso da un brivido:
<<Iniziazione? Non vorrai mica farmi entrare nella Massoneria? No, perché, te lo dico subito, io non ho nessuna intenzione di...>>
Lorenzo rise:
<<Ah ah, no, assolutamente! Non si tratta della Massoneria, stai tranquillo. E' qualcosa di molto più vicino ai tuoi interessi storici e culturali.
Di più non posso dirti. Posso solo esortarti ad assumere un atteggiamento più adulto.
Metti da parte il ragazzo e diventa ciò per cui sei nato!>>


venerdì 23 marzo 2018

Quadri, paesaggi e fantasy art

L'immagine può contenere: cielo, nuvola, oceano e spazio all'aperto

K.D. Friedrich, "The Stages of Life"
1835
Oil on canvas (72.5 x 94 cm)
Museum der bildenden Künste, Leipzig, Germany

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Then Celegorm arose amid the throng, and drawing his sword he cried: 'Be he friend or foe, whether demon of Morgoth, of Elf, or child of Men, or any other living thing in Arda, neither law, nor love, nor league of hell, nor might of the Valar, nor any power of wizardry, shall defend him from the pursuing hate of Fëanor's sons, if he take or find a Silmaril and keep it. For the Silmarils we alone claim, until the world ends.' ~ The Silmarillion, Chapter 19 

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