Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
lunedì 28 aprile 2014
La fiamma di Atar. Capitolo 16. Sunt lacrimae rerum.
La madre di Virginia, la signora Valeria Dracu, si era presentata in clinica soltanto dopo la morte della figlia, per motivi strettamente burocratici. Aveva mostrato una formale cortesia con Luca Bosco, dicendogli:
<<La ringrazio per essere stato vicino a mia figlia fino alla fine. Era suo desiderio che fosse così. Ed era suo desiderio anche il fatto che nessuno della famiglia la venisse a trovare. Come vede, abbiamo rispettato la volontà di Virginia fino all'ultimo>>
Luca non aveva colto nessun dolore nelle sue parole.
<<Io... ho fatto tutto il possibile, ma...>>
La donna lo aveva interrotto:
<<Lo so. Non ha nulla di cui rimproverarsi, anzi, la mia famiglia le è riconoscente. Se dovesse aver bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, non esiti a contattarmi>>
Detto questo gli fornì un elegante biglietto da visita, con vari recapiti.
<<La ringrazio, signora>>
Lei annuì e prima di andarsene gli sussurrò, a voce più bassa:
<<Stia attento alla Fiamma di Atar. Chi le si avvicina troppo finisce per bruciarsi>>
Avrebbe voluto porle delle domande, ma quello non era né il luogo, né il momento.
In seguito era stato tentato più volte di telefonarle, ma era sempre successo qualcosa che gli aveva fatto cambiare idea.
Ora però devo sapere. Devo ascoltare la sua versione della storia.
Cercò il biglietto, si fece coraggio e la chiamò al cellulare.
Lei rispose quasi subito e si mostrò cordiale e tranquilla come se si fossero visti il giorno prima, e invece erano passati degli anni.
<<So che adesso lavora alla biblioteca, dottor Bosco, molto vicino a quella fiamma che scotta>>
La sua voce aveva un tono vagamente canzonatorio.
Luca rabbrividì:
<<Credo che sia venuto il momento di parlarne. Vorrei conoscere il suo punto di vista su tutta la faccenda>>
<<E' una cosa molto ragionevole, dottor Bosco. Incontriamoci in un territorio neutrale, scelga pure lei, possibilmente non troppo vicino alla biblioteca del professor Ferrante>>
Alla fine si incontrarono in un bar un po' fuori mano, senza dare nell'occhio.
<<La ringrazio per aver accettato questo incontro, signora Dracu>>
<<Era il minimo, dopo tutto quello che è successo. In cosa posso esserle utile?>>
<<Ho bisogno di informazioni>>
<<Lo immaginavo. Chieda pure, dottor Bosco. Se posso risponderle, lo farò molto volentieri>>
<<Virginia era una figlia adottiva, vero?>>
<<Sì, certo>>
<<Ma le somiglia molto anche fisicamente. Del resto, noi del Serpente Rosso, ci somigliamo tutti, non è così?>>
Valeria Dracu sorrise:
<<Solo i migliori si somigliano tanto>>
<<E allora perché io non sono stato adottato dalla "famiglia", pur essendo, come lei dice, tra i migliori?>>
La donna inarcò le sopracciglia:
<<Sarò molto sincera e diretta. Lei non sarà mai un Iniziato. Fin dall'inizio ha mostrato una vulnerabilità eccessiva rispetto al contesto. In questi casi preferiamo non interferire>>
<<Quando lei dice "noi" a chi si riferisce? Alla famiglia Dracu o alla Fonte Sacra?>>
Il volto della donna si indurì:
<<Le decisioni della famiglia sono prese dai membri della Fonte, gli Iniziati. Virginia voleva a tutti i costi accedere all'Iniziazione, ma non era pronta. Ha scelto di sottoporsi alla prova troppo presto, per quanto io l'avessi apertamente sconsigliata>>
<<Lei mi ha detto di stare attento alla Fiamma di Atar, ma fino ad ora gli unici a dispensare morte siete stati voi della Fonte Sacra, non è così, signora Dracu?>>
Valeria scosse il capo:
<<No. Nonostante la pessima reputazione di cui godiamo a causa della fantasia di certi romanzieri, non siamo noi i cattivi. Non obblighiamo nessuno a fare cose che non vuol fare>>
Luca rise:
<<Ah ah, certo, voi vi limitate a mescolare i geni e a fare il lavaggio del cervello. Non mi sembrano le condizioni ideali per una libera scelta>>
<<Si sbaglia, dottor Bosco. Noi siamo molto più prudenti e responsabili dei genitori carnali. Loro si affidano totalmente al caso e all'istinto. Noi offriamo il massimo delle potenzialità genetiche e le migliori opportunità formative, ma a volte questo non basta a rendere ragionevole una persona di vent'anni>>
Luca era infuriato:
<<Avreste dovuto impedirle di tentare la prova! Qualunque genitore si sarebbe imposto, di fronte a quel pericolo! Se volevate salvare Virginia, bastava solo essere leggermente più convincenti, e nessuno si sarebbe fatto male!>>
<<Convincenti? Intende dire che avremmo dovuto usare i nostri poteri mentali di condizionamento? E' questa la sua concezione del libero arbitrio, dottor Bosco?>>
Lui sorrise sprezzante:
<<Il libero arbitrio non esiste! Ogni decisione è la somma di una serie di cause che in ultima istanza non dipendono da noi>>
Lei lo fissò con severità:
<<E' questo tipo di convinzione il pericolo della Fiamma di Atar. Il professor Ferrante convince i suoi allievi a non credere nel libero arbitrio e li rende schiavi di un fatalismo di cui è lui stesso a muovere le fila. Vi arruola nel suo esercito in cambio di una ben magra ricompensa. Lei si è venduto, dottor Bosco, e per cosa? Avrebbe potuto chiedergli di salvare Virginia. Ferrante poteva farlo. La Fiamma serve proprio a questo. Lei si è sottomesso ai Custodi del Fuoco senza aver ottenuto niente in cambio>>
Luca passò dall'indignazione alla diffidenza:
<<E ora dovrei cambiare fazione solo perché me lo dice lei?>>
Lo sguardo della donna divenne beffardo:
<<Se avessi voluto usare i miei poteri, dottor Bosco, lei adesso starebbe ballando sui tavoli al cenno della mia mano. Ma non ho bisogno di burattini e nemmeno di reclute. Sono qui solo perché ho un debito nei suoi confronti. Lei è stato gentile con mia figlia... l'ha resa felice... ed io non potevo chiedere di più>>
In quel momento il ricordo di Virginia aleggiò tra loro con tutta la sua vitalità.
Luca si rese conto che in fondo Virginia aveva scelto, in piena consapevolezza, una vita breve, sì, ma felice in ogni suo istante.
Cercò qualcosa da ribattere, ma poi si accorse che la signora Dracu aveva gli occhi lucidi.
Erano lacrime vere, lacrime di una madre.
Dunque gli Iniziati sono ancora capaci di amare?
Gli ritornò in mente una frase dell'Eneide che Virginia gli aveva tradotto e spiegato, in un momento di introspezione di cui tutti avevano sottovalutato la portata.
Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt.
Sono le lacrime delle cose, e le cose mortali toccano la mente.
Fu allora che intuì la risposta:
<<Virginia ha scelto la mortalità per preservare la sua natura umana. Non si è fatta salvare perché se avesse superato la prova, avrebbe perso la sua umanità>>
La madre di Virginia annuì.
<<Forse ha insegnato qualcosa a tutti noi. Forse l'immortalità degli Iniziati è peggio della morte. Sinceramente non lo so, ma avevo il dovere di esporre questo mio dubbio. Forse potrà esserle utile, dottor Bosco. Forse lei è ancora in tempo per salvarsi>>
Sean Parker - nodo Windsor - Windsor knot - 3 piece suit tie
Sean Parker (nato a San Francisco nel 1979) è uno dei cofondatori di Facebook, e in precedenza aveva fondato Napster, ma qui non ci interessa tanto la sua professione di imprenditore informatico, quanto piuttosto il look, che in certo senso si distingue da quello dominante tra gli esperti del settore.
Il personaggio mi ha colpito proprio per la ricercatezza nel vestiario, e in generale nel look, che va in decisa controtendenza rispetto a quello dei colleghi (basti pensare a come veste Zuckeberg).
Poi per carità, critiche se ne possono fare anche a Sean Parker, per esempio il fatto di indulgere troppo alle mode del momento, e quindi la barbetta curata da hipster, la montatura degli occhiali in tartaruga, la skinny tie e certe camicie dal colletto corto, però su un punto ha mostrato di anteporre lo stile alle mode e di essere quindi consapevole dell'eleganza classica, ed è il famoso nodo Windsor alla cravatta.
E non si può negare che gli manchi il senso estetico, considerando la bellezza di sua moglie.
Magari l'abito da sposa di lei è un tantino esagerato, ma con tutti i soldi che hanno se lo potevano permettere.
La coppia mostra sempre una (fin troppa) attenzione al look e ai cambiamenti di immagine
La moglie non è estranea a scelte bizzarre... come questi capelli in stile Daenerys Targaryen!
I cambiamenti di lei sono continui... lui rimane più fedele ad una certa impostazione da "hipster".
Concludo con una foto d'antan che ritrae Parker e Zuckeberg negli anni della loro iniziale collaborazione (e anche gli attori che hanno interpretato i loro ruoli nel film "The Social Network".
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#100happydays. La moda del "makes me happy for 100 days in a row".
Forse me ne sono accorto tardi, non essendo un utente di Twitter o di Instagram, ma da un po' di tempo impazza la moda dell'hashtag #100happydays.
Di cosa si tratta?
Noi viviamo tempi in cui le liste delle cose da fare e degli impegni programmati hanno raggiunto livelli insopportabili. La velocità della vita cresce e c'è sempre meno tempo per godersi i momenti in cui ci si trova a vivere. E' il famoso discorso del "carpe diem", cogli l'attimo fuggente.
Questa iniziativa vorrebbe andare nella direzione di effettuare il "carpe diem" e apprezzare il contesto in cui si svolge e il nostro stato d'animo, se quel particolare momento ci dà gioia. Questo comportamento sarebbe alla base della costruzione di una specie di "felicità di lungo periodo" per ogni essere umano.
L'iniziativa in questione parte da un dato secondo cui il 71% della popolazione tenta di completare questa sfida del trovare, per cento giorni consecutivi, almeno una cosa al giorno che rende felici e immortalarla con un'immagine o uno status su un social network.
E' così che io me ne sono accorto, vedendo i post di altre persone che improvvisamente hanno incominciato a dichiararsi felici per un certo motivo o per l'altro. La tal cosa mi fa felice, è la frase ricorrente, ma naturalmente in inglese "makes me happy".
Ma perché si dovrebbe fare una cosa simile?
Ci viene spiegato che la gente che ha completato con successo questa sfida ha mostrato di incominciare a notare ciò che la rende felice ogni giorno e quindi a sentirsi di umore migliore ogni giorno. Mostrano di incominciare a ricevere più complimenti dagli altri, di realizzare quanto sono fortunati di avere la vita che hanno. Diventano più ottimisti e a volte si innamorano durante questa sfida.
Se devo essere sincero a me questa sfida mette un po' di ansia, come tutte le sfide, per cui non saprei dire se il tentare una cosa del genere potrebbe produrre in me effetti positivi. Vedendo poi "quanto sono felici" gli altri che condividono le loro foto gioiose, senza invece condividere le loro sofferenze, mi sembrerebbe che la vita degli altri fosse tutta rose e fiori, mentre la mia avrebbe solo una piccola cosa al giorno che mi rende felice. Uso la prima persona solo come esempio. Io so già quello che mi rende felice e lo faccio, mentre non amo "vantarmi" della mia felicità in pubblico, mi sembra una cosa di cattivo gusto. Voi che ne dite? Ce nessuno tra i miei lettori e le mie lettrici che sta provando questa sfida? Vi trovate bene? Ne avete tratto beneficio?
domenica 27 aprile 2014
La "dipendenza" dai social network e i suoi effetti collaterali.
Sempre più persone sono in preda ad una grande confusione dovuta, oggi, non all’uso di una droga conosciuta nel contesto classico delle dipendenze, ma spesso, causata dalla frequentazione di Social Network. Lo sballo di questa “sostanza”non è più identificabile biologicamente attraverso oppiacei che raggiungono recettori sinaptici o altro, ma da un’attivazione diretta del sistema limbico che avviene tramite immagini, video, messaggi, parole ad effetto, che vanno immediatamente ad agire nelle “aree cerebrali del bisogno”.
Inizialmente molti si sono iscritti a Facebook attratti dall’idea di poter contattare qualche vecchio amico di cui si sono perse le tracce o per coltivare una conoscenza che non è ancora così stretta da permettere l'uso della comunicazione telefonica.
Il problema nasce quando il social network diventa lo strumento di comunicazione privilegiato, se non addirittura l'unico.
Davanti ad una persona passano una quantità infinita di informazioni che non possono essere trasmesse attraverso una connessione di rete.
I recenti studi sui neuroni specchio rivelano che coordinate spaziali intorno al corpo, e quindi il rapporto con gli oggetti e le persone che ci circondano, coinvolgono le parti fondamentali del nostro sistema nervoso.
In altre parole, la comunicazione più importante e, soprattutto, le informazioni più importanti passano attraverso il contatto fisico. La vicinanza prossemica, gli odori, la stimolazione galvanica del contatto con la pelle, l’impatto energetico e l’influsso della presenza, sono elementi della relazione che vengono assimilati ed elaborati inconsciamente molto più delle parole.
Novanta milioni di persone tra i quali il 30 per cento degli italiani, soprattutto giovani tra i 25 e i 34 anni, usano uno strumento come Facebook o altre realtà di Internet Community. Cosa li spinge a ciò? Una parola risponde, almeno in parte, a questa domanda: bisogno. Bisogno di affetto, di appartenenza, di apparenza, di marketing, di amore, di rapporti occasionali e chi più ha idee più ne aggiunga. Si tratta comunque di bisogni che non trovando soddisfazione nel campo reale si rivolgono a quello virtuale e non ci sarebbe niente di male in questo, se ne fossimo consapevoli.
Delle domande che potremmo porre a noi stessi mentre stiamo scrivendo qualche messaggio ad effetto, mentre stiamo caricando una nostra particolare foto o filmato, mentre il nostro cuore si accende all’idea di vedere se qualcuno ci ha scritto su Facebook, sono: “quale bisogno c’è dietro? Cosa sto cercando qui? Dove non riesco nella realtà?”.
Mi rendo conto che queste domande possono assomigliare a tecniche di decondizionamento cognitivo comportamentale che solitamente vengono utilizzate per frenare un atto compulsivo, una dipendenza, un istinto automatico, ma se dobbiamo darle un nome, diamole quello giusto: di una dipendenza a volte si tratta. Calcolando il tempo passato davanti a Facebook o a qualsiasi altro Social Network, spesso parliamo di ore che nell’arco di un anno sono settimane intere. Si tratta di un tempo dedicato ad una vera e propria altra realtà. Il problema non è costituto dal soddisfare un bisogno, che è qualcosa di vitale importanza per l’essere umano, ma lo diventa quando questa necessità si trasforma in una dipendenza che ci separa da una nostro esserci pienamente e manifestarci nella realtà.
Riguardo all’amicizia, viene da pensare ai compagni di scuola o a quelle persone particolari con le quali abbiamo condiviso le esperienze più belle ed importanti, amici che ci hanno accompagnato e ci sono stati vicini nei momenti più significativi della nostra vita. Può essere interessante fare un paragone tra queste persone così importanti, che si possono forse contare sulle dita di una mano ed i quattrocento o cinquecento contatti, chiamati “amici”, raggruppati in ogni profilo di Facebook.
Un adulto sa bene qual è la differenza, ma per un adolescente è diverso.
Alcuni valori non sono flessibili a mode o a tendenze, pertanto non ritengo possibile definire ex novo “amicizia” o “amore” attraverso questo nuovo veloce modo di favorire incontri. Anche da questo nasce molta confusione: si coltivano molteplici contatti di amicizia ma ci si sente soli, si manifesta amore in ripetuti rapporti occasionali o pratiche di sesso virtuale e non ci si sente mai amati.
Per non parlare dell’impatto emotivo che può avere la possibilità di rifiutare un’amicizia o ancora peggio ignorarla con un semplice click, o quanto può essere potente e compromettente vedere sparire persone dalla propria vita in un attimo, sostituite con disinvoltura l’istante dopo; questo si verifica quotidianamente nei Social Network.
Le Community sono inoltre una panacea di confessioni ed esibizioni personali, non si risparmiano le più inaspettate intimità, in parallelo al crescente interesse sociale per i Reality e a tutte quelle forme di esserci per gli altri “senza censure”. In questa apparente disponibilità, apertura, generosità di realtà personali in cambio forse di un po’ di capacità di stupire o di visibilità, si perde l’unicità del rapporto, la sacralità della confessione e la segretezza della confidenza; in altre parole si perde ciò che trasforma le relazioni superficiali in relazioni speciali. Riconoscersi in uno sguardo, trovare conferma in un contatto, essere contenuti con uno scambio fisico, viene sostituito da una conferma virtuale, e come ogni cosa non vera, si scinde dalla realtà, perdendo la sua esistenza concreta.
Allora possiamo chiederci: in quale realtà vanno tutte queste parti intime di noi, e soprattutto a chi vann? Cosa succede quando ci eccitiamo, piangiamo, ridiamo, ci soddisfiamo e diamo tutto noi stessi davanti ad uno schermo? A chi vengono indirizzati tutti quei sentimenti espressi ed inviati in messaggi, e-mail video o foto? Dove si disperdono?
Rollo May in Amore e volontà (1970) espone una visione molto chiara dell’individuo della società di allora, gli attribuisce un bisogno di emozioni forti per abbattere un muro di abitudini e d’insensibilità. Oggi, a mio parere, pur essendoci questa necessità, si delinea un altro problema: la scissione e la frammentazione dei vissuti. Non è difficile vivere più realtà contemporaneamente e dividersi in più contesti: amante virtuale e moglie reale, amicizie virtuali e amicizie reali, sesso virtuale e sesso reale, identità virtuale e identità reale.
Facebook, Myspace, Linkedin ed altri Social Network offrono la possibilità di soddisfare immediatamente il bisogno dell’uomo di comunicare, manifestarsi, confrontarsi e completarsi attraverso gli altri, ma rischiano di peggiorare il modo in cui tali bisogni vengono soddisfatti.
Resta aperta dunque la riflessione sulla modalità di esserci con gli altri attraverso delle realtà virtuali e sul pericolo che esse possano diventare una dipendenza, senza le quali si aprirebbe inevitabilmente il confronto con la propria solitudine.
La fiamma di Atar. Capitolo 15. Virginia D.
Quando Luca Bosco fece ritorno nel suo monolocale stipato di libri, gli tornò alla mente che non era sempre stato così. C'era stato un tempo in cui aveva condiviso il suo alloggio con una splendida ragazza, che era stata la sua compagna di vita e di studi ai tempi dell'università. Si chiamava Virginia, ed era stata il suo più grande amore. Si erano amati intensamente, ma tutto era finito troppo presto, e in modo drammatico, perché lei era morta a causa di una strana forma di consunzione, la cui causa non era segreta agli Iniziati, ma doveva rimanere tale per tutti gli altri.
Era stata Virginia stessa a volere questo, per impedire eventuali ritorsioni da parte della famiglia Dracu o della confraternita della Fonte Sacra. Dello stesso parere era stato il direttore Ferrante, a nome della Fiamma di Atar.
Era stata Virginia ad introdurre Luca nel mondo degli Iniziati, anche se aveva pagato un prezzo fin troppo caro per questo.
Luca aveva scritto un resoconto al riguardo, intitolandolo "Virginia D." e poi lo aveva nascosto insieme a tutti gli altri suoi scritti.
Piaga d'amore per allentar d'arco non sana
Eppure Virginia gli aveva fatto promettere che sarebbe andato avanti con la sua vita e che non avrebbe disdegnato eventuali future occasioni di felicità.
Fino a quel momento non ce n'erano state, ed erano passati ormai una decina d'anni.
Perdonami, Virginia, se non sono più riuscito ad essere felice.
Plaisir d'amour ne dure qu'un moment, chagrin d'amour dure toute la vie...
E non solo.
La felicità passata non è più felicità, ma il dolore passato è ancora dolore.
A queste considerazioni, che Luca aveva espresso più volte a Virginia, lei aveva ribattuto dicendo che l'essere stati felici dava già un senso alla vita, a prescindere da ciò che fosse successo dopo.
Virginia era morta senza rimpianti, avendo avuto dalla vita tutta la felicità desiderata.
Luca invece aveva dovuto subite la perdita di quella felicità.
Si chiedeva se a volte non fosse preferibile non aver mai conosciuto il vero amore, piuttosto che averlo conosciuto ed averlo perduto prematuramente.
Non esser mai, non esser mai, ma meno morte che non esser più...
Era tutto così difficile.
Virginia gli aveva mostrato che si poteva essere felici, e forse lo aveva illuso che esistessero scorciatoie per la felicità.
Ma essere belli e giovani, e nati al centro del mondo, non bastava. Non era sufficiente. Forse non era nemmeno necessario.
Non esisteva una ricetta facile. Erano richiesti dei sacrifici. Dietro ad ogni sorriso si celavano fiumi di pianto.
Nel dubbio se fosse meglio essere invidiati che compatiti o viceversa, Luca aveva fatto proprio un atteggiamento di "divina indifferenza".
E anche questo lo aveva appreso da lei.
Il ricordo di lei era così vivo che poteva sentirla parlare. Di solito la sua voce veicolava i messaggi della parte più genuina di lui.
Riscaldati al fuoco della fiamma di Atar. Illumina la strada. Non lasciarti bloccare dalla paura, come un gatto che si ferma in mezzo alla strada, abbagliato dai fari dell'automobile che lo ucciderà.
Erano messaggi in cui Virginia lo metteva in guardia dai pericoli, ma anche dall'eccessiva paura dei pericoli.
Protetto da robuste pareti, il cuore diventa ghiaccio. Lascia che il fuoco lo sciolga. Rifatti una vita...
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