mercoledì 18 dicembre 2013

Edoardo Fanucci e la Web Tax (o Spot Tax) che riguarda anche noi blogger (però sa fare il nodo Windsor alla perfezione!)



Questo baldo giovine, trentenne, bocconiano, commercialista nonché onorevole della Camera dei Deputati per il partito democratico, ha alcuni pregi e un enorme catastrofico difetto.
Partiamo dai pregi: ha una faccia simpatica, è sicuramente ben preparato e, cosa più importante a mio giudizio, sa fare perfettamente il nodo Windsor doppio alla cravatta (tie doubleWindsor knot).



Naturalmente appartiene alla corrente di Matteo Renzi, l'Homo Novus, il Profeta, il Messia, l'Uomo della Provvidenza.



Questo simpatico e solerte giovane deputato si è dato da fare. Non è di quelli che scaldano la sedia o che dormono in aula. No, appartiene a quella minoranza di deputati che sono molto attivi, anche se purtroppo gli esiti della loro attività finisco per provocare danni.
Ma quale danno potrà mai aver fatto il nostro brillante Fanucci?



In quanto membro della Commissione parlamentare Bilancio, ha presentato l'emendamento alla Legge di stabilità del Governo Letta, "Destinazione Italia", il quale "fa scattare l’obbligo di apertura di un partita iva sia per i servizi di e-commerce sia per l’acquisto di link sponsorizzati, di banner. Questo significa che l’advertising può essere venduto soltanto da imprese con regolare partita iva. Il meccanismo è pensato per evitare o comunque arginare il fenomeno dell’acquisto di pubblicità estero-su-estero, che elude il fisco italiano. In pratica, riguarda il business delle transazioni tra imprese."



La cosa riguarda anche molti di noi blogger, in maniera indiretta, nel senso che non siamo noi gli inserzionisti dei banner, però i nostri inserzionisti, forse, dico forse perché poi l'emendamento Fanucci è stato modificato dal presidente di commissione, l'on. Boccia, sempre del PD, dovranno pagare una tassa che tra le altre cose rischia di non essere compatibile con le norme per la libera concorrenza in vigore nell'Unione Europea, il che ci espone ad una procedura di infrazione.



Cito quanto scritto da alcuni colleghi blogger:

"Fanucci del pd è il padre dell'emendamento "web tax" fatto passare col solito colpo di mano in Commissione Bilancio alla Camera. Con Governo (giustamente) ed M5S contrari. La "web tax" produrrà svantaggi e nessun benefico per l’economia italiana, le imprese, i consumatori e finanche le casse dell’erario. I promotori dell’iniziativa si appellano al principio secondo il quale è giusto che per i servizi venduti in Italia, le tasse siano pagate in Italia. Mettiamola così: facciamo che sono un produttore di vino che esporta il bene in un'altro paese comunitario. Secondo voi dovrei pagare le tasse in Italia o nel Paese dove vendo? Beni e servizi digitali non possono essere trattati diversamente dal vino. Chiunque dotato di buonsenso, risponderebbe che è corretto pagare le tasse del bene/servizio nel paese dove lo produco. Perchè? Perchè se vendo il vino in 10 paesi differenti, secondo il pd devo pagare le tasse in 10 paesi differenti. La necessità secondo Fanucci di legare i contenuti digitali e pubblicitari che girano sul web alle aziende che hanno partita IVA in Italia, produrrebbe come effetto la marginalizzazione dell'Italia dall'economia digitale. Perchè Google dovrebbe far girare il suo motore di ricerca in Italia se questo significa per loro pagare più tasse? Semplicemente deciderà di non investire in Italia." Terzo Nick



Fanucci è simpatico ed elegante ed ha una faccia da bravo ragazzo, vagamente somigliante a Beppe Grillo da giovane, no dai scherzo, anche perché questa storia della web tax ha fatto molto arrabbiare il vecchio Beppe, che è il re dei blogger e infatti oggi sul suo blog troviamo scritto quanto segue:

"Nessuna web tax, si ad una piccola e brutta spot-tax. Si è chiusa così, nella notte, in Commissione Bilancio, la partita che ormai da settimane tiene banco, tra addetti ai lavori e non, e della quale, nell’ultimo weekend, si erano occupati anche il neo-eletto Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi e Carlo de Benedetti, Patron del Gruppo L’Espresso, contrario il primo e favorevole il secondo. La Commissione parlamentare, infatti, ha approvato solo il secondo comma della proposta di legge – poi trasformatasi in un emendamento alla Legge di stabilità – presentata da Francesco Boccia (Pd). Niente obbligo generalizzato, dunque, di acquisto online di servizi solo da fornitori dotati di partita Iva italiana ma si a tale obbligo quando si tratterà di comprare “spazi pubblicitari online” e “link sponsorizzati…visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili”. La web tax, in sostanza, esce ridimensionata e ribattezzata dal dibattito parlamentare ed extra parlamentare degli ultimi giorni. Qualcuno, nelle prossime ore, gioirà del risultato e qualcun altro se ne rammaricherà ma la realtà è che non ha vinto nessuno ed abbiamo perso tutti. La legge che l’Assemblea di Montecitorio si avvia ora ad approvare è una brutta legge, anti-europea, di dubbia legittimità costituzionale, sostanzialmente inapplicabile ed anacronistica. Tanto per cominciare, infatti, è evidente che la tagliola che si è abbattuta sul testo scritto e pensato dall’On. Boccia non ne ha modificato l’impianto sostanziale ma solo ridimensionato l’ambito di applicazione con l’ovvia conseguenza che tutte le perplessità ed i dubbi sollevati da più parti circa l’incompatibilità di un’iniziativa tricolore su una materia di evidente interesse comunitario restano valide così come inalterati rimangono i dubbi sollevati dallo stesso Ministero dell’Economia circa la legittimità della norma rispetto alla libertà di impresa costituzionalmente garantita. Il Parlamento, quindi, si avvia a pronunciare il si definitivo su una legge che potrebbe costare al Paese l’apertura di una procedura di infrazione comunitaria con condanna al pagamento della relativa sanzione ed essere poi dichiarata costituzionalmente illegittima. Difficile, in questo contesto, condividere l’urgenza con la quale si è ostinatamente voluto approvare un brandello dell’originaria web tax. Tale difficoltà è resa ancor più tangibile se si pone mente al fatto che – a prescindere da ogni altra considerazione – il ridimensionamento dell’ambito di applicazione della norma ai soli servizi promozionali, riduce significativamente i benefici per l’Erario. Senza voler entrare nella guerra dei numeri che ha, sin qui, diviso favorevoli e contrari al varo della web tax, infatti, è ovvio che se prima il maggior gettito sperato dalla tassazione tricolore di tutti i servizi venduti via web in Italia era modesto, ora diviene davvero marginale. C’è, quindi, da chiedersi se sia valsa davvero la pena assumere un’iniziativa marcatamente anti-europea e di dubbia legittimità costituzionale per portare a casa, forse, una manciata di euro in più. Ma la più importante ragione per la quale quella che il Parlamento si avvia a varare con il voto in aula sarà ricordata come una delle peggiori leggi sul web è un’altra. La legge, infatti, è interamente costruita su un’idea di web che non esiste se non nella fantasia della mano che ha scritto il disegno di legge: un web nel quale vi sarebbero contenuti accessibili dall’Italia e contenuti inaccessibili dal nostro Paese e si potrebbe assoggettare la circolazione dei primi ad un regime fiscale diverso da quella dei secondi. Qualcosa del genere – e per ragioni egualmente poco nobili ma, almeno, più rilevanti in quelle subculture politiche –lo hanno, sin qui pensato solo regimi autoritari come quello cinese, spingendosi ad ergere una “grande muraglia digitale” nel fallito tentativo di impedire ai propri cittadini l’accesso a contenuti provenienti dall’estero. Difficile immaginare come i supporter della nuova spot tax pensino di implementare il rispetto della loro creatura. Quando un imprenditore italiano comprerà spazi pubblicitari o link sponsorizzati, infatti, dovrà chiedere l’emissione di una fattura con partita Iva italiana per quei contenuti che saranno poi effettivamente “cliccati” dal nostro Paese e fattura senza partita Iva – come avviene oggi – quando i contenuti in questione saranno “cliccati” da un consumatore francese, tedesco o inglese al quale abbia legittimamente scelto di far arrivare il proprio messaggio promozionale. E’ ovvio, infatti, che per lo stesso principio alla base della spot tax, se un imprenditore italiano vuole far arrivare il suo messaggio in altri Paesi europei, il servizio non potrà essere tassato in Italia. Tempi duri per i pochi grandi nomi dell’industria italiana: auto, prodotti alimentari, turismo e moda. Da domani comprare pubblicità online diventerà maledettamente più complicato. Ci siamo rinchiusi – con le nostre mani – in un guscio nazionale in un sistema sempre più globale." dal blog di Guido Scorza





Allora cosa facciamo, dobbiamo biasimare l'on. Fanucci per questo pasticcio della web-tax o spot-tax che dir si voglia o lo assolviamo perché ci ispira simpatia, sa scegliersi bene le cravatte e sa fare il nodo Windsor alla perfezione?
In dubio pro reo. Lo assolviamo! Però, mi raccomando, onorevole: la prossima volta, prima di inventarsi una tassa, ci pensi bene... non siamo in uno sperduto consiglio comunale, siamo nel parlamento di un paese schiacciato dalle tasse... quindi attenzione e prudenza!





2 commenti:

  1. Bah, non ho mai avuto molta simpatia per i Bocconiani (sai, io mi sono laureata all'Università Statale di Milano...) perché mi son sempre chiesta se avessero una minima idea della realtà... .
    Grandi pasticcioni!
    A presto, Federica

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    1. Ah ah, conosco molti bocconiani e posso dire che, almeno fino a una decina d'anni fa, lo studio in Bocconi era totalmente astratto, teorico, avulso dal contesto. E i risultati poi si sono visti quando i bocconiani sono andati al governo.
      Adesso non so come sia... avranno capito la lezione?

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