martedì 30 aprile 2019

Tutti i tipi di drago: differenze tra drago, viverna, drake, dragon, wrym e altre specie

Types of DRAGONS | Pagans & Witches

Draconianos

Ci sono vari tipi di drago a seconda della presenza o meno di ali, del numero delle zampe e della grandezza delle dimensioni. "

"Dragon" è l'accezione più generale, indica IL drago (come specie). E' anche usato in senso più ristretto come drago grande, con ali e capacità di "sputare fuoco"

"Drake" invece, viene usato per indicare una razza di drago, più piccola e senza ali.
 Una versione (diffusa nei Balcani) lo descrive come un essere dal corpo umanoide o privo di ali. Un'altra (diffusa in Svezia) lo dipinge come un essere che striscia sul suolo come una serpe, nonostante sia dotato di arti. .

La Viverna è un drago di media grandezza, con ali, ma solo due zampe: è presente in molti stemmi araldici tra cui quello del Wessex.

Il Wyrm è un rettile enorme, ma senza ali e con sole due zampe.

L'Anfitera è un drago di medie dimensioni, alato, ma senza zampe.


Il Lindrwrum è un wyrm dalla pelle spinata.

domenica 28 aprile 2019

I popoli celtici in Italia, la Gallia Senone e la Bandiera gallica della Romagna


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Gallia Cisalpina o Gallia Citeriore è il nome conferito dai Romani in età repubblicana ai territori dell'Italia settentrionale compresi tra il fiume Adige a Levante, le Alpi a Ponente e a Settentrione e il Rubicone a Meridione. Il Podivideva la regione in Gallia Transpadana e Gallia Cispadana. Si trattava dei territori che corrispondevano all'attuale pianura padana, attorno al grande fiume Po, compresi i territori della Liguria a sud-ovest, fino all'attuale Veneto nella sua parte nord-orientale. La regione divenne provincia romana includendo però tutti i territori a ovest del fiume Adige, fino alle Alpi piemontesi.[1]

I Celti e i Celto-Liguri

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Spedizioni celtiche in Italia.
Tito Livio riferisce che attorno al 600 a.C. (Prisco Tarquinio Romae regnante), un'orda di Galli guidata da Belloveso oltrepassò le Alpi e occupò il territorio tra Milano e Cremona (fondando la città di Mediolanum), identificando gli abitanti del luogo, gli Insubri, con questi invasori Galli.[9] Nel Periplo di Scilace, di Scilace di Carianda, viaggiatore e geografo greco attivo tra nel 522-485 a.C. viene attestata la presenza di genti di lingua celtica insediate nell'Italia nord-orientale. Il testo, riscritto circa un secolo dopo dallo pseudo-Silace dopo la perdita dell'originale, racconta del viaggio lungo le coste del mediterraneo compiuto dal viaggiatore greco che descrive le tribù celtiche presenti sulla costa appena a Meridione degli insediamenti dei Veneti in un'epoca che, considerando le date note della vita di Silace, deve aggirarsi attorno al 490 a.C.
Il riesame delle fonti archeologiche, in particolare proprio del passo di Livio che documenta l'arrivo di Belloveso e dei suoi Insubri all'epoca del regno di Tarquinio Prisco (VI secolo a.C.) con la fondazione di Milano, ha costretto a collocare la presenza celtica in Italia almeno al VII secolo a.C. se non prima. La presenza dei Celti in Italia Settentrionale risulta, poi, anteriore alle ondate di invasori ricordate dalle fonti letterarie, come dimostrato dai reperti archeologici.

Popolazioni celticheliguri e veneti della Gallia cisalpina.
Arrivi di nuove popolazioni si verificarono attorno alla fine del V inizi del IV secolo a.C. Comincia una decadenza irreversibile della grecità d'Italia sotto la spinta delle popolazioni italiche, le vie dei commerci attici sono distrutte dalla guerra del Peloponneso e non si riprenderanno più. L'interruzione della circolazione di beni è fonte di una crisi economica che porta, di riflesso, all'impoverimento e alla crisi di tutti quei popoli che erano interlocutori commerciali dei Greci: tra di essi anche i Celti. Le invasioni, siano esse tumultus Gallici o episodi di mercenariato, denotano un quadro di necessità, le popolazioni celtiche dell'Italia settentrionale rinforzano i legami con l'Oltralpe e questo provoca l'arrivo di nuove genti tra le quali i Senoni, i recentissimi advenarum di cui parla Livio, autori del sacco di Roma nel 390 a.C. Le popolazioni celtiche che popolarono la pianura padana sono storicamente note dal famoso passo di Livio.[10] Subito dopo gli Insubri arrivano i Cenomani che occupano il territorio a est dell'Adige, indeterminato è invece l'arrivo delle altre popolazioni che, con un meccanismo "a scavalco" occupano via via tutta la pianura padana meridionale scacciandone Etruschi e Umbri. Livio ricorda Libui e Salluvi che si fermano accanto all'antica tribù dei Laevi, stanziata vicino al Ticino; i Boi e i Lingoni e, da ultimi, i Senoni.[11]
I "nuovi" Celti stabilitisi in Cisalpina potevano tra l'altro acquisire a sé il controllo del mercato di un materiale che da lungo tempo esercitava su di loro una potente attrazione, grazie alle virtù magiche che essi gli attribuivano: il corallo, proveniente soprattutto dal golfo di Napoli, conobbe una vera esplosione, con frequenti applicazioni in torqueelmifoderi di spada e fibule,[12][13] dando origine, soprattutto in Svizzera, sia a un surrogato bronzeo, sia a vere e proprie imitazioni, grazie all'invenzione celtica di uno speciale smalto colorato,[13] realizzato con un particolare procedimento e ampiamente diffuso dal centro-Europa fino all'arcipelago britannico.[14]

Le regioni italiane ridefinite in base ai principali popoli pre-romani da cui hanno avuto origine (secondo Paolo Sizzi)



La mappa sovrastante è stata realizzata da Paolo Sizzi nel suo accurato e interessante blog di etnologia, antropologia, storia, genetica delle popolazioni e politica.
Si parla, in questo caso, di etnoregioni. Un raggruppamento di etnoregioni affini, per esempio quelle che derivano da un substrato gallo-italico e da un superstrato franco-goto-longobardo, possono diventare delle etnonazioni, come la cosiddetta Grande Lombardia, che ingloberebbe, oltre alla Lombardia propriamente detta, anche l'Emilia-Romagna, la Liguria, parte del Piemonte, del Trentino, de Veneto e persino della Toscana (la provincia di Massa-Carrara) e delle Marche (la provincia di Pesaro-Urbino e le zone costiere e collinari fino a Senigallia, o al fiume Esino, al di sotto del quale inizia la vera e propria Marca di Ancona, anticamente detta Piceno).
Il federalismo, l'etnoregionalismo e l'etnonazionalismo possono coesistere sia nell'ambito del territorio italiano che in quello di un'Europa delle "piccole patrie", alternativa a quella dei burocrati e dell'alta finanza.

Per maggiori informazioni al riguardo si rimanda al seguente link: https://ilsizzi.wordpress.com/

La ridefinizione dei confini si basa su criteri linguistici (il substrato dialettale è uno dei principali indizi sul tipo di popolazione preromana che abitava la nostra penisola prima che Roma la unificasse per la prima volta.

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Ma ci sono anche criteri genetici che permettono di individuare gli aplogruppi di DNA del cromosoma Y (paterno) e X (materno, mitocondriale), per determinare l'origine ancestrale degli abitanti di una determinata zona. I test sono in continuo aggiornamento e chiunque si può volontariamente sottoporre all'esame.


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sabato 27 aprile 2019

Mappa dell'Europa dopo la Pace di Utrecht, 1713



Il trattato di UtrechtVerdrag van Utrecht in olandese, comprende una serie di trattati di pace firmati nella città omonima tra il marzo e l'aprile del 1713, che aiutò a porre fine alla Guerra di Successione Spagnola[1], in cui, alla morte di Carlo II d'Asburgo, i suoi due cugini Luigi XIV di Fancia (a nome di suo nipote Filippo) e l'imperatore Carlo VI si contesero la corona di Spagna.
La Francia dovette scontrarsi contro un'ampia coalizione, guidata dagli Asburgo d'Austria, dalla regina Anna Stuart di Gran Bretagna e Irlanda, dai Paesi Bassi e dai duchi di Savoia.


Secondo le decisioni del trattato, il nipote di Luigi XIVFilippo, Duca d'Angiò venne riconosciuto come Filippo V, Re di Spagna, in accordo con le ultime volontà del defunto Carlo II di Spagna, ma l'impero europeo spagnolo venne diviso - gli allora duchi di Savoia si videro restituito il contado di Nizza, ricevettero la Sicilia, poi ceduta in cambio della Sardegna (e con essa il titolo di Re per Vittorio Amedeo II di Savoia ed i suoi successori), l'ex gonzaghesco, il MonferratoAlessandriaValenza, tutta l'alta valle di SusaPinerolo e parti del territorio milanese, mentre l'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI ricevette i Paesi Bassi Spagnoli, il Regno di Napoli e il resto del Ducato di Milano al quale venne annessa l'ex gonzaghesca Mantova. La Sardegna fu invece ceduta alla Baviera di Massimiliano II Emanuele di Wittelsbach, impegno questo che poi a luglio non fu ratificato dall'Austria e costituì il pomo della discordia per la continuazione della guerra.[2] Inoltre, la Spagna cedette Gibilterra e Minorca alla Gran Bretagna e accettò di cedere ai britannici l'Asiento – un prezioso contratto esclusivo per la tratta degli schiavi.
In Nord America, in base agli articoli 10 e 13, la Francia cedette alla Gran Bretagna le sue pretese sui territori della Compagnia della Baia di Hudson nella Terra di RupertTerranova e Acadia. La Francia mantenne l'Île-Saint-Jean (oggi Isola del Principe Edoardo) e l'Île Royale (oggi Isola del Capo Bretone), sulla quale eresse la fortezza di Louisbourg.
Dopo il trattato i francesi continuarono la guerra contro l'imperatore Carlo VI ed il Sacro Romano Impero fino al 1714, quando le ostilità furono terminate dalla pace di Rastatt e dal trattato di Baden nel 1714. Spagna e Portogallo rimasero ufficialmente in guerra fino al trattato di Madrid del 1715, così come il Sacro Romano Impero e la Spagna, ora borbonica, lo furono fino al 1720.
I trattati di Utrecht vennero firmati dai rappresentanti di Luigi XIV di Francia Filippo V di Spagna da una parte, e la Regina Anna di Gran Bretagna, la Repubblica delle Sette Province Unite e il Ducato di Savoia dall'altra.
Nonostante alcuni dubbi sulla legalità di tali misure, Filippo V avrebbe rinunciato al trono francese per sé e per i suoi discendenti, mentre diversi principi francesi - soprattutto il più giovane nipote di Luigi XIV, il Duca di Berry e suo nipote, il Duca di Orléans - rinunciarono alle loro pretese al trono spagnolo, per loro stessi e i loro eredi.
Al momento della firma vennero siglati anche una serie di accordi commerciali.

Stemma della famiglia Asburgo ai tempi della pace di Utrecht


venerdì 26 aprile 2019

Mappa delle conquiste di Luigi XIV, il Re Sole



Luigi XIV dedicò trentadue anni del suo regno alla guerra. Sul letto di morte, il re confessò al futuro Luigi XV: "Ho amato troppo la guerra".
Contrassegnato dal modello di educazione di suo padre, affascinato in gioventù dal principe di Condé, Luigi XIV ebbe modo di confrontarsi con la guerra già all'epoca della Fronda. Spinto dal maresciallo Turenne ricevette un'accurata formazione militare e ricevette il proprio battesimo del fuoco alla Battaglia delle Dune, a 20 anni, dove le sue truppe, da poco alleate con quelle inglesi (all'epoca comandate dal lord protettore Oliver Cromwell) conseguirono un'importante vittoria contro la Spagna. Celebrò queste vittorie a Versailles con un grandioso ciclo di affreschi nella Galleria delle Battaglie.
Del resto la riorganizzazione dell'esercito fu possibile grazie alla revisione delle finanze. 
Se Colbert riformò le finanze, Michel Le Tellier e suo figlio, il marchese di Louvois, si occuparono di riformare le truppe del re con una riforma del reclutamento, degli armamenti e la creazione dell'Hôtel des Invalides nel 1670. Il re chiese inoltre a Vauban di costruire un anello di fortificazioni in tutto il paese. In breve tempo la Francia si trovò con un esercito di 300.000 uomini, il più grande di tutta Europa. Per rafforzare il ruolo della Francia nel mondo, Luigi XIV coinvolse la Francia in una serie di guerre:
Tutte queste guerre ingrandirono notevolmente il territorio francese annettendo l'Alta Alsazia, MetzToulVerdun, il Rossiglione, l'Artois, le Fiandre francesiCambrai, la Contea di Borgogna, la regione della Saar, l'Hainaut e la Bassa Alsazia. 
Queste acquisizioni segnarono l'egemonia francese in Europa e chi, come il doge di Genova o il duca di Lorena, ebbe l'ardire di sfidare il Re Sole, ne pagò le conseguenze.
Questo stato di guerra permanente, tuttavia, portò lo stato sull'orlo della bancarotta, costringendolo a levare pesanti tasse sulla popolazione, ma anche sulla nobiltà (tassa sul capitale, decima, ecc.). Anche la famiglia reale venne costretta a pagare le tasse.

Mappa dell'Impero Genovese all'apogeo

giovedì 25 aprile 2019

Mappa dell'evoluzione dei domini dei Savoia

Lands of Victor Amadeus II, Duke of Savoy - it.png

Il Ducato di Savoia nacque nel 1416 dall'elevazione a rango ducale della Contea di SavoiaStato tenuto dall'omonima dinastia dei Savoia, e terminò, a seguito della fusione perfetta del 1847, con l'incorporazione nel Regno di Sardegna.
Il Ducato, oltre agli attuali dipartimenti francesi della Savoia, dell'Alta Savoia e delle Alpi Marittime, comprendeva anche la Moriana e numerosi possedimenti italiani in Valle d'Aosta (poi elevata anch'essa a ducato) e gran parte del Principato del Piemonte e della Contea di Nizza
Il Ducato di Aosta fu ufficialmente riconosciuto come feudo ducale nel 1536, sempre sotto la dinastia dei Savoia, e venne governato dal Conseil des Commis. Adottò il francese come lingua ufficiale tre anni prima della Francia che lo sostituì al latino solo nel 1539.
Il Ducato di Savoia rimase conteso tra varie potenze per gran parte della sua storia, riuscendo, infine, con Emanuele Filiberto, a imporsi con fermezza nella scena politica italiana, pur appoggiandosi prima alla corona di Spagna, poi al Regno di Francia e infine all'Impero austriaco. Al termine della Guerra di successione spagnola, grazie al Trattato di Utrecht, essendo tra i vincitori, i Savoia ottennero la corona del Regno di Sicilia e il conseguente titolo regio nel 1713. I Savoia mantennero la sovranità sulla Sicilia fino al 1720 quando, a causa delle pressioni internazionali, dovettero accettare lo scambio col Regno di Sardegna (che, nel 1861, sarebbe diventato il Regno d'Italia).

Ducato di Savoia e Regno di Sardegna

Dopo che Vittorio Amedeo II di Savoia fu incoronato Re di Sardegna, continuò comunque a mantenere il titolo di Duca di Savoia, mentre gli altri titoli furono riservati ai vari membri della famiglia reale: il Principe di Piemonte era considerato l'erede al trono, il Duca di Aosta era il terzo, come importanza. Seguivano poi i titolari della Contea di Nizza, del Marchesato di Saluzzo (poi incorporato nel Piemonte) e della Marca del Monferrato.
La prima preoccupazione, dopo la ridefinizione dei confini conseguente il trattato di Utrecht, fu quella di rafforzare il confine occidentale. All'uopo venne incaricato l'architetto Ignazio Bertola, figlio adottivo di Antonio, di rafforzare il Forte di Exilles. I lavori durarono oltre sei anni (furono terminati nel 1726) e alla fine il forte risultò un gioiello di arte militare.
Nel 1708 cominciarono i lavori di un altro forte, quello della Brunetta, posto su uno sperone di roccia sovrastante la città di Susa, sulla sinistra orografica della Dora Riparia. Il forte, un dedalo di gallerie e casematte considerato imprendibile, necessitò 30 anni di lavori per il suo completamento.
Nel 1730 Vittorio Amedeo II, dopo aver sposato morganaticamente Anna Canalis, contessa di Cumiana e successivamente marchesa di Spigno, abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele III e si ritirò con la Canalis a Chambéry. Rientrò tuttavia poco dopo a Torino con l'intento di riprendere il suo posto di Duca di Savoia e Re di Sardegna ma il figlio, d'accordo con il governo in carica, lo fece arrestare a Moncalieri, imponendogli il soggiorno coatto a Rivoli. Colpito da ictus nel febbraio del 1731, gli venne concesso il trasferimento a Moncalieri, ove spirò pochi mesi dopo.
Nel 1741 scoppiò la guerra di successione austriaca e il Regno di Sardegna, con il Ducato di Savoia, si schierò con gli stati che sostenevano Maria Teresa d'Austria e la validità della Prammatica sanzione (AsburgoGran BretagnaRussia, ecc.). Truppe franco-spagnole, comandate dallo spagnolo don Filippo e dal francese principe di Borbone-Conti, occuparono nel 1744 Nizza e la Savoia, entrarono in Piemonte occupando il Monferrato e sconfissero le truppe sabaude a Madonna dell'Olmo, ma non riuscirono a conquistare Cuneo, il cui assedio venne tosto abbandonato dai franco-spagnoli. La guerra si sviluppò con alterne vicende: l'anno successivo i francesi tentarono l'invasione del ducato passando dal colle del Monginevro e attaccando il forte di Exilles ma furono respinti dalle cannonate provenienti dal forte.[9] Nel 1747 un analogo tentativo da parte francese, esperito dal comandante, generale Belle-Isle, facendo passare le truppe sulla cresta che separa la Val Chisone dall'Alta val di Susa al fine di aggirare l'ostacolo del forte di Exilles, culminò con una pesante sconfitta franco-spagnola sul pianoro del colle dell'Assietta. Questo fu l'ultimo episodio della guerra di successione austriaca che interessò direttamente il ducato. Tuttavia, con la pace di Aquisgrana, che il 18 ottobre 1748 chiudeva la guerra di successione austriaca, il Ducato/Regno acquisiva le contee di AngeraVigevanoVoghera e Bobbio, portando i confini orientali al Ticino.
Verso la fine della prima metà del secolo XVIII, la Savoia, parte del territorio dell'omonimo ducato, venne suddivisa in sei province:

Occupazione francese del Piemonte e trasferimento dei Savoia a Cagliari

Nel 1799, dopo che le armate napoleoniche si erano impossessate dell'Italia settentrionale, Carlo Emanuele IV e un'ampia parte della sua corte dovettero riparare a Cagliari. Qui essi restarono per qualche mese, trasferendosi poi di nuovo nella penisola, dopo aver nominato Carlo Felice viceré dell'isola. Vittorio Emanuele I vi fece ritorno nel 1806. Il soggiorno della famiglia reale in Sardegna durò fino al 1814 per Vittorio Emanuele I, sino al 1815 per la moglie Maria Teresa d'Asburgo Este e le loro figlie, sino al 1816 per Carlo Felice e sua moglie Maria Cristina di Borbone Napoli.
I reali a Cagliari si stabilirono nel palazzo regio[56], edificio risalente al XIV secolo situato nel quartiere di Castello, già residenza dei vicerè di Sardegna dal 1337 fino al 1847
Le spese di mantenimento della corte e dei funzionari statali gravarono certo sulla casse del regno, ma, nello stesso tempo, la trasformazione in palazzo regio del palazzo vice-regio e lo stabilirsi di una corte ebbe conseguenze importanti per lo sviluppo dell'isola. Per la prima volta si assistette allo nascita di artisti di corte sardi, che la Corona inviò a formarsi sul continente (in particolare a Roma). Inoltre la nobiltà e la borghesia sarda ebbero modo di stabilire rapporti assai stretti con i vari esponenti di Casa Savoia e alla Restaurazione ottennero a Torino incarichi che sarebbero stati impensabili nel corso dei decenni precedenti.

La Restaurazione e le riforme

I territori del Regno di Sardegna nel 1815 dopo la restaurazione e l'annessione della repubblica di Genova
Con la fine dell'epopea napoleonica e il Congresso di Vienna, i Savoia, rientrati a Torino, ottennero la Repubblica di Genova, senza un plebiscito che sancisse tale annessione[57]. Gli interessi della casa regnante erano sempre più rivolti alla Lombardia e all'Italia settentrionale, ma ancora senza collegamenti con le nascenti richieste di liberazione e di unità nazionale italiana. Benché avversa a qualsiasi innovazione radicale delle istituzioni, nel periodo della Restaurazione la casa regnante promosse un certo rinnovamento legislativo.[58][59][60] Nel 1820 in Sardegna venne emanato dal re Vittorio Emanuele I un editto che consentiva a chiunque di diventare proprietario di un pezzo di terra che fosse riuscito a cingere: era il cosiddetto Editto delle Chiudende[61]. Nel 1827 il re Carlo Felice estese alla Sardegna il nuovo codice civile, abrogando così l'antica Carta de Logu, legge di riferimento generale per tutta l'isola sin dai tempi di Eleonora d'Arborea, mantenuta in vigore da Catalani e Spagnoli. Tra il 1836 e il 1838, il re Carlo Alberto infine abolì il sistema feudale.
La bandiera adottata dal Regno di Sardegna (poi dal Regno d'Italia dal 1861) per decisione di Carlo Alberto nel 1848
Il riscatto monetario dei territori sottratti all'aristocrazia e all'alto clero fu fatto gravare, sotto forma di tributi, sulle popolazioni.[non chiaro] Col ricavato, molte famiglie aristocratiche poterono addirittura ricomprare in proprietà piena una larga parte dei terreni feudali. Questa serie di misure legislative, apparentemente volta a favorire il progresso economico dell'agricoltura e quindi dell'intera economia sarda, si rivelò in buona parte controproducente, perché le nuove proprietà fondiarie, non più destinate agli usi comunitari, furono destinate all'affitto per il pascolo, meno costoso e più remunerativo della messa a coltura, favorendo la rendita passiva rispetto alle attività produttive. Mentre sui possedimenti sabaudi del continente si avviava il decisivo processo di modernizzazione, in Sardegna crescevano gli squilibri sociali ed economici e le risorse dell'isola (miniere, legname, saline, produzione lattiero-casearia) venivano appaltate e date in concessione per lo più a stranieri, in un ciclo economico di stampo coloniale. La situazione sarda rimase dunque stagnante, con periodiche ribellioni popolari e alimento dell'atavico banditismo[62].
Il processo di riforma si concluse nel 1847, su pressione della borghesia sassarese e cagliaritana, con la concessione da parte del re Carlo Alberto dell'Unione o Fusione Perfetta con gli stati di Terraferma. La Sardegna perse ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale; Claudio Gabriele de Launay fu l'ultimo vicerè dell'isola e questa confluì in uno Stato più grande, il cui baricentro risultava sul continente. L'obiettivo degli unionisti sardi, a detta di Pietro Martini, era il «trapiantamento in Sardegna, senza riserve ed ostacoli, della civiltà e coltura continentale, la formazione d’una sola famiglia civile sotto un solo Padre meglio che Re, il Grande Carlo Alberto»[63]; purtuttavia, l'Unione Perfetta non apportò i vantaggi auspicati all'isola, dal punto di vista economico, politico, sociale e culturale. Tale esito, ben chiaro sin dai primi anni dopo l'avvenuta fusione istituzionale, diede adito alla cosiddetta "Questione Sarda" con la prima stagione del pensiero autonomista sardo (Giorgio AsproniGiovanni Battista Tuveri, ecc.). Ad ogni modo, durante l'intero periodo di governo Sabaudo (1720-1861), la popolazione della Sardegna crebbe dai 312.000 del 1728 ai 609.000 del 1861 con un incremento del 95 %, segno di un lento ma graduale miglioramento della struttura economica e delle condizioni sanitarie.


Il Regno delle Due Sicilie

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Il Regno delle Due Sicilie fu uno Stato sovrano dell'Europa meridionale esistito dal dicembre 1816 al febbraio 1861, ovvero dalla Restaurazione all'Unità d'Italia.
Prima della Rivoluzione francese del 1789 e delle successive campagne napoleoniche, la dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia.
Un anno dopo il congresso di Vienna e con il Trattato di Casalanza, il sovrano Borbone che prima d'allora assumeva in sé la corona napoletana (al di qua del Faro) come Ferdinando IV, e quella siciliana (al di là del Faro) come Ferdinando III, riunì in un'unica entità statuale il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, attraverso la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie dell'8 dicembre 1816, a quasi 400 anni dalla prima proclamazione del Regno Utriusque Siciliae da parte di Alfonso il Magnanimo. Inizialmente la capitale era Palermo (secolare sede del Parlamento Siciliano), ma già l’anno successivo (1817) fu spostata a Napoli[1]. Palermo continuò ad essere considerata "città capitale" dell'isola di Sicilia.[2]
Ebbe fine con la firma dell'armistizio e la resa di Francesco II il 17 febbraio 1861 e con la proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo dello stesso anno.


Regno delle Due Sicilie – Bandiera
Regno delle Due Sicilie - Stemma