sabato 25 aprile 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 62. Rubare la scena alla sposa

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Le nozze di Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini, nel giugno del 1974, furono l'unica occasione in cui tutti i personaggi di questo romanzo (ovviamente quelli all'epoca viventi) si incontrarono di persona e sedettero fianco a fianco nello stesso luogo.
E dunque tali nozze possono essere considerate come il punto in cui le vite "quasi parallele" a cui fa riferimento il titolo, simili a rette in uno spazio geometrico, si incrociarono per poi tornare, lentamente, ma inesorabilmente, ad allontanarsi.
Dal momento che il numero di invitati era decisamente troppo grande per la chiesa di Casemurate o di Pievequinta, gli sposi decisero che la cerimonia si sarebbe tenuta nella basilica di San Mercuriale, nel centro di Forlì, a metà strada tra le residenze delle rispettive famiglie.
Ad officiare la funzione, a fianco del parroco di San Mercuriale, fu chiamato Don Pino Ricci, lo sferico e panciuto parroco di Casemurate, cugino del padre della sposa.
Don Pino era un uomo che ispirava serenità solo a guardarlo: il suo volto roseo e circolare era improntato ad un eterno sorriso. Era noto per una risposta costante e memorabile, ogni volta che un fedele in preda al dolore gli chiedeva dove fosse Dio: <<Dio è ovunque, ma Gesù è qui>>
Per l'Arciprete di Cervia, che faceva le veci dell'Arcivescovo di Ravenna, questa asserzione era al limite dell'eresia, ma la parrocchia di Don Pino rientrava nella Diocesi di Forlì, e dunque "il Don" rispondeva soltanto al Vescovo di Forlì, uomo pragmatico e molto amico del senatore democristiano Leandro Baroni, marito di Caterina Ricci, sorella maggiore di Ettore e quindi cugina dello stesso Don Pino, il quale si considerava, a ragione, in una botte di ferro.
Come il lettore avrà certamente intuito, Forlì è una cittadina piccola e piuttosto noiosa, un posto dove non succede mai niente, a parte qualche mostra di quadri e qualche scossa di terremoto.
Per questo il matrimonio tra Silvia e Francesco, due docenti già noti e apprezzati, con un grande numero di amici e parenti "di peso", tra cui famosi e controversi notabili, "optimates" e personaggi altolocati, divenne, contro le intenzioni degli sposi, un evento mondano che riscosse da parte della popolazione locale un entusiasmo spropositato, manco si trattasse delle nozze del Principe di Galles.
Per l'occasione, i genitori della sposa, Ettore Ricci e Diana Orsini, finsero di andare d'amore e d'accordo, per la prima volta nella vita.
Si rivolgevano persino qualche sorriso accompagnato da un monosillabo, non molto, ma era già qualcosa.
I genitori dello sposo spiccavano per la loro altezza e distinzione: Romano Monterovere era alto due metri e sua moglie Giulia Lanni era molto longilinea, benché la sua bellezza apparisse debilitata dalla malattia cardiaca che di lì a due anni l'avrebbe portata precocemente alla tomba.
Romano Monterovere, integer vitae scelerisque purus, sembrava un tedesco di "pura razza ariana", con quegli occhi azzurri, quei capelli d'oro e avorio e quello sguardo severo alla Rommel che incuteva timore reverenziale.
Le due consuocere Diana Orsini e Giulia Lanni si conobbero per la prima volta e ahimè anche ultima volta, e scoprirono di essere stranamente simili, sia nel fisico che nel carattere.
C'erano anche le tre nonne ultranovantenni degli sposi: la maestra Clara Torricelli vedova Ricci, la contessa madre Emilia Orsini, nata de' Calboli, e la matriarca Eleonora Bonaccorsi Monterovere, che in quel contesto ritenne opportuno rispolverare il feudo perduto, presentandosi come Contessa di Querciagrossa e di Pavullo nel Frignano.
Queste tre dame rinsecchite, ingioiellate, con ampi cappelli piumati e ghirigori di pizzo bianco, ricordavano la buonanima della "queen Mary" di Teck (moglie di Giorgio V e nonna di Elisabetta II), e pertanto sembravano l'ultimo, antichissimo residuo della Belle Epoque: rimanenze di un'età conclusa da molto tempo, e che tuttavia persisteva, ostinata, nel non voler morire.

Pre-War photo of Queen Mary wearing a wide hat | Grand Ladies | gogm

Seguiva la sorella minore di donna Eleonora, ossia Valentina Bassi-Pallai, nata Bonaccorsi, col marito Carlomanno e le figlie Berta e Fernanda. I Bassi-Pallai erano tutti soci di peso della premiata ditta Fratelli Monterovere, un dettaglio che avrà un notevole peso negli eventi futuri di questa narrazione.
Giulia Lanni Monterovere, molto emozionata, accompagnò all'altare il figlio Francesco.
La sposa si fece aspettare il classico quarto d'ora e poi fece il suo ingesso, deludendo tutti per il minimalismo e la sobrietà del suo abito da sposa.
Ettore Ricci, con aria seccata e la lingua tra i denti (immortalata per l'eternità dal fotografo) fece la stessa cosa con sua figlia Silvia, lanciando occhiate minacciose a destra e a manca.
L'abito di Silvia, per quanto minimalista, era comunque molto elegante.
Purtroppo tale sobrietà non apparteneva alla grande maggioranza delle invitate.
Esiste una regola ferrea, riguardo a come vestirsi ai matrimoni: non bisogna rubare la scena agli sposi, e in particolare le invitate non devono rubare la scena alla sposa.
Ebbene, le numerose fotografie che hanno immortalato quel giorno memorabile mostrano senza ombra di dubbio che mai, in tutta la storia, la regola del "non rubare la scena alla sposa" fu violata in maniera così plateale.
Certo gli Anni Settanta non erano sobri, ma quella cerimonia involontariamente barocca andò molto oltre.
Come c'era da aspettarsi, colei che più di ogni altra invitata attirò su di sé l'attenzione, anche se in maniera ridicola e a tratti esilarante, fu l'ultraottantenne  Signorina Mariucca De' Toschi, la cui mise tutta fiocchi, balze, gioielli e boccoli, unita alla sua imponente e massiccia bruttezza, ricordava, per gli intenditori, quella di Sua Altezza Reale Anna Maria Luisa di Borbone-Orleans, Duchessa di Montpensier, meglio conosciuta, nella Versailles di Luigi XIV, come La Grande Mademoiselle.

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A pensarci bene, la Signorina De Toschi era in tutto e per tutto la reincarnazione della Grande Mademoiselle de Montpensier.
Ma non fu l'unica ad esibire uno sfarzo degno del più esuberante barocco.
Infatti, il secondo posto in ordine di vistosità, fu il look di Anita Monterovere, zia dello sposo, anche lei zitella e nel contempo ninfomane, animatrice di salotti e personalità istrionica con evidente disturbo narcisistico della personalità-
Anita detestava la sposa e dunque la sua scelta di rubarle la scena fu doppiamente colpevole.
Si presentò completamente vestita di nero (per sottolineare la luttuosità rappresentata per lei da quell'evento), con un cappello a veletta sopra una tinta di capelli rosso fuoco catarifrangente, occhiali da sole oblunghi e puntati verso l'alto, tenuti anche in chiesa, pelliccia ottenuta sterminando l'intera popolazione dei visoni della Siberia, sigaretta con bocchino d'avorio, perennemente accesa, calze a rete nere, scarpe nere a punta con tacco 14.
Ma lo spettacolo più impressionante derivò dalle sorelle e dai fratelli di Ettore Ricci.
La più grande, Caterina, moglie del Senatore Baroni, sembrava un incrocio tra Mina, Milva e Iva Zanicchi.
La seconda, Carolina, vedova del Conte Gagni di Montescuto, indossava una tiara di diamanti e smeraldi con collier, orecchini e anelli in coordinato,
Ma era nulla rispetto a ciò che segue.
La terza, Adriana Ricci diede scandalo vestendosi da uomo.
I due fratelli di Ettore riuscirono a fare anche peggio.
Aristide indossò un tight con tuba che sarebbe stato considerato eccessivo anche al Royal Ascot.
L'altro fratello, il ruvido e burbero Alberico, che per principio faceva tutto il contrario di quel che erano le convenzioni, sembrava un barbone.
La quarta ed ultima sorella, Maria Teresa, era ancor più sferica di Don Pino, ed era tutta impegnata a tenere a bada il marito, l'ex commissario in pensione Onofrio Tartaglia, che cercava di sedurre ogni donna al di sotto dei trent'anni, comprese le minorenni.
I figli di Maria Teresa erano un'attrazione da circo: enorme e impassibile, Arido occupava una panca intera. Magrissima e tignosa, con gli occhi fissi e il naso a becco.
Aurelia sembrava un barbagianni e suo marito, l'ufficiale sardo Augusto Vermis, era calvo, basso e rotondo nel viso e nella pancia, ma i suoi occhi libidinosi tradivano una rapacità sessuale di non poco conto.
L'unica bella e maestosa, Viviana, mostrava con orgoglio il fidanzato cavaliere Piercarlo Maria Zampetti, ricco imprenditore della zona.
Infine, vistosamente incinta, Virginia copriva interamente il magrissimo marito, ingegner Lando Landini.
Passando momentaneamente al "lato nobile della famiglia", un posto di primo piano era ricoperto Ginevra Orsini e da suo marito, il giudice Guglielmo De Gubernatis.
Ginevra aveva un fascino simile a quello di sua sorella Diana, ma al contrario di lei aveva i capelli rossi e gli occhi verdi, come la madre, e aveva assunto, col tempo, un portamento rigido e solenne, tipico delle dame dell'alta società impegnate in opere filantropiche per far dimenticare gli scandali di famiglia (suo marito aveva infatti avuto un figlio dalla segretaria, ma di questo si parlerà in uno dei capitoli successivi)
Le figlie gemelle di Ginevra Orsini e del giudice De Gubernatis occupavano a loro volta un ruolo di spicco nella "crème de la crème" forlivese.
Elisabetta sembrava la sosia di Jackie Kennedy durante il matrimonio con Onassis.
La sua felicità era ben motivata: finalmente era riuscita nel suo decennale obiettivo, ossia fidanzarsi con Massimo Braghiri, il quale, a trentacinque anni, aveva già i capelli bianchi, dovuti allo stress derivante dalla sconfitta nei tentativi di impalmare Silvia Ricci-Orsini. Ma già la sua mente tramava una vendetta implacabile, che era destinata ad avverarsi in tutti i minimi dettagli.
L'altra gemella, Anna si era fatta le meches, ma a catturare l'attenzione fu suo marito, Adriano Trombatore, il Sommo Poeta, che per l'occasione sfoggiava un vero look bohémienne: capelli lunghi e scompigliati alla Beethoven, cappello floscio alla Goethe, pipa, mantello alla Sherlock Holmes, sciarpa di seta alla Oscar Wilde, giacca di velluto marrone, un'ombra di barba di tre giorni, pantaloni bordeaux, stivali neri lucidi, panciotto di satin verde pisello con orologio d'oro da taschino, sul cui coperchio era inciso in corsivo il motto di famiglia: "De Bono et Malo".
Fortunatamente i testimoni, le damigelle e i paggetti riuscirono a contenere il loro estro.
Testimoni dello sposo erano suo fratello Lorenzo, ricercatore universitario, e suo cognato Ludovico Lamoni, marito di Enrichetta, la quale era perennemente occupata a tenere a bada i due figli fin troppo esuberanti
Testimoni della sposa erano i cognati, Amilcare Spreti di Serachieda, marito di Margherita Ricci-Orsini e Silvio Zanetti Protonotari Campi, marito di Isabella Ricci-Orsini.
La loro aria compunta sembrava quasi voler dire addio ad un terzo dell'eredità di Ettore Ricci.
Ida Braghiri, suo marito Michele e i loro numerosi figli e nipoti, erano tutti lividi per l'invidia e pareva che già tramassero qualcosa per rovinare la festa.
Ma la vera attrazione erano i pezzi grossi: molti imboscati, infatti, erano accorsi più che altro per incontrare di persona i notabili.
Il Senatore Baroni, andreottiano, complottava trame politiche col Vice-Preside Prof. Priamo Marchesi, eminente doroteo, col sottosegretario De Angelis, socialista e con l'assessore Edoardo Monterovere, comunista (di cui furono molto apprezzate la moglie e le figlie, di una bellezza dal sapor mediorientale) insieme al Presidente del Rotary Club, Everardo Rocca Rossellino, liberale di vecchio stampo,  e all'Avvocato Altiero Oddi Ruspanti, Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone, che ricordava Marlon Brando nella parte di Don Vito Corleone.
Inutile dire che fu un gran giorno.
Fu anche l'inizio di un matrimonio d'amore, molto ben riuscito, ma destinato a dover affrontare troppe avversità e una sciagura inenarrabile, ossia un figlio totalmente inadeguato alle grandissime aspettative nutrite nei suoi confronti da due intere dinastie.