lunedì 11 ottobre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 163. Due anni dopo (Milano, ottobre 1994)




Nei due anni che seguirono, Roberto Monterovere riuscì a conseguire tutti gli obiettivi che si era prefissato, ma a caro prezzo. 
Apparentemente la sua situazione era invidiabile: aveva superato l'esame di Maturità col massimo dei voti e la sua relazione con Aurora era sempre più solida e felice, specie dopo che, effettuato l'intervento per eliminare il problema della fimosi, finalmente lui e la fidanzata avevano potuto fare l'amore in maniera completa, reciprocamente appagante ed estasiante.
La salute fisica di entrambi era ottima, così come l'avvenire radioso che ormai, per chi li osservasse dall'esterno, sembrava a portata di mano: l'università insieme, una laurea prestigiosa, un lavoro ancor più prestigioso, nozze spettacolari, un matrimonio felice, tanti figli ancor più felici e una famiglia armoniosa destinata diventare una vera e propria dinastia.
Erano sogni illusori, certo, ma come scriveva Foscolo: "Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore".

Ma dietro a quella idilliaca facciata, Roberto e Aurora erano ben consapevoli che il loro sogno poggiava su basi troppo fragili.
Due anni di guerra fredda con il prof. Sarpenti e con i suoi sgherri, Vittorio Braghiri e Felice Porcu, avevano logorato la mente del giovane Monterovere per lo stress continuo a cui era stato sottoposto, la rabbia repressa e lo studio eccessivo per non farsi mai trovare impreparato.
E non aveva avuto nemmeno il tempo di riposarsi, perché bisognava decidere in quale università iscriversi e in quale facoltà, e poi prepararsi per gli eventuali test di ammissione, e trovare un nuovo alloggio e incominciare una nuova vita.
I genitori di Roberto e molti parenti e conoscenti speravano che lui scegliesse Medicina: faceva sempre comodo avere un medico in famiglia.
Lui aveva preso in considerazione questa possibilità, ma c'erano alcuni "impedimenti dirimenti" che non erano superabili: Roberto era terrorizzato dall'idea di dover assistere a delle autopsie e poi era tremendamente ipocondriaco, come suo padre e suo nonno Romano.
Gli sarebbe piaciuto piuttosto studiare Chimica farmaceutica, perché già allora aveva un'ampia conoscenza dei farmaci, però non riusciva a vedersi in un laboratorio di precisione: era troppo sbadato, distratto e casinista.
Il nonno e il prozio Edoardo volevano che scegliesse Ingegneria Civile Idraulica, ma Roberto disse subito di no per un motivo ben preciso: 
<<Non voglio avere più a che fare con esami basati sulla matematica, la fisica e il disegno tecnico>>
Sarpenti era riuscito ad ottenere almeno quella vittoria.
A quel punto rimanevano in piedi soltanto due opzioni diversissime tra loro: una laurea in una disciplina umanistica (Lettere o Storia), cosa sostenuta sia da sua nonna Diana che dallo zio Lorenzo (e quella fu l'unica volta che la pensarono allo stesso modo) oppure Economia a Milano, come Roberto aveva promesso al suo nonno materno, il compianto Ettore Ricci, e anche al padre di Aurora, che sapeva che sua figlia avrebbe seguito il fidanzato anche se si fosse iscritto all'università di Kabul, e dunque era essenziale che la scelta ricadesse su una laurea in materie economiche e in una università prestigiosa.
Furono quelle due promesse a determinare la sua scelta, perché i Monterovere mantenevano sempre la parola data e non avevano pace fintanto che non avessero ripagato i propri debiti, nel bene e nel male.

Col senno di poi è fin troppo facile dire che si trattò della scelta più disastrosa di tutta la sua vita, ma all'epoca parve a molti una cosa sensata, dal momento che sia lui che Aurora erano eredi presuntivi di importanti attività economiche.
Conoscendo bene Roberto, possiamo aggiungere una terza motivazione, che forse lui non confessò nemmeno a se stesso, e cioè che c'era nella sua volontà una specie di spirito di rivalsa nei confronti di chi credeva che lui fosse un inetto nelle questioni pratiche e gestionali.
Tutti avevano dovuto ammettere che negli studi era imbattibile e che era una specie di macchina che preparava esami con grande efficienza, ma quasi tutti non lo ritenevano capace di amministrare alcunché. 
Purtroppo, a posteriori, possiamo dire che avevano ragione loro, perché alla fine gli risultò gravoso e stressante persino occuparsi della gestione del patrimonio dei suoi genitori, i quali gli delegarono l'amministrazione a partire dal 2011, essendo loro digiuni di ogni conoscenza economica, e ormai già anziani e malandati, quando ereditarono ciò che restava dell'impero dei rispettivi genitori, il nonno paterno Romano e la nonna materna Diana Orsini, che si spensero quasi centenari, essendo dotati di una longevità windsoriana.
Ma, a nostro parere, esiste un'ulteriore motivazione, che va ricercata nel momento storico che il mondo e l'Italia stavano vivendo nel 1994.
Il crollo dell'impero sovietico e il declino dell'ideologia marxista-leninista aveva colpito profondamente l'immaginario collettivo, che vedeva ormai nel neoliberismo l'unico modello vincente.
In Italia la situazione era, come sempre, un po' più complessa.
Era l'epoca del primo governo Berlusconi, che professava il laissez faire, l'esaltazione del Libero Mercato, la privatizzazione dei beni e servizi pubblici, i tagli delle tasse contestuali a quelli del welfare, a partire dal sistema pensionistico.
Per ironia della sorte queste riforme furono realizzate soprattutto dai governi di centro-sinistra, ma all'epoca la sinistra doveva ancora riprendersi del tutto dalla crisi del comunismo e del socialismo, e la DC si era disintegrata, per cui Silvio Berlusconi, con la sua immagine di imprenditore vincente, sedusse la maggioranza degli italiani moderati e fu l'incarnazione della vittoria del Mercato.
L'ubriacatura durò poco, salvo poi ricaderci altre due volte.
In un simile contesto, studiare Economia a Milano sembrava la scelta più in sintonia con lo Spirito del Tempo.
Quando Roberto comunicò la propria decisione, che era anche quella di Aurora, ci fu un po' di perplessità e il più contrario di tutti fu lo zio Lorenzo, che tentò un'ultima disperata requisitoria contro la scelta bocconiana.
Come sempre si incontrò con Roberto e Aurora, all'insaputa di Francesco e Silvia, che invece avevano concesso al figlio il sostegno morale e finanziario per i suoi progetti.

L'incontro tra i due fidanzati e lo zio Lorenzo avvenne a Bologna, dove Aurora e Roberto si recarono in macchina, quella di lei naturalmente, una Porsche Boxter pagata dai Visconti-Ordelaffi e guidata solo ed esclusivamente dalla loro incantevole figlia.




Lorenzo fece fare loro un piccolo tour di Bologna, che però apparve piuttosto degradata, specialmente ad Aurora, che incominciò una filippica contro questa "città di comunisti e sinistroidi".
Pranzarono in un buon ristorante, di cui però Roberto non ricorda nemmeno il nome e l'ubicazione, perché era concentrato soltanto su ciò che lo zio aveva da dirgli.
E Lorenzo attaccò subito:
<<Roberto, tu non puoi tradire te stesso scegliendo di entrare nel Tempio del dio Denaro.
A Milano la filosofia della tua generazione si sintetizza in tre parole: profitto, consumo e godimento. 
Tu non sei così, hai sempre condannato il narcisismo egocentrico ed edonistico, il carrierismo a tutti i costi, la vita frenetica, il fare lavori che non ci piacciono per comprare cose che non ci servono.
Il denaro è un mezzo, ed è utile, non lo nego, ma non devi farne il tuo Idolo d'oro.
Se hai bisogno di denaro per il Feudo Orsini, te lo farò avere io, tramite Albedo, ma tu, ora che hai superato brillantemente la Prova del Dolore, non puoi correre il rischio di sottoporti ad uno stress ancora più pesante. Corri un grande pericolo!
Soldi, carriera, successo, consumo e piacere: tutte queste cose sono le tentazioni di Satana!
Possibile che tu non le riconosca?
Ricorda la lettera agli Efesini in cui Paolo ci invita a "resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti"!>>
Roberto fu colpito da quelle parole, ma a rispondere non fu lui.
Aurora si era infuriata:
<<Ma chi credi di essere, il Papa? Hai abbandonato Roberto per due anni, lasciando che fossi io il suo sostegno, e poi adesso vieni qui a farci la predica, con argomentazioni che chiaramente sono contro di me. Tu vuoi dividerci! Vuoi allontanarmi da tuo nipote perché adesso non ti servo più!
Ma io sono determinata a rimanere a fianco di Roberto ovunque egli vada, mettitelo ben in testa.
E poi è ridicolo che proprio tu critichi: "i dominatori di questo mondo di tenebra", quando il tuo amico Albedo naviga nell'oro e controlla la finanza internazionale!
Non saremo mai gli schiavi tuoi e di Albedo!>>
Roberto aveva annuito:
<<La penso come Aurora. Negli ultimi due anni, quando io stavo male, lei si è presa cura di me, mi ha sollevato tutte le volte che sono caduto, e con il suo amore mi ha consentito di sopportare il dolore che tu hai permesso che mi venisse inflitto, senza muovere un dito.
No, zio: non sono il tuo burattino e se proprio devo sbagliare, preferisco almeno farlo con la mia testa, non con la tua o con quella del tuo padrone spagnolo!>>
Lorenzo lo guardò con commiserazione:
<<Sia come vuoi tu, ma sappi che se vai a vivere a Milano, andrai incontro a una Prova del Dolore così grande e terribile da far apparire gli ultimi due anni una passeggiata.
E se credi di sbagliare con la tua testa, ti stai ingannando: è Aurora che ti spinge verso quella città infernale e quella vita spregevole, e un giorno anche lei pagherà il prezzo della sua stupidità!>> e poi si rivolse verso la ragazza: <<Sì, Aurora, pagherai tutto, te lo posso garantire. Tu disprezzi Albedo, ma ti compri le macchine di lusso con i suoi soldi. Sei l'ultima persona ad aver diritto di fare la predica agli altri! >>
Detto questo se ne andò e per molto tempo non volle più avere a che fare con loro.

I due fidanzati trascorsero il mese di agosto a preparare il test d'ammissione, che superarono con ottimi risultati a metà settembre.
A quel punto incominciarono i loro viaggi a Milano per le pratiche dell'iscrizione e per la ricerca di un alloggio.











Si iscrissero a Economia Aziendale, alla Bocconi, e trovarono, ad un prezzo proibitivo, un alloggio in un residence per studenti che si trovava tra Porta Romana e Porta Ticinese, all'interno del Centro Storico.
Erano rimasti solo due monolocali al quinto piano, ma erano in buone condizioni, l'ascensore funzionava benissimo e gli altri studenti erano tutti molto seri e gentili, specialmente con Aurora, per ovvi motivi.
Per tutti loro Milano era un mondo da scoprire e nell'immaginario di cui si erano nutriti era la città della Borsa e della Moda, dei manager e delle modelle, dei finanzieri e degli stilisti
Solo secondariamente era la città dei Visconti e degli Sforza, del Castello Sforzesco e dell'Accademia di Brera, della Scala e del Duomo, del Cenacolo di Leonardo e delle Chiese di Sant'Ambrogio, San Lorenzo e Sant'Eustorgio.


Solo in seguito si sarebbero accorti anche del degrado in cui si trovavano i quartieri periferici e della separazione dei quartieri per ceti sociali, professioni e gruppi etnici.





Ma per Roberto significò anche qualcos'altro, e cioè un appassionante oggetto di studio per quel che riguardava l'idrografia, perché Milano è anche un porto, con la Darsena e i Navigli e una complicata rete di canali che collegano tra loro i corsi d'acqua sotterranei che provengono dalle valli del nord.






Quando finalmente, ai primi d'ottobre, giunse il momento di trasferirsi a Milano in maniera definitiva, Roberto partì con grandi aspettative e senza troppa nostalgia di quel che si lasciava dietro.
In fondo Forlì che cosa gli aveva dato, nei due anni precedenti, se non sofferenze, fatiche e conflitti?
Le persone che partono per seguire un proprio desiderio o una propria esigenza è come se dichiarassero al mondo intero la propria insoddisfazione per ciò che si lasciano alle spalle. 
Chi parte per andare a vivere lontano è un insoddisfatto, che nutre avversione, per motivi più o meno validi, nei confronti del suo "natio borgo selvaggio", mentre chi resta è una persona felice, che ama la sua vita così com'è.
Chi rimane è un conservatore, chi se ne va cerca il progresso, che però potrebbe non arrivare mai, o peggiorare le cose. Leone XIII bollò i progressisti chiamandoli rerum novarum cupidi.
Ma torniamo ai nostri personaggi.
Aurora era felice perché la sua scelta rendeva felici i genitori, il fidanzato e il proprio desiderio di stare vicino a lui in un luogo dove le famiglie non li controllassero da vicino: era maggiorenni, in fin dei conti, e dunque era tempo che vivessero con più libertà la loro relazione.  
Roberto invece aveva un rimpianto, quello di allontanarsi dalla sua amata Contea di Casemurate, e oltre tutto per un motivo che sua nonna Diana non condivideva.
Certo, si sarebbero rivisti spesso, ma non era la stessa cosa, perché per la maggior parte del tempo ci sarebbero stati trecento chilometri a separarli, in un'epoca in cui il mondo delle comunicazioni era ancora molto diverso da quello attuale.
Quando infine Roberto partì con le ultime valige, non poteva immaginare che la sua lontananza dalla terra natia sarebbe stata lunga ventitré anni, fino al 2017.

E nella sua mente risuonava triste una canzone molto popolare negli anni della sua infanzia, cantata nel 1971, cinquant'anni fa, e ancora attuale, nella sua semplice, ma struggente sincerità, come sanno tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, hanno dovuto dire addio al luogo dove sono nati e cresciuti, partendo per un esilio pieno di incognite:

Paese mio che stai sulla collina
Disteso come un vecchio addormentato
La noia, l'abbandono
Sono la tua malattia
Paese mio ti lascio, vado via

Che sarà, che sarà, che sarà
Che sarà della mia vita chi lo sa?
So far tutto o forse niente
Da domani si vedrà
E sarà, sarà quel che sarà!

Gli amici miei son quasi tutti via
E gli altri partiranno dopo me
Peccato, perché stavo bene
In loro compagnia
Ma tutto passa e tutto se ne va...