venerdì 29 giugno 2018

L'offensiva diplomatico/militare nella valle di Daraa (Siria)

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L’equilibrio del sud della Siria sta per essere deciso dall’ultima grande offensiva dell’esercito di Damasco.L'esercito siriano sta tagliando in tre sacche separate le zone occupate dagli islamisti nella provincia di Daraa (compresa la zona meridionale della città).

Nelle ultime settimane, dopo una fase di interventi mirati dell'aeronautica, l'esercito siriano ha avviato la campagna di terra, conquistando anche la strategica cittadina di Busra Harir, strappando ai "ribelli" l'intera regione di Lajat. Inutile la resistenza islamista di fronte ad un massiccio attacco governativo guidato dalla forza tigre e supportato da jet siriani e russi.

I siriani vanno rapidamente riducendo il saliente islamiste a nord-est di Daara. In questo modo hanno accorciato il fronte di diversi km e creato nuove vie di rifornimento.
I quadrati verdi indicano le città che stanno trattando una riappacificazione con il governo siriano.

Map Update: 7 Settlements In Southern Syria Accept Reconciliation Agreement With Damascus

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La battaglia per Daara e Nasib si sta combattendo anche  sul tavolo della diplomazia. La Giordania sarebbe anche favorevole a cessare il suo supporto alle milizie islamiste, ma Israele e gli USA si oppongono. Il pretesto per non cessare il sostegno a tali milizie sarebbe la presenza di truppe iraniane. Ma è solo un pretesto, come tanti altri. La Giordania vorrebbe la normalizzazione dei rapporti con Damasco, anche per ragioni commerciali. Ma a Tel Aviv e Washington sono contrari.

Le milizie sciite libanesi e irachene, e i consiglieri militari, si ritireranno dalle zone nelle province di Daraa e Quneitra a ridosso delle Alture del Golan, nel Sud della Siria. Il governo siriano avrebbe accettato la mediazione russa con Israele. Si dovrebbe formare una zona cuscinetto “senza presenza iraniana”, probabilmente profonda 60 chilometri, come chiesto l’anno scorso dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Netanyahu è tornato alla carica nel lungo colloquio il 9 maggio scorso a Mosca, in occasione delle celebrazioni della vittoria russa contro la Germania nazista. Il presidente Vladimir Putin aveva dichiarata qualche giorno dopo che le “forze militari straniere” avrebbero dovuto ritirarsi dalla Siria una volta sconfitte le formazioni terroristiche. L’Iran aveva protestato e ribattuto che i suoi consiglieri militari sono in Siria su richiesta del governo di Bashar al-Assad.

Il pressing russo su Damasco ha porta ora a questo compromesso. Le forze iraniane e milizie sciite alleate saranno ritirate dai territori più vicini a Israele. Assad ha ottenuto in cambio il via libera da Mosca per un’offensiva nella provincia di Daraa, con sole forze militari regolari siriane, per riconquistare i territori ancora in mano ai ribelli e riaprire il valico di frontiera che porta ad Amman, in modo da ripristinare il collegamento autostradale fra la capitale siriana e quella giordana.

La riconquista da parte dell’esercito siriano è chiaramente una sconfitta strategica da parte di Israele. È chiaro che riavere le forze armate di Damasco al suo confine non era il sogno di Benjamin Netanyahu, che dall’inizio della guerra ha sostenuto i ribelli della parte meridionale della Siria e si ritrova invece “il nemico alle porte” e i ribelli in procinto di cadere. Ma Israele sa anche che da questa sconfitta, può trarne una vittoria.

La vittoria consiste nell’allontanamento delle truppe iraniane. Perché se è vero che Israele può colpire le forze dell’Iran autolegittimandosi con la presenza di una minaccia esistenziale al nord del suo territorio, la stessa cosa non può farla con Assad. Come può Israele pretendere le forze armate siriane non riconquistino il proprio territorio? Sarebbe una richiesta assurda che non potrebbe essere accolta neanche dall’interlocutore privilegiati di quel blocco: la Russia.

Ed ecco quindi la possibile svolta nei piani di Israele. Non colpire la Siria, purché la presenza siriana eviti la contemporanea presenza di truppe iraniane e di Hezbollah. Ecco la tattica di Israele. Ed è un’idea che la Russia sta in qualche modo avallando se non addirittura contribuendo a rendere concreta. Netanyahu vuole allontanare le truppe iraniane dalla Siria? Allora, deve permettere alle forze di Assad di riprendere il controllo del Sud.

Assad, in questo momento, ha una carta fondamentale da giocarsi. I ribelli stanno scomparendo o cedendo le armi. Gli Stati Uniti hanno abbandonato le sacche di Daraa e la Russia sta già iniziando a martellare le roccaforti ribelli. L’avanzata di Damasco sembra ineluttabile. E Israele non può fermarla. A meno di tragici errori tattici da parte delle forze armate siriane, come un’avanzata verso il Golan occupato da Israele. Questa situazione fornisce al leader siriano la quasi garanzia di vincere. E lui può farlo insieme alla Russia, escludendo l’Iran ed Hezbollah dall’assalto sul fronte meridionale.

Del resto Israele ha sempre chiesto questo: che le forze iraniane e le milizie sciite rimanessero lontane dal confine. Netanyahu ha chiesto un completo ritiro da tutto il territorio della Siria. Ma già non avere queste forze né al confine né nella fascia di 50 chilometri al di là della linea del fronte, è una realtà che i vertici della Difesa israeliana apprezzerebbero. Pertanto, tra i due mali, ecco il male minore: la Siria riprendere il controllo, ma l’Iran ed Hezbollah devono rimanere lontani dalle operazioni.

Ma non c’è solo l’Iran al centro della strategia israeliana. Tra le linee rosse imposte da Israele all’inizio della guerra in Siria, c’era anche la protezione della popolazione drusa del Golan. Questa comunità è da sempre sotto l’ala protettrice di Israele, ed è confermato dal fatto che è stata sempre esclusa dal conflitto. I ribelli conquistavano le località limitrofe senza minacciarli. L’esercito siriano non reagiva alla mancata risposta dei drusi alla leva obbligatoria. Sarebbero considerati disertori, ma Assad ha sempre chiuso un occhio.

Le cose però stanno cambiando. Assad avanza e i ribelli stanno perdendo. E negli ultimi giorni, due razzi hanno colpito la città di Sweida, a maggioranza drusa. E adesso Israele si ritrova di fronte a un dilemma: come salvare i drusi?

Assad, anche in questo caso, ha una carta molto importante. E a giocarla è stata la Russia, che, secondo Haaretz, ha inviato due generali a parlare con le autorità locali di Sweida. L’esercito siriano è disposto a tutelare la città e a non considerarla ostile, ma vuole che i drusi si uniscano alle sue forze. In caso contrario, la Russia e la Siria considereranno la città come ribelle, quindi possibile oggetto di bombardamenti.

Israele difficilmente potrebbe intervenire militarmente contro la Russia e contro la Siria per difendere una comunità all’interno di un Paese nemico. Anche a livello politico, l’opinione pubblica potrebbe non accettarlo. Ed esistono poi molti contatti fra i drusi e il governo siriano, in particolare per le città al confine con il Golan occupato.

In questo caso, Israele, consapevole dell’ineluttabile vittoria di Assad al sud e convinto dalla fine dei ribelli – fonti locali parlano di centinaia di miliziani che si sono consegnati all’esercito – potrebbe accettare questa soluzione per evitare che i drusi finiscano nel conflitto. Una volta garantito sull’assenza di Hezbollah e di forze iraniane, lo Stato ebraico potrebbe ottenere il massimo risultato ormai raggiungibile.

Aggiornamento:

La situazione nel governatorato di Daara è in costante evoluzione. Diversi tavoli delle trattative di resa/riconciliazione aperti. Si registrano comunque combattimenti in varie aree anche se per i miliziani islamisti la situazione è critica. La Giordania sembra appoggiare il ritorno dell'esercito siriano lungo i suoi confini. Questo anche al fine di evitare un'emigrazione di massa dalla Siria verso la Giordania.

The settlements of Um Oualad, Da’il, Tafas, Saida, Um Mayazin, Taybah, Nassib and Jabib in southern Syria have accepted a reconciliation agreement with the Damascus government, according to pro-government sources.

Earlier, the town of Ibta also accepted the very same reconciliation agreement.

These 8 settlements will be fully controlled by pro-government forces soon. Servicemen of the Russian Military Police will also enter the area according to some reports.

Mappe geopoliche del Mediterraneo

Carta di Laura Canali, 2018

Carta di Laura Canali, 2018.

http://www.occhidellaguerra.it/italia-usa-cina/

Da "Gli Occhi della Guerra"

L’Italia torna al centro del Mediterraneo e dei giochi per il suo controllo. Le grandi potenze mondiali hanno capito che questo governo può essere un’opportunità per tutti. E cominciano a giocare a carte scoperte per mettere Roma nel proprio blocco. Ma l’Italia da che parte sta? E, soprattutto, per quanto tempo possiamo continuare a essere i grandi equilibristi dell’Europa mediterranea?

Salvini con Bolton
Le ultime ore danno un quadro abbastanza chiaro del difficile gioco italiano. Ma anche delle molteplici anime che convivono all’interno del governo Lega-5 Stelle.

Matteo Salvini ha incontrato John Bolton a Roma ribadendo l’assoluta fedeltà dell’Italia agli Stati Uniti d’America. Un incontro che lo stesso ministro dell’Interno ha descritto così sul suo profilo Facebook: “Piena condivisione sui temi della lotta all’immigrazione clandestina e del terrorismo, a conferma del rapporto di amicizia e lealtà che lega Italia e Stati Uniti”.

Non è un mistero che questo governo piaccia agli Stati Uniti. La benedizione di Donald Trump a Giuseppe Conte è arrivata da tempo. E sembra che l’amministrazione americana abbia trovato proprio nell’esecutivo italiano quella spina nel fianco dell’Unione europea cercata in questi mesi.

Anche sul tema delle aperture alla Russia, il premier italiano e il presidente Trump si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. A Washington ritengono che l’Italia possa essere utile anche a questo scopo. Possiamo essere un ponte. Certo, questo non significa lasciarci carta bianca. Ma all’interno della cornice creata dalla Casa Bianca, l’Italia può ritagliarsi uno spazio più autonomo anche sul fronte di Mosca, dove i legami sono molto buoni.

Toninelli apre alla Cina
Se Salvini riceve il Consigliere per la Sicurezza nazionale americano, Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture, è invece intervenuto in diretta video al convegno “Belt&Road Initiative” a Milano parlando in maniera entusiasta della Cina. Il ministro ha definito la Nuova Via della Seta come “una sfida di livello planetario, una frontiera che può e deve vedere l’Italia protagonista in prima linea rispetto alle tante opportunità che ci si presenteranno davanti”.

Il ministro, in quota Cinque Stelle, ha detto che “la nuova Via della Seta è l’appuntamento che deve vederci al centro della scena e non ai margini”, ed ha concluso confermando “il massimo impegno da parte mia e del mio governo” al fine di portare l’Italia al centro del progetto mediterraneo de grande progetto cinese.

Un’apertura importante, nel solco dei precedenti governi. L’Italia è da sempre al centro delle strategia cinesi in Europa, con i porti di Trieste e Genova considerati come le ancore italiane del progetto della Nuova Via della Seta.

L’Italia al centro della sfida Usa-Cina
Anche in questo si evince l’anima molteplice d’Italia. Giochiamo sull’orlo dello scontro tra superpotenze. Ma potrebbe arrivare presto la “resa dei conti”.Non siamo in un’epoca di equilibrismi: gli Stati Uniti di Trump sono diventati molto esigenti. A Washington non c’è più una strategia di compromesso. Il motto sembra essere “o con noi o contro di noi”. E l’hanno dimostrato in molte crisi internazionali.

La Cina è considerata dagli Stati Uniti un avversario strategico. E questa può essere una chiave di lettura per capire perché gli Stati Uniti abbiano di nuovo posto l’Italia al centro della loro strategia. Non solo benevolenza nei confronti del governo, ma soprattutto pragmatismo. L’America non vuole la Cina in Europa. E un’Italia al centro delle strategie cinesi per il Mediterraneo preoccupa gli interessi statunitensi, che considerano la Nuova Via della Seta un pericolo molto serio.

La guerra commerciale fra Washington e Pechino passa anche per la sfida per l’Europa. La Nuova Via della Seta è un progetto faraonico che non è solo economia, ma soprattutto legami politici. E la Casa Bianca non vuole assistere alla crescita di Pechino nel Mediterraneo dopo che ha già posto solide basi in Grecia e Spagna e nel Nordafrica. E l’impressione è che da Washington ci stiano richiamando all’ordine.

La mappa del parco di Westworld

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