giovedì 15 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 125. Vita et Victoria



Aurora fu silenziosa per quasi tutto il tragitto dall'aeroporto all'hotel, che aveva richiesto due ore e mezzo, quasi più tempo di quello da Milano a Londra in aereo.

Roberto, invece, era completamente preso dall'osservazione di quella città di cui aveva sentito tanto parlare e che era stata l'ambientazione di numerosissimi romanzi e saggi che aveva letto.
E per quanto non riuscisse proprio ad abituarsi alla questione della guida a sinistra, decise di fidarsi del tassista e immerse lo sguardo nel paesaggio circostante.

Gli venne in mente che non aveva mai visitato una capitale, neppure Roma.

Possiamo però anticipare il fatto che i suoi numerosi viaggi a Roma avvennero in seguito, nell'estate del 1994, sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II, e poi numerose volte tra il Giubileo del 2000 e il 2005, dopo l'elezione di papa Benedetto XVI, e di questi viaggi si parlerà quando la narrazione raggiungerà quegli anni.
Diciamo solo che, in seguito, ripensando ai suoi primi quarantacinque anni, Roberto provava quel senso di smarrimento e di senilità dovuto alla consapevolezza che nell'arco di tempo della sua vita fino ad allora, si erano succeduti cinque Papi (uno dei quali aveva guidato la Chiesa per 27 anni) e la sua memoria era in grado di ricordare persino la morte di papa Paolo VI.
Aveva solo tre anni, nel 1978, ma era già pienamente consapevole dell'importanza della memoria e della Storia.
Spesso ci ripeteva e ci ripete ancora: <<Io non sono mai stato e non sarò mai un protagonista, per fortuna mia e vostra, ma sono sempre stato e sarò sempre un testimone dotato di grande memoria>>
 E queste considerazioni ci saranno utili proprio nel presente capitolo.

Ma ora torniamo a Londra.
La prima sorpresa furono le cosiddette "new towns", o città-giardino, che ricoprivano la fascia periferica della Outer London.
Si trattava di una concezione urbanistica innovativa e potenzialmente valida, che però alla lunga, dopo aveva cosparso non solo la periferia di Londra, ma quella di tutte le città del Regno Unito, incominciò a mostrare i suoi limiti.

Chi ha visto i film del ciclo di Harry Potter avrà capito che la Privet Drive, dove risiedevano gli zii del protagonista, era proprio un esempio perfetto di strada delle New Towns riservata alla piccola borghesia impiegatizia.
I punti essenziali erano i seguenti: 

1) piccole villette a schiera unifamiliari, o al massimo bifamiliari, con un giardinetto davanti e una veranda con cortiletto dietro

2) le abitazioni si affacciavano su vialetti alberati, curvi, inframmezzati da parchi con laghetti e cigni, spesso vicini a fiumi o boschi, che si immettevano, tramite rotonde, in viali più grandi, circolari, i quali a loro volta erano ben collegati con le principali strade, autostrade, treni, metropolitane a cielo aperto, autobus, tram.

3) ogni singola new town aveva un suo centro commerciale, con nelle vicinanze tutti i tipi di attività ludiche, sportive e ricreative, scuole materne ed elementari, edifici di culto, ambulatori per medici di base con infermeria per i casi urgenti.






4) Le abitazioni più vicine alle strade che conducevano alla città vera e propria, compensavano quello svantaggio del rumore e dell'inquinamento, a parità di prezzo, con una maggiore ampiezza della casa e del giardino, dotato anche di piscina.

5) Questi quartieri erano concepiti come zone residenziali ecosostenibili per la classe media.

Durante l'era di governo di Margaret Thatcher, tra il 1979 e il 1991 ci fu una immensa proliferazione di questi quartieri residenziali, e fu allora che divennero un imprescindibile modello di riferimento per gli urbanisti di tutto il mondo.

L'idea delle new towns trovò riscontro anche in Italia, dove il più entusiasta imprenditore edile degli anni Settanta, il cavaliere Silvio Berlusconi, acquistò un enorme terreno nelle vicinanze di Segrate e lì costruì la sua prima new town chiamata, con un eccesso di ottimismo, Milano Due.
Questo però aprì la strada a progetti successivi, specie quelli realizzati sotto l'amministrazione del sindaco Sala, e cioè la riqualificazione della Darsena e dei Navigli (purtroppo in questo caso i Fratelli Monterovere non furono interpellati, anche se Roberto, nei suoi anni milanesi, era preparatissimo sull'argomento e aveva fatto sopralluoghi di persona nelle aree critiche del Naviglio Pavese), la zona Fiera col progetto di creare una via navigabile tra Milano e Venezia, ma soprattutto l'avveniristico quartiere di City Life, molto simile al modello della nuova City londinese.
Le new towns erano state il primo passo.
Il nostro vecchio Silvio, però intervenne con una "miglioria": siccome i cigni reali finivano per diventare ingestibili, li sostituì con cigni bianchi di plastica e in questo egli manifestò tutta la sua essenza.

E quindi, pur ammettendo che ci siano state eccessive ambizioni urbanistiche tradottesi in una omologazione architettonica alla lunga un po' troppo banale e piuttosto estraniante, le new towns indicarono la via nella direzione di quelle che adesso vengono chiamate smart cities.

Quando nell'estate del 1992, Roberto Monterovere, con gli occhi sgranati, osservava per la prima volta nella sua vita questo genere di quartieri, la neo-baronessa lady Thatcher si era da poco dimessa a vantaggio dello scialbo John Major, che fu una specie di cuscinetto tra l'era della "lady di ferro" e quella di Tony Blair.

Va detto, comunque la si pensi su questo argomento, che le New Towns, insieme al National Trust, hanno permesso all'Inghilterra di conservare molte grandi distese di aree verdi, infatti ogni new town è circondata da una "Cintura Verde" fatta di boschi, foreste, prati, brughiere, stagni, piccoli laghi e ruscelli.





Tutte le strade principali delle varie new towns della Outer London, erano collegate, in direzione del West End, alla superstrada A4 che, nel tratto tra l'aeroporto e la Inner London, aveva tre corsie per ogni lato, ed era affiancata da piste ciclabili, marciapiedi piastrellati, siepi e alberi.

E per un bel po' il panorama fu solo quello, perché, nonostante fosse agosto, c'erano ancora moltissimi lavoratori che andavano in ufficio, diversamente dal caso italiano, in cui sembra che ad agosto l'intera popolazione della penisola sparisca. 

Emblematico a tal proposito (e i lettori ci perdonino la nostra senile tendenza alle digressioni) fu un aneddoto del defunto Marchionne, grande dirigente della Fiat, divenuta FCA dopo la fusione con Chrysler. L'ingegnere dal maglioncino blu, raccontò che quando, dopo essere vissuto in Canada e negli USA per molto tempo, tornò in Italia per assumere l'incarico di Amministratore Delegato dell'azienda degli Agnelli-Elkann era agosto. 
Trovò Torino completamente deserta e quando salì sull'auto aziendale che lo attendeva, chiese subito al tassista, col suo italiano americaneggiante: "Posso farle una domanda?", al che l'autista naturalmente assentì, e Marchionne chiese: "Ma dove diavolo sono finiti gli Italiani?".

A Londra questo non succede, né succedeva all'epoca della nostra narrazione,
A un certo punto le new towns incominciarono a cedere il posto a quartieri periferici degradati e poi ad un'ampia zona industriale, dopo la quale la A4 si trovò ad essere letteralmente sotto la M4.
Seguì una zona con centri commerciali del tipo "ipermercato", con qualche palazzo nei dintorni, fino ad arrivare, dopo un'ora di traffico sempre crescente, ad Hammersmith, da dove si entrava nella Inner London.

E a quel punto le aspettative di Roberto crebbero, perché si era giunti finalmente nel West End della Londra propriamente detta. Purtroppo l'alta siepe alla sinistra della A4 gli impedì un primo sguardo nella direzione del Tamigi. 

Ad Hammersmith la A4 conquistò il ruolo di strada sopraelevata, dalla quale si potevano già vedere i tipici quartieri della Londra compresa tra tra il Giubileo di Diamante della regina Vittoria, nel 1897 e la breve, ma idilliaca età edoardiana, tra il 1901 e il 1910, prolungabile però fino al 1914, quando la Grande Guerra scardinò l'ordine sociale precedente, nel bene e nel male.
C'erano palazzine in pietra rossa, con modanature bianche e camini alti in stile Tudor, chiesette in perfetto stile neogotico, viali con grandi platani e ai lati palazzi di maggiore imponenza.

Quando la A4 tornò al "piano terra", e divenne la Cromwell Road, incominciarono le costruzioni in mattoni chiari con finestre bianche e quadrate, di stile più classico, risalente alla prima età vittoriana o addirittura dell'età georgiana (1714-1837, comprendente i regni di Giorgio I, II, III, IV e di Guglielmo IV).

E tuttavia, a parte questi edifici, il resto poteva essere trovato in qualunque parte semiperiferica di qualunque città, e l'unica cosa davvero british continuava comunque ad essere la stramaledettissima guida a sinistra.

Poi però si giunse a South Kensington, e tutto cambiò, assumendo il ruolo di un vero centro storico, con i palazzi neoclassici georgiani dipinti di bianco, alternati con alcuni non intonacati, con alcune chiese, o scuole o edifici più moderni in luoghi dove si era buttato giù quel che c'era prima.

Il cuore di Roberto si mise a battere forte, perché sentiva che stava arrivando al cuore della città tentacolare che un tempo, tramite l'Impero Britannico, aveva controllato quasi tutto il pianeta.
A trent'anni di distanza da quegli eventi, c'era ancora in lui una vena di entusiasmo, quando ci riferiva, il suo stato d'animo con le seguenti parole: 
"Sentivo un forte senso di déjà vu. Era come se ritornassi in una patria ideale che avevo lasciato tanto tempo prima.
Tutto ciò che vedevo ispirava in me la nostalgia di un passato mai vissuto>>

Questo poetico sentimento si fondava su tutto ciò che aveva letto e che ricordava così bene da  sembrargli già noto.
In altri casi poi si trattava addirittura di luoghi comuni, di icone dell'inconscio collettivo, gli autobus rossi a due piani, le cabine rosse del telefono (c'erano ancora, non erano state ancora rese inutili dall'avvento dei cellulari).

Passarono davanti al Museo di Storia Naturale e all'Albert and Victoria Museum, dove la Cromwell Road era diventata Cromwell Gardens, a causa della vicinanza con Kensington Park, e naturalmente con Kensington Palace, dove nacque e crebbe la regina Vittoria, ed attuale residenza del principe William, Duca di Cambridge, che l'ha ereditato da sua madre Diana, Principessa di Galles.

Poi la strada cambiò più volte nome, e sia gli edifici bianchi che quelli rossi diventavano sempre più puliti, eleganti, circondati da giardini ben tenuti e da strade pulite.
Svoltando a sud si sarebbe entrati nel quartiere residenziale centrale dei ricchissimi, e cioè Belgravia, mentre continuando verso ovest, con una leggera inclinazione verso nord, si raggiungeva Kensington Garden, confinante con Hyde Park, e ci si sentiva, finalmente e inequivocabilmente, a Londra.

Arrivati alla grande rotonda del Wellington Arch, ci si trovò proprio di fronte ai luoghi più importanti e famosi. Imboccando la Constitution Hill si fiancheggiava il parco di Buckingham Palace, protetto da una muratura e vari sistemi di allarme, dopo che un intruso, anni prima, era riuscito a penetrare fino agli appartamenti privati di Sua Maestà senza trovare ostacoli.
Proseguendo si arrivava infine alla facciata del Palazzo Reale e alla rotonda del Victoria Memorial, dal quale la statua giunonica della defunta Regina,  con scettro e globo, nelle mani, osservava dall'alto i passanti, con sguardo severo, cupo e vagamente minaccioso.




Il tassista fece un commento ironico, in un londinese talmente cockney da risultare quasi incomprensibile, ma non ad Aurora, la quale, interpellata da Roberto, gli tradusse le parole dell'autista:  "Dice che quella statua lo fa rabbrividire. Ne aveva paura fin da bambino e ancora adesso, ogni volta che ci passa davanti, gli viene la pelle d'oca".
Roberto sorrise, divertito dalla battuta del tassista, che in effetti non aveva tutti i torti, ma evitò di ridere sguaiatamente, sia perché era poco british, sia considerando le condizioni della sua fidanzata.





Era sempre la solita storia, che non vorremmo essere costretti a menzionare, ma qualcosa bisogna comunque dire, per meglio comprendere il finale di questo capitolo.
Nonostante la lunghezza del viaggio, Aurora era stata irremovibile nella sua fobia, al contrario di Roberto, che aveva usufruito dei servizi in aereo, mentre lei dormiva.
Lui si chiese quanto fosse durato in tutto il loro viaggio: erano partiti a mezzanotte da Forlì e in quel momento erano le 15, ora di Greenwich.
Sedici ore. A un certo punto il disagio fisico di Aurora avrebbe dovuto prevalere su quello psicologico e condurla a comportarsi in maniera sensata, ma quando erano saliti sul taxi lei disse di essere perfettamente a suo agio.
Ma dopo quasi tre ore, era nel panico, con gli occhi sgranati e le gambe quasi attorcigliate l'una sull'altra e con la mano destra, stringeva forte la mano di Roberto.
Ma l'altra mano della ragazza, che da un po' era stata destinata a coadiuvare gli arti inferiori nel loro ruolo contenitivo (credo che questa perifrasi, in cui ci siamo arrampicati sugli specchi al fine di non cadere nella volgarità, meriti un encomio) forse svolse il suo compito con un eccesso di zelo, tanto che un certo compiacimento comparve nel volto di lei.
E anche se Roberto fece finta di non accorgersene, non poté fare a meno di ricordare quei discorsi che Aurora gli aveva fatto riguardo a un fantomatico punto del sistema nervoso periferico femminile inferiore, che poteva essere attivato anche senza contatti diretti, purché sussistessero certe condizioni negli organi circostanti.
Roberto all'epoca era estremamente puritano, e quasi totalmente privo di conoscenze sia pratiche che teoriche sull'argomento, e dunque faticava a comprendere tutto questo e tanto meno ad accettarlo, ma pur di stare vicino a lei ed essere la sua ombra e contemplare il suo viso d'angelo, era disposto a sorvolare e a distogliere lo sguardo da tutto il resto.





Sentì la mano di lei stringere la sua nel momento dell'acme, ma la sua mente era da un'altra parte.
Gli era riaffiorata nella memoria una frase latina, scritta da Marco Antonio a Cicerone, per chiedergli di non contrastare la carriera politica del figlio di Clodio.
E' una frase che fa molto riflettere, se consideriamo che alla fine i sicari di Antonio uccisero Cicerone.
Scrive Antonio: 
"Nihil enim non tua causa feci" : non c'è infatti nulla che io non abbia fatto per te.
Cicerone rispose in maniera sprezzante, e tutti sappiamo com'è andata a finire.
Perché quella reminiscenza in quel momento?
Non c'è nulla che io non sia disposto a fare per Aurora?
E se anche fosse, alla fine, conterebbe qualcosa?
Oppure tutto sarebbe terminato con le Filippiche da una parte e le liste di proscrizione dall'altra?
Roberto era fatto così, nel bel mezzo di situazioni che non riusciva a gestire, lui reagiva proteggendosi con qualche citazione, meglio se latina, o con qualche aneddoto storico: ognuno si difende come può, e lui all'epoca non conosceva altro modo.

Dopo un po', quando il piacere passò e il viso di Aurora tornò normale, in lei la preoccupazione riprese il sopravvento, aggravata da quel senso di abbandono,
A quel punto gli chiese un favore che lo fece rimanere di sasso:
<<Commenta in modo serio qualcosa che hai visto oggi, con parole che mi aiutino a concentrarmi su qualcosa di diverso, ma non mi facciano ridere, mi raccomando>>
E lui, preso alla sprovvista, improvvisò:

<<Dunque, ripensando a come la regina Vittoria è raffigurata, nel suo memoriale davanti al Palazzo, mi torna in mente un articolo riguardante la storia dell'iconografia dei re, che segue un modello millenario, per poi cambiare rapidamente e radicalmente nel Novecento, con il crollo di alcune delle più grandi monarchie e l'avvento dei mass media.




L'articolo, di cui purtroppo non ricordo l'autore, partiva dal concetto di sacralità del monarca e dal suo collegamento con la solarità e la divinità. Il monarca è il sole degli uomini.
Pensiamo ad Akhenaton e Nefertiti, che sono il tramite fra Aton e il popolo dell'antico Egitto.

Segue un'analisi dall'immagine del re Davide, "il Re Giovane", favorito da Dio, contro Saul, il re vecchio che non vuole rinunciare alla sua sovranità, e per questo è punito dal Signore.
Si analizzavano le caratteristiche di Davide così come descritto nella Bibbia, specie l'unzione con l'olio sacro, che è un ulteriore elemento di elevazione.

Il modello ellenistico dei diadochi e dei primi Cesari si fonde con quello biblico nel momento dell'ascesa al potere di Costantino, che vuole incarnare sia le virtù romano-ellenistiche, sia quelle giudaico-cristiane.

Si passa dall'imperatore divinizzato al monarca per grazia di Dio.

Poi si inserisce poi una terza componente, che potremmo chiamare "germanico-barbarica" che trova espressione nei Merovingi, con i capelli lunghi e la barba fluente.
Le loro raffigurazioni sono state eseguite molto tempo dopo la moro morte, secoli interi, a volte più di uno, per cui comunque dobbiamo tener conto di questo sfasamento temporale significativo.
Per esempio i ritratti postumi di Clodoveo, considerato il fondatore della Francia, pur essendo un personaggio semi-mitologico, su cui abbiamo pochissime fonti, mostrano che egli fu rappresentato in molti modi, prima e dopo la conversione e il battesimo.
In alcune prevale il modello del "Re Giovane", solare, come Davide e Costantino.




In altre prevale l'aspetto "germanico-barbarico", con la lunga chioma bionda e la lunga barba dorata.





Il tre modelli si fondono e si cristallizzano nei ritratti postumi di Carlo Magno, che diventa il rappresentante per eccellenza della maestà reale e imperiale, così come lo descrivono le parole pronunciate da papa Leone III, in una frase tutta espressa come augurio rivolto a lui e dunque declinata secondo il caso dativo: 

Carolo piissimo Augusto a Deo Coronato magno pacifico Imperatori Romanorum Vita et Victoria.





In questo modo Carlo, che era già Rex Francorum et Langobardorum, oltre che Patricius Romanorum et Italicorum, ossia "comandante supremo dell'esercito romano e italico", ottenne anche anche la sovranità temporale sull'antico Impero Romano d'Occidente, con la benedizione del Pontefice, ponendosi così sullo stesso piano, dell'Imperatore Basileus di Bisanzio, che all'epoca era in realtà un'imperatrice, Irene, una donna terribile: aveva detronizzato, arrestato e accecato il suo stesso figlio, che morì pochi giorni dopo. La sua unica giustificazione sta nel fatto che, essendo in corso la guerra contro gli iconoclasti, il figlio di Irene, da iconoclasta, forse avrebbe sottoposto la madre a un trattamento analogo. 
Direi che, in confronto a Irene, la regina Vittoria sia un esempio di affettuosissima maternità, per quanto considerasse i neonati "brutti come rospi"... per forza, erano figli suoi e lei non era certo una bellezza...>>

Aurora aveva ascoltato con attenzione, ma alla fine incominciò a sorridere troppo, per cui subito Roberto tacque.
Lei, riconoscente, commentò:
<<Ti piace proprio la storia. Peccato che adesso le si dia così poca importanza>>
Roberto annuì, ripensando alla promessa fatta a suo nonno Ettore, in articulo mortis, e  quella estortagli dal Visconte presso lo studio del notaio Papisca. 
Economia a Milano. "Muss es sein?" Es muss sein.
Ma il suo commento fu un altro:
<<Oggi mi sento nel cuore della Storia medievale e moderna. E sono qui grazie a te, e con te. 
Oggi la vita è bella>>
La sua adorazione per Aurora cresceva di giorno in giorno, di ora in ora, sempre.
Cosa posso fare per aiutarla? 
Ma il problema era un altro.
Lei non vuole essere aiutata, ma accettata per quello che è, costi quel che costi.
Era un dilemma. 
Ho fatto un giuramento anche a lei. Sono vincolato al rispetto della parola data.
Si diceva che i Mendoza di Castiglia avessero sempre mantenuto fede alla propria parola, anche a costo della vita.
Roberto si chiese se questo valesse anche per i Monterovere.
Si allentò la cravatta, infatti era vestito di tutto punto come richiesto dalla stessa Aurora, ma non di molto, perché comunque all'ingresso del Savoy voleva fare una bella figura, per quanto temesse di essere, se non fosse stato per quei capelli lunghi e ondulati, scambiato per un cameriere in prova o un lift, il ragazzo degli ascensori dell'età tardo vittoriana.






Pensava che quello fosse il suo unico vestito a giacca, ma Aurora aveva in serbo per lui varie sorprese, tra cui alcuni abiti completi formali e semi-formali, da giorno, da sera e da festa, che si trovavano in una delle sue valigie.
Aveva in programma alcune serate mondane, ma non gli aveva ancora detto nulla, perché, conoscendolo, sapeva che queste cose gli avrebbero creato ansia.

Nel frattempo il taxi, anzi i due taxi, stavano percorrendo il Mall, il viale alberato che collegava Buckingham Palace con Trafalgar Square.
Era un viale molto grande, con alberi secolari, e grandi marciapiedi.
Lì il traffico era limitato, almeno all'epoca, ai residenti di Westminster, ai lavoratori e ai taxi diretti verso alberghi, sempre di Westminster, purché i passeggeri mostrassero la prenotazione.
A Trafalgar Square c'era il traffico dell'ora di punta, era circa l'una del pomeriggio, per cui si tornò ad andare a rilento.
<<Manca poco>> disse Roberto.
Aurora annuì e gli sorrise.
Finalmente arrivarono al viale dello Strand e nel giro di meno di dieci minuti voltarono per l'ingresso al Savoy Hotel, che non era soltanto un edificio, ma un intero isolato, come si premurò di dire il tassista, al quale Aurora lasciò una mancia così generosa che per un momento parve sul punto di svenire dalla gioia.

Eguale trattamento ebbe l'altro tassista, che insieme al collega davanti si premurò di portare alcuni bagagli, mentre Battista, accolto alla reception come un Re, dava disposizioni al personale, che lo conosceva bene da tempo.
 Aurora consegnò a una receptionist che l'aveva riconosciuta, tutti i suoi dati e quelli di Roberto, e nel giro di pochi secondi ebbero ognuno la sua tessera magnetica per le suite prenotate.
Presero l'ascensore, perché le loro suite erano all'ultimo piano, per garantire la vista sul Tamigi.
In quella corsa forsennata, Roberto non ebbe modo di esprimere il suo stupore per il lusso eccezionale della hall e persino degli ascensori.
Finalmente, quando l'ascensore arrivò a destinazione, Aurora gli indicò la direzione, perché erano le stesse camere degli anni precedenti.
Nel giro di una frazione di secondo lei raggiunse la sua suite, fece passare la tessera magnetica e corse dentro, lasciando la porta semiaperta.
Roberto chiuse la porta e poi prese la propria tessera ed entrò nella propria suite, rimanendo senza parole per il lusso sfrenato che si trovò davanti.

Descriveremo lo sfarzo del Savoy nei capitoli successivi, con gradualità.
Ma in questo momento è più importante riportare quella che fu la reazione di Roberto.
Una parte di lui ne fu intimorita, come se sapesse già che ogni cosa bella che gli stava accadendo, l'avrebbe pagata con gli interessi in futuro.
C'era un motivo in più, per pensare questo, e lo vedremo tra poco, in conclusione di questo capitolo.
Ma, quel giorno, prevaleva comunque l'entusiasmo: fu uno dei pochi giorni della sua vita in cui poté dire con assoluta sincerità: "oggi la vita è bella".

Guardò dalla finestra il Tamigi e per lui, così amante dei fiumi, fu una grande gioia, poi appoggiò per terra zaino e valigia (che aveva insistito per portare da solo, facendo però una figura fantozziana) e infine si lasciò andare sul letto a due piazze con tanto di baldacchino.

Pochi minuti dopo, Aurora bussò alla sua porta e pareva un'altra persona: liberatasi della "corazza", la salopette, e soprattutto di due litri  (purtroppo non è un'ipertbole, lei se ne vantò come se fosse un primato olimpico) di liquido che neanche dopo 10 pinte di birra il bevitore più incallito avrebbe saputo immagazzinare e men che meno trattenere, era divenuta leggera come una farfalla e il suo sguardo era tornato seducente come al solito.





Quando Roberto la vide, notò che era rimasta con indosso solo la camicia con i volant, che su di lei sembrava la cosa più sensuale dell'universo.
Era raggiante:
<<Ci vorrà un po' per sistemare i bagagli nella mia stanza, per cui nel frattempo sto da te. Non preoccuparti di Battista, lui è qui soltanto per supportarci e difenderci, non per spiarci, e anzi, da dopo la riunione a casa tua a Cervia, mi sembra che i miei genitori siano diventati improvvisamente e senza motivo i più grandi sostenitori del libero amore>>

Roberto rise, anche se sospettava cosa ci fosse dietro all'improvvisa conversione dei Visconti.
Aurora, senza preamboli, si distese nel letto di fianco a lui, tanto che Roberto ne rimase quasi intimidito.
Lei si mise a prenderlo in giro, con affetto:
<<Non preoccuparti, Robs,  non ti faccio niente>>
Roberto allora si tranquillizzò e si mise più comodo.
Robs, che diminutivo ridicolo, ma mi mancherebbe terribilmente, se lei dovesse lasciarmi.
Aurora era così attraente da farlo rimanere senza parole, ma non ci sarebbe stato alcun rapporto sessuale propriamente detto, in quelle vacanze londinesi. 
C'era un motivo ben preciso per il quale lui sapeva che non ci sarebbe stato.
Era arrivato il momento della totale sincerità, anche riguardo a ciò che fino ad allora aveva preferito tacere:
<<Aurora, devo confidarti una cosa su di me, e forse usando terminologie anatomo-patologiche appropriate, posso comunicartela in maniera più asettica: io soffro di una condizione chiamata fimosi non serrata di media entità
Ho condiviso questo segreto soltanto con mio padre>>

Lei, sorprendentemente, capì al volo:
<<So cos'è. Anche Felix è messo così. Fa tanto lo sbruffone, ma questa cosa ha fatto sì che ancora fosse vergine anche lui e quindi non sa esattamente cosa potrebbe succedere. 
Tu pensi di sentire dolore o addirittura di rischiare un danno?>>
Lui arrossì, sentendosi sempre più ridicolo:
<<Dolore senza dubbio. Il danno potrebbe esserci e risultare tanto traumatico da richiedere un intervento immediato di circoncisione, il che non è il massimo, tenuto anche conto che siamo in vacanza a Londra>>
Lei annuì:
<<Certo, hai ragione. Affronteremo questo problema in Italia>>
Roberto divenne rosso come un pomodoro:
<<Sì, anche perché tutto questo mi ha come provocato un blocco psicologico, che mi impedisce anche... insomma... diciamo la forma più classica del peccato di Onan. 
Non so come mai, ma mi fa schifo>>
Aurora annuì, per niente sorpresa:
<<Hai una fobia. Chi meglio di me può capirti? Non ti devi vergognare. Così come tu hai avuto un grande rispetto per certe cose di me che nessun altro potrebbe capire, così io ho un grande rispetto per questa tua situazione. Non temere, non c'è nessuna fretta, abbiamo tutta la vita davanti.
Potremmo persino arrivare entrambi vergini al matrimonio, se tua madre ci tiene tanto.
Io ho comunque ho studiato anche l'aspetto psicologico di quel tuo problema, quando Felix mi ha confessato il suo, e non ci crederai, ma dietro a tutto il suo atteggiamento da bullo c'è una paura pazzesca, insomma è messo peggio di te>>
Roberto, a cui veniva un senso di nausea anche solo a parlare di certe cose, cercò di nobilitare l'argomento con discorsi storiografici e sociologici.
<<Gli Ebrei hanno ragione di far circoncidere i neonati, evitando così questo tipo di problema quando sono più grandi.
Sono sempre stati un popolo assediato e la crescita demografica doveva essere garantita e favorita in tutti i modi. 
Il seme non deve né indebolirsi, né andare disperso, da qui la punizione non solo di Onan, ma anche di Sodoma e Gomorra.
Accanto a questa eredità giudaica, i cristiani hanno posto un eguale fondamento nella filosofia greco-ellenistica, in particolare il neoplatonismo e altre correnti che predicavano il disprezzo dei piaceri sessuali al di fuori del matrimonio e anche della funzione procreativa.
Per questo i preti chiedevano: "Quante volte?", e forse lo chiedono ancora.
Il confessore di Andreotti, scherzando, lo chiede ancora e il Divo Giulio, che ce lo ha reso noto per sua stessa ammissione, risponde sempre: "Sette volte. Sì, sette volte Presidente del Consiglio"

Io purtroppo ho perso la Fede strada facendo, forse perché mio padre e mia nonna hanno idee che potrebbero essere definite eretiche, mentre mia madre ha un approccio integralista e intransigente.
E non mi ha mai nascosto il fatto che certe cose facciano schifo anche a lei>>

Aurora mostrò una grande comprensione:
<<Sono inibizioni che si possono sviluppare, così come nel mio caso ci sono state delle deviazioni.
Ne ho sempre parlato molto con Felix e poi con la mia ginecologa, e lei mi ha dato alcuni consigli, sia per me che per lui.
E si sono rivelati validi>>
Roberto si chiese fino a che livello di intimità i due cugini si fossero spinti, ma quella era una domanda che non intendeva porre.
Lei gli si avvicinò ulteriormente e gli mise le mani tra i capelli, e poi, con un tono materno, anzi molto più materno di quelli usati dalla sua vera madre persino nei tempi migliori, gli disse:
<<Stai tranquillo, ti aiuterò io. Tu farai solo ciò che ti senti di fare, senza nessuna forzatura, perché se no si rovina tutto. Se vuoi io ti farò un giuramento analogo a quello che mi hai fatto tu quella sera al cinema. 
Insomma, per quanto puro e casto tu sia, credo che in un modo o nell'altro, a diciassette anni, avrai trovato, per dirla con Freud, un modo per indirizzare la tua libido, dico bene?>>
Roberto tornò a sorridere:
<<Sì, alcuni modi. E sai la cosa comica? Uno l'ho appreso leggendo una biografia di Caterina II di Russia>>
Aurora prima rimase incredula, poi scoppiò a ridere:
<<Solo tu potevi trovare una soluzione a questo tipo problemi leggendo la biografia di una di quelle regine ninfomani>>
E in quel momento a tutti e due venne in mente la stessa cosa, e lo dissero contemporaneamente:
<<Per me anche la regina Vittoria, dietro a quella faccia sdegnata, chissà quali desideri nascondeva... e forse, dopo tanti anni di vedovanza, quando conobbe il signor Brown... chissà>>