martedì 27 giugno 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 74. Iniziano i processi contro Ettore Ricci

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Una delle affermazioni che Ettore Ricci esprimeva più spesso e con maggior convinzione era la seguente: "Se qualcuno volesse rispettare tutte le leggi esistenti in Italia, non riuscirebbe più a muovere un dito". 
E in questo non aveva tutti i torti. La Repubblica Italiana, alla fine degli anni '80 del XX secolo, era già un paese soffocato dall'eccesso di leggi, regolamenti, direttive, usi, consuetudini, lacci e laccioli vari che avevano dato vita a un mostro burocratico tale da schiacciare sul nascere ogni iniziativa privata.
Non diciamo questo per giustificare gli errori di Ettore Ricci, alcuni dei quali erano così plateali e ingenui da farlo sembrare un banale ladro di polli, ma per ricordare che i procedimenti giudiziari in cui si trovò coinvolto, suo malgrado, gli offrirono un palcoscenico dal quale egli, grazie alle sue innate doti istrioniche, diede vita ad uno spettacolo satirico a sfondo socio-politico di cui fu, deliberatamente, primo attore, regista e capocomico.
Ma procediamo per gradi.
La prima grana legale fu una cosa relativamente di poco conto e cioè una denuncia per abuso edilizio riguardo alla costruzione delle tre case di Cervia su una specie di collinetta artificiale che oscurava la visuale dei vicini, in particolare quella del signor Mario Strambelli, che in precedenza si era già vendicato versando, nottetempo, secchi pieni di deiezioni liquide innominabili nel giardino della villa più alta, quella di Margherita Spreti di Serachieda, provocando olezzi nauseabondi e una moria di ortensie che fu causa di numerose afflizioni per la figlia primogenita di Ettore Ricci, e una rabbia incontenibile in suo padre.
Più preoccupante, anche se sotto molti aspetti scontata, fu l'inchiesta che vide Ettore indagato per evasione fiscale e falso in bilancio.
Furibondo, quando lo venne a sapere, il vecchio Ricci si sfogò con sua sorella Adriana:
<<Non hanno uno straccio di prova! Vogliono incastrarmi con una quisquilia contabile, manco fossi Al Capone! E allora io rispondo come fece lui: "Siete solo chiacchiere e distintivo! Chiacchiere e distintivo!>>
Fu la prima di una lunghissima serie di memorabili battute del prode Ettore nella lunga guerra che seguì.
Arrivarono poi altre indagini con l'accusa di corruzione di pubblico ufficiale, che coinvolse un numero imbarazzante di impiegati comunali, provinciali, regionali, statali e dipendenti degli enti pubblici economici.
<<E' una menzogna! E' forse una colpa aver regalato a qualche brav'uomo una cassa di ciliegie o un cesto con prosciutto e salame? Ma se credono che io mi faccia crocifiggere senza reagire si sbagliano di grosso! Se affondo io, mi tiro dietro tutti!>> sbottò Ettore Ricci <<Chi mi vuole spedire all'inferno, sprofonderà all'inferno insieme a me!>>
Lo diceva rivolto alla famiglia, ma con voce sufficientemente alta affinché tutti sentissero.
<<Non avresti dovuto rifiutarti di pagare i debiti di Alberico. In quel modo hai perso il sostegno del senatore Senatore Leandri>> fece notare sua sorella Adriana
Ettore batté un pugno sulla scrivania del suo studio:
<<Quell'idiota di Alberico se l'è cercata, nonostante io l'avessi avvertito mille volte. E si sarebbe messo nei guai di nuovo, buttando nel cesso i miei soldi e la mia fatica.
Quanto a Leandri, la cosa meno sgradevole che posso dire di lui è che è un gran figlio di puttana>>
Adriana sospirò:
<<Sì, ma era il "nostro" figlio di puttana. La politica funziona così. Me l'hai insegnato tu>>
Di fronte a quella pregnante osservazione, Ettore si limitò a ringhiare, come un cinghiale preso in trappola.
L'altra sorella, Carolina, gli rimproverava le bugie:
<<A volte sarebbe stato più utile dire la verità>>
Ettore scuoteva la testa, sdegnato:
<<La verità è così preziosa che deve sempre essere protetta da una cortina di bugie>>
Non la pensavano allo stesso modo i magistrati quando formularono ai suoi danni l'accusa più infamante e cioè quella di usura e riciclaggio di denaro sporco.
Che i Ricci fossero stati, almeno inizialmente, degli usurai e dei contrabbandieri, non era un segreto per nessuno, ma non c'erano mai state prove evidenti per sostenere quell'accusa in un tribunale.
<<Qualcuno ci ha traditi, ma non riesco a credere che possa essere stato Michele. E' il mio amministratore da cinquant'anni, e se io dovessi risultare colpevole, allora lui sarebbe considerato un mio complice. E poi non avrebbe nulla da guadagnarci>>
Non immaginava, Ettore, che la perfidia di un invidioso come Michele Braghiri poteva arrivare persino all'autolesionismo pur di vedere nella polvere e nel fango l'uomo che gli aveva fatto ombra per tutta la vita.
Ettore Ricci ebbe comunque il buon senso di non confidarsi con lui e di rivolgersi soltanto alla propria famiglia.
Inaspettatamente, a schierarsi in modo immediato e totale dalla parte di Ettore fu sua moglie Diana Orsini, che pure avrebbe avuto milioni di motivi per dubitare di lui, ma c'era in gioco l'onore della famiglia:
<<Vogliono infangare il buon nome dei Ricci-Orsini e distruggere la nostra famiglia. Ma noi dimostreremo a tutti di essere uniti e compatti. E ci difenderemo!>>
Lui rimase stupefatto:
<<Io credevo che tu mi considerassi colpevole... anche per colpe... come dire... ormai cadute in prescrizione...>>
Diana gli rivolse uno sguardo incredibilmente benevolo:
<<Non più di quanto fossi colpevole io stessa. Me ne rendo conto solo ora. 
Avevi bisogno di una moglie che ti comprendesse, che ti sostenesse, che ricambiasse i tuoi sentimenti. 
Se io fossi stata quel tipo di moglie, forse molto dolore si sarebbe potuto evitare
Ma siamo ancora in tempo, Ettore... 
Non so quanto tempo ci resta, ma ti prometto che d'ora in avanti sarò per te quello che sarei dovuta essere fin dall'inizio>>
Ettore era confuso e farfugliava:
<<Ma sono io a non essere mai stato alla tua altezza. Tu hai avuto con me fin troppa pazienza. Non merito il tuo perdono...>>
Lei sorrise, ed era una cosa talmente rara da essere meravigliosa a vedersi, come l'apparizione di una dea:
<<Qualunque possano essere state le tue responsabilità, hai già scontato la tua pena sopportando le mie filippiche, i miei musi lunghi e i miei silenzi ostinati. Ora è tempo di dimenticare i fantasmi del passato. Dimentichiamo i morti, le loro tombe sprofondano nella cenere. 
Pensiamo ai vivi, pensiamo a che meravigliosa famiglia abbiamo costruito: le nostre figlie, i nostri nipoti... se sono venuti su così bene, vorrà pur dire che qualcosa di buono l'abbiamo fatto, non trovi?>>
Ettore le prese la mano, quella mano ancora così bianca e diafana, come quella di una fata:
<<Sì. L'abbiamo fatto. Se le nostre figlie e i nostri nipoti ci vogliono così bene, forse, senza nemmeno rendercene conto, qualcosa di buono l'abbiamo fatto davvero>>