venerdì 12 gennaio 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 103. Annus horribilis

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Il 2011 fu l'anno peggiore di sempre per tutti i componenti della famiglia Monterovere-Ricci-Orsini: eventi tragici, crudeli e luttuosi devastarono la vita di ognuno di loro e segnarono di conseguenza uno spartiacque definitivo anche in quella di Riccardo.
La maggior parte di noi crede che le persone che amiamo siano eterne, o quantomeno destinate ad accompagnarci per lunghissimo tempo, sostenendoci sempre nelle asprezze della vita.
Purtroppo non sempre è così.
Le persone invecchiano, si ammalano, si indeboliscono e giorno dopo giorno la loro luce si affievolisce, senza che noi riusciamo ad accorgercene, finché un evento più eclatante non ci costringe a guardare in faccia la realtà.
Quando poi questi eventi sono più di uno, e addirittura si concentrano nello stesso anno, a breve distanza l'uno dall'altro, ogni equilibrio, anche il più saldo, viene messo a dura prova e può vacillare. Quasi tutte le certezze crollano e resta soltanto un grande senso di precarietà.
E' difficile dare conto di tutto questo senza cadere in toni melodrammatici, o al contrario, senza assumere lo stile di una cartella clinica, e dunque chiediamo perdono al lettore se avrà quest'impressione.
Il 31 marzo, mentre si trovava a Bologna, Riccardo ricevette una telefonata che segnò l'inizio di tutto il dolore che stava per abbattersi su di lui e sulla sua famiglia.
Suo padre, Francesco Monterovere, era stato ricoverato d'urgenza per un forte dolore al petto. L'angiotac aveva rilevato un'emorragia interna al pericardio, dovuta ad una dissezione dell'aneurisma all'aorta ascendente, oltre ad un malfunzionamento della valvola aortica.
Era necessario un immediato intervento a cuore aperto, per l'applicazione di due protesi, una al tratto aortico ascendente e un'altra alla valvola.
Questo tipo di operazione, quando avviene d'urgenza, con un'emorragia in atto e uno scompenso cardiaco grave, è estremamente delicata e rischiosa. Per rendere almeno un'idea di questo rischio, basti pensare che, durante un intervento a cuore aperto, la circolazione sanguigna deve essere garantita dall'esterno, per mezzo di una pompa artificiale, mentre il cuore (in condizione di arresto temporaneo) viene sollevato e sottoposto al trapianto delle zone compromesse.
Data la delicatezza della situazione, questi interventi avvengono in strutture private specializzate e convenzionate col servizio pubblico.
Il paziente venne dunque trasportato in una di queste cliniche e portato immediatamente in sala operatoria.
L'intervento durò sei ore, ma ci vollero due giorni prima che Francesco fosse dichiarato fuori pericolo.
Il protocollo della terapia intensiva nelle cliniche specializzate è molto restrittivo, per cui solo un parente viene ammesso alle visite, seguendo una procedura di sterilizzazione molto complessa. Silvia stette il più possibile accanto al marito, che ancora era sotto profonda sedazione.
Riccardo passò quei giorni trascinandosi su e giù per i corridoi della clinica, nell'attesa di una qualche notizia. Era la prima volta che si trovava in una simile condizione, e purtroppo fu la prima di una lunga serie. In quei momenti apprese una triste verità, e cioè che nessuno può dire di aver conosciuto realmente l'angoscia se non è mai stato ore ed ore nelle anticamere di una sala operatoria, nell'attesa di sapere se un proprio caro riuscirà a sopravvivere.
Ma siccome al peggio non c'è mai fine e le disgrazie non vengono mai sole, un nuovo incubo era alle porte.
Mentre Francesco era ancora in convalescenza, il 10 aprile Silvia si sentì male: forti dolori addominali, nausea e una gran debolezza. All'inizio pensò che fosse solo una conseguenza dello stress, ma il secondo giorno i sintomi divennero più intensi e dovette farsi visitare. 
I medici le prescrissero una serie di esami dai quali risultò un quadro molto serio: c'era un tumore maligno al colon e bisognava operare immediatamente.