venerdì 23 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 128. Remember remember...








La mattina successiva, durante la colazione, Aurora e Roberto progettarono la loro prima giornata a spasso per Londra e decisero di visitare la zona centrale di Westminster e alcuni dei suoi luoghi più caratteristici e importantiDowning Street, il ponte, il Big Ben, il Palazzo del Parlamento, l'Abbazia, il Parco di St.JamesBuckingham Palace, il MallSt.James Palace, e altre tappe minori.

Il fedelissimo Battista li avrebbe accompagnati, con un'auto noleggiata dall'Hotel, dal Savoy fino a Downing Street, con l'impegno di tornare a prenderli alla fine della loro "escursione" nel luogo che gli avrebbero comunicato al cellulare (nel 1992 c'era il mitico Motorola) e lui li avrebbe riaccompagnati al Savoy.

Avrebbero camminato fino al ponte di Westminster, al Big Ben e al palazzo del Parlamento, vicino al luogo dove un gruppo di irlandesi cattolici guidati da alcuni ribelli inglesi tra cui il leggendario Guy Fawkes, avevano progettato di far saltare in aria la Camera dei Lord nella notte tra il 4 e 5 novembre 1605, durante il regno di Giacomo I Stuart, già Re di Scozia, divenuto poi anche Re d'Inghilterra alla morte di Elisabetta I nel 1603, previa conversione all'anglicanesimo. Il piano fu chiamato in seguito "la Congiura delle Polveri" e nella memoria collettiva divenne una sorta di tentativo eroico di sovvertire la tirannide del monarca e degli aristocratici, e dunque passò alla storia come una rivoluzione mancata, ma degna di essere ricordata con un motto divenuto famoso: "Remember, remember, the fifth of November", come a dire che la resa dei conti sarebbe comunque arrivata molto presto, e fu così, prima sotto il regno di Carlo I e poi sotto quello di Giacomo II.

Certo ricordare la Congiura del 5 novembre in agosto era un po' ridicolo, ma per fortuna quello del 1992, a Londra, fu un agosto anomalo, piuttosto fresco e ventilato, il che permise ai due fidanzatini, entrambi tremendamente narcisisti, un abbigliamento "consono al loro stile".

La sera precedente si erano divertiti a scegliere ognuno dei due il look dell'altro.
Mentre si sbizzarrivano in quella scelta ad alto valore feticistico, Aurora decise di rivelare a Roberto una cosa:
<<Sai, quando l'altra sera mi chiedevi uno dei motivi per cui ho scelto te. Oltre a quelli che ho elencato ce n'erano altri, che non ho detto perché magari ti potevano sembrare troppo folli, ma che invece secondo me hanno un alto valore contenutistico>>
Roberto l'aveva guardata con aria incuriosita:
<<Sentiamo!>>
Aurora sorrise con aria complice e disse:
<<Non impressionarti, ma io tenevo un diario su di te: ogni giorno scrivevo una specie di relazione in cui c'era scritto tutto quello che facevi e che io stavo monitorando>>
Roberto rimase indeciso se essere compiaciuto del fatto che una ragazza così meravigliosa si interessasse tanto a lui, oppure se essere preoccupato per il fatto che questa ragazza con evidenti problemi psichici lo stesse spiando da anni in maniera morbosa.
Nel dubbio preferì la prima reazione.
<<No, dai non ci credo...>>
<<Giuro, me lo sono portato dietro. Quando lo vorrai vedere, vieni da me. Ma prima ti anticipo alcuni contenuti. Per esempio, ogni giorno segnavo: pettinatura, vestiario e look generale, interazioni sociali, interventi intelligenti, battute, umore, spostamenti e tante altre cose>>
Roberto sgranò gli occhi:
<<Inquietante... e comunque non dev'esserne risultato nulla di così positivo>>
Lei si accigliò:
<<Ti proibisco di sminuirti ai miei occhi! Ciò che è emerso dal diario è che tu eri perfetto per me.
E tra tutte queste annotazioni, quella che ha sempre meritato un 10 era l'abbigliamento. sempre stato impeccabile, classico, da scuola privata del buon tempo antico. 
Eri l'unico maschio ad avere stile e classe in una scuola di sciattoni.
Ci vuole coraggio ad osare uno stile così al giorno d'oggi, e io ho ammirato fin dall'inizio quel coraggio.
Mi ha fatto piacere constatare che abbiamo entrambi un feticismo per i capi di abbigliamento eleganti.
E allora stasera ti indicherò cosa indosserai domani: è un regalo>>

E gli porse una scatola lunga e piatta, in cui c'erano: 
- un abito completo gessato a tre pezzi, di colore blu navy; 
- una camicia bianca con colletto alla francese e gemelli d'argento; 
- una cravatta di seta blu scuro, spessa, lunga, perfetta per il nodo double Windsor;
- un orologio Rolex Oyster Perpetual, che all'epoca costava 10 milioni di lire.

Roberto proprio non se l'aspettava e la commozione fu così forte che non riuscì a trattenere le lacrime e abbracciò Aurora come se volesse sincerarsi che tutto ciò che stava accadendo fosse reale e non un sogno.
Alla fine, quando riuscì a ricomporsi, e dopo aver condiviso con lei un tenero bacio, le disse:
<<Io non posso accettare tutto questo, è troppo, non me lo merito, è tutto così meraviglioso... io non so come ringraziarti!>>
Lei però lo sapeva:
<<Indossa tutte queste cose domani! Sarà una giornata ventilata e fresca. E ci divertiremo un mondo!>>
<<Ma è comunque agosto, e dovremo scarpinare per un bel po'>>
<<Nel qual caso ti consentirò di tenere la giacca in mano e sbottonarti il colletto della camicia, è tutto molto semplice, lascia fare a me, tu devi solo rilassarti e vedrai che alla fine starai benissimo>>
Roberto era troppo giovane e innamorato e commosso per capire che a questo mondo nessuno fa niente per niente (e questa è la prima legge dell'economia), ma presto si sarebbe reso conto di cosa Aurora gli avrebbe chiesto in cambio.





<<Sarà fatto, lady Aurora! Però adesso tocca a me scegliere cosa indosserai tu, e siccome hai imposto un dress-code formale, io farò altrettanto, anche perché, per quanto riguarda i vestiti, sono ancor più feticista di te e ti devo confessare una cosa che alcuni giudicherebbero male:
io trovo che una donna con indosso certi capi di vestiario possa essere più attraente di una donna nuda>>
Lei annuì con convinzione:
<<Lo stesso vale per me, per quanto riguarda il nudo maschile. Scoprirai, mio caro dolce Robs, che io e te ci divertiremo moltissimo, nei prossimi giorni>>

Alla fine Roberto scelse per lei un abbinamento elegante, che fosse coerente con quello del suo accompagnatore: 
-  una camicetta di seta leggera, gialla, decorata con motivi geometrici:
-  pantaloni a palazzo beige con la piega;
-  scarpe con tacco non troppo alto, visto che dovevano camminare molto;




Aurora approvò: 
<<Scelta eccellente, a cui io aggiungerò, essendo masochista, scarpe con tacco alto e una cravatta femminile nera, per condividere una parte dei disagi che ti ho sadicamente inflitto>>
Ormai tutto era ufficiale: feticismo dei vestiti e lieve sado-masochismo in forma non violenta.
Insomma, per capirci, niente a che vedere con Il Dardo e la Rosa o, peggio ancora, con le famigerate Cinquanta sfumature di grigio.
Roberto condivideva il feticismo del vestiti ed era disposto, entro certi limiti, a sopportare il resto.

La mattina dopo si svegliarono presto, intorno alle sette e dopo una rapida doccia e un lunghissimo tempo dedicato alla vestizione e al make-up, che nel caso di Roberto consisteva nella rasatura, applicazione della crema dopobarba lenitiva e di una crema da giorno idratante e protettiva, consigliatagli da sua madre, furono pronti per la loro prima "spedizione".
(Roberto, sia detto per inciso, aborriva la barba, e continuò a detestarla anche quando, nei tremendi anni '10 del nuovo secolo/millennio, tornò di moda)

 Alle 8 in punto uscirono dalle rispettive suites, si contemplarono a vicenda, mangiandosi con gli occhi, e scesero a far colazione, seguiti dall'onnipresente Battista.
In altre mattine avrebbero scelto la colazione in camera, ma quel giorno era diverso: dovevano coordinare al meglio tutte le operazioni di partenza.
Optarono per una colazione corroborante, ma sempre di tipo "latino-continentale", ossia croissant e brioches varie, seguite nel caso di Roberto e Battista da una tazza di caffè, mentre Aurora ordinò una brocca intera di tè verde e una bottiglietta d'acqua naturale, come era sua abitudine.

Alle 8.30 Battista andò in cerca dell'automobile noleggiata, e ci mise un po' a trovarla, ma alla fine, un quarto d'ora dopo, uscì dai garage con "il Peugeut", come lo chiamava lui, perché le macchine grandi dovevano essere declinate al maschile.

Alle 9.00 si ritrovarono sullo Strand in direzione Whitehall, uno dei quartieri più centrali di Westminster.
All'epoca non c'era ancora Internet e non esisteva Google Maps: si era, insomma, nella Preistoria.
Oggi invece, con un eccesso di ottimismo, la suddetta mappa che ci permette di orientarci persino se ci perdiamo nella periferia di Seoul, ritiene che il tempo di percorrenza tra il Savoy e Downing Street sia di otto minuti, previo pagamento di pedaggi.
Sarà... ma nel 1992, ossia nella Preistoria, ci voleva più tempo, persino se era agosto.

E dunque, intorno alle 9.30 il fido Battista depositò i due fidanzatini davanti al n°10 di Downing Street.
Roberto si propose come cicerone e guida turistica, avendo studiato fin dall'infanzia tutto ciò che riguardava Londra e l'Inghilterra, ed Aurora accettò volentieri, perché, pur essendo stata molte volte nella capitale del Regno Unito, conosceva ben poco della sua storia.

L'edificio, costruito dall'immobiliarista Sir George Downing nel 1684, divenne la sede del Governo Britannico nel 1732, quando re Giorgio II lo destinò all'allora Primo Ministro, il whig Sir Robert Walpole.
Per molto tempo, una parte dell'edificio era stata accessibile al pubblico, ma proprio l'anno precedente la visita di Roberto e Aurora, c'era stato un attentato dinamitardo dell'IRA contro il neo premier John Major, che ne uscì illeso. Da allora le misure di sicurezza divennero molto stringenti, per quanto fosse concesso ai turisti di farsi fotografare vicino alla porta d'ingresso dell'appartamento del Premier.

Aurora insistette per fotografare Roberto, col suo gessato a tre pezzi e l'indice rivolto verso la porta, come se la regina Elisabetta gli avesse appena conferito l'incarico di formare il nuovo governo.






Quando Roberto si propose di fotografare Aurora nella stessa posa, lei disse che come personaggio politico non era credibile e che le fotografie se le sarebbe fatte fare in altri posti che a lei interessavano di più.
Inoltre Aurora voleva solleticare un po' la vanità di Roberto, perché aveva un piano in serbo per il finale di quella giornata, ed era importante che lui fosse di buon umore e ben disposto nei confronti di lei.




Percorrendo la Parliament Street, arrivarono di fronte alla Clock Tower, la torre dell'orologio, costruita tra il 1834 e il 1858, e meglio conosciuta, per sineddoche, come Big Ben, soprannome della campana più grande.
Due decenni dopo gli eventi narrati in questo capitolo, nel 2012, la torre fu ribattezzata Elizabeth Tower, in occasione del Giubileo di Diamante (60 anni di regno) di Elisabetta II.

Anche nei pressi del Big Ben, e nonostante il traffico intenso,  Aurora insistette per scattare varie foto al fidanzato, con molta attenzione ai dettagli, specie a tutto ciò che lei gli aveva regalato: l'abito gessato a tre pezzi, la cravatta di seta, i gemelli, il Rolex... e dietro la Torre dell'Orologio, a sancire solennemente il giungere delle ore 10.15 ante meridiem.





E poi si voltarono ad osservare il Ponte di Westminster e il Palazzo del Parlamento.




Il Tamigi era immenso, qualcosa a metà strada tra un fiume e un mare: Londra era una città portuale, si potevano scorgere piccole navi dappertutto e tanti porticcioli.
Il destino della Britannia come impero marittimo e oceanico si manifestava e si rifletteva nell'imponenza del Tamigi e nella natura di Londra come porto che si dirama verso gli oceani,
Per Roberto, che era cresciuto considerando grande il Bevano, la vista del Tamigi fu qualcosa che il suo animo fece fatica a contenere e a comprendere. Ne ebbe persino paura, e si ritrasse, senza mai sapere il perché.

Tornarono indietro, fino a Parliament Square, dove si spaventarono scorgendo la terrificante statua di Winston Churchill, che faceva apparire sir Winston più brutto del Gobbo di Notre-Dame-

Quella statua, nel 2020 fu sfregiata dalla scritta, "was a racist", durante la furia iconoclasta seguita alla terribile morte di George Floyd. 





Ci si permetta un inciso. Nel 1992 una cosa del genere sarebbe stata impensabile a Londra.

A quei tempi era Los Angeles ad essere in fiamme, in seguito al pestaggio di Rodney King, ma la rivolta rimase circoscritta alla città californiana.
Dopo una settimana di anarchia, Bush Senior mandò l'esercito e riprese il controllo della città.
Nella rivolta ci furono 63 morti.

Trent'anni dopo, a pagare furono più che altro le statue, (meglio quelle degli uomini, ma l'atto resta pur sempre discutibile) in una "nuova iconoclastia" che a detta di Roberto, nei suoi momenti profetici e millenaristi, è uno dei tanti "segni dei tempi".




La visita al Palazzo di Westminster e al Parlamento richiese molto tempo e meriterebbe un capitolo a parte, ma ai fini della nostra narrazione sarebbe troppo prolissa, per cui, pur con dispiacere, dobbiamo limitarci a dire che durò all'incirca due ore.




Alle 12 circa Aurora e Roberto si recarono a visitare l'Abbazia meraviglioso edificio in stile gotico dove sono sepolti alcuni grandi personaggi della storia inglese e britannica. 
Qui Roberto ed Aurora si soffermarono sulle tombe di alcuni sovrani.

Lei lo ascoltava, affascinata dal suo modo di raccontare la storia come se avesse conosciuto di persona tutti i personaggi di cui stava parlando.




In particolare Roberto le fece notare, ai piedi della monumentale tomba di Elisabetta I Tudor, una scritta, a suo parere, di straordinaria importanza.
Così recita la lapide, unendo alcune lettere e utilizzando simboli per altre:

"Regno consortes et urna hic obdormimus Elizabetha et Maria sorores in spe Resurrectionis"
 ossia
"Qui riposiamo, unite dalla sorte nel regno e nella tomba, noi sorelle Elisabetta e Maria, nella speranza della Resurrezione".

Si è sempre sottovalutata l'estrema importanza del fatto che Elisabetta abbia voluto essere sepolta fianco a fianco a sua sorella Maria, che l'aveva preceduta sul trono, e l'aveva persino imprigionata, per poi liberarla e aprirle la strada alla successione. 

L'epigrafe sottolinea la comune speranza nella Resurrezione, valorizzando ciò che di condiviso esiste tra la Chiesa Cattolica e quella Anglicana, e auspicando dunque la fine alle guerre di religione in Inghilterra.




E qui, Roberto si sentì in dovere di raccontare un aneddoto, letto in saggio sui Tudor da tempo fuori catalogo, regalatogli da sua nonna. (Tale aneddoto fu poi ripreso nelle fin troppo romanzate ricostruzioni cinematografiche del regno della prima Elisabetta, interpretata da Cate Blachett)

Maria, sposata col cugino Filippo II di Spagna, era ufficialmente "incinta" da oltre dieci mesi, quando finalmente dette il permesso ai medici di capire cosa c'era nel suo grembo, e i medici scoprirono che si trattava di un cancro ovarico, la stessa malattia che aveva condotto prematuramente alla tomba sua nonna materna Isabella la Cattolica.

A quel punto, sapendo di doversi presto presentare al giudizio del Creatore, la regina Maria ordinò di scarcerare la sorellastra Elisabetta, e la chiamò al suo capezzale.
Qui Maria fece giurare ad Elisabetta che non avrebbe perseguitato i cattolici e che soprattutto non avrebbe impedito il culto della Vergine.
Elisabetta giurò, Maria spirò poche ore dopo, contemporaneamente all'ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury, il cardinale Reginald Pole, la cui famiglia era stata sterminata brutalmente da Enrico VIII.

Molti anni dopo, quando l'ennesima trattativa di matrimonio fallì ed Elisabetta I si trovò a dover accettare la propria sorte e la stessa fine della dinastia Tudor, avrebbe ricordato il giuramento fatto a Maria, pronunciando di fronte ai Consiglieri, stupefatti, la frase: 
"Giurai a mia sorella di non contrastare il culto della Vergine. Ora farò di più: consacrerò a Lei la mia stessa verginità, per il bene dei miei sudditi, che d'ora in avanti potranno contare sulla Santissima Vergine in Cielo e su una Regina Vergine in questa valle di lacrime.
 Oggi, signori miei, io sposo l'Inghilterra!".

Aurora ascoltava con attenzione, perché Roberto, e questo almeno gli va riconosciuto, non era soltanto un erudito: era anche un appassionato divulgatore della sua conoscenza, e la sapeva trasmettere con una recitazione istrionica, ma appropriata, trasmettendo emozioni oltre che nozioni.
La sua ragazza gli disse: 
<<Che splendido insegnante saresti, meglio di tuo padre e persino meglio di tuo zio Lorenzo. Credo che in questo tua nonna abbia ragione: devi seguire la tua vocazione per gli studi umanistici>>
Lui però scosse il capo:
<<La scuola sta cambiando, e non in meglio. Io resterò legato per sempre al modello gentiliano. Ma la pedagogia e la didattica, purtroppo, guardano da un'altra parte>>
Ma c'era un'altra ragione che portò Roberto a scegliere Economia a Milano: prima di escludere una strada, voleva sempre provare a vedere dove portava, per non essere poi tormentato dai rimpianti, e così, quando, dopo la laurea milanese e il lavoro in banca, incominciò gli studi per la triennale in Storia a Bologna, seguita dalla specialistica in Lingua e letteratura italiana, non ebbe mai rimpianti. Nessuna via era rimasta intentata. Tutto ciò che umanamente si poteva fare era stato fatto.

Ma concludendo l'inciso su Elisabetta I, Roberto narrò un ultimo aneddoto.
Mentre la sovrana discuteva in Consiglio su come far fronte all'Invincibile Armata di Filippo II, molti consiglieri cercarono di convincerla ad allearsi con la Francia, che però poneva umilianti condizioni.
E allora l'ultima dei Tudor così rispose, iniziando a parlare con voce debole e lamentosa e finendo con voce orgogliosa e trionfale, da degna figlia di suo padre:
<<La vecchia Inghilterra sta da sola, come sempre. La vecchia Inghilterra sta in piedi da sola!>>

Giocando sul duplice significato del verbo "to stand" e cioè "stare in senso generale o stare in piedi, in senso specifico", Elisabetta fondò quello che sarebbe diventato una specie di motto per molti inglesi coraggiosi, tra cui lo stesso Churchill, quando il Regno Unito si trovò da solo, nel 1940, di fronte al Terzo Reich, che stava per annientare ciò che rimaneva dell'esercito britannico a Dunkerque.
"Old England stands alone": la vecchia Inghilterra sta in piedi da sola.

Da quanto tempo, a noi Italiani, manca l'orgoglio di appartenere a qualcosa di grande?
Non intendiamo certo rimpiangere la retorica vuota e il vaniloquio dei comizianti insigniti di gloria, ma semplicemente concordare con ciò che scrisse Indro Montanelli al termine della sua Storia d'Italia:
<<Per me [l'Italia] non è più la patria, è solo il rimpianto di una patria>>.
E' una grande verità, molto efficacemente espressa.
Forse allora è giusto che sia l'Europa quel "qualcosa di grande" a cui sogniamo di appartenere?

Quando Aurora e Roberto uscirono dall'Abbazia di Westminster erano ormai le 13, ed entrambi, dopo cinque ore dal momento in cui avevano lasciato le loro suites, erano abbastanza stanchi, avevano fame, e all'epoca mancavano gli Starbucks spuntati recentemente come funghi, per cui, proseguendo nella direzione di St. James Park, decisero infine di pranzare in uno dei tanti chioschi del Parco.

Entrarono al St. James una decina di minuti dopo, dall'ingresso ovest, dove c'è il grande spiazzo della parata equestre. Il parco era meno noto degli altri tre suoi concorrenti, ossia Hyde Park, Kensington Gardens e Regent's Park, ma non meno bello, anzi, il suo lago era circondato da una natura rigogliosa, che lo rendeva un vero polmone verde per l'affumicata Londra.

Alle 13.15 approdarono al St. James Café, che non era proprio il massimo, ma per chi, come loro, fosse stanco e affamato, andava benissimo.
Aurora ordinò un succo di frutta all'arancia e una fettina di torta.
Roberto ordinò due fette di torta e un caffè.
Si sedettero poi in uno di quei tavolinetti moderni, molto deprimenti, da mensa di ospedale.
Il locale era piuttosto affollato ed è meglio stendere un pietoso velo sulle condizioni dei bagni, tanto che persino Roberto, che pure non era schizzinoso come Aurora, decise che questa volta avrebbe chiesto gli straordinari alla sua iron bladder, seguendo le abitudini idrauliche di lei, la quale approvò con entusiasmo misto ad euforia.
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare...

Alle 13.45 circa uscirono dal Caffè e passeggiarono romanticamente, mano nella mano, nel parco.
Erano talmente felici e innamorati che, trovata una panchina, all'ombra, decisero di trascorrere lì un po' di tempo a scambiarsi baci e tenerezze.

Verso le 14.15 ripresero la loro camminata lungo il Parco, diretti verso Buckingham Palace, che si trovava all'uscita est del viale principale del parco.
Arrivati al Victoria Memorial, cercarono di non sentirsi in colpa di fronte allo sguardo di severo rimprovero che la giunonica Regina sembrava continuare a destinare a tutti coloro che, in un modo o nell'altro, avessero violato qualche austero precetto morale.

Di fronte al Palazzo Reale, cuore del Regno Unito e dell'ex Impero Britannico, si limitarono a constatare che in cima al palazzo non sventolava alcuna bandiera.
La ragione è nota a tutti, ma va comunque ricordata: nel 1992 vigeva ancora la tradizione vittoriana secondo cui lo stendardo reale era issato quando il sovrano si trovava a palazzo, mentre veniva ammainato quando si trovava altrove.
Come ogni agosto, da quando era nata, Sua Maestà si trovava a Balmoral.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, solo cinque anni dopo, tutto sarebbe cambiato...
Il 31 agosto 1997, lady Diana Spencer, Principessa di Galles, morì tragicamente a Parigi in un incidente stradale sotto il tunnel dell'Alma.
Nella concitata settimana che seguì quell'evento di risonanza eccezionale, forse uno dei primi eventi mediatici mondiali vissuti in diretta, come se si trattasse di una serie tv, la Regina, che si trovava ancora a Balmoral, decise, su consiglio del premier Blair, di cambiare le regole: al posto dello stendardo reale, da quel momento in avanti venne issata la Union Flag, la bandiera del Regno Unito, con le stesse regole di prima, ma con l'aggiunta che, in caso di lutto, poteva essere tenuta a mezz'asta.

La bandiera britannica, fu issata a mezz'asta, oltre che nel 1997, anche in altri tre casi: nel 2002, alla morte della principessa Margaret, seguita poco dopo dalla morte della Regina Madre e infine, il 9 aprile 2021, alla morte del principe Filippo, Duca di Edimburgo, spentosi a Windsor all'età di 99 anni, di cui 73 trascorsi come consorte dell'attuale sovrana Elisabetta II.




Quindi, in buona sostanza, si può dire che quel giorno del lontano 1992, nessuna bandiera sventolava sul Palazzo che Giorgio III acquistò dal Duca di Buckingham, e poi Giorgio IV e la regina Vittoria scelsero come residenza ufficiale della Corona, ritenendo, giustamente, che St. James Palace fosse troppo piccolo e vecchio per le esigenze del sovrano di un Regno che, dopo aver sconfitto Napoleone, si stava trasformando in un Impero.

Il Cambio della Guardia era già avvenuto e purtroppo all'epoca non era ancora stata aperta al pubblico l'area delle State Rooms, tra cui la Sala del Trono, la Sala da Ballo e  quella dei Ricevimenti.






La Queen's Gallery era invece aperta dal 1962 e vi si accedeva da un ingresso laterale, lungo il Buckingham Gate. Tale ingresso ha la forma di un tempietto neoclassico in stile dorico.
Nella stanza rossa della Gallery si trovano i ritratti dei principali monarchi britannici dagli Stuart in avanti, ma spesso si tengono anche mostre dedicate a uno dei singoli sovrani.

Nelle altre stanze vi sono oggetti di straordinaria bellezza e grande valore, gioielli, mobili, soprammobili e dipinti, soprattutto di epoca barocca e rococò.
Nel passare davanti ai ritratti dei vari sovrani, Aurora metteva sempre alla prova Roberto, chiedendogli quale re o regina fosse, quando e quanto avesse regnato e naturalmente voleva sapere i famosi aneddoti.







Uscirono dalla Queen's Gallery intorno alle 15.30 e, come programmato, si avviarono per la passeggiata lungo il Mall, l'enorme viale che collegava il Palazzo con Trafalgar Square.
Roberto scelse il marciapiede di sinistra, non tanto per abituarsi alle leggi di circolazione britanniche, quanto perché, svoltando in una trasversale del Mall, Marlborough Road si passava di fronte a uno dei cancelli di  St. James Palace, anche non si poteva entrare all'interno, dove abitano alcuni membri della Famiglia Reale.
Era un notevole edificio tardo-medievale in mattoni rossi e stile Tudor, fu infatti commissionato da Enrico VIII e divenne la residenza westminsteriana della sua turbolenta famiglia: fu lì che morì, nel 1558, la sua figlia primogenita, di cui abbiamo parlato, Maria I la Cattolica.




Aurora chiese: 
<<Ma se si dice Maria I, vuol dire che ci fu anche una Maria II?>>
Roberto annuì:
 <<Certamente, Maria II era la primogenita di Giacomo II Stuart e salì al trono nel 1688, insieme al marito Guglielmo III d'Orange, già Signore d'Olanda, dopo che il re era stato cacciato dal Parlamento ed entrambi gli eredi si erano convertiti alla confessione anglicana. 
Maria II morì giovane e senza figli, e alla morte del marito il trono passò a sua sorella Anna, l'ultima degli Stuart, sotto il cui regno avvenne l'Atto di Unione del 1707, che creò il Regno Unito di Gran Bretagna, fondendo la corona inglese con quella scozzese.
Anna fu quindi la prima Regina di Gran Bretagna>>




Aurora annuì e poi chiese: 
<<Dopo la morte di Anna Stuart, ci sono state rivendicazioni da parte dei suoi parenti cattolici?>>
Roberto annuì di nuovo:
<<Ce ne furono molte. Giacomo II, il Re detronizzato nel 1688, aveva avuto un figlio maschio dalla seconda moglie, Maria Beatrice d'Este, nota anche come Maria di Modena.
Questo figlio, Giacomo Edoardo, divenne Principe di Galles, e dopo la morte del padre, nel 1701, rivendicò la Corona col nome di Giacomo III.

Dopo la morte di Anna, nel 1714, l'Atto di Successione stabiliva come erede sua cugina, l'Elettrice Sofia di Hannover, figlia di Elisabetta Stuart, ma Sofia morì un mese prima di Anna, per cui a salire al trono fu suo figlio, il burbero Giorgio I di Hannover.

Gli Scozzesi non erano particolarmente entusiasti del nuovo re, che preferiva starsene in Germania, e questo rinfocolò le speranze del Pretendente giacobita, ma Giacomo III fu sconfitto, definitivamente, nel 1715.
Da allora fissò la sua corte a Roma, sotto la protezione del Papa, e per tutta la vita continuò a proclamarsi legittimo sovrano del Regno Unito.

Alla sua morte nel 1766, si fece avanti il suo figlio maggiore, Carlo Edoardo, detto il Giovane Pretendente, o anche Bonnie Prince Charlie, che già nel 1745 era stato sconfitto dalle truppe scozzesi di Giorgio II.
I giacobiti lo riconobbero comunque come legittimo sovrano col nome di Carlo III.

Dopo la sua morte, nel 1788, lo Stato Pontificio, anche in considerazione di quanto stava accadendo in Francia, decise di riconoscere Giorgio III di Hannover come re legittimo, e i giacobiti persero il più illustre dei loro sostenitori.
Suo fratello Enrico Benedetto, già Cardinale di Santa Romana Chiesa, divenne, senza troppo entusiasmo, il nuovo punto di riferimento dei giacobiti, che lo proclamarono re col nome di Enrico IX.
Alla sua morte, non avendo avuto figli, nominò suo erede Carlo Emanuele IV, Re di Sardegna, per cui da allora i Savoia sono divenuti i pretendenti giacobiti del Regno Unito, per quanto ci siano state in seguito delle diatribe interne ed esterne>>

Aurora lo guardò con ammirazione:
<<Non riuscirò mai a coglierti impreparato su queste materie. Ma allora adesso, tra i discendenti illegittimi degli Stuart, chi è quello che avrebbe più diritti?>>
Roberto rise:
<<Giacomo II si dava molto da fare con le donne, per cui seminò figli illegittimi ovunque, ma se si vuole cercare il ramo più vicino al trono, allora non ci sono dubbi: il più anziano dei figli del Re fu James FitzJames, I Duca di Berwick, che militò nell'esercito spagnolo come condottiero, sotto il regno di Filippo V di Borbone, il quale gli conferì i titoli di Duca di Liria e Jerica e lo creò Grande di Spagna.

I suoi discendenti accumularono Ducati in grande quantità, soprattutto tramite matrimoni dinastici, finché Carlos Miguel, VII duca di Berwick, sposò una certa Rosalia Ventimiglia, lontana cugina di Maria Teresa Cayetana de Silva, XIII Duchessa d'Alba, e pertanto, alla morte della Duchessa, l'VIII Duca di Berwick, Jacobo Fitzjames Stuart y de Silva de Tormes, nelle cui vene scorreva il sangue degli Stuart e quello degli Alba de Tormes, divenne il XV Duca d'Alba e titolare di un'infinità di Ducati, Marchesati, Contee e Baronie di ogni genere. 

Egli era il bisnonno di Cayetana Maria del Rosario Fiz-James Stuart y Silva Falcò Guartabay, XVIII Duchessa d'Alba de Tormes, XI Duchessa di Berwick e attuale punto di riferimento dei giacobiti di tutto il mondo.
Per uno strano scherzo del destino, è nata nello stesso anno della regina Elisabetta, il 1926.
Se mai si dovessero incontrare, Cayetana non chinerebbe il capo davanti alla sua coetanea, e mi pare di aver letto che la Principessa di Galles si sia sentita in dovere di farle la riverenza. 

In conclusione posso dire che il nostro "amico" Waldemar Richmond-Stuart, Duca di Ravensbourne, per quanto si proclami discendente degli Stuart, non ha alcuna speranza di essere riconosciuto leader dei giacobiti, ammesso che questo conti ancora qualcosa>>
Aurora rise:
<<Se dovesse alzare la cresta, glielo farò notare! Così imparerà a stare al suo posto!>>








martedì 20 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 127. Fulsere quondam candidi tibi soles


Roberto Monterovere, in tutta la sua vita, non pronunciò mai la frase "Sto bene", nemmeno nei momenti più felici.
E questo non tanto, o non solo, perché c'era quasi sempre qualche problema che gli procurava disagio, ma anche e soprattutto per motivi scaramantici: una simile frase infatti, a suo parere, poteva scatenare l'invidia degli uomini e degli dei.
Per non parlare poi della frase: "Andrà tutto bene". che, come è noto, nei film viene detta dal personaggio che morirà per primo, quasi sempre in maniera atroce.
E comunque è un dato di fatto che quelle due frasi portino una sfiga tremenda, e tutti ne sono consapevoli, anche nel Ducato della Romagna Centrale, compreso Roberto Monterovere, il quale, pur essendo incline a dubitare di tutto, di una sola cosa non dubitò mai e cioè dell'esistenza della Sfiga come principio ontologico e parte integrante dell'entropia che opera nell'universo.

La scaramanzia era una tradizione di famiglia: il massimo che i Ricci-Orsini-Monterovere potevano concedere era un "non c'è male", pronunciato con così scarsa convinzione da dare l'idea che invece le cose andassero malissimo.
Quando poi le cose incominciarono ad andare male sul serio, nonostante tutte le precauzioni e gli scongiuri, la risposta standard alle domande del tipo: "Come va?", divenne invariabilmente un "si tira a campare" di sapore decisamente andreottiano,
Queste abitudini scaramantiche, molto diffuse nelle campagne, potevano essere considerate quasi uno stile di vita, sintetizzato molto efficacemente da un colorito proverbio napoletano:
"Chiagni e fotti".

E così, anche in quello splendido agosto del 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto cercò di tenere per sé la propria gioia, quasi fosse un peccato mortale.

Persino adesso, quando ormai sono passati tre decenni da quel periodo, Roberto è reticente a parlare di gioia, e chiama in causa Francesca da Rimini e Dante Alighieri.
"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria"





Oppure si identifica con Catullo, disperato per la fine della relazione con Lesbia, alias Clodia Pulchra:

"Fulsere quondam candidi tibi soles..." "...desinas ineptire, et quod vides perisse, perditum ducas"

Splendettero per te, un tempo, giorni scintillanti... [ma ora] ...smetti di vaneggiare, e ciò che vedi essere perduto, consideralo perduto per sempre.






L'altra frase che tende a ripetere sempre più spesso, come per sminuire la gioia autentica e profonda di quei giorni, è poi diventata uno dei suoi cavalli di battaglia:

<<Il ricordo della felicità non è più felicità, ma il ricordo del dolore è ancora dolore>>

E chi potrebbe dargli torto, in tutta onestà?
Questo era ed è il suo atteggiamento mentale, disilluso, scettico e disincantato, quando gli si chiede di raccontare le gioie della sua giovinezza.
Molti però sospettano che ancora si avvalga della strategia del "chiagni e fotti", reputandolo un uomo ozioso, pigro e ingordo, dagli appetiti insaziabili, a cui i piaceri non bastano mai, un vizioso "nella cui pancia ci sono tutti e sette i peccati capitali".

Ma soprattutto lo considerano un uomo finito, "interminabilmente sopravvissuto a se stesso".

Ed ecco che allora lui, per reazione, si riscuote e il suo eloquio prende il volo, come un'aquila, librandosi nei cieli, e poi,  atteggiandosi a novello Zarathustra assume un tono solenne e si esprime come un oracolo:

<<Sono sopravvissuto, sì, ma non a me stesso: io sono sopravvissuto a mille battaglie, tra cui, lo ammetto, molte sconfitte e poche vittorie inutili, ma questo soltanto perché, poeticamente, amo le cause perse, specialmente quando sono perse davvero.

Però io sono sempre sopravvissuto, e se volete conoscere l'arte della sopravvivenza, ascoltate ciò che vi dico: spesso sopravvivere si può, persino quando le ferite sono state gravi e profonde, ma è necessario avere almeno una valida, importante, percepibile e plausibile ragione di vita.

Sì, io confesso che ho vissuto e il tempo è fuggito così velocemente che il mio animo non è riuscito ad invecchiare. 
Eppure una cosa ho compreso: il saggio ricorda tutto, perdona molto e poi passa oltre, proseguendo per la propria strada.

E così io proseguo, come un cavaliere errante, in una terra desolata, in un mondo senza speranza.
Eppure è bello contemplare i papaveri sull'orlo della scarpata...

Io sono un uomo del secolo scorso, e forse il mio tempo è finito, ma non è finito il mio impegno di essere testimone trasparente e cronista fedele della Storia.

Io sono un rudere pieno di crepe, e non le nascondo, perché c'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.




In tempi remoti di sogni si nutriva il mondo,
ma ora boschi d'Arcadia sono morti.
Eppure la fantasia resta un diritto umano.
Continuate a sognare, perché anche questo è verità.

E ora che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l'ho studiato, senza saperne nulla.
Ma vi sono ancora ragioni di vita, prima tra tutte la curiosità dell'avvenire.

Per questo io vi dico che i tempi sono maturi per un evento fin troppo atteso.
Tarda è l'ora, un sole tramonta e un altro presto sorgerà.
Per questo io attendo, e per questo sarò ricompensato.

Presto verranno i giorni del Maestro, e saranno benedetti, poiché il Maestro ha atteso più di chiunque altro>>




Ora i lettori si chiederanno cosa possano significare quelle oscure parole, che sembrano i vaneggiamenti di un pazzo o di un licantropo che abbaia alla luna. 
A tempo debito tutto sarà spiegato.
Ma c'è anche un'altra domanda, ossia com'è stato possibile che l'ingenuo diciassettenne entusiasta diventasse un solenne, folle ed enigmatico Predicatore, i cui occhi hanno visto sin troppe cose?
La risposta a tutto è una sola: continuate a leggere questa narrazione e lo saprete, ma non subito.
Torniamo dunque agli eventi mirabili e terribili che avvennero trent'anni fa.

Nell'agosto 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto era felice.
Nel secondo giorno di vacanza, decisero di rilassarsi nell'area Pool and Spa dell'Hotel.

L'impostazione delle piscine del Savoy era come quella delle terme romane, unita alla tecnologia moderna e alle attuali conoscenze mediche.
C'erano un calidarium, un tepidarium e un frigidarium.

Il calidarium era una piscina di medio/piccole dimensioni, vicino alle palestre, con acqua salsobromoiodica a temperatura elevata, e forti getti idromassaggio.





Il tepidarium era una piscina più grande, con acqua tiepida, e senza idromassaggio. 
Quando si usciva dalla piscina, gli inservienti portavano subito un accappatoio caldo con cui avvolgersi, e poi invitavano gli ospiti a sdraiarsi sui lettini.





Per chi volesse proprio esercitarsi col nuoto c'era la piscina grande con acqua fresca.




Quando Roberto vide queste tre piscine, gli venne in mente non tanto il modello delle terme romane, ma quello della Villa Adriana, a Tivoli, dove era stato in gita scolastica.
L'enorme parco della Villa presentava vari bacini d'acqua simili a piscine, tra cui i più importanti erano il Canòpo e il Pecile.

Il Canopo era indubbiamente il più bello, con il colonnato di cariatidi da un lato e il Serapeo dall'altro, per quanto il suo nome derivasse dal ricordo di un evento tragico.
L'imperatore Adriano e il suo favorito Antinoo, durante un viaggio in Oriente, si erano fermati per un po' di tempo ad Alessandria d'Egitto, dove avevano osato aprire il sarcofago di Alessandro Magno, il cui corpo era stato imbalsamato, per poter guardare in faccia quel grande re e condottiero.

Ma così facendo avevano violato un antichissimo precetto romano, risalente alle leggi delle XII tavole: Deorum Manium iura sancta sunto: siano sacri i diritti degli dei Mani, ossia dei defunti. 
Foscolo pone questa frase in epigrafe al carme de i Sepolcri.
Inoltre, anche Virgilio ci ricorda un dovere morale, nel terzo libro dell'Eneide, al verso 41, ossia il "Parce sepulto", l'avere rispetto e pietà per i defunti.
In generale valeva il proverbio: "De mortuis nihil nisi bonum". Riguardo ai morti non si dica nient'altro se non il bene.
Per uno storico è quasi impossibile rispettare queste leggi, per cui è giustificato, entro certi limiti, a esprimere il proprio parere.
Ma la violazione di questi precetti da parte di chiunque altro è nefasta, e questo presagio spinse Adriano e Antinoo a far visita ad una veggente, che si trovava nella città di Canopo, alla foce del ramo più occidentale del Nilo, detto anch'esso Canopo o Ramo canopico. 

Purtroppo, come ci racconta Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, il responso dell'oracolo fu infausto. Non c'era più niente da fare.
E la veggente aveva ragione, poiché il bellissimo Antinoo dai riccioli d'oro morì poco tempo dopo, giovanissimo, annegato nelle acque del Nilo.








Mentre Roberto, disteso sul lettino, raccontava ad Aurora questa storia, ecco che fece il suo ingresso il Duca di Ravensbourne, per quanto, sul momento, sia Aurora che Roberto lo avessero scambiato per una ragazza.
Se non fosse stato per l'assenza dei seni, sarebbe anche potuto essere una fanciulla, ma come giovane uomo era poco credibile.
Perfino l'imperatore Adriano lo avrebbe considerato troppo effeminato per i suoi gusti.
I lunghi capelli biondi e ondulati gli arrivavano fino alle spalle, il volto era femminile.
Portava una camicia bianca aperta sul petto glabro.




Il suo sguardo era quello di chi è consapevole del proprio rango, del proprio prestigio e della propria ricchezza, ma c'era anche una vena di tristezza, o forse di noia, e un atteggiamento languido e vagamente lascivo.

Nonostante ci fossero molti sdrai liberi, si sedette vicino ad Aurora, la quale, infastidita, cambiò lettino, andando in quello alla destra di Roberto.

Il Duca, sorpreso, si sentì in dovere di scusarsi e lo fece con voce flautata, in un italiano perfetto e senza inflessioni:
<<Mi dispiace di aver violato la vostra privacy. Il fatto è che ho saputo che siete italiani, ed io sono per metà italiano, per parte di madre, e nella fattispecie lombardo: mia madre si chiama Elena Borromeo ed è imparentata con l'antica famiglia>>

Roberto, che da sempre provava una certa soggezione verso quelli che lui chiamava "i nobili veri", ossia con quattro quarti di nobiltà, e in particolare coloro che detenevano un titolo elevato, si sentì in dovere di scusarsi a sua volta:
<<Ci perdoni, Lord Ravensbourne, ma io e la mia fidanzata, in effetti, amiamo molto la privacy, ma in questo caso faremo volentieri un'eccezione>>

Il volto del Duca si illuminò:
<<Ne sono felice! Ma vi prego, chiamiamoci per nome e diamoci del tu: io sono Waldemar>>
Roberto guardò Aurora, la quale non pareva affatto contenta di quell'intrusione, e poi rispose:
<<Io sono Roberto e lei è la mia fidanzata Aurora>>
Si scambiarono una stretta di mano: quella di Waldemar apparve debole, ma calda.
<<Fidanzati ufficialmente? Così giovani?>>
Roberto e Aurora si guardarono di nuovo in faccia e si sorrisero a vicenda:
<<L'amore non ha età. Ma ci sposeremo soltanto dopo aver finito gli studi universitari. Tu sei studente all'università?>>
<<Ho appena ottenuto il Bachelor in storia dell'arte e storia delle religioni, a Oxford. 
Sono stato anche sei mesi a Bologna, per l'Erasmus. Intendo continuare lo studio di queste materie fino al Master e poi mi piacerebbe fare il Dottorato a Bologna. Voi siete di quelle parti, mi pare di capire dal vostro accento>>
Aurora e Roberto si scambiarono, per la terza volta, uno sguardo tra l'allarmato e il divertito.
Fu lei a rispondere:
<<Siamo di Forlì, in Emilia-Romagna, a settanta chilometri da Bologna. E tu come mai sei qui, d'agosto, e non in qualche isola greca a festeggiare la laurea?>>
Waldemar si rabbuiò:
<<Purtroppo, da quanto mio padre è morto improvvisamente d'infarto a giugno, devo occuparmi di persona degli affari di famiglia, specie in questo periodo in cui la sterlina, come del resto anche la lira italiana, sotto sotto attacco dello speculatore George Soros, detto "lo Squalo">>
Roberto ne aveva sentito parlare:
<<L'Italia è messa molto peggio del Regno Unito. La lira dovrà uscire dal sistema monetario dei cambi fissi. La Banca d'Italia non può continuare a vendere le sue riserve auree per comprare titoli in lire ed evitare la svalutazione. Soros è troppo potente, molto più del governatore Ciampi>>
Waldemar mostrò ammirazione per il fatto che Roberto, per quanto adolescente, fosse preparato su un argomento che per lui era piuttosto ostico:
<<E' proprio come tu dici, ma credimi, anche la sterlina non è mai stata così debole. 
E' un anno terribile per la Gran Bretagna. Domani dovrò incontrare i soci di mio padre, per prendere decisioni rischiose, ma mi fido del suo più caro amico, sir Alfred Burke-Roche>>
Aurora e Roberto si guardarono in faccia per la quarta volta, e il loro sguardo era decisamente preoccupato, perché c'erano troppe "singolari coincidenze".
A parlare fu Roberto:
<<Burke-Roche? E' per caso parente della baronessa lady Ruth Fermoy, la nonna materna della Principessa di Galles>>
Il Duca sorrise:
<<Sì, certo, vedo che sei informato anche su questi dettagli. Credo che Alfred sia un nipote o un lontano cugino di lady Fermoy, ma purtroppo, di questi tempi, non è certo un vantaggio essere imparentati con Diana Spencer>>
A quel punto intervenne Aurora:
<<Tu da che parte stai? Dalla parte del Principe o da quella della Principessa?>>
Waldemar rise:
<<In generale è consigliabile non interferire in alcun modo con le dinamiche interne della Famiglia Reale, ma la fedeltà e la lealtà dei Ravensbourne vanno sempre alla Corona e quindi al Principe di Galles. 
Gli stessi membri della famiglia Burke-Roche hanno preso le distanze da lady Diana e dalla famiglia Spencer in generale. 
Persino la madre di Diana, lady Frances Shand-Kydd, si è ritirata dalla scena pubblica e si è convertita al Cattolicesimo ed ora si dedica esclusivamente ad opere di carità.
Adesso i Burke-Roche stanno puntando tutto su lady Jessica, la figlia di sir Alfred, che credo abbia la vostra età, più o meno>>
Roberto intervenne:
<<Abbiamo diciassette anni>>
Il giovane Duca annuì:
<<Allora siete suoi coetanei. E' una ragazza davvero brillante, e anche lei conosce l'italiano. 
Credo che sir Alfred gliel'abbia fatto studiare per favorire il nostro avvicinamento. 
Lei ha intenzione di studiare lettere classiche e anche storia delle religioni: è molto affascinata dal tema delle religioni esoteriche dell'antichità e delle loro sopravvivenze durante l'era cristiana.
Del resto, questo è anche il mio campo di studi, mi piacerebbe specializzarmi su questo argomento>>
Per l'ennesima volta Aurora e Roberto si guardarono in faccia, e questa volta non ebbero dubbi: quell'incontro non era affatto una coincidenza.
Roberto decise di arrivare subito al dunque:
<<Hai detto di aver fatto un Erasmus a Bologna. Per una singolare coincidenza, lì insegna anche mio zio, Lorenzo Monterovere, non so se...>>
Il viso di Waldemar divenne più splendente del sole:
<<Lorenzo! Ma certo! E' stato il mio mentore e mi seguirà lui quando farò il Dottorato. 
Ho letto tutti i suoi libri. E' un vero genio e un docente brillante, carismatico e di straordinaria cultura, non a caso è stato un allievo del grandissimo professor Franz Kranz, il Filosofo Metafisico, a sua volta allievo di Erich von Tomaten, l'autore dell'imprescindibile testo "Das tausendjaehrige Reich", l'Impero dei Mille Anni>>
Aurora non apparve per nulla entusiasta di tutto questo:
<<Lorenzo ha amici ovunque. E' quasi impossibile sfuggire al suo controllo>>
Il Duca parve non capire:
<<E perché mai dovrebbe controllarvi?>>
Roberto preferì tagliare corto:
<<E' una lunga storia, e questo non è il luogo adatto per parlarne. Ammesso che ve ne siano>>
Waldemar era molto incuriosito:
<<Sarei veramente lieto se una di queste sere mi faceste l'onore di essere miei ospiti a cena nella Royal Suite, potrei organizzare anche un incontro con lady Jessica Burke-Roche, che ammira l'Italia più di ogni altro paese, e la ama come solo uno straniero può amarla>>
Aurora era sempre meno contenta della piega che stava prendendo la conversazione:
<<Immagino che lady Jessica preferisca cenare da sola con te>>
Il Duca scosse il capo, amaramente, e la sua chioma riccioluta gli coprì per un attimo il viso:
<<No, non credo. Penso anzi che mi trovi noioso. Forse non sono il suo tipo, chissà. Ma se ci foste anche voi due, si divertirebbe molto di più>>
Roberto stava per accettare l'invito, ma Aurora intervenne:
<<Grazie, ci penseremo senz'altro e ti faremo sapere>>
Waldemar annuì, con quel sorriso lievemente imbronciato, come se, nonostante tutte le sue fortune, il suo cuore fosse gravato da un segreto inconfessabile, e forse più di uno.
Alla fine si congedò, si spogliò, e si tuffò in acqua.