venerdì 21 febbraio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 52. I colleghi dell'Istituto Tecnico

Grande fu lo sconcerto del clan Ricci-Orsini quando Silvia rifiutò fermamente qualunque forma di raccomandazione, sia in sede di concorso, superato peraltro brillantemente, sia in sede di assegnazione della cattedra di ruolo.
E così, mentre il Sommo Poeta donnaiolo Adriano Trombatore declamava le sue orazioni al Liceo Classico, Silvia accettò di buon grado la cattedra di italiano, storia e geografia all'Istituto Tecnico Industriale Statale.
Tale scelta si rivelò inaspettatamente felice, perché all'ITIS di Forlì conobbe, tra i suoi colleghi, sia il futuro marito, sia la maggior parte degli amici più cari e dei frequentatori del salotto a cui avrebbe dato vita in seguito, dopo il matrimonio.
Iniziamo dai colleghi di sezione, nel biennio.
C'erano, in primo luogo, Anna ed Elisabetta De Gubernatis (ancora precarie e pertanto non raccomandabili dalla Signorina De Toschi) : la prima, che come sappiamo aveva sposato il Sommo Poeta, insegnava lettere in altre classi della stessa sezione, mentre la seconda era docente di inglese e faceva una corte spietata a Massimo Braghiri, docente di matematica, il quale continuava a corteggiare Silvia, invano.
La collega di scienze naturali era la Professoressa Maria Pia Teodati De Bonchampuna ninfomane ipocondriaca fissata con l'igiene intima e lo studio dei germi al microscopio.
Il collega di disegno era l'architetto Amedeo Leandri noto per il suo carattere irascibile e per la tendenza a scagliare fuori dalla finestra fogli e quaderni degli studenti che non gli andavano a genio.
La collega di fisica era la Professoressa Dea Vermiglioni, il cui segno particolare era un enorme neo sferico e violaceo che le copriva quasi tutto il naso: tale oltraggio da parte della natura veniva compensato nella mente della  Vermiglioni con una compulsiva tendenza al pettegolezzo velenoso.
Il collega di ginnastica era il Professor Gilberto Minchioni, detto il Tenente Colombo, per la sua abitudine a portare in ogni stagione e con ogni tempo e temperatura, un impermeabile stropicciato color vomito.
La collega di diritto ed economia era la Professoressa Edda Rachele Gattifiglia di un ex-dirigente fascista di Predappio Alta, ed ella stessa fervente sostenitrice del Movimento Sociale.
Non poteva mancare il collega di religioneil rubicondo Don Adamo Colleoni, un prete dai forti istinti carnali, le cui barzellette oscene mettevano in imbarazzo l'intero istituto, per non parlare della Curia.
Non meno importanti erano i colleghi del triennio.
Italiano e storia negli ultimi tre anni erano affidati alla Professoressa Letizia Ramolini, quasi omonima della madre di Napoleone, ma, a differenza di quest'ultima, zitella impenitente dalla voce nasale e dal fisico somigliante a un armadio.
La cattedra di fisica nel triennio era tenuta dalla Professoressa Renata Maria Crocifissa Binetti Delle Vedovedi cui si vociferava che portasse una jella tremenda e implacabile.
Ma il più importante di tutti, destinato a diventare il miglior amico di Silvia, era il Professor Piero Giovannelli, brillante matematico, sostenitore del geocentrismo, grande conoscitore di cinema, fine umorista e narratore, ma soprattutto principale organizzatore delle iniziative mondane della città e delle gite all'estero.
La sua vèrve era in grado di conquistare tutti: basti dire che persino Ettore Ricci, padre di Silvia, lo vedeva di buon occhio, apprezzandone la tagliente ironia.
Per quanto Giovannelli e la Gatti fossero ufficiosamente fidanzati, non si sposarono mai, né mai convissero, forse per ragione delle opposte visioni politiche, che li portavano a liti furibonde, placate soltanto dalla devozione amorevole di lei e dal bisogno che lui aveva di una donna con la patente di guida che gli facesse da autista, essendo lui volutamente sprovvisto di automobile, ritenuta una spesa frivola e indegna di un vero sapiente.
Va altresì ricordato che tutti i suddetti docenti erano stati, a loro tempo, studenti pubblici o privati della Signorina De Toschi, compreso Piero Giovannelli, che nutriva nei confronti della Grande Mademoiselle un odio viscerale.
In conclusione, bisogna nominare anche i principali membri del personale amministrativo, tecnico e dirigente, ognuno dei quali era destinato a ricoprire in seguito un proprio ruolo nel salotto di Silvia Ricci-Orsini e della sua famiglia.
Ricorderemo quindi: il bidello Obino Colleoni (fratello di don Adamo, e narratore di barzellette altrettanto sconce), il tecnico di laboratorio Guido Selvaggi (che portava sempre la stessa maglia unta e bisunta e che svolgeva anche le attività parallele di falegname e amministratore di condominio), la segretaria Alice Fobrecht Van Der Bach, una bionda di origine olandese, il vicepreside Priamo Marchesi, dirigente democristiano, il Preside Prof. Everardo Rocca Rossiglioni, presidente del Rotary Clubla vicepreside Professoressa Rosa Pia Baccarelli, moglie di un importante notabile democristiano e direttore di banca, e la Provveditrice agli Studi, la temutissima Cordelia Sergenti Borgonzoni.
Ma la vera svolta ci fu quando Massimo Braghiri perse il posto a causa dello scarso punteggio, venendo definitivamente trasferito alle scuole medie, e la sua cattedra fu assegnata a una nostra vecchia conoscenza, ossia Francesco Monterovere, il futuro marito di Silvia.

domenica 16 febbraio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 51. Francesco Monterovere conosce l'Antagonista

Nel 1968, mentre il mondo studentesco era scosso dalla Contestazione, Francesco Monterovere aveva vinto il concorso nazionale per l'insegnamento ("sono arrivato sesto in tutta Italia" era solito ripetere, con una certa spavalderia) e di conseguenza aveva ottenuto la sua prima cattedra di ruolo, come si dice in gergo, all'Istituto Tecnico Industriale Statale di Forlì, lo stesso a cui era stato destinato Massimo Braghiri, che invece non aveva superato l'esame di stato, ma soltanto quello provinciale di abilitazione, cosa che gli precludeva una carriera nei Licei.
Da questo dettaglio di non poco conto sarebbe sorta una rivalità destinata a crescere negli anni, fino a diventare una vera e propria faida tra la famiglia Monterovere e la famiglia Braghiri.
Ma ancora i tempi della guerra aperta erano lontani.
L'incontro tra i due futuri rivali in tutto (amore, lavoro, prestigio e quant'altro), era già avvenuto all'università di Bologna, ma Francesco Monterovere non se lo ricordava nemmeno.
Come a volte succede agli uomini molto alti, Francesco aveva la testa tra le nuvole ed era talmente distratto e distante dal contesto che non aveva mai fatto caso a Massimo, basso di statura, olivastro di carnagione e livido d'invidia.
Fu solo quando diventarono colleghi che si ebbe una vera e propria presentazione, che costituì, anche se loro all'epoca non potevano saperlo, il primo punto di tangenza tra due universi totalmente diversi, e cioè quello "montano", "magico/boscoso", "celtico/druidico" e "longobardo" dei Monterovere, e quello "basso padano", "agrario", "gallo-italico", "aristocratico/papista" e "romano/bizantino" dei Ricci-Orsini e di tutte le famiglie che gravitavano intorno al loro centro, la Contea di Casemurate.
Fin dalla loro prima presentazione ufficiale, Francesco e Massimo svilupparono una profonda e reciproca antipatia.
La stretta di mano di Massimo fu stritolante e troppo prolungata.
A questa seguì una raffica di domande che conteneva già in sé altrettante risposte provocatorie:
<<Monterovere? Non sei di queste parti, vero? Vieni dai monti, giusto?>>
Seccato, Francesco borbottò una risposta vaga:
<<I miei nonni erano di Querciagrossa di Pavullo, nel modenese>>
Massimo sorrise:
<<Ah, ecco! Infatti il dialetto modenese ha una cadenza molto marcata, una specie di cantilena...>>
Francesco, sempre più irritato, intervenne:
<<Ma io sono nato e cresciuto a Faenza, per tua informazione!>>
Massimo sorrise con una certa condiscendenza:
<<Ah, qui da noi si dice "botta di faentino", quando uno dà di matto! Oppure "fare senza, come quelli di Faenza". Anche lì si mangiano le parole, hanno uno strano dialetto, con tutte le vocali sbagliate...>>
Francesco, di temperamento irascibile, stava già desiderando di prendere a pugni quel cafone:
<<Credevo che tu insegnassi matematica, non glottologia>>
Massimo si erse in tutto il suo metro e sessanta:
<<Insegno matematica, ma ho mille hobbies sia culturali che sportivi. Mi intendo di preistoria, storia locale, dialettologia, lingue straniere, storia dell'arte e collezionismo, inoltre sono appassionato di tennis, nuoto, barca a vela, motocicletta e automobilismo>>
Francesco parve divertito:
<<E cosa ti fa pensare che tutto questo mi interessi anche solo lontanamente?>>
Massimo divenne verde per la bile:
<<Ritengo che la socializzazione tra colleghi si basi su una presentazione che non sia superficiale. Per cui sarei curioso di sapere quali sono i tuoi hobbies culturali e sportivi>>
Di fronte a tanta bizzarra pedanteria, Francesco era tentato di mandare al diavolo l'interlocutore, e avrebbe fatto sicuramente meglio, ma alla fine prevalse quel senso innato di quieto vivere che aveva ereditato da sua madre:
<<Mah, a livello culturale mi piace la musica classica, in particolare l'opera lirica. Ho anche una seconda laurea in fisica, per cui mi interessa la scienza, la storia della scienza, la filosofia della scienza e la filosofia in senso lato, in particolare la logica e la metafisica. Mi piace molto il cinema, specie quello surrealista, Fellini in particolare. Vado a teatro, leggo romanzi gialli e di fantascienza, ma anche testi più impegnativi: Borges per esempio, e Proust, soprattutto, il mio autore preferito. Non sono sportivo, mi sembra tempo perso. Sono un intellettuale puro>>
E qui Massimo trovò subito il punto debole del suo futuro avversario:
<<Ah, male! Lo sport è essenziale per la salute fisica e psicologica. Io lo insegnerò ai miei figli, prima di tutto, al di sopra di tutto. Tu invece darai un pessimo esempio ai tuoi, che cresceranno in una specie di castello in aria, senza contatto con la realtà...>>
Francesco era sbalordito dalla faccia tosta di quel piccoletto:
<<Ci conosciamo da nemmeno cinque minuti e mi stai dando già lezioni su come si crescono i figli. Be', mi dispiace deluderti, ma per il momento questo discorso non mi interessa. Preferisco divertirmi un po', prima di mettere la testa a posto>>
Massimo scattò subito:
<<Male, malissimo! Fare i figli tardi è un errore colossale. Io per fortuna devo solo scegliere tra numerose spasimanti. Se ritarderò un minimo, sarà solo perché dovrò scegliere la più adatta per me>>
E qui Francesco ebbe gioco facile per trovare una risposta destinata a provocargli l'odio perenne di tutta la famiglia Braghiri:
<<Be', non dovrebbe essere così difficile, Massimo. Visto che pensi già a cosa sarà meglio per i tuoi figli, è necessario che tu, tra tutte le tue innumerevoli spasimanti, sceglierai per forza la più alta>>
La faccia di Massimo assunse un color verde oliva tendente al giallo zafferano:
<<Non necessariamente! Per esempio, la mia famiglia frequenta quella dei Conti Orsini di Casemurate, la famiglia più antica e più nobile di tutta la Romagna. Discendono da Bertoldo Orsini, che fu Conte di Romagna dal 1278, per volontà di suo zio, papa Niccolò III...>>
<<Ah, sì, quello che Dante mette all'Inferno per simonia...>>
<<Questo non c'entra nulla. Stavo dicendo che in pratica io sono intimo di Silvia Ricci-Orsini, l'erede dell'attuale Contessa Orsini di Casemurate>>
Francesco trovava sempre più ridicolo quel personaggetto supponente e millantatore:
<<A Roma direbbero: me cojoni!>>
<<Si vede che tu non conosci la storia, caro Francesco... e osi definirti un intellettuale!>>
<<Se sapessi tutto, allora forse insegnerei alla Sorbona di Parigi, discettando dei massimi sistemi, e non delle contesse di qualche sconosciuto paesino della bassa pianura romagnola abitato da pigmei con manie di grandezza>>
Quella parola, "pigmeo", politicamente scorretta già a quei tempi, fu un altro dei motivi dell'odio di Massimo Braghiri nei confronti di Francesco Monterovere.
Nessuno dei due però si era reso conto che, già in quella prima conversazione, era stato fatto il nome di Silvia Ricci-Orsini, la donna destinata ad essere contesa tra loro negli anni a venire.
Massimo, che voleva aver sempre l'ultima parola in ogni discussione, concluse sprezzante:
<<Dovrai imparare ad avere più rispetto nei confronti del clan Ricci-Orsini, perché i loro parenti controllano tutte le posizioni chiave del potere, qui a Forlì. Ti auguro di non incorrere mai nell'ira di Ettore Ricci, il marito della Contessa, perché tutti quelli che hanno osato sfidarlo hanno fatto una brutta fine>>
Francesco parve confuso:
<<Parli di questo Ettore come se fosse un boss mafioso. Comunque, non vedo perché dovrei averci a che fare. E poi cosa intendi per "brutta fine"? Lo hanno sfidato e hanno fallito?>>
Massimo lo fissò con sguardo da faina:
<<Lo hanno sfidato e sono morti>>

giovedì 13 febbraio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 50. Un gioco più grande di noi

Da molti anni ormai Ettore Ricci aveva preso possesso dello studio del suo defunto suocero, Achille Orsini, venticinquesimo Conte di Casemurate, facendone la propria "sala del trono".
Diana Orsini, moglie di Ettore e ventiseiesima Contessa di Casemurate, non aveva messo più piede in quella stanza da così tanti anni che, quando finalmente si decise a ritornarvi, si meravigliò di trovarla quasi immutata.
<<Ettore. credo che sia venuto il momento di tornare a parlarci>> esordì Diana, dopo essere entrata nel suo studio.
Lui inarcò le sopracciglia:
<<Ah sì? Non mi rivolgi la parola da quindici anni, e poi improvvisamente arrivi qui, come se niente fosse, e pretendi che io sia disposto a fare conversazione... >>
Lei si sedette sulla poltrona di fronte a lui, fissandolo con determinazione:
<<Si tratta di una questione importante, che non può essere rimandata. Ti chiedo solo di ascoltarmi>>
Ettore sospirò, piegando il giornale sulla pagina delle quotazioni azionarie:
<<Sentiamo!>>
Diana annuì lievemente, in segno di ringraziamento:
<<Io sono convinta che quello che è successo ad Anna non sia una mera casualità>>
Lui alzò gli occhi al cielo:
<<Non vorrai ricominciare con le tue teorie del complotto, spero?>>
Lei mantenne un tono serio:
<<Ettore, fino ad ora ho scelto di fingere di non vedere, di non capire, di non sapere, perché credevo  che fosse l'unico modo per evitare che la nostra famiglia si disgregasse.
Ma adesso non posso più far finta di niente>>
Ettore la fissò con aria esasperata:
<<Ma si può sapere di cosa stai parlando?>>
Gli occhi neri di Diana sostennero lo sguardo del marito:
<<Di Silvia. Era lei il bersaglio di Adriano. Anna è stato solo un ripiego>>
Ettore sorrise:
<<Nostra figlia sa difendersi benissimo da sola, e ce ne ha dato prova, per cui non vedo la ragione di preoccuparsi>>
Diana scosse il capo:
<<Ancora una volta ti ostini a non voler vedere quello che succede sotto il tuo naso>>
Lui sbuffò, sempre più spazientito:
<<Ah, ecco, alla fine si torna sempre a questo punto. Io non capisco nulla, invece tu sei il grande genio che risolve i misteri>>
Lei aveva previsto questa reazione e cercò di arrivare gradualmente al punto:
<<Non è questione di intelligenza, ma di volontà. Ogni volta che ho tentato di metterti in guardia da certe persone di cui ti fidi troppo, tu hai reagito dandomi della pazza, perché non avevo le prove. Ma stavolta è diverso. In tutto questo tempo ho osservato attentamente i fatti, e ho capito persino più di quanto fosse necessario capire. Sarebbe stato più facile vivere di ipotesi, ma per noi è il momento di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile>>
Ettore si spazientì:
<<Basta parlare per enigmi, Diana! A quali fatti ti riferisci?>>
Lei percepì un fondo di curiosità, dietro all'atteggiamento scettico del coniuge:
<<Michele si era messo in testa l'idea che Silvia si sarebbe fidanzata con suo figlio, che lui considera letteralmente il "massimo">>
Ettore sorrise:
<<E' una sua debolezza, lo riconosco. Ma gli ho risposto per rime!>>
Diana si irritò per la mancanza di tatto del marito:
<<Sarebbe bastato fargli notare che Silvia non era interessata a Massimo. Tu invece hai trattato Michele come un servo e lo hai offeso. "Sei il mio miglior servitore, Michele, ma un uomo non può dare in sposa la propria erede al figlio di un servitore!". Lo hai umiliato...>>
Lui mantenne un'aria divertita:
<<Non dirmi che adesso Michele Braghiri ti sta simpatico!>>
Lei scosse il capo con decisione:
<<Tu sai come la penso sul suo conto. E' un uomo pericoloso, soprattutto quando si sente offeso. E stavolta hai offeso anche Massimo, che a mio parere è ancor più pericoloso di suo padre>>
Ettore scrollò le spalle:
<<Oh, avanti, Diana, non essere ridicola. Michele non ha nulla da guadagnarci a mettersi contro di me. E Massimo è solo un ragazzo!>>
Diana gli puntò un indice contro:
<<Un ragazzo? Ma se ha ventiquattro anni! E' laureato in matematica, sta preparando il concorso per l'insegnamento. Io non ho potuto studiare, ma, a differenza tua, non sottovaluto i laureati, specie quelli con 110 e lode>>
<<E come avrebbe fatto a causare lo scandalo di Anna e Adriano?>>
<<Ma è ovvio! Chi ci ha portato in casa il Sommo Poeta? La Signorina De Toschi... la stessa che ha un'adorazione particolare per Massimo e altrettanti motivi per provare invidia e rancore nei nostri confronti, e in particolare nei confronti di nostra figlia>>
Ettore non si scompose:
<<Le tue manie di persecuzione si sono aggravate. Tu hai bisogno di andare da un medico... uno bravo, come si suol dire>>
Lei sorrise:
<<E allora dimmi chi è stato a uccidere mia sorella e mio fratello, e a far fuori Federico. L'ispettore e il giudice hanno insabbiato tutto, per fare un favore a te. E in tutti questi anni non ti sei mai chiesto niente, non hai mai voluto fare chiarezza, non ti sei mai interessato di nulla, come se tutto questo non ti riguardasse>>
Ettore si incupì:
<<Ma cosa potevo fare? Sollevare un polverone che ci avrebbe screditato agli occhi di tutto il mondo? Se fosse stato reso pubblico che si era trattato di omicidio, tutti avrebbero puntato il dito contro di me, come tu stai facendo ora.
Certo, io ho tratto, seppur indirettamente, un vantaggio da quelle morti, ma non sono il mandante. Forse qualche mio collaboratore ha voluto agire da solo, nell'ombra. 
Dubito che sia Michele, è troppo pavido per questo tipo di cose.
Ma una cosa è certa: io sono innocente.
La mia unica colpa è di essermi illuso nei tuoi confronti. 
Credevo che noi due, insieme, avremmo potuto vincere>>
Colpita da quelle parole che mettevano in luce tutta l'amarezza per ciò che il loro matrimonio non era stato, Diana non ebbe il coraggio di ricordargli che la loro unione era avvenuta in circostanze infauste.
<<Possiamo ancora vincere, anzi dobbiamo vincere, per la nostra famiglia. Le nostre figlie, i nostri nipoti e tutti coloro che verranno. E' per questo che ti sto consigliando di prendere sul serio i miei avvertimenti. Sono in tanti che vorrebbero vedere la nostra famiglia nel fango, per poi impedirle di rialzarsi...>>
Ettore la fermò, sollevando una mano:
<<Non c'è mai stato un "noi". Quando tu parli della famiglia, pensi ancora agli Orsini di Casemurate. Io sono stato soltanto un principe consorte>>
Diana scosse il capo:
<<Ma cosa stai dicendo? E' tutto di tua proprietà. Sei il padrone indiscusso da trent'anni!>>
Lui divenne ancora più cupo:
<<Tutti mi guardano come un usurpatore, una calamità temporanea da sopportare prima che tutto torni di nuovo nelle mani dei gentiluomini. Per questo avrei voluto il figlio maschio. Lui almeno avrebbe continuato la mia stirpe e il mio cognome. E invece tutto sarà diviso tra le nostre figlie e andrà a ingrandire i feudi dei loro mariti. E di me non resterà traccia, mentre tutti ricorderanno per sempre il nome degli Orsini, che governarono queste terre dal 1278, quando i Papi della loro nobile stirpe li mandarono qui per la prima volta. Vedi che conosco la storia? Ho imparato molte cose, in questi anni, mentre tu te ne stavi rinchiusa nella tua stanza a leggere romanzi inutili>>
Sarebbe stato inutile spiegargli che leggere era l'unica attività umana che, dal punto di vista di Diana, poteva inseguire l'infinito oltre i limiti angusti nei quali era costretta a vivere.
Ettore non poteva capirlo, ed era inutile rimproverarlo per questo: aveva altre doti.
Ma riguardo alla questione della famiglia Braghiri, Diana non voleva darsi per vinta:
<<Massimo e Michele vanno allontanati, prima che possano combinare altri danni>>
Ettore stava esaurendo la sua riserva di pazienza:
<<E cosa mai potrebbero fare, senza rischiare di essere scoperti?>>
Diana ci aveva pensato a lungo:
<<Potrebbero trovare qualcosa per ricattarti. Michele sa fin troppe cose sui tuoi affari. Potrebbe aver architettato un piano per far ricadere su di te le proprie colpe>>
Questa osservazione riuscì a far breccia su Ettore:
<<Potrebbe, ma anche se fosse, io non potrei certo obbligare Silvia a sposare Massimo. I tempi stanno cambiando>>
Diana annuì:
<<Oh sì, stanno decisamente cambiando. Ma non è questo il punto. I Braghiri vogliono vendicarsi: a loro importa rovinarti, e di conseguenza rovinare anche me e Silvia, che viviamo ancora qui a Villa Orsini>>
Lui non si scompose:
<<Il giudice De Gubernatis, nostro cognato, controlla le indagini preliminari su tutta la Contea di Casemurate di Forlì, e nessuno potrà smuoverlo da quell'incarico, fintanto che godrà della protezione dell'altro nostro cognato, il senatore Baroni, che è anche membro laico del CSM>>
Diana scosse il capo:
<<Il potere dei cognati non durerà in eterno. Siamo rimasti intrappolati in un gioco più grande di noi>>
Ettore accennò un sorriso di compiacimento:
<<Mi fa piacere che tu parli al plurale. Perché anche il tuo silenzio ti rende mia complice e credo che tu lo sappia>>
Lei gli rivolse uno sguardo infuriato:
<<Sei un vigliacco!>>
<<Oh, avanti, Diana, non essere melodrammatica!
E' tutto sotto controllo: la nostra rete di clientele durerà abbastanza per darmi il tempo di mettere tutto in ordine agli occhi della legge.
E comunque devi tenere conto di un altro fatto assolutamente indiscutibile: se cadessimo noi, cadrebbero anche i nostri eventuali nemici. 
Massimo potrà anche rendersi autonomo da noi, ma i suoi genitori non troverebbero un lavoro così ben remunerato e prestigioso come quello che hanno qui.
Se il Feudo Orsini dovesse cadere in rovina, trascinerebbe con sé anche loro nel fango.
Non conviene a nessuno di loro accusarmi: sarebbe come se si tagliassero la mano destra con la sinistra.
E dunque credo che l'unico modo per controllare le azioni di Michele e Massimo sia proprio tenerli legati a noi e al nostro destino. 
Non dobbiamo allontanarli, ma vincolarli ancora più strettamente>>
Diana si rese conto che quell'osservazione aveva un senso, ma non le piacquero per niente le implicazioni che ne derivavano:
<<E cosa vorresti fare, allora?>>
Ettore sorrise:
<<Sei proprio sicura che Silvia non sia interessata a Massimo?>>
<<Sicurissima! Ma cosa ti salta in mente? Prima dici che i tempi sono cambiati, e poi vorresti condannare Silvia alla stessa infelicità a cui io sono stata costretta?>>
Lui si incupì:
<<Alla fine si ritorna sempre a questo punto. Ma questa volta, dato che sei stata tu a incominciare il discorso, devi lasciarmi il diritto di replicare in tutta sincerità!>>
Lei sospirò:
<<La sincerità non implica necessariamente la verità di ciò di cui si parla. Ma comunque, se proprio insisti, dimmi pure...>>
Lui si mise una mano tra gli occhi, come per nascondere un dolore profondo, nascosto per un tempo lunghissimo.
<<Tu sei sempre stata accecata dal pregiudizio nei miei confronti, perché io non appartenevo al tuo ceto sociale...>>
<<Ma non dire sciocchezze!>>
<<... e dal fatto che non rispondevo ai tuoi canoni di perfezione estetica...>>
<<Io non sono una donna superficiale e lo sai benissimo!>>
<<... e dalla rozzezza e ignoranza che io mostravo da giovane>>
<<A questo hai posto rimedio grazie ai miei consigli, a riprova del fatto che ti ritenevo intelligente e pronto ad apprendere>>
<<Parli come mia madre, ma almeno lei ha sempre creduto in me. Tu invece mi hai sopportato soltanto per il bene superiore della famiglia, per tutelare "l'onore degli Orsini". 
Ma quel cognome si estinguerà con te, mentre il mio denaro durerà per almeno altre due generazioni, e i nostri nipoti ringrazieranno me!>>
Diana scattò in piedi:
<<E il mio sacrificio? Credi che non lo terranno in considerazione? Le nostre stesse figlie guardano a me come una martire. Tanto più lo faranno i nostri nipoti, quando capiranno che cosa ho dovuto sopportare per colpa tua.
Sono venuta qui con le migliori intenzioni, ma sono stata un'ingenua. 
Però ti avverto: non coinvolgere Silvia nelle tue trame! Lei è l'unica che può liberarsi dalla ragnatela che ci hai tessuto intorno, e io la difenderò con le unghie e con i denti, finché avrò vita. Ti ho avvertito>>
Ettore parve sorpreso:
<<Se pensi che io possa minacciare di diseredarla, voglio tranquillizzarti. Avrà la sua parte.
Io sono un grande uomo d'affari e nessuno resterà a bocca asciutta>>
Diana, ormai sulla porta, sorrise amaramente:
<<Oh, non ne dubito. Si può essere un grande uomo d'affari anche essendo un pessimo marito e un cattivo padre>>











sabato 1 febbraio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 49. Il Sommo Poeta e l'eterogenesi dei fini.

Adriano Trombatore proveniva da una famiglia che egli stesso definiva "piccolo-borghese", con un misto di disprezzo e falsa modestia. 
Il genitori erano insegnanti elementari, ("due maestrini da Libro Cuore", diceva lui, con un sorriso di condiscendenza), e idolatravano, non ricambiati, quel figlio che aveva dimostrato fin da bambino "eccezionali doti letterarie, e non solo", come avrebbe certificato la Signorina De Toschi in persona, sua docente di latino e greco al Liceo Classico.
La stima che l'onnipotente e ninfomane Grande Mademoiselle dimostrava nei confronti del giovane Trombatore era corroborata da un elemento che entrambi condividevano, ossia una spiccata tendenza allo scrocco ai danni della famiglia Ricci-Orsini, di cui la De Toschi si sentiva la guida morale.
La Signorina aveva lasciato intendere al suo allievo prediletto che, una volta diplomatosi, lei gli avrebbe aperto la strada verso il "bel mondo", "l'alta società", la "crème de la crème", a patto, naturalmente, che lui le concedesse qualche notte di infuocata passione amorosa.
Adriano Trombatore, che a detta di molti aveva una certa predisposizione al priapismo, oltre ad essere dotato di uno stomaco molto robusto, seppe soddisfare con successo le considerevoli brame della "Grande Mademoiselle".
Fu per questo che la Signorina, dietro suggerimento del perfido Massimo Braghiri, lo scelse come candidato ideale per insidiare la virtù di Silvia Ricci-Orsini e lo introdusse come ospite fisso ai ricevimenti dell'anziana Contessa Vedova Emilia a Villa Orsini.
La Grande Mademoiselle non aveva però tenuto conto che i gusti di Silvia erano opposti ai suoi, in fatto di uomini.
Quelle che, nell'ottica della De Toschi, erano qualità, dal punto di vista di Silvia erano difetti.
Adriano Trmbatore era piuttosto massiccio, con sguardo vagamente porcino e libinoso. Fumatore accanito, ottima forchetta, nonché bevitore da competizione (lui e la Contessa Madre Emilia facevano a gara a chi si scolava più Rosso di Borgogna nell'arco di un'ora), Adriano Trombatore non era proprio bellissimo, nemmeno nell'accezione più anticonvenzionale del termine, anzi, si può dire che fosse decisamente brutto, eppure aveva uno straordinario successo con le donne.
Era un seduttore, uno di quegli uomini con una personalità così sicura di sé, e in più con "doti nascoste" di leggendaria e sproporzionata eccezionalità da fargli guadagnare la fama di novello Casanova.
E non era tutto.
Trombatore aveva altre considerevoli frecce al proprio arco: una voce da baritono, suadente e lapidaria con cui decantava i versi poetici da lui stesso composti; una cultura letteraria strategicamente organizzata in modo da far credere che conoscesse tutto Dante a memoria; un uso sapiente del silenzio e del corruccio, come se, in ogni istante della sua vita, egli meditasse sui misteri dell'universo, sopportandone il peso.
La sua conversazione era brillante, anche se non si capiva mai quando stesse parlando sul serio o quando volesse fare dell'ironia, tanto che molte persone scoprivano soltanto a distanza di giorni che gli elogi a loro rivolti dal Sommo Poeta erano in realtà delle spietate stroncature.
Le sue pose dannunziane unite al gusto dei vini pregiati gli avevano assicurato la benevolenza della Contessa Vedova, la quale lo invitava con sempre maggiore frequenza ai propri eventi mondani.
Ma queste gentilezze furono mal ricompensate.
Trombatore rimase sconvolto dal fasto della Villa, dal lusso spropositato in cui vivevano i componenti del clan Ricci-Orsini, e per lui fu amore a prima vista: amore per quel mondo, per quel fasto, e solo in un secondo tempo, e incidentalmente, per le donne che ne facevano parte.
Del resto le più belle e interessanti gli erano state precluse fin dall'inizio.
Margherita e Isabella Ricci-Orsini erano entrambe coniugate.
Rimaneva Silvia, come già previsto dai piani di Massimo Braghiri.
Ma, con grande disappunto e delusione del giovane Braghiri e della Signorina, i piani andarono molto diversamente da quanto previsto, producendo addirittura un effetto collaterale i cui danni permanenti avrebbero tormentato la vita del Sommo per tutti i decenni a venire.
Silvia infatti non era minimamente interessata ad Adriano Trmbatore, il quale, dopo aver ripetutamente e inutilmente tentato di corteggiarla a suon di versi d'amore scopiazzati dal Petrarca, ci provò con le gemelle De Gubernatis, figlie di Ginevra Orsini.
Tornò alla carica con "Chiare, fresche e dolci acque" con una delle due, a caso.
Elisabetta De Gubernatis non abboccò: lei aveva occhi solo per Massimo Braghiri, anche se quest'ultimo la considerava soltanto un ripiego.
Il Trombatore, sconcertato da quella serie di fallimenti, decise, non foss'altro che per dare sollievo al proprio ego ferito,  di puntare tutto sull'altra gemella, Anna De Gubernatis, alla quale recitò alcuni notissimi versi di Dante, che considerava un suo pari : "Tanto gentile e tanto onesta pare..."
Questa volta, disgraziatamente, ebbe successo: Anna De Gubernatis si innamorò di lui e decretò così, nel contempo, la propria rovina e la salvezza di sua cugina Silvia.
Inizialmente il Trombatore e la sua vittima tennero segreta la loro relazione.
Quando ricominciò il semestre, a Bologna, frequentarono insieme le lezioni di Lettere Classiche e prepararono insieme gli esami. Lo studio era però soltanto una copertura: in realtà i due ci davano sotto con altre attività più sollazzevoli.
Era l'ultimo anno di università, e stavano preparavando la tesi.
Entrambi avevano scelto come argomento la poesia d'amore latina: Adriano aveva optato per Catullo, Anna, con un "notevole" sforzo di fantasia, per Tibullo.
Normalmente la giovane De Gubernatis si faceva aiutare dalla cugina Silvia, ma c'erano dei passaggi in cui solo la grande perizia estetica del Sommo Poeta Trombatore poteva dare quel "tocco di classe" che era necessario.
Fu così che, in un pomeriggio fatale, verso la fine del 1966, Anna e Adriano correggevano insieme la tesi di lei e tra un verso e l'altro, tra un caffè e una sigaretta, scivolarono ben presto in una situazione alla Paolo e Francesca.
Lui, che aveva continuato a scrivere poesie e a declamare i suoi versi in pubbliche letture, le leggeva per diletto una lirica di sua creazione, a lei dedicata, che iniziava con l'espressione "Baluginii nei tuoi occhi".
Bastò questo perché lei si infiammare di passione e dimenticasse di usare le solite precauzioni.
Galeotta fu la poesia e chi la scrisse e “quel giorno più non vi lessero avante”.
Un mese dopo Anna non ebbe il ciclo.
Due mesi dopo ebbe la certezza di essere incinta.
Nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo alle rispettive famiglie.
Fuggirono dal collegio di Bologna la sera stessa, portandosi dietro i soldi e i gioielli delle compagne di stanza di Anna e cioè la sorella Elisabetta e la cugina Silvia.
Pernottarono in un albergo a Firenze e il giorno dopo partirono per Roma.
Lì vissero per due settimane in un bilocale scalcagnato di Trastevere, abbandonandosi alla passione più sfrenata, poi, finiti i soldi e l’idillio, se ne tornarono a Bologna a coda bassa, coperti d'infamia e di ridicolo.
Le conseguenze furono ovvie ed inevitabili.
Trovarono ad attenderli lo "Stato Maggiore" del clan Ricci-Orsini-Papisco.
C'erano Ettore Ricci,  Diana Orsini, il giudice De Gubernatis, sua moglie Ginevra Orsini, la vecchia Contessa Madre Emilia e, naturalmente, la Signorina De Toschi, infuriata per il fatto che quell'idiota del "Sommo Poeta" aveva rovinato la reputazione della ragazza sbagliata, mandando all'aria il piano che aveva ordito con Massimo Braghiri.
Seguì un interrogatorio in stile Gestapo.
Pressata dalle insistenti domande della Signorina, alla fine Anna ammise, in lacrime:
<<C'è un bambino in viaggio>>
Era troppo persino per la De Toschi.
La Signorina Mariuccia, schiumante di rabbia, prese Adriano Trombatore per la collottola:
<<Lurido traditore! Viscido verme! Dopo tutto quello che ho fatto per téeee! Depravato! Disgraziato! Smidollato! Se fosse ancora vivo il mi' babbo, te la farebbe vedere lui!>>
Trombatore era confuso:
<<Ma io ho soltanto...>>
<<Zitto, pezzo d'idiota! E ascoltami bene!>> tuonò la De Toschi, e dopo essersi soffiata il naso e aver aspirato profondamente la sigaretta, dichiarò <<Certo noi avevamo ben altre aspirazioni per la nostra Anna, ma ormai il danno è fatto e si impone un matrimonio riparatore>>
Nella stanza cadde il silenzio.
Ginevra, la madre di Anna, che non pareva entusiasta di avere Trombatore come genero, avanzò timidamente una proposta:
<<E se... come dire... trovassimo un modo per interrompere la..?>>
La De Toschi, cattolica integralista, strabuzzò gli enormi occhi da batrace:
<<Nooooo! Nooooo!>> tuonò scuotendo il testone, con le guance flaccide che tremavano, così come il triplo mento <<Mai! Non permetterò mai una cosa simile! Su di me si potrà dire tutto, ma una sola cosa è assolutamente certa: io so' cattolica!>>
La vecchia Contessa Madre Emilia, che era già al quarto bicchiere di gin-tonic, e nel suo delirio alcolico aveva intuito più di tutti gli altri che era meglio non inimicarsi la De Toschi, approvò:
<<La Signorina ha ragione. In casi come questo, io l'ho sempre detto, non c'è che la Signorina, e la famiglia Orsini si è sempre attenuta ai suoi consigli e continuerà a farlo>>
Addolcita da quel riconoscimento ufficiale, la Grande Mademoiselle sorrise in un modo che la fece assomigliare all'orripilante Regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie di Walt Disney, da poco passato a miglior vita ("Da oggi il mondo è più povero", era stato il memorabile commento di Ronald Reagan, all'epoca Governatore della California).
La sua voce della Signorina tornò ipocritamente carezzevole:
<<Dobbiamo trovare un'adeguata sistemazione per questi due ragazzi. In fondo manca poco alla laurea. E' bene che si sposino il prima possibile>>
A quel punto, tutti gli occhi si rivolsero in direzione della capofamiglia.
Diana Orsini, pur nutrendo un istintivo disprezzo per il "Sommo Poeta" Trombatore, non poté fare a meno di notare che Anna lo amava.
Si rivolse dunque alla nipote per averne conferma:
<<Sei d'accordo, Anna? Pensaci bene, prima di rispondere>>
Ma la giovane De Gubernatis non ci pensò neanche mezzo secondo:
<<Sì, voglio sposare Adriano>>
Diana allora fissò sua sorella Ginevra e il giudice De Gubernatis, i quali, loro malgrado, chinarono il capo in segno di assenso.
Poi posò lo sguardo, con aria severissima, sul Trombatore, il quale aveva la faccia di chi ha appena ascoltato un verdetto di condanna a morte.
<<Adriano>> disse infine Diana <<noi ti accogliamo in questa famiglia, il che comporta molti obblighi. Se li rispetterai, ne sarai ricompensato, ma se farai soffrire la figlia di mia sorella, la mia collera ricadrà su di te, come se avessi fatto soffrire una delle mie stesse figlie>>
C'era qualcosa di tristemente profetico nelle parole della Contessa di Casemurate, e certamente non ci voleva il dono della precognizione per capire che la debolezza del "Sommo Poeta" nei riguardo del gentil sesso non sarebbe stata certo cancellata dal "sacro vincolo del matrimonio".
Rimaneva da ascoltare il parere di colui che, pur essendo il reale padrone di tutto e il marito di Diana, veniva ancora inconsciamente considerato come un trovatello ammesso per un atto di carità al nobile desco degli Orsini, ossia Ettore Ricci, per il quale i matrimoni servivano solo ad accrescere il suo potere e a tutelare i suoi affari.
Evidentemente il mondo poetico-letterario non rientrava tra quelli con cui Ettore sentiva il bisogno di stringere legami, pertanto, pur non ritenendo necessario opporre un veto a quelle nozze, grugnì qualcosa riguardo a "quel covo di comunisti " che era la famiglia Trombatore e sul fatto che lui personalmente non voleva averci nulla a che fare.
Ma in fondo nemmeno lui voleva un ennesimo scandalo, non fosse altro che per evitare che la gente tornasse a parlare dei precedenti, e ben più gravi, che non avevano certo giovato alla sua stessa reputazione.
E così la decisione fu presa, e uno dei più fallimentari matrimoni del secolo ebbe inizio.
Diana, che pure era stata severa nei confronti di Adriano, non poté comunque fare a meno di provare una certa compassione nei suoi confronti.
Il Sommo Poeta, infatti, aveva immaginato per sé una vita ben diversa, come i poeti maledetti parigini, un'esistenza fatta di genio e sregolatezza, di Bohème a Montparnasse, di viaggi alla Hemingway, di contestazione, di oratoria politica, ma soprattutto di Bacco, Tabacco e Venere fino all'ultimo respiro.
Si ritrovava invece incastrato in una situazione che, giorno dopo giorno, avrebbe assunto sempre di più, ai suoi occhi, i contorni di un incubo.
Tornato a Forlì dopo la laurea e in attesa di un posto da insegnante procuratogli per raccomandazione dalla Signorina De Toschi, visse per un po' di tempo facendo lezioni private di letteratura italiana agli studenti privati di latino e greco della stessa De Toschi.
Nel frattempo gli Orsini trovarono un appartamento adatto alle sue esigenze, con tanto di biblioteca e studio dove comporre le proprie creazioni.
Nella primavera del 1967, il Sommo Poeta ed Anna De Gubernatis si sposarono, come imponeva la tradizione della famiglia di lei (o per meglio dire "della madre di lei") nella Chiesa di Casemurate, alla presenza di Ettore Ricci e Diana Orsini, che, pur non parlandosi, guidavano con il pugno di ferro in guanto di velluto ciò che restava della Dinastia.
Il figlio dei novelli coniugi Trombatore nacque pochi mesi dopo (troppo pochi per l'opinione pubblica) e gli fu dato il nome di Matteo.
Quel matrimonio aveva sancito il ritorno della Signorina De Toschi al suo ruolo di "vertice morale e spirituale del clan Ricci-Orsini", e la Grande Mademoiselle volle trasformare questa sua vittoria in autentico trionfo. Fu così che, raggiunto il limite massimo dell'età pensionabile, fece in modo, tramite una consolidata ragnatela di conoscenze, che il suo successore alla cattedra di Italiano, Latino e Greco al Liceo Classico di Forlì fosse proprio il Sommo Poeta.
Certo, per Adriano Trombatore il Liceo di Forlì non era la Sorbona di Parigi, né tantomeno la Boheme che aveva sognato, ma in fin dei conti, come aveva detto Giulio Cesare, era comunque meglio essere i primi in un villaggio che i secondi a Roma.
Chi ne usciva totalmente scornato e ancora più rabbioso era invece Massimo Braghiri, che non aveva ottenuto lo scopo di scalfire la reputazione di Silvia Ricci-Orsini e aveva perso anche la preziosa alleanza della De Toschi, la quale, prima di liquidarlo, gli consigliò di non disdegnare troppo a lungo le attenzioni della gemella di Anna, ossia Elisabetta De Gubernatis.
L'eterogenesi dei fini aveva fatto sì che tutte le sottigliezze della strategia di Massimo, invece di favorire il suo sogno di fidanzarsi con Silvia, aveva aumentato notevolmente le probabilità di dover ripiegare su Elisabetta, avendo oltre tutto come cognato lo stesso individuo che avrebbe dovuto recar disonore al "buon nome dei Ricci-Orsini".
A consolarlo ci pensò sua madre, la governante Ida Braghiri, i cui propositi di vendetta e rivalsa non erano mai stati più saldi. Prese le mani del suo adorato figlio e gli disse che comunque l'opinione della gente riguardo ai loro datori di lavoro non era affatto migliorata, anzi:
<<I Ricci-Orsini? La loro storia si riassume in cinque parole: "uno scandalo dietro l'altro">>