lunedì 24 maggio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 135. La Torre

 




La seconda escursione di Aurora e Roberto fu in direzione opposta alla prima, e cioè verso est, e nello specifico verso la Torre di Londra, che si trova all'estremità orientale della City.
Per arrivare in automobile dal Savoy alla Tower Hill, la collina su cui si erge la Torre, in teoria dovrebbe bastare poco più di mezz'ora, ma nella pratica i tempi si dilatano, in considerazione dei cantieri, dei pedaggi, degli eventi in corso (ogni giorno ce n'è uno, o più di uno, come in tutte le capitali), per non parlare delle variazioni del tempo atmosferico, o, Dio non voglia, di eventuali incidenti stradali con successive deviazioni del traffico verso il ginepraio di strade del distretto finanziario.

Aurora e Roberto avevano valutato la possibilità di andarci dunque in metropolitana, o nei caratteristici autobus rossi a due piani, ma l'autista dei Visconti-Ordelaffi, il fido Battista, fu inflessibile, dal momento che il padre di Aurora aveva preteso che lui li scortasse negli spostamenti e poi rimanesse nelle vicinanze, per qualsiasi evenienza.

Il percorso prevedeva un breve tragitto lungo lo Strand, per poi immettersi, da Trafalgar Square, prima nella Northumberland Avenue e poi nella A2311, che costeggiava la riva nord del Tamigi, fino al famigerato Blackfriars Bridge, il Ponte dei Frati Neri, per poi proseguire lungo la Upper Thames Street, fino al London Bridge, e poi ancora avanti lungo la Lower Thames Street.

Quest'ultima arrivava ai piedi della Tower Hill, la collina su cui sorge il complesso architettonico della Torre, che dominava dall'alto la City e proteggeva il Tower Bridge.







Mentre costeggiavano il fiume, Roberto si convinse sempre di più che Londra era, prima di ogni altra cosa, un Porto attraversato da un Fiume che equivaleva ad un enorme Canale, lungo il quale viaggiavano piccole navi, yacht, traghetti e grandi barche, che attraccavano nei tanti moli e porticcioli disseminati su entrambe le rive del Tamigi.

C'è però una notevole differenza tra ciò che si vedeva, dal lungofiume nord, nel 1992, e quello che si vede oggi, cioè la presenza di un numero maggiore e futuristico di grattacieli, in entrambe le rive.
Negli ultimi trent'anni c'è stata una forte iniziativa di riqualificazione delle aree degradate, soprattutto a sud del Tamigi o nell'East End.

I grattacieli dalle forme strane e a volte buffe, così come le moderne attrazioni turistiche, come il Millennium Bridge, il ponte pedonale, e il London Eye, la ruota panoramica, hanno reso più "caratteristico" quello che gli urbanisti chiamano "skyline", la linea del cielo, l'orizzonte cittadino.
La stessa logica era quella che spinse gli urbanisti parigini alla costruzione della Tour Eilffel.

Ma non bisogna lasciarsi troppo abbagliare dalle apparenze: come qualsiasi altra cosa, una città non cambia sostanza se ci si limita a inserisce una decorazione esterna. In questo caso si tratta puro "restyling" o come si diceva un tempo, un "imbiancare i sepolcri" per non pensare a ciò che c'è dentro.
Quello che concretamente è avvenuto è solo lo spostamento della linea di confine della Londra "bene" da tutto il resto, dove già allora dominavano le cosiddette baby gang, una piaga che da noi in Italia è divenuta realtà in tempi più recenti.
L'impressione è quindi che, pur essendoci stata una "ripulita", di qualche piccola zona, resta comunque valido il detto secondo cui la Londra "bene" è data dalla somma di tre aree: il West End. il super-quartiere di Westminster, la City e gli immediati dintorni delle zone residenziali di età georgiana, vittoriana ed edoardiana.

Tutto il resto, dicevano i londinesi all'epoca, marcando bene la differenza, come a voler separare il grano dal loglio, non era da considerarsi davvero londinese.
Per loro valeva, e forse vale ancora (per quanto si usino termini più "politicamente corretti") l'idea che chi nasceva "dalla parte sbagliata del Tamigi" ossia "a Sud del Fiume" era condannato a una vita miserevole e miserabile, così come chi era nato nell'East End.
Queste due realtà erano in effetti un accatastamento informe di quartieri diversissimi tra loro: alcuni degradati e in preda alla criminalità, altri più ordinati, ma grigi, come gli "alveari" abitati dalla working class. 
Il tutto era circondato, come una muraglia, dall'anello delle "new towns" per la "middle class" piccolo borghese.

Le zone a ridosso del fiume sono state recentemente riqualificate durante il "regno" dei due sindaci di Londra più icastici di sempre, Ken Livingstone, detto "il Rosso" per la sua posizione di estrema sinistra e Boris Johnson, detto "il Blu/Verde" per le sue idee ultraconservatrici e ambientaliste, strano abbinamento, ma a pensarci bene, meno strano di quanto possa sembrare, se teniamo conto che "conservare il verde" è uno dei tanti aspetti del conservatorismo e così la pensava anche Tolkien, che si schierava sempre "dalla parte degli alberi".
Johnson è attualmente Primo Ministro, mentre la carica di Mayor di Londra è tornata ai laburisti.





Nei pressi della Torre, la Lower Thames Street si biforcava: la strada principale, in salita, era la Byward Street, che conduceva in cima alla Tower Hill, l' "acropoli" di Londra, più alta persino della Primrose Hill, anche se meno panoramica, a causa dei grattacieli della City costruiti nell'era Blair in stile postmoderno, che, oltre ad oscillare tra il mostruoso e il ridicolo, (specie il cosiddetto "Cetriolo","The Gerkin", ufficialmente nominato "30 StMary Axe"), sottraggono visibilità alla Torre e sono in contrasto con lo stile architettonico medievale della stessa Torre e del Tower Bridge.






La Lower Thames Street invece si restringeva e proseguiva, fino ad arrivare alla biglietteria, da cui poi si accedeva al complesso architettonico della Torre, comprendente, oltre alla Torre Bianca al centro, in cima alla collina, altri edifici tipici dei castelli (poiché, teniamolo presente, "la Torre" in senso lato è un vero e proprio castello) tra cui le stalle, i magazzini, le armerie, le residenze del Re o della Regina e una chiesetta, la cappella di San Pietro in Vincoli, il tutto circondato da due cinte murarie e in precedenza da un fossato.





Le mura, sia interne che esterne, hanno torrioni circolari ad ogni angolo, o anche in mezzo ai camminamenti.
Entrambe le cinte murarie hanno sei lati. 
Le mura interne hanno due porte, mentre quelle esterne ne hanno tre: una piccola posterla vicino alla Cradle Tower, un'altra grande rivolta al fiume, detta "The Traitors Gate", la Porta dei Traditori e una terza più piccola, all'angolo della Byward Tower, dove accedono i visitatori, attraverso un vialetto che conduce alla Middle Tower, che è attualmente l'ingresso principale.

Battista scaricò Aurora e Roberto davanti alla biglietteria, all'epoca meno grande e "futurista" di quella di adesso e quindi con maggiori code.
Quando finalmente entrarono, passando attraverso la Middle Tower erano all'incirca le 10 del mattino.


Quel giorno era più caldo, ed era ormai passata una settimana dal loro arrivo, per cui, ridendo e scherzando, erano già a metà vacanza e avevano visitato meno di un decimo di ciò che era stato preventivato come obiettivo minimo da raggiungere. Ma tanto, va sempre a finire così.





Aurora aveva scelto un look più estivo, con indosso solo una camicia bianca leggera e pantaloni bianchi e ampi, altrettanto leggeri e sandali sempre bianchi. Sono in pochi quelli che possono sfoggiare un look total white senza sembrare un pizzaiolo o un villeggiante milanese in vacanza in Costa Smeralda. Aurora era tra quei pochi.




Era molto sexy e ne era consapevole, per cui esercitò tutto il suo potere scegliendo lei anche il look del fidanzato.
Roberto, però, si era portato dietro poco vestiario, sperando così di poter indossare solo ciò che aveva scelto lui, ma non aveva previsto l'astuta mossa di Aurora, che ogni giorno, dal suo milione di valige faceva spuntare capi di vestiario maschili che donava a Roberto, il quale poi aveva il dovere morale di indossarli.
Lui conosceva bene questa dinamica, perché succedeva così anche tra i suoi genitori.
Aurora aveva scelto per lui una classica Polo Lacoste blu e un paio di pantaloni beige di cotone, leggeri, ma con la piega, la cintura marrone che faceva pendant con le scarpe dello stesso colore, molto morbide, comode da potersi indossare senza calzini (erano ancora i tempi felici in cui soltanto a qualche eccentrico veniva in mente di farsi dei risvoltini tali da mettere in mostra le caviglie; ancora il Millennio era lontano, i segni dei tempi erano pochi e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quindici anni dopo, nel 2007, la Bestia dell'Apocalisse si sarebbe manifestata nel mondo sotto forma di i-Phone).

Quando i due giovanissimi fidanzati si trovarono davanti alla Byward Tower, che sovrastava il passaggio attraverso le mura esterne, Aurora si fermò un attimo in contemplazione e poi disse:
<<Nei Tarocchi la Torre ha un significato complesso, come tutti gli Arcani Maggiori: l'edificio simboleggia l'Uomo, le finestre sono le porte d'accesso alla Coscienza, il fulmine rappresenta l'intervento di Dio, che punisce la superbia umana simboleggiata dal Re e dall'Architetto che precipitano a terra. Le fiamme simboleggiano l'Energia Interiore Liberata dalla distruzione dello status quo. Non è che mi piaccia molto, questa carta: meglio se uno la pesca rovesciata, nel qual caso il significato è molto attenuato...




...tu ricordi se tra le carte pescate quando Elvira ti predisse il futuro c'era la Torre?>>
Roberto ricordò all'improvviso:
<<Sì, la prima carta fu proprio la Torre, non rovesciata, il che significherebbe, stando alle sue previsioni, che la Prova del Dolore, come lei l'ha chiamata, sarà molto dura, e forse sta per cominciare, considerato il numero di persone che sembra avercela con me, per un motivo o per l'altro >>
Non che credesse davvero ai Tarocchi: più che altro temeva il potere della strega Elvira, e di colei che le era succeduta, la sorella secondogenita, Iole.
<<Ti ricordi quali erano le altre carte?>>
<<Ne estrasse altre sei. Erano tutti Arcani Maggiori. Lei disse che non le era mai capitata una divinazione così. Chissà come sarà stato soddisfatto il vecchio Fernando Albedo che ci spiava dalla stanza accanto. 
Comunque non ricordo esattamente la sequenza, e in ogni caso non ho mai dato importanza a questo tipo di cose.
Quando una donna mi chiede di che segno sono, in genere la depenno immediatamente dalla lista delle "possibili anime gemelle">>
Risero entrambi.
Aurora si affrettò a precisare:
<<Per fortuna che non l'ho chiesto, allora! In realtà neanch'io credo a queste cose, ma le conosco bene perché ci crede mia madre. E fino ad ora le è andata bene, tutto sommato>>
Lui sorrise:
<<E speriamo che continui così. Ciò che mi preoccupa non sono le carte. E' il calcolo delle probabilità che mi impensierisce. Mio padre, tra le altre cose, conosce la statistica, la legge dei grandi numeri, la curva di Gauss. Queste nozioni servono sia in ambito di ricerca scientifica, per esempio nella fisica quantistica, sia nel caso più incerto delle cosiddette scienze umane... che non sono vere e proprie scienze, a mio parere, ma chi sono per giudicare?
Tutto questo per dire che la probabilità degli eventi dell'ultimo mese, se avessi dovuto prevederla all'inizio dell'anno, sarebbe stata quasi zero.
Troppe coincidenze, come dicevamo l'altra sera, dopo la cena con quei due strani personaggi. 
E quando una cosa è troppo bella per essere vera, allora quasi sempre non è vera.
Calcolo delle probabilità.
Però Einstein era scettico di fronte alla fisica quantistica. Pare abbia detto che: "Dio non gioca a dadi". La Provvidenza non ne ha bisogno.
Quando Giobbe fu sottoposto alla Prova del Dolore, Dio sapeva già che l'avrebbe superata, e che avrebbe mantenuto la sua fede, riconoscendo che ciò che è stato dato può anche essere tolto.
Il discorso, in astratto, non fa una piega, anche se è molto inquietante, applicato alla nostra vita perché dolori simili a quelli che dovette sopportare Giobbe non dovrebbero esistere, a mio modestissimo parere.
Ma c'è una cosa ancora più inquietante, e cioè che, se le ipotesi che abbiamo formulato l'altra sera sono giuste, allora c'è qualche uomo che si crede un dio e si arroga il diritto di sottoporre altri alla Prova>>
Forse era la tetraggine della Torre a ispirargli pensieri così cupi.
Aurora, vedendolo pensieroso, cercò di fargli coraggio:
<<Non preoccuparti. Qualunque cosa accada, io sarò sempre con te. Ovunque andrai, io ti seguirò. E ti proteggerò, e ti aiuterò a rialzarti. 
Conosco anch'io le arti marziali e credo che riuscirei a battere Jessica al primo colpo>>
Roberto sorrise.
La prese sottobraccio: erano quasi uguali in altezza, lui era 1,76 e lei 1,75. 
Erano perfetti l'uno per l'altra, e col senno di poi possiamo dire che, considerate le tante avversità che superarono insieme, per molto tempo, sarebbe stato giusto e bello che diventassero marito e moglie. O sarebbe stato comunque un eccesso di fortuna?
Se avessero fondato una dinastia, come era nelle loro intenzioni, noi per primi avremmo detto "piove sul bagnato", come si disse, nel Duomo di Forlì, quel lontano giorno del 1974 in cui Francesco Monterovere sposò Silvia Ricci-Orsini.

C'era anche Lorenzo quel giorno, vestito interamente di viola, come a voler rivaleggiare col Vescovo celebrante l'unione dei due rampolli di due illustri famiglie.
Ma il viola di Lorenzo Monterovere aveva suscitato molti gesti scaramantici tra i presenti, regrediti alla pura religiosità apotropaica degli uomini delle caverne o delle palafitte.
Meno visibile, quasi in disparte, c'era un "imbucato" di altissimo livello, il Consigliere Albedo, che rivolgendosi a Lorenzo aveva detto, in spagnolo:
<<Me parecen las bodas de Isabel de Castilla y Fernando de Aragòn>>
E Lorenzo, in risposta al nobiluomo:
<<Esperemos que no generen otra Juana la Loca!>>
Ed entrambi avevano riso, perché in fondo si trattava "soltanto" di un esperimento.
Ma poi il Consigliere aveva concluso:
<<Por cada loca, siempre hay un Felipe el Hermoso, y por cada loco una hermosa novia>>
Ne seguì un altro scambio di sorrisi e strizzate d'occhio.

Molto tempo dopo, Lorenzo avrebbe riferito quel colloquio a Jessica Burke-Roche, dichiarando che il pazzo c'era già e che la "hermosa novia" scelta da Albedo era Aurora Visconti-Ordelaffi, ma c'era spazio per una candidatura alternativa.
Jessica aveva scosso la testa in segno di diniego e nel contempo di rimprovero, perché la fazione da lei rappresentata si muoveva in maniera molto più prudente, ma aveva comunque ammesso che l'equilibrio mentale da lei trasmesso poteva, almeno in teoria, essere un apporto molto più utile della bellezza di Aurora.
I lettori non si spaventino per l'oscurità di questi riferimenti: noi stessi fatichiamo a comprendere il significato di tutto questo e non è ancora il momento di parlarne, per cui torniamo agli ingressi della Torre.

La Byward Tower, composta da due torrioni uniti da un passaggio, ospitava buona parte del corpo di guardia.



Il fossato ormai era stato trasformato in un erboso terrapieno, ma la mancanza di vento, in quella giornata sempre più afosa, permetteva al fetore proveniente dalle sacche stagnanti del fiume, che scorreva a pochi metri di distanza, di arrivare fino alla fila di turisti che si apprestavano all'ingresso nella cupa fortezza.
Più ci si avvicinava a quell'arco a sesto acuto, più l'ombra si estendeva, e la temperatura diminuiva, per lasciare il posto ad una umidità fredda proveniente dalle pietre dell'atrio e del selciato sottostante, dove il sole non batteva mai.

Se rimane una traccia di freddo persino in agosto, in quelle pietre, quanto potranno essere state gelide d'inverno?
Forse chi non conosceva né la Storia, né Shakespeare, poteva anche non angustiarsi più di tanto al pensiero di chi aveva trascorso mesi o anni o la vita intera come prigioniero nelle stanze di quella fortezza che, perso il suo rango di residenza reale, era stata riconvertita in carcere per imputati o condannati di rango medio-alto o particolarmente pericolosi dal punto di vista politico.
Come si può resistere in una stanza spoglia, su un pagliericcio appoggiato alla pietra gelida, per più di un giorno senza impazzire o essere devastati dai dolori fisici che si accompagnano al freddo, e dalla disperazione che deriva dalla claustrofobia e dal tedio?




Roberto sentiva la Torre incombere su di lui, e gli parve che la morte fosse in fondo la pena minore, molto meno angosciosa dell'idea di dover trascorrere lì dentro anche solo un'ora.
Cos'avranno pensato, tutti i condannati, varcando queste mura?
Dalla Guerra delle Due Rose in avanti, per tutta l'era Tudor, la fortezza degradata a carcere aveva assorbito i lamenti dei condannati, colpevoli o innocenti che fossero.
Erano tanti e tra tutti, i casi più emblematici (poiché erano innocenti e soffrirono pene indicibili) furono  quelli di lady Margaret Pole, Contessa di Salisbury (1473-1541),"l'ultima rosa di York" e di suo fratello Edoardo di York, Conte di Warwick (1475-1499), l'ultimo erede maschio dei Plantageneti.

Per tutta la vita avevano cercato di far dimenticare i loro troppo illustri antenati.
Erano i figli del principe Giorgio di York, duca di Clarence, fratello di Edoardo IV e Riccardo III,
condannato per tradimento e, secondo la leggenda, annegato in una botte di Malvasia.
Giorgio aveva due figli.
 Il figlio maschio, Edoardo di York, Conte di Warwick, l'ultimo maschio Plantageneto rimasto in vita dopo la battaglia di Bosworth (1485), era cresciuto nella Torre, rinchiuso, nascosto, quasi completamente dimenticato.
Quasi.
A ricordarsi di lui furono Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, quando fecero capire ad Enrico VII che non avrebbero acconsentito alle nozze dell'infanta Caterina con Arturo Tudor, Principe di Galles, fintanto che il legittimo erede dei Plantageneti era ancora vivo.
Mentre Enrico tentennava, non ravvisando alcun rischio nel giovane Edoardo, tardo di mente e quasi analfabeta, gli Yorkisti, sostenuti dalla Scozia e dalla Borgogna, tentarono di imporre un loro candidato, presentandolo come il principe Riccardo, Duca di York, fratello minore di Edoardo V e figlio secondogenito di Edoardo IV ed Elisabetta Woodville.
Sedata la rivolta e identificato il pretendente yorkista come tale Perkin Warbeck, o almeno così lui dichiarò sotto tortura, mandarono quest'ultimo a far compagnia a Edoardo di York, Conte di Warwick, nella stessa cella dove il povero ragazzo aveva trascorso la sua intera esistenza.
Il fatto stesso di essere compagno di cella di un presunto impostore, metteva l'inconsapevole Edoardo in cattiva luce. 
Al primo tentativo di fuga, di cui non rimane alcuna prova se non la firma "Teddy" su una confessione redatta dall'allora cappellano Thomas Wolsey, fu sufficiente per accusare Edoardo di alto tradimento e condannarlo alla pena capitale.

Al condannato fu concesso il privilegio di una "esecuzione reale", riservata ai principi del sangue, che prevedeva la decapitazione "dolce" mediante il colpo netto di una spada ben affilata, al posto della rozza scure, usata per i nobili senza sangue reale.
Così ebbe fine, il 28 novembre 1499, la dinastia dei Plantageneti, che regnò dal 1154 al 1485, e la regina Isabella acconsentì al viaggio della figlia minore Caterina alla volta dell'Inghilterra.
Se il principe Arturo, di indole gentile e pacifica, fosse vissuto a lungo, Caterina lo avrebbe rafforzato e sarebbero stati una coppia felice, ma come sappiamo le cose andarono diversamente.
"Dis aliter visum", agli dei è parso altrimenti, avrebbe commentato Virgilio (Aen, II, 428).
Caterina precipitò prima in una lunga vedovanza e poi nel matrimonio da incubo con Enrico VIII.

La Ruota del Destino gira intorno a queste tre regine: Isabella la Cattolica (1451-1504) e le sue figlie Giovanna di Castiglia (1479- 1555) e Caterina d'Aragona (1485-1536). 
Alla fine si ritorna sempre a loro.
Erano una sorta di "collo di bottiglia" della Storia, specie Giovanna la Pazza, Regina di Castiglia e Duchessa di Borgogna.



Tutto il Sangue Reale d'Europa discende da loro o dai loro affini, eppure quale prezzo dovettero pagare in termini di dolore e afflizione!
Dopo la morte di Caterina, nel 1536, il delirio di persecuzione di Enrico VIII non ebbe più alcun freno fino ad arrivare all'ultimo atto della tragedia degli York.

Margaret Pole, l'ormai anziana Contessa di Salisbury, che aveva fatto da zia allo stesso Re, quando era bambino, fu arrestata a 68 anni con l'accusa di tradimento, rinchiusa nella Torre e condannata a morte avendo come unica prova le solite confessioni estorte da testimoni minacciati e torturati.
Le sue uniche vere colpe erano due: era una York e suo figlio Reginald era un cardinale cattolico. 
Furono necessari ben dieci colpi d'ascia, da parte dell'inesperto boia, per porre fine all'incredibile resistenza dell'ultima rosa di York.
Ma Enrico VIII, nella sua follia, non arrivò mai all'errore che commise sua figlia Elisabetta quando permise l'esecuzione di Maria Stuart, regina di Scozia, mostrando così, per la prima volta, agli occhi del mondo intero, che si poteva tagliare la testa a una regina consacrata con l'olio santo, senza patire gravi conseguenze, dal momento che la rappresaglia spagnola fu devastata dal mare in tempesta, come se il Signore avesse parteggiato per gli Anglicani.
Ironia della sorte: l'attuale Elisabetta discende per linea femminile da quella regina Stuart a cui la prima Elisabetta fece tagliare la testa.

Ma vogliamo concludere con una nota più leggera, e cioè, preso atto che il Sangue Reale si è salvato trasmettendosi da una dinastia all'altra, tramite l'innesto, nelle linee di discendenza femminili, del sangue e del cognome di esponenti maschili di diverse famiglie sovrane, un altro grande "collo di bottiglia" fu l'imperatrice consorte Maria Teresa d'Asburgo, arciduchessa d'Austria, regina di Boemia di Ungheria, che diede al marito, Francesco Stefano di Lorena, Imperatore e granduca di Toscana, ben sedici figli.
Chissà se almeno uno di loro si rese mai conto che nel proprio sangue c'era almeno una goccia di quello di Giovanna la Pazza e di Filippo il Bello.
Forse ad averlo pensato fu proprio la stessa Maria Teresa, quando, tra le varie possibilità che suo padre le aveva presentato, optò per un marito meno ambizioso di lei, che lasciasse più potere nelle mani della moglie, la quale governò l'Impero come se fosse l'Imperatrice regnante e non solo la consorte (o la madre del remissivo Giuseppe II).
E forse non è un caso se troviamo la stessa Maria Teresa rappresentata nel Ring di Vienna come una sorta di Giunone pronuba, insieme agli altri esempi edificanti che allietavano le passeggiate della nobiltà austro-ungarica, ignara dell'imminente disgregazione dell'Impero: Pallade Atena, in omaggio all'imperatrice Sissi e alla sua snella silhouette, Mozart ispirato dal Cielo, l'immancabile Radetzky a cavallo e infine, a coronare il tutto, un corrucciato Beethoven, folgorato dal Destino.