giovedì 1 agosto 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 9. Com'era verde la mia valle

Giulia Lanni e Romano Monterovere iniziarono a frequentarsi, presso la residenza dell'ingegner Lanni a Faenza, a partire dal 1938.
Erano entrambi timidi, taciturni e riservati, come quel genere di persone che attraversano la vita ad occhi bassi, in punta di piedi, per salvaguardare la quiete nella quale si rifugiano al fine di sfuggire ai dolori del mondo.
Questa affinità fu forse uno dei motivi che favorì il nascere di una amicizia che si trasformò in un sentimento e poi in una frequentazione ufficiale.
All'inizio passeggiavano per il centro di Faenza, a braccetto, e Giulia cercava di farlo parlare, per trovare una conferma a ciò che aveva intuito.
Da persona profondamente sensibile, Giulia percepiva in lui un vago malessere che aveva radici lontane nel tempo.
Doveva esserci stato, nell'infanzia di Romano Monterovere, un periodo in cui era stato pienamente felice e innocente, seguito da un momento in cui aveva perduto qualcosa, qualcosa che amava.
<<Ti manca la tua terra d'origine?>>
Lui annuì subito con vigore:
<<Sì, molto, e se fosse stato per me, non avremmo mai lasciato la nostra casa in collina, vicino al bosco. Mio nonno era un boscaiolo, stava sempre tra gli alberi. Si procurava la legna solo dai rami secchi, o dagli alberi che stavano morendo. Non abbatteva mai un albero sano. Mai>>
Giulia era contenta di aver trovato un argomento in grado di farlo parlare, di confidarsi.
Sentiva di essere vicina a scoprire l'evento traumatico che aveva creato una prima crepa nella personalità di Romano.
<<La scelta di tuo nonno fu ammirevole>>
Lui scosse il capo:
<<I nostri compaesani la pensavano diversamente. La legna non era mai abbastanza, o era di qualità scadente, secondo loro. Incominciarono a parlar male di mio nonno e di tutta la nostra famiglia. Dicevano che... ah, ma è una cosa assurda, non è nemmeno il caso di parlarne>>
Giulia invece era molto interessata:
<<Perché no?>>
<<Perché erano delle sciocchezze. Dicevano che mio nonno fosse un pagano, una specie di stregone, che adorava gli alberi, in particolare le querce. Circolavano storie strane su un posto maledetto, dove i Galli adoravano un'antica quercia, che secondo alcuni ha dato il nome al paese dove abitavamo: il villaggio di Querciagrossa.
Superstizioni ridicole! Ma sono servite a concentrare su mio nonno l'odio dei paesani. 
Io credo...>>
Poi si fermò: aveva gli occhi lucidi.
Lei non voleva farlo soffrire, ma forse sfogarsi, aprirsi, confidarsi, poteva alleviare il peso di quel ricordo:
<<Sai che puoi contare sulla mia discrezione e comprensione. Sento che hai sofferto e forse è venuto il momento di affrontare quel ricordo>>
Lui annuì:
<<Ufficialmente mio nonno è morto cadendo da cavallo. Trovarono il cavallo azzoppato e agonizzante e il corpo di mio nonno, già stecchito. 
Io credo che non sia stato un incidente. Per me qualcuno ha fatto imbizzarrire il cavallo. Mio nonno stava tornando a casa lungo un sentiero di collina, in mezzo al bosco. Era sera, era buio e lui era vecchio. E' stato facile farlo cadere. Insomma io credo che l'abbiano ammazzato.
E poi, non paghi di quello che avevano fatto, hanno incominciato a dire che il cavallo si era imbizzarrito perché aveva visto i folletti dei boschi, proprio vicino alla zona dove c'era l'antica quercia, abbattuta tanti secoli fa. Dicevano che era un luogo maledetto... i più superstiziosi lo chiamavano l'Orma del Diavolo.
Mio padre e i miei fratelli erano terrorizzati, ed è per questo che siamo andati via. 
Ma a me manca tutto di quel luogo, e mi manca mio nonno. Lui era un uomo speciale, un vero uomo. Non ne verranno più di uomini come lui, nella mia famiglia.
Io no di certo... mi sento fuori posto, a volte mi sembra di essere come un albero che è stato trapiantato in una terra sbagliata>>
Giulia era scossa da quel racconto, ma contenta che lui si fosse confidato, perché questo le aveva permesso di capire come mai Romano, che esteriormente sembrava essere forte, interiormente poteva non esserlo affatto:
<<Forse quest'albero trapiantato ha bisogno di un sostegno, che gli permetta di rimanere dritto e irrobustirsi>>
Lui annuì:
<<Sì... è così... >>
Giulia gli strinse la mano e lui colse in quel gesto una promessa, e strinse a sua volta.
Poi però aggiunse:
 <<Per onestà devo dire una cosa: non è facile convivere con me>>
Giulia aveva capito anche questo.:
<<Mi insegnerai come fare>>
<<Ci proverò>>
Lei capì che la situazione era ancora più complessa di quanto immaginava.
<<Tu hai imparato? Intendo dire, a convivere con te stesso...>>
Gli occhi di lui si persero in una nube di pensieri, mentre rispondeva a bassa voce:
<<Non lo so>>
<<Ti aiuterò io>> disse Giulia
Si sposarono pochi mesi dopo.
Fintanto che Giulia ebbe vita, mantenne la sua promessa.