sabato 9 novembre 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 27. Uno scandalo dietro l'altro

La terza figlia di Diana Orsini ed Ettore Ricci fu chiamata Isabella, in memoria della sorella minore di Diana, che la notte precedente si era tolta la vita.
Questa volta Ettore evitò di lamentarsi per il fatto che il tanto sospirato erede maschio continuava a non arrivare.
Ma quella non era certo la sua unica preoccupazione.
Le indagini sulle circostanze della morte di Isabella Orsini furono molto discrete.
L'ispettore Onofrio "Compagnia Bella" Tartaglia fu incaricato del caso, e il giudice istruttore Giuseppe Papisco presiedette alle indagini preliminari. 
Entrambi erano cognati di Ettore Ricci.
Alla fine il medico legale disse che non c'era bisogno di autopsia e si limitò a constatare le cause del decesso, ossia il taglio delle vene dei polsi, senza riportare la descrizione di altre particolari lesioni, che pure alcuni avevano creduto di vedere.
Il referto non fece cenno a un altro elemento, riscontrabile anche ad occhio nudo, ossia che la defunta era all'incirca al terzo mese di gravidanza.
Suo fratello Arturo, l'unico con cui si era confidata, non poté far altro che confermare tutto.
<<Ma perché non ce l'hai detto?>> chiedeva continuamente il conte Achille.
<<Perché Isabella mi aveva fatto giurare di mantenere il segreto. Mi aveva promesso che non avrebbe commesso sciocchezze e che anzi, il giorno dopo, avrebbe annunciato a tutti la sua gravidanza e avrebbe rivelato il nome del padre. Io le chiesi chi era, ma si rifiutò di dirmelo>>
Ci fu un attimo di gelo.
Poi tutti gli occhi si rivolsero prima verso il tenente Muller, impassibile, e subito dopo verso Ettore Ricci, profondamente addolorato.
Entrambi non avevano mai fatto mistero della loro attrazione nei confronti di Isabella Orsini, ma
Ettore sapeva che, mentre le sue avances erano rifiutate dalla giovane cognata, quelle del tenente Muller, un "ariano" biondo e dal fisico scolpito, erano state accettate.
Peccato che il tenente fosse un uomo sposato e che in patria fosse considerato un marito e un padre irreprensibile.
Il caso fu chiuso in fretta e archiviato come suicidio, anche se Diana e i Conti Orsini sostenevano che Isabella, se mai avesse voluto togliersi la vita, non l'avrebbe fatto in quel modo. 
Aveva orrore del sangue e piuttosto avrebbe ingerito delle pillole.
La tragedia, gli scandali e le conseguenze della guerra acuirono l'alcolismo della Contessa Emilia e la gastrite corrosiva del Conte Achille, ma quella che reagì peggio fu Diana, per i dissapori che c'erano stati con la sorella.
Dopo aver passato settimane a letto con un'emicrania lancinante e una febbre che persisteva, attraversò prima una fase di depressione profondissima e poi un accesso di rabbia, in cui attaccò frontalmente il marito:
<<Se tu non avessi fatto il cascamorto con Isabella io e lei non avremmo litigato e lei si sarebbe confidata con me e forse io avrei potuto salvarla.
E invece...
Non riuscirò mai a perdonare me stessa, e ogni volta che ti guarderò negli occhi, sarà solo per ricordarti che abbiamo tutti e due una vita sulla coscienza.
E infine ti giuro che non metterai più piede nel mio letto! Se lo farai, ti strapperò gli attributi a morsi... sei avvisato...>>
Lui bofonchiò qualcosa relativo al "figlio maschio" che lei aveva il dovere di dargli, ma poi decise di lasciar passare la crisi e se ne andò con la coda tra le gambe, come un leone ferito.
Diana tornò al suo personale inferno: dopo la rabbia tornò la depressione, acuita dal recente parto in condizioni estreme.
Ma la cosa peggiore, in tutta quella vicenda, fu la mancanza di ogni forma di solidarietà da parte dei compaesani.
Il funerale si tenne in forma strettamente privata, anche perché il parroco, don Guido Ricci, cugino di Ettore, pur avendo ottenuto, anche grazie all'appoggio di Edoardo Baroni, il permesso della Curia di seppellire Isabella Orsini nella cappella di famiglia, in terra consacrata, si trovava in imbarazzo a dover giustificare una simile disparità di trattamento rispetto ad altri parrocchiani che si erano tolti la vita.
Nei giorni seguenti, nel buio dei rifugi, per passare il tempo, la gente chiacchierava dell'argomento più scandaloso mai accaduto da quelle parti dai tempi in cui Lucrezia Spreti aveva tradito il marito Orsini con un taglialegna venuto dai monti.
Le maggiori cattiverie furono messe in giro dalla governante Ida Braghiri, all'insaputa sia dei Ricci che degli Orsini.
Dopo aver instillato nei compaesani della Contea di Casemurate il sospetto che la colpa del suicidio di Isabella fosse di Ettore Ricci, aveva confidato al marito:
<<Io te lo dicevo che non bisognava confondersi con i Ricci e con gli Orsini. E' gente strana, pazza. 
La loro storia, la loro vita, tutta la loro esistenza non è altro che uno scandalo dietro l'altro!>>
Michele però, la cui perfidia era calmierata da una maggiore dose di razionalità, la riportò al pragmatismo:
<<Non bisogna sputare sul piatto in cui si mangia. Gli scandali stanno indebolendo la famiglia Ricci-Orsini, ma noi non siamo ancora così forti da poter prendere il controllo del Feudo. 
Per il momento è meglio cercare di salvare le apparenze, accumulare denaro e potere e, quando saremo finalmente pronti, aspettare il momento adatto per colpire. 
Tanto, se è vero che la loro vita è uno scandalo dietro l'altro, le occasioni future non mancheranno>>
Ida lodò la sagacia del marito e fece proprio il suo piano, appollaiandosi come un avvoltoio intorno alla decadente dinastia dei Ricci-Orsini e sperando che le evoluzioni della guerra avrebbero contribuito a dare agli odiati padroni il colpo di grazia.