giovedì 21 dicembre 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 92. La pecora nera della famiglia: vita mondana e dissoluta di Riccardo a Milano



Negli anni milanesi Riccardo aveva perduto l'innocenza ed aveva condotto, pur salvando le apparenze nei confronti della famiglia, una vita mondana godereccia, dissipata e incredibilmente spericolata, che lo aveva trasformato in una persona diversa, tanto che nei rari momenti di lucidità faceva fatica a riconoscersi.
C'era stato un momento particolare, alla fine del primo anno, un momento in cui era ancora innocente, un momento in cui però aveva già perduto qualcosa, qualcosa che amava e che potremmo chiamare "la retta via".
Com'era potuto accadere?
Innanzi tutto, neanche un esame del primo anno gli era piaciuto.
Quelli di diritto e di contabilità lo avevano annoiato a morte.
Quelli di economia aziendale erano aria fritta.
Quelli di economia politica erano modelli matematici totalmente campati in aria, privi di qualunque valore scientifico.
Ma il peggio l'aveva toccato con l'esame di statistica, dove alla fine aveva accettato un 24 al terzo tentativo.
In quei giorni il suo umore era sprofondato nella depressione più nera.
Ma piuttosto che ammettere di aver sbagliato la scelta universitaria, cosa che avrebbe fatto gongolare tutti i suoi detrattori e disperare i suoi sostenitori, decise di far finta che andasse tutto bene.
Tutto questo stupido orgoglio, però, aveva un prezzo.
Riccardo si era accorto che tra i suoi coinquilini del quinto piano del famigerato studentato San Mansueto, circolava quella che con un nobilitante eufemismo veniva definita: la pozione magica.
Si chiamava Deadyn (già il nome non prometteva bene) ed era un farmaco stimolante, simile alle anfetamine, ma meno dannoso e pertanto, all'epoca, ancora reperibile in farmacia su ricetta di qualche medico compiacente che non stesse troppo a sottilizzare.
Riccardo, che non aveva alcun vizio (non fumava, beveva poco alcool e teneva moltissimo ad avere un fisico atletico), decise di andare dal medico compiacente, di cui è meglio tacere il nome, per farsi visitare e consigliare. Il Dottore gli diagnosticò un affaticamento da stress e gli prescrisse il Deadyn così come aveva fatto con tutti gli altri studenti del quinto piano del San Mansueto.
All'inizio Riccardo era scettico e in preda a scrupoli morali, ma poi decise di provare e gli si aprì un continente inesplorato.
Bastava quella piccola pastiglia per far sparire come d'incanto tutta la stanchezza, la noia, l'ansia, la tristezza: ci si sentiva pieni di energie, carichi, senza fame, senza sonno, e si riuscivano a fare mille cose.
Una volta entrato nel Club, come in gergo si chiamava il giro dei consumatori di Deadyn (in pratica tutti i più ambiziosi, danarosi e spregiudicati studenti del San Mansueto), Riccardo incominciò a fare anche vita notturna, insieme al solito gruppetto di esaltati, tra pub, discoteche, in particolare quella frequentata dai bocconiani, il famigerato Parco delle Rose di Piazzale Corvetto.
Fu lì che, sotto l'effetto congiunto del Deadyn e della Vodka alla pesca, perse ogni freno inibitore e corteggiò spudoratamente quella bambola ereditiera sexy di nome Barbara, detta Barbie (non a caso), che nel giro di pochi mesi divenne, nell'incredulità di tutti, la sua fidanzata ufficiale.
Tutto sembrava andare a meraviglia.
Macinava esami uno dietro l'altro, trovava il tempo per fare tutto, anche andare in palestra, in piscina e accompagnare Barbie a fare shopping in Via Monte Napoleone, dove poteva capitare di incontrare in boutique Miuccia Prada in persona, oppure le grandi top model, tipo Kate Moss o Gisele Bundchen,  mentre adesso ci si deve accontentare della Ferragni e delle sue emulatrici.
Poteva persino capitare che, in una torrida giornata di luglio del 1997, Barbie fosse riuscita a procurarsi un esclusivissimo invito per partecipare ai funerali di Gianni Versace, a solo due panche di distanza da lady Diana Spencer, Principessa di Galles, ignara del fatto che un mese dopo avrebbe seguito il suo stilista preferito nella tomba.
La giornata media milanese di Riccardo e Barbie terminava poi con il sesso sfrenato (il Deadyn potenziava anche la libido), a cui faceva seguito, però, il cosiddetto "rebound", ossia il rimbalzo dell'umore, che, unito alla fisiologica disforia postcoitale (post coitum omne animal triste, dicevano saggiamente i Latini), sfociava in agghiancianti minuti di amara consapevolezza della propria condizione di sostanziale tossicodipendente.
Si può mentire alla propria coscienza, ma non al proprio inconscio, e per questo Riccardo era perseguitato da incubi catastrofici, nei quali il mondo intero lo accusava di avere barato.
Fu così che perse la fiducia in se stesso e anche la propria innocenza.
Il resto fu una specie di film che oscillava tra la commedia brillante in stile "Sex and the City" e l'horror demenziale del tipo "American horror story".
Ma nessuna pacchia può durare in eterno.
Prima o poi, nella vita, chiunque viene chiamato a pagare il conto delle proprie scelte.
La tegola cadde improvvisamente nel 1999.
Riccardo era impegnato nella tesi di laurea, quando la Commissione Unica del Farmaco mise il Deadyn fuori commercio per danni epatici.
A quel punto procurarsi il farmaco, ormai parificato a una droga sintetica, diventava molto più difficile, costoso e rischioso, per non parlare poi delle preoccupazioni relative agli effetti collaterali.
Riccardo decise di farsi le analisi del sangue e scoprì di avere le transaminasi epatiche a livello di allarme. Ritornò dal famoso medico compiacente, il quale ammise che si era scoperto poco tempo prima che un uso continuativo del Deadyn poteva portare ad un'epatite tossica.
Per Riccardo fu una doccia gelida.
<<E adesso come faccio? Ci sarà pure qualcosa che mi permetta di gestire la crisi di astinenza?>>
Il medico, che era un neurologo, gli prescrisse degli epatoprotettori per il fegato e degli antidepressivi uniti a benzodiazepine per gestire la crisi di astinenza. Nel dire questo non sembrava affatto preoccupato, o almeno non lo dava a vedere:
<<Stia tranquillo, signor Monterovere. Vedrà che la situazione si risolverà presto>>
<<Non credo proprio, dottore, perché i farmaci possono mitigare i sintomi, ma non possono risolvere i problemi>>
Il medico allargò le braccia:
<<Non abbia paura. Lei non è in pericolo di vita, e questa è l'unica cosa che conta, dal punto di vista medico>>
Riccardo scosse il capo:
<<Ma non capisce? Non è la morte che mi spaventa! E' la vita! Ho uno stile di vita che non è più sostenibile, ma non voglio rinunciarci. Il solo pensiero di ritornare al grigiore di prima mi terrorizza>>
<<Mi dispiace, ma questo non è il mio campo. Posso segnalarle qualche bravo terapeuta, ma io, come neurologo, posso solo "costringerla a vivere">>
Riccardo allora scoprì una verità, su se stesso, che fino ad allora non aveva voluto ammettere:
<<Mi fa più paura chi mi costringe a vivere di chi mi costringe a morire>>

Differenza tra temperamento, carattere e personalità

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In psicologia e psichiatria il termine temperamento (etimologicamente derivante dal latino temperare, cioè "mescolare") viene usato per indicare la mescolanza degli aspetti innati della personalità
Nella psicopatologia moderna il termine è stato ripreso nell'accezione di componente innata e quasi somatica della personalità da Kretschmer nel 1923. Questa formulazione ha fornito la base definitoria per i contemporanei teorici e clinici della personalità, in particolare Kernberg e Cloninger.


Definizione secondo la psicoanalisi

Nella teoria psicoanalitica, secondo l'ultima formulazione di Otto Kernberg (1994), la personalità normale si considera formata da due componenti fondamentali: il temperamento e il carattere. Per temperamento si intende l'insieme delle tendenze innate, cioè determinate geneticamente, dell'individuo a reagire agli stimoli ambientali con determinate modalità anziché altre. Queste modalità secondo Kernberg sarebbero l'intensità, la frequenza e la soglia delle risposte affettive. Ciò significherebbe che per ogni individuo vi sono delle soglie tipiche di attivazione delle emozioni positive e dei sentimenti di piacere, come pure di quelle dolorose e delle risposte aggressive conseguenti a queste. È il funzionamento di questo meccanismo che a quanto pare sarebbe innato. Il bilanciamento dei fattori potrebbe essere proprio di ciascun individuo, dipenderebbe perciò direttamente da meccanismi intrinsecamente biologici.

Principali usi del termine

Le osservazioni di molti autori di diverse scuole di psichiatria e psicologia hanno usato il termine in funzione descrittiva secondo diverse categorie. “Temperamento” in genere viene utilizzato con riferimento ai tre ambiti di significato seguenti:
  1. Insieme di tendenze dell'organizzazione cognitiva. Ciascun individuo ha un proprio “stile cognitivo”, cioè un modo originale e proprio di organizzare pensiericoncetti ed esperienze emotive, che in parte è tale dalla nascita, e talvolta viene considerato parte del temperamento. (Attenzione: L'organizzazione cognitiva non è da confondere con l'organizzazione di personalità, che nella terminologia di Kernberg indica invece sempre caratteristiche non innate).
  2. L'insieme di tendenze, comportamenti e ritmi della persona considerati anche in relazione con il comportamento motorio. Alcuni autori hanno osservato analogie tra lo “stile” del movimento corporeo o delle funzioni corporee e lo “stile” cognitivo o emotivo degli individui (ad esempio Alexander Lowen)
  3. In riferimento all’identità di genere. Questo è il terzo elemento generalmente riconosciuto come facente parte del temperamento innato. L'identità di genere è quel sistema di risposte a stimoli che normalmente definisce le differenze di istinto sessuale tra gli individui, più frequentemente indica la differenza di comportamento tra maschi e femmine. L'identità di genere è una dimensione psicologica che oggi viene considerata separatamente dal sesso biologico. Tuttavia, non si deve confondere l'identità di genere con i comportamenti effettivi della sfera sessuale: non sempre, secondo gli autori, l'identità determinata dal temperamento coincide con le preferenze espresse dall'individuo né con i comportamenti sessuali reali. È noto che anche i contesti e condizioni culturali hanno un ruolo nell'identità sessuale "finale" che appare nell'individuo, e vi sono casi di disturbi della personalità che possono interferire con gli orientamenti sessuali (si osservano casi di preferenze apparentemente divergenti dall'identità di genere (Kernberg descrive casi di omosessualità “fasulla” in persone affette da disturbi gravi). Le differenze di livelli ormonali, in particolare il testosterone, sono correlate in qualche modo sia al comportamento sessuale sia all'identità di genere (Kernberg 1994), ma su quest'ultima non hanno il potere di modificarla.

Temperamento e disturbi mentali

Lo studio del temperamento nell'ambito della psichiatria è stato condotto nell'ambito di ricerche sulla eziologia dei disturbi di personalità. In pratica, le ricerche erano per cercare di capire se ci sono fattori genetici ereditari all'origine dei disturbi. Queste ricerche, se non hanno dato risultati chiari in tal senso, hanno portato alla definizione di ulteriori aspetti della personalità che sono stati “misurati” e considerati parte del temperamento. Una ricerca di Cloninger (1993) indica gli aspetti: “ricerca della novità”, “evitamento del danno”, “dipendenza dalla ricompensa”, "persistenza". Gli autori hanno posto in collegamento aspetti del temperamento con la maggiore o minore predisposizione a di certi tipi di patologia. Nel modello di Cloninger le disposizioni temperamentali innate interagiscono con l'ambiente per determinare il carattere, secondo tre dimensioni, "auto-direzionalità", "cooperatività" e "auto-trascendenza". In particolar modo la prima di queste tre dimensioni sembra essere negativamente correlata con la presenza di disturbi di personalità.
Studi condotti su gemelli separati, però, fanno pensare che non esiste una correlazione fra il temperamento e disturbi specifici. Esiste una correlazione solo generica nell'occorrenza di disturbi tra consanguinei di persone affette da patologia mentale, ma non c'è un collegamento con specifiche patologie. L'unico disturbo di Asse II con una qualche incidenza familiare sembra essere il disturbo schizotipico di personalità (Torgersen 19851994). Kernberg (1996) conclude che «i fattori temperamentali genetici determinano solo le caratteristiche di temperamento delle personalità normali», secondo questa opinione autorevole perciò i quadri sintomatici - cioè i diversi tipi di disturbi mentali - in linea di massima non dipendono dal temperamento dell'individuo cioè sarebbero in qualche modo acquisiti nelle esperienze di vita.

Il carattere

Il termine carattere[1] è utilizzato in ambito psicologico per descrivere le motivazioni del comportamento e i tratti di personalità che rendono ogni persona un preciso individuo diverso da un altro[2].

Quindi con il termine "carattere" si intende quel
« complesso unitario e organizzato di forme di vita psichica, che dà un'impronta particolare al comportamento dell'individuo. Come tale il carattere è una struttura risultante da una costante interazione tra individuo e ambiente, ed è l'agente responsabile del fatto che la vita di un uomo ci appare naturalmente un'unità psicologica e non una mera sequenza di fatti »
(Fabio MetelliIntroduzione alla caratterologia moderna. Padova, Editrice Libraria Siciliana, 1951, pag. 11)
ovvero quella
« configurazione relativamente permanente di un individuo a cui ricondurre gli aspetti abituali e tipici del suo comportamento che appaiono tra loro integrati sia nel senso intrapsichico che in quello interpersonale »
(Umberto GalimbertiCarattere, in Psicologia. Milano, Garzanti, 1999, pag. 170)
Il settore della psicologia che studia il "carattere" è indicato come caratterologia[3].
A questo termine, tuttavia, molti psicologi, soprattutto statunitensi, hanno preferito quello di personalità in quanto ciò eviterebbe valutazioni di ordine morale[4].
Infatti
« Nella storia della psicologia il termine "carattere" [...] è stato preceduto dai termini temperamento e costituzione, dove sottesa era l'ipotesi di una dipendenza fisiologica dell'indole dai tratti somato-costituzionali. [...] Oggi al termine carattere si preferisce il termine personalità di volta in volta definito in base ai criteri adottati e perciò descrivibile in modo oggettivo »
(Umberto GalimbertiOp.cit., pag.170)
Ma Enrico Cattonaro rileva comunque un differente contesto di significato tra il termine "carattere" e quello di "personalità:
« Abitualmente con il termine personalità ci si riferisce all'intera organizzazione mentale dell'essere umano in ciascuno stadio del suo sviluppo, mentre con il termine carattere si sottolinea piuttosto l'aspetto oggettivo della personalità, il suo manifestarsi concreto attraverso un tipico comportamento, un costante modo di reagire di fronte all'ambiente, per cui acquista rilievo particolare il lato affettivo e volitivo della personalità stessa. »
(Enrico CattonaroEnciclopedia filosofica vol.3. Milano, Bompiani, 2006, pag. 1636)

Storia e significati del termine "carattere" in ambito psicologico


Vittorio Benussi (1878-1927), psicologo italiano, in Zur Psychologie des Gestalterfassen (Die Müller-Lyersche Figur) (1905) fu tra i primi studiosi a catalogare le differenze individuali all'interno differenti "caratteri".

Lo psicologo tedesco Eduard Spranger (1882-1963) che, in Lebensformen (1921), operò una classificazione dei "caratteri" che fu alla base del test Values scales messo a punto dallo psicologo statunitense Gordon Willard Allport (1897-1967).
La nozione di "carattere" origina prevalentemente dagli studi di psicologi europei, in particolar modo tedeschi, che seguirono il corso delle scienze umane fondate nel XIX secolo sull'opera di autori come Wilhelm Dilthey (1833-1911).
Tenendo presente che, come ricorda Umberto Galimberti,
« Il limite che separa il carattere dalla personalità dipende dalla convenzione scientifica e non riposa su un criterio oggettivo, come risulta anche dal fatto che grandi aree psicologiche e psicopatologiche usano i termini "carattere", "personalità" e, talvolta, "tipo psicologico", come intercambiabili. »
(Umberto GalimbertiOp.cit., pag. 170)
Una delle prime nozioni del termine la si riscontra nell'opera Zur Psychologie des Gestalterfassen (Die Müller-Lyersche Figur) (1905) dello psicologo italiano Vittorio Benussi (1878-1927). Tale nozione occorreva a distinguere dei differenti "caratteri" indicati come "globali", "misti" e "analitici". Tale classificazione, poi sviluppatasi grazie ai contributi di autori come Walter Ehrenstein (1899−1961)[5] o B. J. Cymbalistyj[6], identificava nei "globali" coloro che tendevano alla sintesi, a preferire le parti strutturali di una immagine, alle vedute ampie, all'approccio teorico, questi individui "globali" risultavano più facili a subire le illusioni percettive; negli "analitici" coloro che tendevano alla divisione, alla frammentazione del "tutto", a preferire i particolari, costoro erano meno propensi a subire le illusioni percettive; un terzo tipo, detto "misto", corrispondeva invece ad un quadro intermedio rispetto ai due precedenti.
Ludwig Klages (1872-1956), in Prinzipien der Charakterologie (1910, nel 1926 come Die Grundlagen der Charakterkunde) utilizzò il termine per differenziare i "caratteri" guidati dagli "istinti" da quelli governati dagli "interessi" ovvero, in quest'ultimo caso, da coloro che possedevano un "Io" più evoluto.
Carl Gustav Jung (1875-1961), in Contribution à l'études des types psycholgiques (1913) e in Psychologischen Typen (1921, in italiano Tipi psicologici), classificò alcuni tipi di carattere, classificazione poi ripresa e sistematizzata dallo psicologo anglo-tedesco Hans Jürgen Eysenck (1916-1997) in The Scientific Study of the Personality (1946) e in The Structure of Human Personality (1970). Da questi studi risulterebbero tre tipi di "carattere":
  • soggetti con carattere "estroverso", dove le preferenze vanno per il mondo esterno, il gruppo sociale, il partner attuale o potenziale, l'impegno politico e l'affermazione personale immediata, le preferenze vanno per i colori caldi e per il colore rispetto alla forma;
  • soggetti con carattere "introverso", dove si predilige il mondo interiore, quello dei simboli, delle impressioni personali, delle immaginazioni fantastiche, cautela nei rapporti sociali dove risultano alcune inibizioni, l'affermazione personale è ricercata sulla lunga scadenza, le preferenze vanno sulle tonalità fredde e per la forma rispetto al colore;
  • soggetti col carattere "ambiverso" dove sono presenti caratteristiche opposte o intermedie rispetto ai due precedenti.
Frédéric Paulhan (1856-1931), in Les caractères (1914), identifica il "carattere" di una persona in base a ciò che fa di questo una persona e non un'altra, quindi la sua particolare natura mentale.
Eduard Spranger (1882-1963), in Lebensformen (1921) ritenne di individuare alcuni "caratteri" denominati come "estetico", "sociale", "politico", "economico" e "religioso" che risulterebbero a fondamento delle differenze individuali. Dalla classificazione di Sprangler originò, negli anni a cavallo del II Conflitto mondiale, il reattivo di Gordon Willard Allport Scala dei valori (Values scales).
Ernst Kretschmer (1888-1964), in Körperbau und Charakter (1924), tenendo conto della costituzione corporea distinse il carattere "ciclotimico", caratterizzato dalla socievolezza, dalla euforia o dalla depressione, e correlato alla costituzione picnica; il carattere "schizotimico", rigido nei rapporti interpersonali, con tendenze autistiche e correlato alla costituzione leptosomica; a cui, in un'opera successiva[7] aggiunse il carattere "atletico", contraddistinto da calma emotiva alternata ad esplosioni emotive e da tenacia, e correlato alla costituzione atletica.
Philipp Lersch (1898-1972), in Der Aufbau des Charakters (1938), descrive il "carattere" come l'insieme dinamico delle sue disposizioni persistenti che ne costituiscono l'impronta individuale.
Albert Burloud (1888-1954), in Le Caractère (1942), intende il "carattere" l'aspetto dell'individuo che ne "singolarizza" la personalità.
René Le Senne (1882-1954), in Traité de caractérologie (1945), differenziò invece i lemmi di "carattere" e "personalità", indicando come "carattere" l'insieme delle disposizioni congenite radicate in un individuo, mentre "personalità" rappresenterebbe il "carattere" unito ai particolari automatismi acquisiti nel corso della sua vita.
Emmanuel Mounier (1905-1950), in Traité du caractère (1946),
Heinz Remplein (1914-), in Psychologie der Persönlichkeit (1954) rifacendosi all'opera di Klages, individuò un carattere "forte" con un forte senso di Sé e una permanente convinzione nelle proprie opinioni e un carattere "debole" con un Sé inadeguato e labile nelle proprie convinzioni.
Solomon Eliot Asch (1907-1996) in Studies of indipendence and submission to group pressure: I. A minority of one against an unanimous majority (1956) individuò due tipi di "carattere", quello "influenzabile" dalle opinioni o pressioni degli altri e quello "indipendente" che utilizza differenti strategie per essere indipendente dalle pressioni di una maggioranza, di un leader o di un partner, quest'ultimo "carattere" conserva una maggiore fiducia in sé stesso.
Karl Jaspers (1883-1969)
Ludwig Binswanger (1881-1966)
Sigmund Freud (1856–1939)
Karl Abraham (1877-1925)
Melanie Klein (1882-1960)

Personalità

Con il termine personalità si intende l'insieme delle caratteristiche psichiche e delle modalità comportamentali (inclinazioni, interessi, passioni) che definiscono il nucleo delle differenze individuali, nella molteplicità dei contesti in cui la condotta umana si sviluppa.
Ogni nucleo teorico, in psicologia, concettualizza la personalità entro modelli diversi, adoperando metodi, obiettivi e modalità d'analisi anche molto dissonanti fra loro.

I quattro tipi classici della personalità: da sinistra, collerico, melancolico, flemmatico, sanguigno
Il più antico precursore dello studio della personalità fu Ippocrate che, in un'ottica di considerazione dell'uomo con lo stesso grado di differenziazione di un microcosmo, definì quattro tipi personali, in base all'umore di base presente nel suo corpo: melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno.
Il termine latino personalitāte(m) deriva dal greco πρόσωπον e dall'etrusco phersuCicerone la definì come l'aspetto e la dignità di un essere umano, oppure, in un'altra definizione, quella parte che si recita nella vita, e non a caso "persona" rappresentava la maschera indossata dagli attori.[1]
Il teatro antico giapponese () contemplava un certo numero di maschere, aventi caratteristiche corrispondenti al concetto di personalità contemporaneo, simboleggianti il passaggio da una fase di vita ad un'altra più matura.
Alla soglia del XX secolo si affermò la convinzione che la personalità del soggetto si rispecchi nel modo in cui la realtà gli appare e nelle idee che esprime. Questo modello, che in Kurt Lewin[2] e Kurt Koffka ebbe i suoi migliori esponenti, venne definito "fenomenologico", seppur discordante in molti aspetti dalla corrente filosofica di Husserl.
In quegli anni si diffusero le tecniche di indagine e di diagnosi della personalità che esplorarono tre vie di accesso alla personalità: [3]
  • L'osservazione esterna, costituita dall'insieme degli elementi biograficifisiologicianatomici, oltre alla motricità e ai test di efficienza.
  • L'autointerpretazione, che utilizza i questionari.
  • L'analisi fenomenologica (analisi dei sogni, visioni del mondo).
Lo psicologo anglo-tedesco Hans Eysenck (1916-1997), studioso della struttura della personalità, nella sua opera "The structure of Human Personality" afferma che:
« La personalità è la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell'intelletto e del fisico di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all'ambiente. »
(Hans Eysenck "The structure of Human Personality"[4])

Lo sviluppo della personalità

La personalità è un concetto tipicamente dinamico nell'arco di vita di una persona e gli esseri umani affrontano, durante tutto l'arco della loro vita, alcuni nodi cruciali di passaggio necessari per evolvere una maturazione psicofisica adeguata al contesto sociale. Le varie fasi possono essere distinte come segue:[5]
  • La prima infanzia, dai 0 ai 3 anni, in cui il bambino deve ricevere le cure materne necessarie, per evitare l'insorgere di insicurezze e di ansie.
  • Lo svezzamento, che comporta le prime privazioni, e il superamento della dipendenza.
  • L'indipendenza, che consente al bambino di allargare il suo mondo e di acquisire quelle capacità di base per far da sé.
  • La fase del no, nella quale il bambino prova il piacere di opporsi ai genitori.
  • conflitti con i genitori dello stesso sesso.
  • La prima socializzazione, che avviene grazie all'ingresso nella scuola. Qui il bambino riceve il giudizio di soggetti esterni alla famiglia e quindi rafforza l'immagine di sé.
  • La pubertà, con il crescente interesse nei confronti dei genitali.
  • L'adolescenza, che comporta una forte opposizione al mondo degli adulti, oltre all'insorgere di varie contraddizioni interne e all'insoddisfazione dei valori tradizionali.
  • La formazione dell'identità maturando l'indipendenza di pensiero con l'acquisizione, in una prima fase, di valori conformisti nei confronti del gruppo di appartenenza, ma trasgressivi nei riguardi dei valori sociali e, in una successiva, di accettazione delle figure simbolo della società (insegnante, genitore, ecc.).
  • La vita adulta, in cui il soggetto cerca di realizzare il suo progetto di vita (lavoro, famiglia ecc.), definendo il più possibile la sua identità, distaccandosi dal nucleo familiare originario e rendendosi il più possibile socialmente indipendente.
  • L'anzianità, che comporta importanti cambiamenti nelle attitudini, nello stile di vita e nell'evoluzione psicofisica.

Alcuni passaggi nello sviluppo della personalità

Durante i primi anni di vita il bambino si identifica con i suoi simili (Sé Presimbolico). Comincia a comprendere l'alterità, ad esempio rispetto alla madre quando non riceve immediatamente il seno alla sua richiesta di essere nutrito. La coscienza di sé cresce al crescere del confronto con l'alterità (gli "altri" significativi), oltre a rappresentare il proprio corpo, includendo le potenzialità d'azione nei confronti del mondo. Il Sé spirituale prescinde invece dal corpo, essendo formato da tutto ciò che va oltre esso, ad esempio l'appartenenza ad un gruppo.
A 2 anni il bambino comincia a parlare di sé ("io","me","mio"), a 4-5 al centro delle sue riflessioni vi sono i concetti di cattiveria/bontà, riconducibili al concetto biologico di avvicinamento/allontanamento da un pericolo.
Questi concetti permettono di sviluppare l'autostima. Visioni particolarmente negative di sé stessi possono condurre ad una depressione già a 3-5 anni.
A 3 anni il bambino conosce il nome di alcune emozioni, a 4 riesce ad associarle alle situazioni.
Si sviluppano due tipologie di emozioni: le emozioni esposte (imbarazzoinvidiagelosiaempatia) e le emozioni auto-coscienti (vergognasenso di colpa) che hanno una funzione maggiormente regolatrice del comportamento. La vergogna è una sensazione pervasiva dell'intero essere che spinge a nascondere un proprio errore, mentre il senso di colpa può avere funzioni positive o negative:
  • il senso di colpa predisposizionale: si presenta solo in alcune situazioni, in presenza di un errore riparabile e si correla positivamente con l'empatia, la spinta al volontariato, l'antirazzismo, ecc. Può essere incentivato da uno stile educativo basato sull'attenzione verso le emozioni altrui e le proprie responsabilità;
  • il senso di colpa cronico: è uno stato mentale stabile dovuto ad errori ritenuti irreparabili (ad es. la morte di una persona cara) o scaturito da uno stile educativo che tende sistematicamente a far sentire in colpa il soggetto. Il senso di colpa cronico si correla positivamente con aggressività e depressione.
Lo sviluppo del senso morale e dell'empatia può altresì essere facilitato da caratteristiche biologiche e dalle influenze del contesto familiare.
In parallelo la deresponsabilizzazione ha diversi modi di agire:
  1. svalutazione della gravità della colpa;
  2. confronto con colpe peggiori;
  3. uso di eufemismi;
  4. diffusione della responsabilità ("Stavo solo eseguendo gli ordini");
  5. suddivisione del lavoro in parti in modo da ridurre responsabilità individuale;
  6. disumanizzazione della vittima;
  7. trasferimento della colpa sulla vittima;
A 2 anni i bambini cominciano a rispettare regole, comincia quindi a presentarsi il rifiuto semplice che avvia una dinamica di opposizione e negoziazione con il genitore. L'obbedienza al genitore è la preparazione ad un comportamento morale senza bisogno di supervisioni.
A 4-5 anni la personalità del bambino è prettamente egoistica. A 6-7 comincia a sviluppare un senso morale unidirezionale e rigido ad esempio incentrato sull'egualitarismo. A 9 anni le sue posizioni divengono meno rigide e seguono principi di equità.

Psicologia delle personalità

Assunti base

Un elemento che caratterizza in maniera trasversale tutti i modelli di studio della personalità (e che ne rappresenta un elemento cardine nei suoi aspetti più recenti) è la tensione verso l'interazione tra fattori costituzionali innati, fattori educativi ed ambientali. La tradizione di studi psicologici relativi alla personalità è una delle più rilevanti della psicologia contemporanea, un campo in cui si susseguono studi empirici, teorici e storici, tesi a comprendere la natura dell'identità personale nel contesto biologico e sociale di sviluppo. [6] [7] [8] [9] [10] Una significativa parte della psicologia delle differenze individuali, analizza e valuta la personalità attraverso test volti ad individuarne i tratti (vedi test di personalità).
È possibile definire i tratti di personalità come configurazioni dell'esistenza, ma in realtà non esiste un'unica teoria dei tratti. Differenti sostenitori dell'approccio basato sui tratti, adottano strategie concettuali differenti nel definire la relazione tra persona ed ambiente. Gli assunti di base degli orientamenti teorici, che incentrano lo studio della personalità sui tratti personali, sono descritti con molta chiarezza da Lewis Goldberg[11], uno dei principali studiosi delle teorie dei tratti:
  • Le persone mostrano configurazioni di esperienza e di azione consistenti e stabili che le distinguono l'una dall'altra. Si ipotizza in questo senso l'esistenza di costrutti psicologici corrispondenti a tendenze comportamentali abituali. Tali costrutti possono essere definiti come variabili di tratto, o variabili disposizionali.
  • Le variabili di tratto sono decontestualizzate, sono cioè definite come tendenze globali atte a mostrare un tipo di comportamento piuttosto che un altro. I tratti, quindi, si riferiscono direttamente ad elementi comportamentali mostrati dalle persone in diverse situazioni. In questa caratteristica differiscono significativamente dalla motivazione, per definizione legata ad una meta. È chiaro che tratti differenti abbiano una diversa rilevanza nei vari contesti. Tuttavia l'approccio basato sui tratti sceglie di studiare la personalità attraverso unità di analisi di tipo dominio-generali.
  • Diversi nuclei teorici evidenziano approcci operativi riconducibili a due linee guida: approcci di tipo idiografico ed approcci di tipo nomotetico. Le strategie idiografiche postulano che ogni persona possa possedere un insieme unico di tratti, organizzati in maniera singolare e specifica. Diversamente gli approcci nomotetici ricercano invece una tassonomia universale di tratti.
Entro i modelli di tipo nomotetico (per esempio il 16PF Questionnaire di Raymond Cattell, oppure la teoria dei Big Five di McCrae e Costa) la struttura della personalità risulta essere costituita da tendenze comportamentali organizzate gerarchicamente con tratti ampi e sovraordinati. Questi costrutti sovraordinati organizzano le tendenze che si collocano ad un livello più basso, le quali, a loro volta, controllano le abitudini comportamentali che sono ad un livello ancora più basso. In questa struttura a cascata i costrutti che si collocano a livello elevato ed intermedio, sono tendenze abituali e stabili orientate alla messa in atto di una specifica categoria di risposte. Il livello più elevato, stabile nei vari domini di comportamento, viene interpretato come il nucleo portante della personalità, e si identifica con le variabili disposizionali.

Personalità e teorie psicodinamiche

Uno degli elementi alla base dell'approccio psicodinamico allo studio della personalità fu la scoperta dell'inconscio. Alla base di questo concetto si struttura l'approccio psicodinamico di Sigmund Freud, con il suo elevatissimo valore storico nella definizione della psicologia come disciplina.
Il primo modello costruito da Freud, il modello topico, distingue un piano conscio dell'individuo, di superficie, caratterizzato da tutta la sua sfera di consapevolezza; un piano preconscio, maggiormente nascosto, ma facilmente accessibile dall'individuo stesso mediante la verbalizzazione o tecniche più specifiche; un piano inconscio, centrale nei processi di personalità, assolutamente inaccessibile all'individuo senza un'adeguata relazione d'aiuto. Concetto fondamentale per lo studio della personalità, secondo il modello freudiano, è la pulsione, definita come spinta endogena verso l'esterno e caratterizzata da un'origine, una meta, e un oggetto.
Una seconda teoria freudiana si sposta dallo studio della struttura fisica della personalità allo studio dei processi psichici. Freud distingue allora tre istanze psichiche, che mediando la pulsione attraverso i meccanismi di difesa propri dell'Io, costruiscono la personalità individuale:
  • L'id (o Es), l'istanza più primitiva, quella rappresentata dai fondamenti biologici e motivazionali elementari della personalità. Queste energie fanno riferimento, per la loro scarica nella condotta, esclusivamente al principio del piacere. Hanno infatti come meta la totale e completa soddisfazione pulsionale e l'evitamento del dolore.
  • L'ego (o Io), l'istanza razionale e realistica nella quale il soddisfacimento degli impulsi scaturiti dall'Es trova il confronto e la mediazione. L'ego funziona infatti secondo il principio della realtà. Attraverso i meccanismi di difesa che l'individuo sviluppa, le pulsioni divengono socialmente accettabili, confrontandosi con un contesto sociale e personale che ne media la scarica in condotte considerate positive.
  • Il super ego (o Super io), l'ultima istanza di sviluppo in ordine di tempo, segue le leggi della moralità e dell'etica. Si compone del concetto di bene e male (come caratteristica astratta rispetto alle conseguenze materiali dirette, di vantaggio o svantaggio immediati, di un'azione), e dell'ideale dell'io, un modello idealizzato e un'aspirazione sul come si dovrebbe essere.
Per esemplificare l'evoluzione della personalità, Freud ha focalizzato l'attenzione su una serie di bisogni, ognuno dei quali è associato ad una parte del corpo e caratterizza una delle principali fasi di sviluppo dell'essere umano, che sono:
  • La fase orale, riguarda i primi 18 mesi di vita nei quali il bambino si procura da solo un intenso piacere nel succhiare. Non essendo ancora venuto a contatto con gli obblighi, i divieti, le disapprovazioni del mondo esterno, il bambino inizia ad esplorare il proprio corpo alla ricerca di nuove fonti di piacere.
  • La fase anale, che interessa il bambino fino al terzo anno di età, è incentrata sul piacere indotto subito dopo la fine della defecazione. L'infante impara a riconoscere il momento ed il luogo adatti alla evacuazione, oltre a trattenere le feci seguendo le direttive del mondo esterno. Attua, per la prima volta nell'arco della sua esistenza, un compromesso tra piacere, obblighi e dignità sociali.
  • La fase fallica, dai 3 ai 6 anni, nella quale il bambino scopre i genitali e manifesta un orientamento bisessuale. Superando la fase edipica, l'angoscia di castrazione nei maschi, l'invidia del pene nelle femmine, il bambino, identificandosi con il genitore dello stesso sesso, sviluppa la coscienza morale, inserendo nella propria personalità le regole e le norme trasmesse dal genitore.
Freud non è stato l'unico ricercatore ad indagare le fasi dello sviluppo della personalità. Erik Erikson aggiunse la dimensione psicosociale a quella psicosessuale freudiana, oltre a ritenere che l'evoluzione non si esaurisce con l'adolescenza ma prosegue per tutta la vita.
Secondo Carl Gustav Jung le caratteristiche personali sono riconducibili a delle forme innate, gli archetipi, che fanno riferimento all'inconscio collettivo.

Le teorie incentrate sui tratti

Tra i primi autori che studiarono la personalità umana in termini di tratto, emerge Gordon Allport che negli anni trenta identificò una gerarchia di tratti, a partire dai più intrinseci nell'individuo come i tratti cardinali, con maggiore capacità di influenza, fino ai tratti centrali e a quelli secondari. Il punto di partenza di questo studio è rappresentato dall'approfondimento lessicografico del linguaggio naturale, dove Allport identificò una banca dati di descrittori verbali differenziabili dal punto di vista logico. Allport sviluppò in questo modo una metodologia idiografica basata sul calcolo delle frequenze delle parole utilizzate per descrivere la propria personalità nei resoconti.
Un altro autore fondamentale nello studio dei tratti di personalità è Raymond Cattell il quale sviluppò un approccio di tipo nomotetico per lo studio della personalità. Attraverso la tecnica statistica dell'analisi fattoriale, identificò 16 tratti di personalità bipolari, attraverso cui confrontare, mediante un questionario standardizzato, denominato 16PF (vedi psicometria e test di personalità), le risposte date dal soggetto valutato, per poi categorizzarlo sul modello base che ha dato origine al questionario stesso.
Anche Hans Eysenck portò avanti un approccio fattoriale allo studio della personalità. Rifacendosi al costrutto psicologico dei tipi "introverso - estroverso", proposto dalla teoria Junghiana, ne trasse un questionario di valutazione, l'Eysenck Personality Questionnaire (EPQ).

Personalità e teoria sociale cognitiva


Reciproco determinismo triadico di Albert Bandura (C=condotta; P=personalità; A=ambiente)
L'approccio comportamentista associa le differenze individuali agli apprendimenti condizionati e rinforzati dal soggetto durante il suo percorso di vita. Come nell'apprendimento, anche nello studio della personalità, l'approccio comportamentista considera l'importanza dello stimolo nella strutturazione della risposta personale, sottovalutando l'equazione personale che l'individuo associa a questo stimolo.
A partire dagli studi sviluppati dalla teoria sociale cognitiva, Albert Bandura sviluppa questi nessi associativi, di origine comportamentista, virando da un approccio meccanicistico ad uno probabilistico. Quest'autore infatti, nella valutazione della condotta, identifica una serie di fattori personali e ambientali, in un meccanismo di interazione che influenza la condotta, definito "reciproco determinismo triadico".
Nell'approccio di Bandura allo studio della personalità emergono, tra i meccanismi di autoregolazione della condotta, le convinzioni di efficacia quale costrutto basato sulla sistematica e sistematizzata interazione tra elementi personali e contestuali, nonché predittori chiave della condotta e delle differenze individuali che questa teoria valorizza.

La teoria dei big five

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Big Five (psicologia).
McCrae[12] e Costa[13] identificano 5 tratti di personalità sulla base della tradizione fattoriale nello studio della personalità e dell'ipotesi della sedimentazione linguistica di Cattell che, sulla base dei pionieristici studi di Allport, identificava nella lingua parlata un serbatoio di descrittori della personalità:
  • L'estroversione, intesa come grado di attivazione, fiducia ed entusiasmo nelle condotte che si adottano e nella loro scelta.
  • La gradevolezza, intesa come quantità e qualità delle relazioni interpersonali positive che la persona intraprende, orientate al prendersi cura ed accogliere l'altro.
  • La coscienziosità, intesa come precisione, affidabilità, accuratezza metodologica che l'individuo è orientato ad offrire attraverso la sua condotta, nonché la volontà di avere successo e la sua perseveranza.
  • Il nevroticismo, intesa come grado di resistenza a stress di tipo emotivo (resilienza), quali ad esempio l'ansietà, l'instabilità, l'irritabilità.
  • L'apertura all'esperienza, intesa come disposizione a ricercare stimoli culturali e di pensiero esterni al proprio contesto ordinario, nonché la ricerca di un contatto con un orientamento valoriale diverso da quello di riferimento.

La teoria del TCI (Cloninger)

Il TCI (Temperament Character Inventory) è una teoria psicodinamica che definisce la personalità in base al funzionamento di quattro importanti neurotrasmettitori, e relativi recettori, che determinano i comportamenti dominanti e le risposte all'ambiente. Vi sono in totale 7 dimensioni:
  • Novelty Seeking (NS): la ricerca di novità determina l'approccio alle nuove esperienze e ai nuovi incontri e ha una correlazione negativa con la Dopamina che determina il grado di soddisfazione della persona. Se la persona non è soddisfatta cercherà novità.
  • Harm Avoidance (HA): l'evitamento del pericolo è in contrapposizione alla NS ed è determinato dalla Serotonina che ha funzione di regolazione. È maggiormente presente nelle persone di sesso femminile.
  • Reward Dependence (RD): la necessità di una ricompensa si correla con la Noradrenalina che determina le risposte di attacco e fuga nel corpo umano.
  • Persistence (P): fino a poco tempo fa non si pensava che la persistenza fosse una caratteristica indipendente della personalità.
  • Self-Directedness: la capacità di essere indipendenti si correla con uno scarso attaccamento agli altri.
  • Cooperativeness: presente in maniera maggiore nelle donne, il senso di altruismo e di cooperazione è alla base dell'empatia.
  • Self-Trascendence: tipico di tutte le persone che si sentono in comunione con la natura e con gli altri, si è rivelato essere correlato anche con le esperienze spirituali e di "uscita" dal corpo (estasi), manifestazioni dovute talvolta a difettazione temporanea delle aree prefrontali.

Note

  1. ^ "Psicologia" di Peter Hofstatter, ediz. Feltrinelli, 1964, Milano (alla pag. 175,181 - voce "Personalità")
  2. ^ Foschi R., Lombardo G.P. (2006), Lewinian contribution to the study of personality as the alternative to the mainstream of personality psychology in the 20th century. In: Trempala, J., Pepitone, A. Raven, B. Lewinian Psychology. (vol. 1, pp. 86–98). Bydgoszcz: Kazimierz Wielki University Press. ISBN 83-7096-592-Xe
  3. ^ "Psicologia" di Peter Hofstatter, ediz. Feltrinelli, 1964, Milano (alla pag.175,181 - voce "Personalità")
  4. ^ Eysenck H. (1953), The structure of Human Personality, Methuen, London.
  5. ^ "Psicologia dello sviluppo ed educazione" di Orsola Coppola, ediz. Esselibri, Napoli, 1999 (alla pag. 38,44 - voce "Lo sviluppo della personalità")
  6. ^ Lombardo G.P, Foschi R. (2003), "La costruzione scientifica della personalità. Itinerari storici della psicologia", Bollati Boringhieri, Torino.
  7. ^ "Handbook of Personality, Third Edition: Theory and Research" by Oliver P. John, Richard W. Robins, and Lawrence A. Pervin, The Guilford Press, New York, 2008
  8. ^ Foschi R. (2003). "L'indagine sulla Personalità alle origini della psicologia scientifica francese (1870-1885)". Physis, Rivista internazionale di storia della scienza, vol. 40 (1-2); p. 63-105, ISSN: 0031-9414
  9. ^ Lombardo, G.P., Foschi R. (2002). The european origins of personality psychology. European psychologist, 7, 134-145, doi:10.1027//1016-9040.7.2.134
  10. ^ Lombardo G.P, Foschi R. (2003). The Concept of Personality between 19th Century France and 20th Century American Psychology. History of Psychology, vol. 6; 133-142, ISSN: 1093-4510, doi: 10.1037/1093-4510.6.2.123
  11. ^ IPIP - International Personality Item Pool. A Scientific Collaboratory for the Development of Advanced Measures of Personality and Other Individual Differences.
  12. ^ McCrae R. (1991), The Five-Factor Model and its applications in clinical settings. Journal of Personality Assessment, Vol. 57(3), 399-414.
  13. ^ Costa P.T. (1991), A clinical use of Five-Facot Model: An introduction. Journal of Personality Assessment, Vol. 57(3), 393-398.

Voci correlate