venerdì 2 agosto 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 10. La Signorina De Toschi

Dopo il catastrofico primo incontro tra Ettore Ricci e Diana Orsini presso il famoso Salotto Liberty, entrambe le famiglie si riunirono per fare il punto della situazione.
Diana aveva giurato e spergiurato che mai e poi mai si sarebbe fidanzata, e tantomeno sposata, con quel "rozzo e strambo personaggio". Piuttosto si sarebbe fatta monaca di clausura.
La governante, Ida Braghiri, aveva subito riferito queste parole al padre di Ettore, di cui era la "quinta colonna" all'interno della Villa Orsini.
Quando i due patriarchi si trovarono faccia a faccia, il vecchio Giorgio "Zuarz" Ricci si dichiarò offeso, e dopo una serie di imprecazioni irriferibili, asserì, con grande scandalo del Conte Attilio, di essere felice che suo figlio Ettore non fosse un damerino effeminato come i figli dei nobili e aggiunse che non era affatto "strambo", semmai lo erano gli Orsini, che avevano sperperato il loro patrimonio in cose assurde e moralmente discutibili.
Dopo questo affronto, il Conte si era tolto il guanto bianco e stava per sfidarlo a duello, quando le rispettive consorti intervennero per evitare il peggio.
E così la diplomazia si rimise all'opera.
Clara Ricci ed Emilia Orsini, preso atto della gravità della situazione, e del fatto che comunque quel matrimonio "s'aveva da fare", si trovarono d'accordo su un punto fondamentale, e cioè che esisteva un'unica persona in grado di far cambiare idea alla giovane Diana.
Questo pensiero venne espresso da entrambe all'unisono:
<<In questi casi non c'è che la Signorina>>
Questa affermazione, dai vaghi echi manzoniani (si pensi alla Monaca di Monza), trovò concordi anche i mariti, che nutrivano per la suddetta Signorina  una sorta di venerazione simile a quella che gli antichi Romani tributavano a Giunone Pronuba.
Occorre dunque conoscere bene questo carismatico personaggio.
Ospite fissa agli eventi mondani dell’Alta Società, la signorina Mariuccia De Toschi era un’attempata nubile di buona famiglia e, per parte di padre, di ostentate origini toscane (anche se tutti sapevano che era nata e cresciuta a Forlì), unica figlia ed erede del glorioso generale Ardito De Toschi e della compianta nobildonna Violetta Orsini di Casemurate, cugina del Conte Attilio.
Di Violetta Orsini quasi nulla si sapeva, essendo morta di tisi poco dopo aver dato alla luce la figlia Mariuccia. Del resto la stessa Violetta aveva sempre sostenuto che una donna onesta di buona famiglia compare solo tre volte nei giornali: quando nasce, quando si sposa e quando muore.
E così fu.
Del generale De Toschi, invece, erano note tutte le gesta, decantate dalla moltitudine di attendenti succedutisi al suo servizio, per poi elevarsi verso luminose carriere nei più svariati ambiti dell’Alta Società.
Ardito De Toschi, nato a Pistoia nel 1865, era stato in gioventù allievo ufficiale all’Accademia di Modena, poi tenente ai tempi di Crispi nella Guerra di Eritrea e Somalia, capitano nella guerra di Libia, colonnello durante la Grande Guerra '15-18, Cavaliere di Vittorio Veneto (medaglia d’oro, secondo le leggende più accreditate). Generale di brigata nella Guerra d'Etiopia, era all'epoca comandante del contingente italiano nella guerra civile spagnola a fianco dei sostenitori di Francisco Franco (“il babbo salverà la Spagna dai comunisti” soleva rammentare sua figlia) e aveva da poco ottenuto il grado di generale di corpo d'armata.
Tra una guerra e l'altra, il Generale aveva acquistato una palazzina, subito denominata Villino De Toschi, a Forlì, la città più vicina al Feudo che portava il cognome della sua defunta moglie.
E proprio a Forlì sua figlia Mariuccia aveva studiato e ottenuto l’incarico di docente di Latino e Greco presso il Liceo Classico, anche se in seguito avrebbe negato l'evidenza, dando a intendere di avere compiuto tutti i suoi studi in Toscana, risciacquando così "in Arno" quello che lei giudicava il volgare dialetto gallico dei Romagnoli.
Ostentava infatti un eloquio esageratamente toscano che avrebbe stupito persino il Sommo Dante.
E tuttavia c'erano molti testimoni del fatto che la Signorina aveva studiato prima a Forlì e poi a Bologna, alloggiando presso il Collegio delle Sorelle del Sacro Cuore.
Nessuno però avrebbe mai osato contraddirla, per non incorrere nelle ire del suo anziano, potente e militaresco genitore.

Riguardo proprio al potere del Generale De Toschi (basato più sulle conoscenze personali che sulla politica), a Forlì circola ancora questo simpatico aneddoto.
Dopo la laurea in Lettere Classiche a Bologna nel 1913, la signorina Mariuccia aveva sostenuto a Roma il concorso per la docenza superiore: in tale occasione, agli orali, ella sarebbe stata accompagnata “dal babbo” in alta uniforme e decorazioni civili e militari, che con aria cupa e vagamente minacciosa avrebbe così apostrofato (con spiccato accento toscano) la commissione d’esame: «Chodesta è la mi’ unicha figliola! Che Dio la benedicha! Trattatemela bene o chonoscerete la lealtà degl’atthendhenti del scenerale De Toschi!»
Inutile dire che la “cara figliola” passò l’esame col massimo dei voti e ottenne subito la docenza e la cattedra a due passi da casa sua.
Alcuni dei suoi primi studenti giuravano che la Signorina, all’inizio della carriera fosse bellissima: si elogiavano le sue lunghe trecce bionde acconciate sul capo, gli occhi color acquamarina, e il fisico perfetto.
Non tutti però erano dello stesso parere e, pur guardandosi bene dallo sfatare quel mito in pubblico, confessavano che già allora la Signorina tendeva alla pinguedine, ed i suoi occhi sporgenti, per quanto vagamente azzurrognoli, non ricordavano di certo il mare o l'oceano.
Il passare del tempo non migliorò la situazione, che anzi risentì del micidiale appetito e del feroce tabagismo dell'eccellente Signorina.

Negli Anni Trenta, quando Diana Orsini incominciò ad andare a ripetizione di Latino e Greco da lei, (non che ne avesse bisogno, ma la Signorina ci teneva molto, volendo rinsaldare i rapporti col Conte Attilio) la trovò obesa, massiccia come un ippopotamo, gonfia, catarrosa e afflitta da raffreddori perenni, aggravati dalla bronchite cronica da fumo (“con una mano teneva la sigaretta e con l’altra il fazzoletto da naso”).

Per quanto fosse estremamente timorata di Dio e fervente cattolica, la Signorina non si faceva mancare nessuno dei sette peccati capitali.
Per compiacere nel contempo la gola e l'avarizia, si faceva invitare a cena ogni sera a scrocco da una delle infinite famiglie di amici, parenti, ex studenti ed ex attendenti del "Babbo".
Che fosse una forchetta da competizione era cosa arcinota: in particolare era ghiotta di salumi e insaccati, e tra i regali più graditi che potesse ricevere vi erano prosciutti, mortadelle, cotechini, zamponi e salsicce, o, come diceva lei, alla toscana: “salcicce”.
Diana l’aveva imparato a sue spese.
Una volta infatti, pensando di farle cosa gradita, le aveva regalato per Natale alcuni libri di cultura letteraria e classica. La signorina Mariuccia, gelida e quasi offesa, non aveva neppure scartato i pacchi. Il Natale successivo alcuni giurarono di avere ricevuto gli stessi pacchi in regalo dalla signorina.
Per Pasqua, Diana le aveva regalato una spilla: questa volta la Signorina aveva mostrato un qualche segno di apprezzamento, ma subito prevalse la superstizione, e l'eccellente Mariuccia, quasi in lacrime, dichiarò che, onde evitare che il regalo portasse sfortuna, c’erano solo due soluzioni: o lei stessa avrebbe dovuto dare 5 centesimi a Diana, oppure avrebbe dovuto farsi pungere dalla spilla.
Preferì farsi pungere.
Diana, che aveva capito l’antifona, il Natale successivo le regalò un cesto pieno di salumi e formaggi, e la signorina la baciò e l’abbracciò più volte, piangendo a dirotto per la gioia.

A scuola era il terrore dei suoi allievi, a meno che non fossero di famiglia altolocata, mentre con quelli che venivano a lezione privata soleva mostrarsi materna, specialmente se erano figli di medici, avvocati, notai, dentisti, ma anche, non si sapeva mai, di idraulici, elettricisti, muratori e altri professionisti di comprovata utilità.
Teneva le ripetizioni tutto il pomeriggio in uno stanzino freddissimo e scomodo, a piano terra del Villino De Toschi.
Nessuno, tranne i domestici, ebbe mai accesso al piano nobile, il “sancta sanctorum”, dove in seguito l’anziano generale-padre avrebbe trascorso la sua dignitosa vecchiaia.
Alle 5 in punto del pomeriggio la governante, signora Gelsomina, madre del parroco, le portava il tè e le sigarette.

Ogni mattina la signorina Mariuccia e la signora Gelsomina si recavano a messa alle 6, con la carrozza di proprietà dei Conti Orsini, mandata apposta quotidianamente dalla loro Villa di Casemurate, poiché la Signorina, pur essendo benestante, non intendeva scialacquare denaro in mezzi di trasporto 
Dopo la Santa Messa, le due pie donne si recavano al cimitero, a portare fiori sulla tomba della defunta Violetta Orsini, madre della Signorina.
Poi, con l’anima monda dai peccati, l'eccellente Mariuccia si recava al lavoro, al Liceo Classico a terrorizzare i malcapitati studenti con spietate interrogazioni sulla consecutio temporum o sulla coniugazione dell'aoristo greco.
Se prendeva in antipatia uno studente, per lui era finita. Tartassato, rimandato, bocciato, costretto a cambiare istituto, quasi sempre lo sventurato finiva per abbandonare gli studi.
Se al contrario prendeva uno studente in simpatia, costui si diplomava a pieni voti, e gli si apriva un avvenire florido, sostenuto dai vari “attendenti del babbo” infiltrati in ogni angolo dell’Alta Società.
In verità la signorina De Toschi, pur essendo in grande amicizia con i vecchi notabili liberali (ai quali faceva capire strizzando l’occhiolino che era ancora dalla loro parte). e pur ricordando ai cattolici e ai monarchici di giurato eterna fedeltà solo e soltanto al Papa e al Re (come aveva confidato ad un imprecisato numero di “attendenti del babbo”), ostentava pubblicamente il gagliardetto fascista.

Ma non era tanto il voto politico a costituire il grande mistero della signorina De Toschi, quanto la sua vita sentimentale.
Su questa materia si favoleggiavano le più disparate leggende.
Innanzi tutto era assodato che la Signorina aveva una speciale attrazione per gli uomini giovani e robusti, in genere lavoratori manuali, meglio se poco istruiti.
Ai tempi dell’università aveva preso una sbandata per un aitante giovanotto, che ella presentò al padre prima come studente di ingegneria, poi come geometra di successo, infine, quando la nuda verità non poteva essere più nascosta, come "libero" muratore iscritto alla Massoneria e infine come manovale a cottimo.
Di costui non si seppe più niente, anche se molti dicono che una sera fu preso a bastonate da alcuni individui non identificati.

Il secondo grande amore della Signorina fu, manco a dirlo, un altro muratore, che era vedovo di una collega con gli stessi gusti “ruspanti”, che era stata, per anni, la sua migliore amica.
Costei si chiamava Liliana e il marito Priamo o Priapo…non è dato sapere con esattezza, comunque si diceva che fosse un nome ben rappresentativo del personaggio e alcuni si spingevano persino a ipotizzare che all'origine di tutto vi fosse non tanto un errore di qualche impiegato dell'anagrafe, quanto piuttosto lo scherzo di un prete burlone, rimasto impressionato dagli attributi del neonato da battezzare.
Fintanto che Liliana era in vita, invitava a pranzi luculliani la vorace signorina De Toschi, la quale, non paga di ingozzarsi di tortellini e piadine al salame, si mangiava con gli occhi pure il carissimo Priapo.
Accadde poi che la signora Liliana morisse di una leucemia fulminante.
Da quel momento la signorina De Toschi fu in prima fila a consolare l’inconsolabile vedovo.
Dopo alcuni mesi la si vide indossare la pelliccia che era stata della signora Liliana, e poi la collana di turchese, sempre della defunta, e gli orecchini di corallo, e il collier d’oro bianco e via dicendo.
Quando ormai l’intera eredità della compianta Liliana fu trasferita nel Villino De Toschi, escluso il vedovo, la grande storia d’amore si affievolì, sia perché “il Babbo non voleva”, sia, secondo altri, perché le doti priapiche del suddetto Priapo non soddisfacevano abbastanza l'insaziabile ninfomania della stagionata Signorina.
A quel punto Mariuccia De Toschi, che mai si sarebbe accontentata di sublimare nelle lettere classiche o nella devozione religiosa i suoi consistenti appetiti, mise gli occhi addosso al marito di un'altra sua amica di vecchia data, conosciuta negli anni del collegio al Sacro Cuore.
Questa amica altri non era che la maestra Clara Vallicelli, coniugata Ricci.

Come già detto, suo marito Giorgio detto "Zuarz", il cui irsutismo ipertricotico denotava una debordante presenza di testosterone nel suo organismo, aveva leggendarie doti priapiche, testimoniate da un numero imprecisato di figli bastardi.
La virilità di Zuarz era oggetto di rispettosa venerazione. Persino suo figlio Ettore ricordava di averlo visto nudo una volta che faceva il bagno in una tinozza nella penombra del tugurio adibito a lavanderia. Per quanto buio fosse l'ambiente, avrebbe giurato sulla sua stessa testa che i testicoli del vecchio padre fossero grossi come uova di piccione. Per decenza si taceva della lunghezza del membro.

La signorina De Toschi non dimenticava le ore di sollazzo che Giorgio Ricci le aveva regalato, ed era sempre pronta a ricambiare il favore.

Per questo fu deciso che a parlarle sarebbe stata la maestra Clara, che pur avendo sempre portato le corna con grandissima dignità, fingendo di non sapere nulla, poteva comunque, implicitamente s'intende, minacciare di rivelare lo scandalo.
La scaltra signora Ricci spiegò alla venerabile Signorina De Toschi quanto fosse doloroso, per la sua famiglia, l'ostinato rifiuto di Diana Orsini nell'accettare il corteggiamento di Ettore Ricci.
Nel parlare di questo, accennò anche ai debiti del Conte verso il vecchio Zuarz.
Mariuccia De Toschi, che conosceva già la storia nei minimi particolari e voleva a tutti i costi che una fetta del patrimonio degli Orsini toccasse anche a lei, non aspettava altro per poter far valere ancora una volta la propria autorità.
Annuì vigorosamente, facendo tremolare tutta la pappagorgia, poi espirò una nube di fumo di tabacco, sollevò un indice verso il cielo e disse: <<Ci penso io!>>